L'ape che cucina? L'APEntola

L'ape che prende in giro? L'APErnacchia

L'ape precisina? L'APErfezione

L'ape stitica? L'APEretta

L'ape marina? L'APEsca

L'ape uccello? L'APEnnuta

L'ape italiana? L'APEnisola

L'ape che mangia troppo? L'APEsantezza

L'ape in carcere? L'APEna

L'ape scrittrice? L'APEnna

L'ape dolce? L'APErugina

L'ape collega della dolce? L'APErnigotti

L'ape casinara? L'APEste

L'ape lavavetri? L'APEzza

L'ape calorosa? L'APElliccia

L'ape ammalata? L'APErtosse

L'ape dottoressa? L'APEdiatra

L'ape giocatrice? L'APEdina

L'ape ebrea? L'APErseguitata

L'ape in discesa? L'APEndenza

L'ape preoccupata? L'APEnsierosa

L'ape incerta? L'APErplessa

L'ape atletica? L'APErtica

L'ape sconfitta? L'APErsa

L'ape rozza? L'APEzzente

L'ape in tiro? L'APEttinata

L'ape che segna l'ora? L'APEndola

L'ape trendy? L'APEritivo

L'ape vecchia? L'APEnsionata

L'ape concentrata? L'APEnsierosa

L'ape cattiva? L'APEssima

L'ape costruttrice? L'APEnsilina

L'ape altissima? L'APErtica

L'ape puzzolente? L'APEscivendola

L'ape buona? L'APErdona

L'ape depravata? L'APErvertita

L'ape scocciante? L'APEtulante

L'ape scribacchina? L'APErgamena

L'ape rumorosa? L'APEtarda

L'ape educata? L'APErbene

L'ape cupa? L'APEnombra

L'ape contagiosa? L'APPEstata

L'ape regista? L'APEllicola

L'ape vivace? L'APEperina

L'ape antipatica? L'APErfettina

L'ape infame? L'APErfida

L'ape sexy? L'APErizoma

L'ape muscolosa? L'APEttorale

L'ape che se la prende? L'APErmalosa

L'ape fashion? L'APErmanente

L'ape scura in volto? L'APEssimista

L'ape odiata dalla mafia? L'APEntita

L'apre riservata? L'APErsonale

L'ape orientale? L'APEchinese

L'ape veloce? L'APEugeot

L'ape maestra? L'APEdagoga

Le api sportive? APing e APong.

La gigantesca ape demente? L'APazza

Le api in cucina? Apasta e APriscatole

L'ape maligna? L'APErdizone

L'ape nell'armadio? L'APPEndino

L'ape in ospedale? L'AProstata

L'ape ciccia? L'APancia

L'ape che piace? L'APPEtibile

L'ape smorta? L'APatica

La piccola ape pestilente? L'APuzza

Le api preziose? L'APislazzule

L'ape motorizzata? L'APE Cross

L'ape pericolosa? L'APistola

L'ape religiosa? L'APostola

L'ape russa? L'APErestroica

L'ape indigesta? L'APEperonata

L'ape che fa la lana? L'APEcora

L'ape lettrice? L'APPEndice

L'ape che spiffera? L'APErtura

L'ape in discesa? L'APEndice

L'ape bilanciata? L'APEsa



La società attuale europea ed occidentale si costruisce, meglio si esprime - talora in maniera costruttiva, talora in maniera distruttiva - non seguendo una visione organica, ispirandosi a un vero e proprio progetto, ma dando valore ad alcune intuizioni di fondo connesse con l'idea della libertà dell'individuo, il cui solo limite sarebbe il rispetto delle libertà altrui. (...) Sarebbe facile naturalmente allargare il discorso servendosi delle numerose indagini sociologiche e comportamentali che descrivono il nostro vissuto di società, con accenti rassegnati o catastrofici o addirittura apocalittici, quasi mai con accenti di ottimismo e di fiducia. Non saranno tuttavia le analisi pessimistiche a migliorare il mondo e nemmeno basterà un accorato richiamo ai valori o alla legalità per far andare meglio le cose. Dobbiamo piuttosto, dal momento che i nostri difetti li conosciamo bene, acquisire una visuale positiva, un sogno di futuro, che ci permetta di affrontare con energia e coraggio il passaggio di millennio.

    L'istanza contenuta nel titolo del mio discorso Alla fine del millennio, lasciateci sognare! vuole appunto esprimere la speranza che può venire da una visione di futuro che lasci spazio alla potenza di Dio e alla forza costruttiva delle beatitudini evangeliche, non da un ripiegamento ossessivo e analitico sui nostri mali. Si chiede dunque a tutte le persone e i gruppi di buona volontà, in Europa e in Italia, di ispirarsi a progetti positivi; di guardare all'uomo saggio del Vangelo che, fidandosi delle parole del discorso della Montagna, le mette in pratica e costruisce una casa che resiste a tutti gli uragani (Mt 7,24-25); di dare spazio allo Spirito il quale farà sì che negli ‘‘ultimi giorni” - lo sono anche i nostri - “i vostri giovani avranno visioni e i vostri anziani faranno dei sogni” (At 2, 17).

    Mi viene in mente quel sogno di Chiesa capace di essere fermento di una società che espressi il 10 febbraio 1981, a un anno dal mio ingresso in Diocesi, e che continua ad ispirarmi:

- una Chiesa pienamente sottomessa alla Parola di Dio, nutrita e liberata da questa Parola

- una Chiesa che mette l'Eucaristia al centro della sua vita, che contempla il suo Signore, che compie tutto quanto fa “in memoria di Lui” e modellandosi sulla Sua capacità di dono;

- una Chiesa che non tema di utilizzare strutture e mezzi umani, ma che se ne serve e non ne diviene serva;

- una Chiesa che desidera parlare al mondo di oggi, alla cultura, alle diverse civiltà, con la parola semplice del Vangelo;

- una Chiesa che parla più con i fatti che con le parole; che non dice se non parole che partano dai fatti e si appoggino ai fatti;

- una Chiesa attenta ai segni della presenza dello Spirito nei nostri tempi, ovunque si manifestino;

- una Chiesa consapevole del cammino arduo e difficile di molta gente oggi, delle sofferenze quasi insopportabili di tanta parte dell'umanità, sinceramente partecipe delle pene di tutti e desiderosa di consolare;

- una Chiesa che porta la parola liberatrice e incoraggiante dell'Evangelo a coloro che sono gravati da pesanti fardelli;

- una Chiesa capace di scoprire i nuovi poveri e non troppo preoccupata di sbagliare nello sforzo di aiutarli in maniera creativa;

- una Chiesa che non privilegia nessuna categoria, né antica né nuova, che accoglie ugualmente giovani e anziani, che educa e forma tutti i suoi figli alla fede e alla carità e desidera valorizzare tutti i servizi e ministeri nella unità della comunione;

- una Chiesa umile di cuore, unita e compatta nella sua disciplina, in cui Dio solo ha il primato;

- una Chiesa che opera un paziente discernimento, valutando con oggettività e realismo il suo rapporto con il mondo, con la società di oggi; che spinge alla partecipazione attiva e alla presenza responsabile, con rispetto e deferenza verso le istituzioni, ma che ricorda bene la parola di Pietro: “E' meglio obbedire a Dio che agli uomini” (At 4,19). (...)

