L'Unico che non finì di danzare
"Un giorno chiesero a Neureyev cosa provava all'idea che, prima o dopo, avrebbe smesso di danzare. Pare che inaspettatamente egli si concesse un ampio sorriso, prima di rispondere con assoluta certezza che quell'addio avrebbe coinciso con l'attimo stesso dell'addio alla vita, perché "solo la morte è la fine della danza".
In un giorno qualsiasi sotto Tiberio, dopo l'ennesimo cadavere tirato giù e sistemato per il sonno eterno, ecco che lo squallido copione si scardina del tutto, e a distanza di duemila anni sia i credenti che gli scettici fanno ancora i conti con l'unico che dopo la morte non finì di danzare.
Nel polittico Averoldi, dipinto cinque secoli fa da Tiziano Vecellio, Gesù è raffigurato con le braccia aperte, quasi si divertisse a mimare la posizione del crocifisso senza più la croce, e si slancia sulla gamba sinistra sollevando l'altra in aria, torcendo il busto: insomma, la sua sembra davvero una danza.
E in quel danzare c'è il riscatto di tutto ciò che la morte ha tolto, sottratto o interrotto agli uomini, c'è il ribaltarsi di tutto. Ecco perché la Risurrezione di Tiziano è formidabile: lo è nella misura in cui ci racconta un Cristo danzante che è una liberazione, un oltraggio, una ribellione scandalosa.
Alla fine sta tutta qui la potenza eversiva del cristianesimo, ahimé cristallizzato in una liturgia che s'è fatta sclerosi, il cui nucleo era e resta: io e voi non ci perderemo, nel tempo, come lacrime nella pioggia".
Stefano Massini
L'Unico che non finì di danzare
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