    Dal sogno di una Chiesa così e della sua capacità di servire la società con tutti i suoi problemi nasce l'invito a lasciarci ancora sognare: Lasciateci sognare! Lasciateci guardare oltre alle fatiche di ogni giorno! Lasciateci prendere ispirazione da grandi ideali! Lasciateci contemplare con scioltezza le figure che, come Ambrogio, hanno segnato un passaggio di epoca non con imprese militari o con riforme imposte dall'alto, bensì valorizzando la vita quotidiana della gente, insegnando che la forza e il regno di Dio sono già in mezzo a noi e che basta aprire gli occhi e il cuore per vedere la salvezza di Dio all'opera. La forza di Dio è in mezzo a noi nella capacità di accogliere l'esistenza come dono, di sperimentare la verità delle beatitudini evangeliche, di leggere nelle stesse avversità un disegno di amore, di sentire che il discorso della croce rovescia le opinioni correnti, vince le paure ancestrali e permette di accedere a una nuova comprensione della vita e della morte.

    Il nostro sogno non sarà allora evasione irresponsabile né fuga dalle fatiche quotidiane, ma apertura di orizzonti, luogo di nuova creatività, fonte di accoglienza e di dialogo.


Carlo Maria Martini, Omelia di s.Ambrogio 1996


L'intera omelia nella nostra sezione Testi



Della gentilezza

di Massimo Gramellini

Oggi vorrei scrivere qualcosa di veramente impopolare, per cui parlerò della gentilezza. Della sua prematura e così poco rimpianta scomparsa.

La defunta non richiedeva sacrifici particolari e nemmeno eroismi. Solo un po' di educazione e, prima ancora, di umanità. Era una forma mentale. Talvolta ipocrita, e però utile ad ammorbidire le asprezze della vita quotidiana. Grazie, prego, passi pure, mi scusi, ma si figuri, non me n'ero accorto, ha bisogno?, c'era prima il signore, non si preoccupi, disturbo? Ciascuna di queste espressioni, e dei gesti che spesso le accompagnavano, era una pennellata di grasso sugli ingranaggi esistenziali. Un balsamo che non migliorava le cose, ma consentiva di affrontarle per quel che erano, senza dovervi aggiungere lo sconforto che sempre ci assale quando abbiamo la sensazione di andare contromano.

Forme sporadiche di gentilezza sopravvivono nei rapporti sentimentali, almeno nella prima fase. Per quanto, anche lì. Tracce residue si ravvisano in piccole comunità non ancora divorate dall'individualismo dei diffidenti e dei disperati. Non si hanno notizie sicure di altri avvistamenti. A dire il vero, qualcuno che provi a essere gentile ogni tanto lo si incontra ancora. Ma passa subito per retorico, approfittatore o ruffiano. L'idea che nelle relazioni umane sia ancora possibile mettersi nei panni degli altri è considerata bizzarra. Ma non me ne vengono in mente di migliori per uscire da una crisi che ha spolpato i portafogli solo perché da tempo aveva già corroso i cuori.





"Ho visto un re", di Enzo Jannacci, con Cochi e Renato.


Mi piace soprattutto la finale:

E sempre allegri bisogna stare

che il nostro piangere fa male al re,

fa male al ricco e al cardinale,

diventan tristi se noi piangiam
"La questione della partecipazione alla mensa era piuttosto sentita nelle prime comunità cristiane. Costituiva un motivo di notevole attrito fra opposte mentalità. Si direbbe che il caso non sia totalmente risolto neppure oggi, in certi ambienti, dove si preferisce dare denaro ma non condividere la mensa; dove si pratica l'elemosina ma non l'ospitalità; dove a un individuo, nella migliore delle ipotesi, non si lascia mancare niente, ma gli si nega il favore essenziale: farlo sentire in casa. C'è soltanto da sperare che le comunità cristiane si rendano conto che la linea evangelica, che è poi la sola che definisca una comunità come cristiana, passa attraverso il pane. Un pane offerto stando sulla soglia di casa a quelli di fuori, non è più un pane offerto ma rifiutato. E, comunque, non è più segno di comunione. C'è qualcosa di peggio della solitudine. Ed è il rimanere "tra noi".


Alessandro Pronzato, Le donne che hanno incontrato Gesù, 7

«I migliori anni della mia vita»

Intervista al cardinale Carlo Maria Martini sul Concilio Vaticano II

Eminenza, qual è il Suo ricordo degli anni del Concilio?

Conservo soprattutto il ricordo dell'atmosfera di quegli anni, una sensazione di entusiasmo, di gioia e di apertura che ci pervadeva. Ho trascorso durante il Concilio gli anni migliori della mia vita, non solo e non tanto perché avevo meno di quarant'anni, ma perché si usciva finalmente da un'atmosfera che sapeva un po' di muffa, di stantio, e si aprivano porte e finestre, circolava l'aria pura, si guardava al dialogo con tante altre realtà, e la Chiesa appariva veramente capace di affrontare il mondo moderno. Tutto questo, lo ripeto, ci dava una grande gioia e una forte carica di entusiasmo.

Secondo Lei, che cosa rimane oggi di quegli anni?

Sono rimaste senz'altro molte cose. Prima di tutto c'è da dire che quelli che l'hanno vissuto hanno fatto un passo importantissimo per la loro vita, perché hanno ricevuto dal Concilio una fiducia rinnovata nelle possibilità della Chiesa di parlare a tutti. Poi restano molti elementi contenuti nei vari documenti conciliari: penso alla liturgia, all'ecumenismo, al dialogo con le altre fedi, alla riflessione sulla Scrittura. Per la nostra Chiesa una grande ricchezza che mantiene intatta tutta la sua attualità e tutto il suo valore.

E invece a Suo giudizio che cosa si è perso?

Non è facile rispondere. Ci sono state certamente un po' di deviazioni, ma soprattutto all'estero, non qui da noi in Italia. Direi che ciò che si è perso è proprio quell'entusiasmo, quella fiducia di cui parlavo prima, quella capacità di sognare che il Concilio aveva comunicato alla nostra Chiesa e che ci procurò tanta gioia. Si è tornati un po' alle acque basse, a una certa mediocrità.

Alcuni dicono che il Concilio fu contrassegnato dal contrasto netto tra una maggioranza progressista, chiamiamola così, di vescovi e teologi e la Curia romana che remava contro. Condivide questa ricostruzione?

Sì, penso che in effetti ci sia stata questa contrapposizione. Non si può negare che in certi settori della Curia c'era una forza frenante. Ma questo è comprensibile, perché la Curia era abituata a fare tutti i decreti, a tenere in mano tutto, e quindi si può capire bene che per i curiali vedersi sfuggire di mano questo controllo non fu piacevole.

Eminenza, qual è il personaggio del Concilio che ricorda di più?

Ce ne sono davvero tanti. Mi piace ricordare dom Helder Camara, l'arcivescovo e teologo brasiliano, morto nel 1999. Sto leggendo proprio in questo periodo le lettere che indirizzava ai suoi amici in Brasile, scrivendole ogni notte alle due. Una grande figura! E poi ricordo il cardinale belga Leo Jozef Suenens, l'arcivescovo di Malines-Bruxelles che sostenne alcune tesi molto coraggiose. Fra le persone che non parteciparono direttamente ai lavori del Concilio, ma che furono molto vicine a quell'atmosfera di rinnovamento ricordo il padre gesuita Stanislas Lyonnet, grande studioso di san Paolo, che insegnava al Pontificio istituto biblico e che aveva molti contatti con i Padri Conciliari. Devo dire che fu un tempo di grandi amicizie alimentate da un fortissimo desiderio di conoscenza.

E oggi un Concilio Vaticano III sarebbe utile per la Chiesa?

Non è facile rispondere. C'è il pro e il contro. Secondo me certamente alla Chiesa servirebbe fare ogni tanto un Concilio per mettere a paragone i diversi linguaggi. Io avverto questa necessità, perché mi sembra che ci sia proprio una difficoltà nel capirsi. Non credo, però, che dovrebbe essere un Concilio come il Vaticano II, cioè dedicato a tutti i problemi della Chiesa e dei suoi rapporti con il mondo. Al centro di un eventuale nuovo Concilio bisognerebbe mettere soltanto uno o due temi e poi, una volta esaminati ed esauriti questi, convocare un altro Concilio dopo dieci, quindici anni, incentrandolo a sua volta su pochi argomenti. Sì, penso che dovrebbe essere questa la linea da seguire.

E Lei, che a Milano diede vita alla Cattedra dei non credenti, pensa che si potrebbe pensare a un Concilio aperto a chi non crede, ai più lontani, per lanciare un messaggio anche a loro?

Non vedo un Concilio di questo tipo. Però è certo che, quando parla, un Concilio parla anche ai non credenti. Perché la preoccupazione del Concilio, di ogni Concilio che sia veramente tale, deve essere quella di farsi capire e quindi di arrivare veramente a tutti, non solo ai cattolici. Nel Concilio Vaticano II questa preoccupazione fu ben presente ed è un altro motivo per cui lo ricordo con gioia e gratitudine.


Istituto Aloisianum, Gallarate, 11 giugno 2008
Radiografia di una generazione troppo precoce

di Chiara Beria di Argentine

Otto anni si vestono già come piccole donne, a dieci anni si preoccupano di fare la dieta, a 12 si truccano e pettinano come le protagoniste di "Amici", i loro programma cult in tv. Cala l'età dello sviluppo e tra mille stimoli a una sessualizzazione hanno rapporti sessuali molto presto. I maschietti vogliono dimostrare al gruppo di essere dei duri, le ragazzine giocano a fare le disinibite. In realtà, sono adolescenti assai fragili e instabili con un gran vuoto da colmare. Mi ha confessato una ragazzina incinta: "Visto che non sono importante per nessuno lo diventerò facendo un figlio"». (...)

Il vero problema è che il mondo adulto, assai meno rigido e autoritario dei tempi andati, appare in realtà così distratto e distante dai nuovi adolescenti che mostra di non conoscerli affatto, salvo poi stupirsi e gridare allo scandalo a ogni caso di cronaca. (...)

Questi adolescenti - dice Francescato - sono affetti da "afasia emotiva". Agiscono come fossero grandi ma non hanno il controllo delle emozioni. In loro c'è un grande vuoto d'amore e anche di significato. Una ragazzina di 13 anni mi ha choccato raccontandomi che preferiva ai suoi genitori il telecomando. "Almeno con quello", mi ha detto, "posso cambiare i canali. Con i miei invece i rapporti non cambiano mai». Figli unici supercoccolati riempiti di ogni sorta di gadget con genitori spesso separati e padri molto spesso distratti e assenti; cultori degli sms e di YouTube, ma senza alcuna figura maschile di riferimento neppure a scuola dove anche alle medie il corpo insegnanti è composto per la maggioranza da donne.

Gustavo Pietropolli Charmet, docente di Psicologia dinamica alla Statale di Milano, ha definito questi nostri ragazzi «narcisi tanto fragili quanto spavaldi». Secondo Charmet per capirli non serve ricordarsi della propria adolescenza. «Siamo di fronte a contenuti nuovi, nuovi timori, nuovi bisogni». C'era una volta la pubertà; tempi e riti di passaggio. Ora, aggiunge Charmet, c'è una «disarmonia evolutiva» che crea in tutti disorientamento. Ragazzini che dimostrano una forte autonomia sociale, capaci di viaggiare da soli all'estero e che poi, all'improvviso, rivelano tutta la loro fragilità. E rispetto al passato, secondo Charmet, la famiglia naturale oggi incide meno sui comportamenti di questi ragazzini e ha, invece, molto più peso il gruppo di coetanei.

Una «famiglia sociale» che gestisce tutto dalle cose più banali, come farsi un tatuaggio, alle decisioni più importanti e più rischiose. Ubriacarsi, fare sesso e, quando il gruppo sprofonda nella noia, allora scatta persino l'impulso di fare qualcosa di stupefacente senza avere il minimo sentore delle conseguenze. Lo stupro di una compagna di classe? Solo uno scherzo. Ma allora è giusto giudicare questi adolescenti come se fossero ancora dei ragazzini? O, come sostengono alcuni esperti, visto la precocità dei loro comportamenti dovrebbero essere considerati adulti e quindi dovrebbe essere abolita la soglia di punibilità che in Italia è dei 14 anni? Laura Laera, presidente dell'Associazione dei magistrati per i minori e la famiglia dati in mano difende il nostro sistema: «Rispetto al resto d'Europa abbiamo il minor numero di reati commessi da minorenni. (...) Altro che carcere per i baby criminali. «Dove stavano i genitori prima che fossero commessi i reati? - chiede Laura Laera - Sempre più spesso vedo genitori che sono analfabeti affettivi. Risultato: figli che fanno vite da adulti». «Ma crescere è altra cosa, è saper gestire le proprie pulsioni, è diventare maturi», accusa lo psicologo dell'età evolutiva, Alessandro Vassalli. (...)
Quando chiesero a Confucio che cosa avrebbe fatto nel caso in cui il principe gli avesse affidato il governo, rispose: "E' assolutamente necessario ridare ai nomi il loro vero significato".

Il mondo va tutto alla rovescia...

non ci sono più le belle stagioni di una volta.




"Ci sarà sempre qualcosa che mi mancherà, perché so leggere;

non vedrò mai più il mondo come lo vedrebbe un illetterato"



Christian Bobin, La luce del mondo, 139

Una moratoria per i giovani. Spengano YouTube e chat

Un modo per riprendere contatto con la realtà

di Francesco Alberoni

Parto da una notizia che ho appena avuto da due giornalisti che hanno intervistato numerosi adolescenti milanesi. Alcuni di loro hanno incominciato a usare l'eroina, ma non se la iniettano, la fumano. Dicono che gli dà un grande rilassamento, una grande serenità. Poi nel weekend, quando vogliono scatenarsi tutta la notte, passano alla coca. La coca li fa sentire onnipotenti. Come se le procurano? «In giro ne trovi quanta ne vuoi, anche su Internet e costa poco». «Non pensi che ti farà male?» «No, fa bene».

Questi adolescenti quando sono a scuola, in casa, quando si trovano con gli adulti non ascoltano. Comunicano solo all'interno del loro universo adolescenziale con mezzi che gli adulti non possono controllare: sms, Internet, chat, YouTube, altre web-tribù. Si incontrano di notte, nelle discoteche e nelle feste. Coi genitori recitano, e questi non sanno nulla della loro vita reale. Considerano i docenti dei falliti che insegnano cose inutili e guardano con compatimento gli psicologi. Fra loro parlano poco, piuttosto chattano e ascoltano musica.

È dalle canzonette che prendono le parole e i concetti filosofici che ispirano la loro vita: «Sii libero, fa quello che vuoi e ricorda che sei perfetto !». I loro modelli sono i personaggi dello spettacolo, chi va a Il Grande fratello, i calciatori miliardari, i bulli, e perfino chi si distingue su YouTube con qualche filmato da brivido. (...) La nuova generazione non ha radici, non ha fondamenti etici, non ha cultura né classica, né politica. Alcuni pensano che, proprio perche è così vuota, sarà più aperta, creativa. È una illusione: senza radici, senza un rapporto reale e drammatico con la vita, senza capacità di confrontarsi e di riflettere e con l'illusione di essere perfetti, non si crea niente. A volte mi domando se a questi adolescenti non farebbe bene un periodo di moratoria, in cui si chiudano loro YouTube, le chat, le discoteche, si limiti l'uso di Internet e dei cellulari per consentire loro di ricominciare a parlare, di riprendere contatto con le altre generazioni, con i giornali e i libri. Una moratoria periodica di due mesi l'anno, una cura disintossicante.





A proposito di ricchi, una canzone divertente!

Dalle "Omelie sul vangelo di Matteo"

di san Giovanni Crisostomo, vescovo

«Vuoi onorare il corpo di Cristo? Non permettere che sia oggetto di disprezzo nelle sue membra cioè nei poveri, privi di panni per coprirsi. Non onorarlo qui in chiesa con stoffe di seta, mentre fuori lo trascuri quando soffre per il freddo e la nudità. Colui che ha detto: "Questo è il mio corpo", confermando il fatto con la parola, ha detto anche: Mi avete visto affamato e non mi avete dato da mangiare (cfr. Mt 25, 42), e: Ogni volta che non avete fatto queste cose a uno dei più piccoli tra questi, non l'avete fatto neppure a me (cfr. Mt 25, 45). Il corpo di Cristo che sta sull'altare non ha bisogno di mantelli, ma di anime pure; mentre quello che sta fuori ha bisogno di molta cura.

Impariamo dunque a pensare e a onorare Cristo come egli vuole. Infatti l'onore più gradito che possiamo rendere a colui che vogliamo venerare è quello che lui stesso vuole, non quello escogitato da noi. Anche Pietro credeva di onorarlo impedendo a lui di lavargli i piedi. Questo non era onore, ma vera scortesia. Così anche tu rendigli quell'onore che egli ha comandato, fa' che i poveri beneficino delle tue ricchezze. Dio non ha bisogno di vasi d'oro, ma di anime d'oro.

Con questo non intendo certo proibirvi di fare doni alla chiesa. No. Ma vi scongiuro di elargire, con questi e prima di questi, l'elemosina. Dio infatti accetta i doni alla sua casa terrena, ma gradisce molto di più il soccorso dato ai poveri.

Nel primo caso ne ricava vantaggio solo chi offre, nel secondo invece anche chi riceve. Là il dono potrebbe essere occasione di ostentazione; qui invece è elemosina e amore. Che vantaggio può avere Cristo se la mensa del sacrificio è piena di vasi d'oro, mentre poi muore di fame nella persona del povero? Prima sazia l'affamato, e solo in seguito orna l'altare con quello che rimane. Gli offrirai un calice d'oro e non gli darai un bicchiere d'acqua? Che bisogno c'è di adornare con veli d'oro il suo altare, se poi non gli offri il vestito necessario? Che guadagno ne ricava egli? Dimmi: se vedessi uno privo del cibo necessario e, senza curartene, adornassi d'oro solo la sua mensa, credi che ti ringrazierebbe o piuttosto non si infurierebbe contro di te? E se vedessi uno coperto di stracci e intirizzito dal freddo, trascurando di vestirlo, gli innalzassi colonne dorate, dicendo che lo fai in suo onore, non si riterrebbe forse di essere beffeggiato e insultato in modo atroce?

Pensa la stessa cosa di Cristo, quando va errante e pellegrino, bisognoso di un tetto. Tu rifiuti di accoglierlo nel pellegrino e adorni invece il pavimento, le pareti, le colonne e i muri dell'edificio sacro. Attacchi catene d'argento alle lampade, ma non vai a visitarlo quando lui è incatenato in carcere. Dico questo non per vietarvi di procurare tali addobbi e arredi sacri, ma per esortarvi a offrire, insieme a questi, anche il necessario aiuto ai poveri, o, meglio, perché questo sia fatto prima di quello. Nessuno è mai stato condannato per non aver cooperato ad abbellire il tempio, ma chi trascura il povero è destinato alla geenna, al fuoco inestinguibile e al supplizio con i demoni. Perciò mentre adorni l'ambiente del culto, non chiudere il tuo cuore al fratello che soffre. Questi è un tempio vivo più prezioso di quello».
Settimo rapporto della Caritas ambrosiana

Allarme povertà, in aumento i senza tetto

Sono 5mila in città. Disoccupazione e redditi bassi i problemi di chi è in difficoltà: per il 70 per cento donne, tre quarti stranieri

Cresce la povertà nella Diocesi di Milano, un territorio che comprende il capoluogo lombardo, Lecco e Varese oltre alle rispettive province. E' quanto emerge dal settimo rapporto della Caritas ambrosiana presentato martedì mattina. Ricerca che «non ha la pretesa della completezza» - è stato spiegato - ma che punta su un solido campione: quasi 16 mila persone che si sono rivolte a 61 centri di ascolto nel 2007. Fra le principali preoccupazioni di chi è in difficoltà permangono l'occupazione e l'abitazione e in questo senso si parla proprio di «precari della casa», tanto che il rapporto è stato chiamato «Case senza abitanti e abitanti senza casa». Nella sola Milano - ha spiegato il direttore di Caritas ambrosiana, don Roberto Davanzo - circa 5.000 persone non hanno abitazione e si avvalgono di strutture di accoglienza e 85 mila, secondo una ricerca dell'Università Bicocca, sono da considerare vulnerabili, cioè basta poco per precipitarli in una condizione di bisogno.

Le criticità sono note: le giovani coppie non trovano alloggi a prezzi accessibili e si scontrano con la carenza di case in locazione, le famiglie non riescono a sostenere l'aumento delle rate del mutuo, i separati, soprattutto uomini, hanno difficoltà a trovare una nuova abitazione. E poi gli stipendi inadeguati e instabili. In due parole: la precarietà esistenziale. «Il problema della casa non riguarda solo gli stranieri, è una difficoltà trasversale - ha sottolineato Davanzo - tanto che si è ridotta significativamente la popolazione milanese, si è scesi a 1 milione e 200 mila abitanti da 1,9 milioni 20 anni fa. Siamo ormai una città senza abitanti, perchè la casa è diventato un bene speculativo. C'è un pendolarismo, il capoluogo si riempie di giorno e si svuota di sera». «Il problema abitativo - ha concluso - o viene governato a livello di pubblica amministrazione con la collaborazione del privato e del privato sociale oppure non se ne esce».

I poveri del territorio sono per il 70% donne, hanno in media 40 anni e per i tre quarti sono rappresentati da stranieri. «La forte rappresentanza femminile - spiega Angela Signorelli dell'Osservatorio Caritas Ambrosiana - si spiega col fatto che sempre più spesso sono le donne a farsi carico dei problemi della famiglia: dietro una donna che si rivolge a noi molto spesso c'è un intero nucleo familiare in difficoltà». Il 75% di chi si è rivolto ai centri Caritas lo scorso anno sono stati stranieri: Perù, Romania, Ecuador, Marocco e Ucrania le nazionalità maggiormente rappresentate. Gli stranieri hanno un'età media di 37 anni (contro i 48 degli italiani) e un livello d'istruzione più alto (sono laureati il 7,2% e hanno un diploma il 26,2%), ma spesso i loro titoli di studio non sono riconosciuti nel nostro Paese.

Tra i bisogni che hanno spinto i componenti del campione a rivolgersi alla Caritas il problema dell'occupazione (58,9%) è al primo posto seguito da un redditto non sufficiente (33,3%) e, come già ricordato, dal disagio rispetto all'abitazione (15%). A fronte della difficoltà in cui versano sempre piu famiglie, Caritas e Fondazione San Carlo (che ha contribuito all'indagine) denunciano la presenza a Milano di moltissime case di proprietà tenute vuote. «Sappiamo che non sono i privati a poter rispondere all'emergenza - ha detto Giuseppe Sala della Fondazione San Carlo - ma se molte famiglie cogliessero l'invito del Cardinale Tettamanzi nella sua lettera pastorale a "mettere a disposizione le loro proprietà dandole in locazione a prezzi accessibili", qualcosa potrebbe cambiare».
Sto soprattutto parlando della Chiesa cattolica: un'internazionale di credenti in tanti Paesi diversi. Essa ha un centro, la Santa Sede, fuori da uno Stato, anzi collocata in un suo Stato, voluto per sottrarsi alla sovranità altrui. La Chiesa contemporanea ha guardato con preoccupazione la guerra, cercando di evitarla con ogni mezzo. Le parole di Pio XII del 1939 (scritte da Montini, il futuro Paolo VI) esprimono questo sentire: «Nulla è perduto con la pace, tutto è perduto con la guerra. Ritornino gli uomini a comprendersi. Ritornino gli uomini a trattare». Recentemente si ritrovano gli stessi accenti in Benedetto XVI: «La guerra e l'odio non sono la soluzione dei problemi...». (...)

C'è da chiedersi se, nel XXI secolo, la posizione della Santa Sede non sia illusoria, frutto di purismo astratto. Il Vaticano non pretende di essere un tribunale internazionale che condanni di volta in volta le violazioni, le politiche aggressive o altro. Anche se talvolta i papi ne parlano, non è la missione prioritaria. Ma ammonire sui rischi della guerra è un compito a cui la Santa Sede non rinuncia. Sembra che la sua esperienza storica la confermi nella convinzione che guerre e rivoluzioni lasciano il mondo peggiore di come lo hanno trovato. Inoltrarsi nel terreno della guerra rappresenta un'«avventura senza ritorno», per usare le parole di Giovanni Paolo II. È una coscienza che la Chiesa di Roma ha maturato da più di due secoli. Meglio è per lei consigliare il dialogo, l'applicazione del diritto internazionale, il negoziato. La Chiesa non si sente pacifista, ma pacificatrice (papa Wojtyla non si è confuso con il pacifismo). Sa che torti e ragioni non si dividono mai equamente tra le parti, ma considera la guerra come una soluzione che non risolve e alla fine travolge.


Andrea Riccardi, La Stampa, 16.01.09







Ritmo salentino... quanno ce vole, ce vole!!

Veniamo da settimane in cui questa antica sapienza umana - prima ancora che biblica - è parsa dimenticata.

Anche tra i pochi che parlavano per invocare il silenzio v'era chi sembrava mosso più che altro dal desiderio di far tacere quanti la pensavano diversamente da lui. Da parte mia confesso che, anche se il direttore di questo giornale mi ha invitato più volte a scrivere, ho preferito fare silenzio, anzi, soffrire in silenzio aspettando l'ora in cui fosse forse possibile - ma non è certo - dire una parola udibile.

Attorno all'agonia lunga 17 anni di una donna, attorno al dramma di una famiglia nella sofferenza, si è consumato uno scontro incivile, una gazzarra indegna dello stile cristiano: giorno dopo giorno, nel silenzio abitato dalla mia fede in Dio e dalla mia fedeltà alla terra e all'umanità di cui sono parte, constatavo una violenza verbale, e a volte addirittura fisica, che strideva con la mia fede cristiana. Non potevo ascoltare quelle grida - «assassini», «boia», «lasciatela a noi»...

"Sai, papà, vorrei diventare suora e dedicarmi ai giovani"

di mons. Mario Delpini

Avvenire - Milano 7 - 7.12.08


Il signor Giuseppe ha le idee chiare. Non ha paura di dire quello che pensa e non si lascia intimidire da nessuno, ci fosse pure il Papa. Parla con passione, ma non perde il filo; è deciso, ma anche lucido; interpreta il pensiero di molti, ma con un'incisività che non è di tutti. «Deve capire, monsignore, che qui non si può lasciare il posto vuoto. E non ci vuole uno qualsiasi: ci vuole un prete giovane o una suora giovane. Sono i giovani che hanno bisogno di una guida. Noi adulti sappiamo quello che dobbiamo fare. I nostri ragazzi, invece, rischiano di crescere sbandati!». Il signor Giuseppe riscuote il consenso dei presenti: «Ha ragione! Bravo! Hai detto bene! È proprio così: qualcuno ci vuole per i nostri giovani!». Incoraggiato dal successo, il signor Giuseppe continua a ribadire il concetto ogni volta che se ne presenti l'occasione: «Un giovane per i giovani!». Il fatto che sconvolse il signor Giuseppe e lo rinchiuse in un silenzio cupo, come se gli fosse capitata una disgrazia, fu quando sua figlia Giulia, appena laureata, confidò al papà: «Sai, avrei pensato di diventare suora. Vorrei proprio dedicarmi ai bambini e ai giovani».
«Spente» le zone del cervello fondamentali per le relazioni umane

Le foto sexy fanno diventare le donne davvero «oggetti» nella mente maschile

La visione di immagini provocanti attiva le stesse aree cerebrali usate per maneggiare gli utensili

L'enorme utilizzo di immagini femminili da parte di pubblicità e media sembra avere un effetto negativo inconscio sul modo in cui gli uomini percepiscono le donne. Non si tratta di un'ipotesi un po' moralista, bensì dell'indicazione di uno studio presentato al più importante congresso scientifico del mondo, quello dell'American Academy of Advancement in Science, in corso a Chicago e condotto da Susan Fiske, psicologa della Princeton University in New Jersey,

Secondo i dati raccolti, dopo la visione di queste foto si attivano intensamente le aree cerebrali normalmente «accese» prima di maneggiare utensili da lavoro come martello e cacciavite; allo stesso tempo foto di donne sexy hanno il potere di spegnere nel cervello maschile i centri neurali dell'empatia, ovvero quei circuiti deputati ad interagire con gli altri e a comprenderne le emozioni. Le foto di donne sexy, quindi, alterano la percezione maschile della donna «come se i maschi pensassero di agire direttamente su quei corpi femminili» come se le donne «non fossero completamente esseri umani».

«L'unica altra volta in cui abbiamo visto accadere tutto questo è quando le persone guardano immagini di barboni o drogati, perchè davvero non si vuole pensare a quello che sta accadendo a questa gente», spiega la Fiske. Insomma, nell'esperimento si vede che le fanciulle discinte spingono l'uomo a considerare davvero la donna un oggetto. «Non sto inneggiando alla censura - ha dichiarato la Fiske al quotidiano britannico - ma dico solo che le persone devono conoscere che tipo di associazioni» scattano nella mente della gente.
Al Dio piantato in tutti e in ogni mossa

al Dio delle formiche, anguille, api

al Dio bussola e fiore apparterrei.

A quello invece che mi lascia il posto

e mi piazza da vice onnipotente

e si è sfilato dall'anulare il mondo

lasciandolo ai capricci dell'Adàm

vedovo di natura morta non ancora

non so credere, chiedere,

perché dare ha già dato e del dafarsi

resta solo la revoca del dono.


Erri De Luca, Solo andata, 91
La vita è sonno

di Massimo Gramellini

Quand'è che l'insonnia è diventata un valore politico? Perché i cocchi della folla hanno sempre menato vanto del loro dormir poco? L'amato premier lo ha ribadito sabato, strusciando fuori da una discoteca milanese alle sei e un quarto del mattino: «Mi basta dormire tre ore, così poi ho l'energia per fare l'amore altre tre». Anche il capo dell'opposizione passa la notte a duplicare cd per gli amici e a vedere film ubzeki coi sottotitoli in lituano, ma giustamente non lo dice a nessuno. L'insonnia è politicamente spendibile solo se funzionale al racconto, vero o millantato, di prestazioni sessuali e riunioni strategiche, le due attività in cui ogni capo branco maschio esprime la propria concezione del potere. È vero che anche i mistici si svegliano alle tre di notte, ma loro lo fanno per pregare e comunque si erano coricati al tramonto, senza aspettare l'ultima dichiarazione di Cicchitto.

«L'allievo dormirà sei ore, ne siano concesse sette solo al pigro, a nessuno otto», si leggeva nel regolamento delle scuole pitagoriche. Ma sei ore erano garantite a tutti, una sorta di minimo esistenziale sotto la cui soglia si celano il malessere e l'inquietudine. Tanto poi avrò l'eternità per dormire, sentenziano gli stakanovisti del fare. E non capiscono che sarebbe saggio cominciare a portarsi avanti col lavoro. Che solo chi dorme riesce a sognare. E che i sogni sono la vita vera. Avessero dormito di più anche certi cocainomani di Wall Street, forse adesso la notte prenderemmo tutti sonno un po' meglio.
Pubblichiamo una parte della meditazione apparsa su

Avvenire il 13 febbraio 2009.

Il testo integrale nella sezione Testi.


"Nella luce della risurrezione di Gesù possiamo intuire qualcosa di ciò che sarà la risurrezione della carne. In essa l'essere con Cristo si estenderà ad abbracciare la pienezza della persona e la globalità dell'esperienza umana anche nella sua dimensione corporea, così come la risurrezione del Crocifisso nella carne ha portato nella vita eterna la carne del nostro tempo mortale, fatta propria dal Figlio di Dio. L'anticipazione vigilante della risurrezione finale è in ogni bellezza, in ogni letizia, in ogni profondità della gioia che raggiunge anche il corpo e le cose, condotte alla loro destinazione propria, che è quella delle opere dell'amore. Non dobbiamo dimenticare che il cristianesimo, con alterne vicende, ha condotto una dura battaglia per respingere l'impulso al disprezzo del corpo e della materia in favore di una malintesa esaltazione dell'anima e dello spirito. L'esaltazione dello spirito nel disprezzo del corpo, come l'esaltazione del corpo nel disprezzo dello spirito, sono di fatto il seme maligno di una divisione dell'uomo che la grazia incoraggia a combattere e a sconfiggere".


Carlo Maria Martini
Il sito di social network che sta facendo impallidire ogni altra esperienza passata del Web per i proprio numeri (...) ha cambiato le "condizioni d'utilizzo" del sito. Svolta importante perché sostanzialmente, con i nuovi termini, Facebook si appropria dei diritti sui contenuti postati dagli utenti e ne potrà fare quello che vuole, anche se l'utente in questione decide di rimuovere da online quanto aveva postato.

vedi l'articolo e i link ai siti che ne parlano.
Il compito del teologo consiste nell'eliminare, tenendo presenti le scienze dello spirito, le incertezze derivanti dall'ignoranza, dal pregiudizio e dalla confusione prodotta da una inadeguata sintesi delle opzioni apparentemente contrastanti. Egli aiuterà i fedeli a vivere una vita migliore in mezzo all'incertezza inerente al mistero in cui sono immersi ed a cui sono chiamati ad abbandonarsi fiduciosamente.


E. Schillebeeckx, Il matrimonio, 12


Eminenza carissima,


viviamo il tuo ottantaduesimo compleanno come si celebra una ricorrenza di famiglia. E' una esigenza del cuore, per me e per l'intera Diocesi, esprimere stima, gratitudine e molto affetto. Sono convinto che questo sentimento non sia solo della nostra Chiesa: molti uomini e donne delle nostre città, anche non credenti e di altre fedi, avvertono come un dovere questa riconoscenza e così si uniscono a noi.

“In una società senza padri







"Henna", una stupenda canzone di Dalla che sto riascoltando in questi giorni.

Un video ben fatto che la interpreta: complimenti a "Ndp", trasmissione de La7!

Ma si può ascoltare ad occhi chiusi, immaginando alla luce della propria sensibilità.

Spionaggio amoroso

Cercasi 007 per innamorati gelosi

Boom di acquisti di telecamere nascoste e detective

Non solo fiori e cioccolatini: sotto le feste è boom di investigatori privati e telecamere nascoste.

Fiori e cioccolatini non sono gli unici regali che vanno a ruba per San Valentino. Da quest'anno, infatti, è aumentata del 20% la vendita di telecamere nascoste. Gli acquirenti sono i partner sospettosi, a volte solo gelosi, che sperano di scoprire il tradimento del compagno proprio nel giorno dedicato all'amore.

«San Valentino è il giorno degli innamorati ma qualche volta non si tratta del partner ufficiale - ha commentato Jimmie Mesis, direttore di Private Investigation, la rivista specializzata per gli investigatori privati - è il periodo più frenetico dell'anno. Anche se oggi, con la recessione, gli innamorati preferiscono condurre un lavoro autonomo di investigazione».

In effetti, le vendite di dispositivi GPS con programmi che permettono di visualizzare i percorsi in macchina effettuati dal compagno, sono cresciuti nelle ultime 3 settimane del 20%. Queste apparecchiature, proposte ad un prezzo variabile tra 50 e i 400 dollari, includono videocamere nascoste nelle sveglie o programmi in grado di spiare le email del compagno. Ci si sarebbe aspettato che molte più persone stessero a casa con il loro sposo o il loro compagno in un periodo in cui l'economia è così debole, ma le vendite in questo settore suggeriscono invece il contrario: apparentemente i problemi legati ai soldi non fermano i flirt.







Merita una serata!


E magari anche una chiacchierata!

L'emittente CBS accusata di spingere troppo in là i suoi "esperimenti sociali"

Nozze combinate dai parenti in tv. L'ultima frontiera dei reality Usa

Polemiche per l'annunciato «Arranged Marriage»: matrimoni per «casi disperati» dai 25 ai 45 anni

È polemica negli Stati Uniti sul nuovo, discusso reality show della Cbs che si ripromette di far sposare adulti tra i 25 e i 45 anni, facendo scegliere il consorte da amici e parenti. (...) All'inizio di ogni puntata verranno presentati i protagonisti: quattro aspiranti coniugi tra i 25 e i 45 anni - due uomini e due donne - che nonostante molteplici sforzi non sono riusciti a trovare il partner giusto con cui convolare a nozze. A colmare la lacuna ci pensano amici e parenti, che selezionano il consorte, completamente a loro insaputa. Dopo lo scambio degli anelli, la serie segue il matrimonio di ogni coppia per determinarne la riuscita o l'eventuale insuccesso. (...) In "Married by America" i matrimoni erano finti. I nostri, al contrario, sono non soltanto veri ma anche consumati».

La televisione e la crisi. Quel milione di euro a Bonolis

Il Servizio pubblico e un «modello virtuoso»


di Aldo Grasso


Che strano Paese, l'Italia. Operai e impiegati in cassa integrazione, aziende che collassano da un giorno all'altro, il prodotto interno ai minimi storici ma Paolo Bonolis prende un milione di euro per condurre il Festival. Qualcosa non torna. L'amministrazione Obama ha fissato un tetto massimo di 500 mila dollari ai salari dei grandi dirigenti delle aziende destinatarie dei fondi di salvataggio. Il provvedimento ha due scopi: puntare a una maggiore trasparenza e soprattutto dare l'esempio. Per una vecchia legge morale: se l'insegnamento non viene dall'alto, nessuno muove il primo passo. Che strano paese, l'Italia. Non è solo la Banca centrale a suggerire fosche previsioni (crescita zero, diminuzione delle esportazioni, compressione dei salari), lo è piuttosto la realtà quotidiana: molte famiglie non arrivano alla quarta settimana del mese, negozi in crisi, il precariato giovanile a livelli drammatici.

Eppure Paolo Bonolis, presentatore televisivo, e Roberto Benigni, lettore televisivo di Dante, prendono dal Festival di Sanremo una barcata di soldi. C'è anche Maria De Filippi (il suo compenso andrà in beneficenza), corsa tris della scuderia Lucio Presta. Bonolis si difende dicendo che ha lavorato per un anno al Festival come direttore artistico. Insomma, lavora a progetto, è il co.co.co. più ricco d'Italia. Complimenti.

E dire che il Servizio pubblico televisivo, proprio perché si rivolge alla stragrande maggioranza delle famiglie, proprio perché ha un'audience la cui consistenza principale è rappresentata dalle fasce meno abbienti della popolazione, avrebbe il dovere di porsi come modello virtuoso. Poco vale la giustificazione che i soldi per Bonolis e Benigni li tirano fuori gli sponsor. No, li tiriamo fuori noi: prima con il canone, poi al supermarket. Non passa giorno che i nostri governanti non ci esortino al sacrificio: per l'Alitalia, per uscire dalla crisi, per risanare i conti pubblici. Il presidente Silvio Berlusconi ha recentemente affermato «che tutti quanti in coscienza dobbiamo dare il nostro piccolo contributo affinché questa crisi non sia così drammatica». Ha ragione, se però, in coscienza, il contributo cominciasse a venire da una manifestazione musicale come Sanremo avrebbe anche un valore simbolico (non moralistico). Riguardo poi ai sacrifici, chi li fa e chi li predica la pensano in modo differente.

Ma ai primi è data scarsa possibilità di dirlo.





Una versione di dieci anni fa della famosa "Confessioni di un malandrino",


tratta da una poesia del poeta russo Cechov.

Gli italiani in Rete sono i più bugiardi d'Europa

Chi cerca l'anima gemella online scopre che il profilo della persona scelta spesso non corrisponde alla verità

Incontrare l'anima gemella attraverso siti di incontri via Internet è possibile, a patto di usare la webcam per non incombere in spiacevoli sorprese. Uno studio commisionato da Logitech ha infatti scoperto che dopo l'incontro virtuale, una volta fissato l'appuntamento offline, il profilo della persona scelta spesso non corrisponde alla verità. E i 'latin lover' nostrani in rete sono i più bugiardi d'Europa.

Dalla ricerca, svolta a livello europeo dalla società di analisi Lightspeed Research, emerge che il 58% delle persone che incontrato uomini e donne conosciuti via Internet è stato vittima di appuntamenti dove il profilo del potenziale partner non corrispondeva completamente a quello descritto. Chi cerca l'anima gemella online considera l'apparenza un elemento fondamentale per accettare un appuntamento, ma spesso accade che le foto inviate vengano ritoccate o migliorate digitalmente o che vengano utilizzati scatti realizzati nel passato, creando reazioni di delusione in un incontro reale.

Al primo posto della classifica dei "bugiardi" vi sono appunto gli italiani, con il 72% degli intervistati che ha mentito sul proprio aspetto fisico. Seguono i tedeschi con il 58%, i francesi con il 56% e gli inglesi con il 55%. Gli olandesi sono risultati i più onesti con il 52% di incontri riusciti. Per tutti le caratteristiche che principalmente disattendono la realtà sono l'aspetto fisico e il peso, mentre la calvizie non costituiscono un problema.

La videochiamata può dunque costituire una soluzione e contribuire al successo degli appuntamenti. Il 54% afferma infatti che poter vedere in anticipo l'altra persona rappresenti un notevole vantaggio e offra la possibilità di rifiutare l'incontro senza inutili perdite di tempo.

A sorpresa un terzo degli italiani dichiara invece che conoscere subito l'aspetto fisico impedisce di approfondire aspetti più profondi come la personalità. Quanto al sesso al primo appuntamento, circa un quarto degli olandesi si è dichiarato disposto a farlo qualora fosse possibile conoscere l'aspetto fisico del partner in anticipo.
La questione è molto seria: come avere la possibilità e come essere abilitati a leggere, a vedere, a intuire nel male il bene. Fino a un certo punto nella vita si può andare avanti con le metafore, ma quando l'ombra della croce colpisce la tua vita non è così automatico riuscire a dire: "Sono nella notte, ma riesco a vedere". Allora ci vuole davvero un'arte, si deve essere artisti spirituali per essere in grado di trovare un senso nella notte, nella notte della vita, quando il dolore si fa fitto e denso, quando le tante domande di dubbio ci assalgono. (...)

Il cristianesimo è forte perché riesce a vedere nelle cose spezzate, povere, miserabili, sozze, sporche, peccaminose, l'ambiente ideale per la totale rivelazione del Dio assoluto, eterno. Come leggere i fallimenti, come uscire fuori da una logica del successo, all'ínterno del cammino della vita? Perché la sapienza non è sapienza se riesci a vedere il bene nel successo, ma se riesci a trovare il bene nella malattia, nel tumore che ti mangia, nel fallimento, nelle ingiustizie che hai subito, nel silenzio che devi tenere e via dicendo. Questa è la sapienza. (...)

Io penso che tutti noi nella vita combattiamo il nostro carattere, i difetti, gli errori, i vizi, i peccati. Combattiamo, odiamo, cerchiamo di sopprimere e non so che altro... e se tutto questo lo stessimo guardando sotto una luce sbagliata? Si tratta di vedere tutto in una luce nuova, di accendere una luce giusta e tutto quello che tu combatti appare in un altro modo. Quanti combattimenti totalmente inutili e fatti invano! Quante lotte, quante sofferenze provocate a noi stessi e agli altri perché guardiamo con una luce sbagliata le cose! Basterebbe vedere tutto con la luce giusta, anche nella cultura, nella politica, nella Chiesa, nella liturgia. Pensiamo che le cose migliorino se cambiamo loro la forma, ma le cose sono quelle che sono. Se le vedi nella luce giusta riesci persino a cambiarle, ma fin quando non le vedi nella luce giusta, le combatti e se le combatti, cerchi di imporre la tua volontà, e se imponi la tua volontà, sbagli.(...)

Il cuore riesce a vedere l'insieme. Il cuore soffre e si fa sentire quando è attaccata l'armonia dell'insieme, quando si esagera su certe cose e se ne sottovalutano altre. Il cuore custodisce l'insieme e chi riesce a vedere l'insieme riesce a vedere il senso anche di ciò che sembra un fallimento, di ciò che sembra buio, spezzato.


p. Marko Ivan Rupnik

E ora una legge

di Franco Garelli

E così, alla fine, Eluana Englaro ha sorpreso tutti. Se n'è andata prima che il Parlamento potesse impedirglielo, prima che si consumasse l'uso politico di un caso umano, prima che l'Italia al suo capezzale potesse verificare se e quanto soffre un povero corpo quando non viene più alimentato artificialmente. Mai come in questo caso il nome della clinica in cui Eluana ha terminato i suoi giorni è risultato più controverso: la «Quiete» di Udine ha dato pace alle sofferenze di Eluana e della sua famiglia, ma ha alimentato la battaglia, in atto da tempo su questi temi, tra i fans della vita a tutti i costi e i sostenitori a oltranza della volontà individuale. La morte sopraggiunta ha certo richiamato ai più il senso del mistero e della compassione, ma ha surriscaldato molti animi nel Parlamento e nel Paese, con le parti in causa che si sono lanciate accuse infamanti. Colpisce in questa drammatica e triste vicenda - per i molti che la vivono in modo serio e non strumentale - la passione del confronto.

Colpisce l'irriducibilità delle posizioni. Le questioni di fine vita non sono gli unici temi etici che oggi interpellano a fondo l'opinione pubblica e le coscienze, in una società alle prese con molte emergenze (presenza massiccia d'immigrati, lavori sempre più precari, crisi economica e finanziaria, ecc.) che mettono a soqquadro le nostre convinzioni di fondo e chiedono nuove regole di convivenza. Tuttavia tra i problemi scomodi che la modernità porta con sé, un posto di assoluto rilievo spetta ai temi del significato e del confine della vita, della possibilità di autodeterminare il proprio vivere e morire, di quanto sia lecito far ricorso alla tecnologia per prolungare l'esistenza. E ciò, sia perché siamo talmente pervasi da un'alta idea di qualità della vita da rabbrividire all'ipotesi di un'esistenza meno degna; sia perché siamo attorniati da casi umani (anziani «assenti», malati terminali, giovani vite spezzate) che continuamente ci ricordano la rilevanza e la «prossimità» del problema.

Qui emerge la forte divergenza di posizioni e culture di cui il caso Englaro è assurto a simbolo. Per gli uni, Eluana era un guscio vuoto, un essere privo da molto tempo delle qualità umane, tenuto in vita da un sondino nasogastrico che sa di accanimento terapeutico, non potendo più far fronte in modo autonomo alle sue funzioni vitali. Le lesioni subite nell'incidente di 17 anni fa le avrebbero atrofizzato il cervello, impedendole la possibilità del risveglio. Con la morte della «corteccia» (la parte del cervello cui è legata la coscienza), tutto finisce e la pietà umana interviene per porre fine a una vita che non è più tale.

Ma proprio questi argomenti vengono contestati dai fautori di un'altra idea della vita. Quelli che vedono in casi come questi la presenza di un principio vitale (un corpo che ancora respira autonomamente, un cuore che continua a battere) che dev'essere salvaguardato. Anche con una coscienza dormiente o assente, c'è una vita da accompagnare e da rispettare; evitando dunque che il suo commiato sia accelerato, che la sospensione del sostegno vitale assuma la forma di un'eutanasia strisciante.

L'inconciliabilità delle posizioni, dunque, è evidente. Ciò che divide non è soltanto la diversa lettura di queste situazioni limite offerta dagli esperti (biomedici, giuristi), ma anche un differente modo di pensare la vita e la sua dignità. Ciò che per alcuni sono le condizioni base per vivere (vita con coscienza, principio di autodeterminazione) per altri rappresentano requisiti non sufficienti. Per alcuni interrompere in questi casi l'alimentazione e l'idratazione artificiale è un atto di pietà, per altri è un'omissione di risorse vitali e di affetti.

Da più parti si chiede che il dramma di Eluana non sia avvenuto invano, che la sua morte serva a ridurre le polemiche per lasciar spazio a una riflessione compiuta e costruttiva. In particolare, molti auspicano che la classe dirigente del Paese non aspetti altri casi Englaro per affrontare in modo organico la questione dei trattamenti di fine vita. Di qui l'attesa che il Parlamento vari finalmente quella legge sul testamento biologico sulla cui necessità c'è ampio consenso. Persino i Vescovi qualche mese fa si sono pronunciati a favore di un intervento in questo campo, dopo che per molto tempo l'avevano osteggiato. Tuttavia, il consenso deve tradursi in soluzioni concrete. A quale testamento biologico fare riferimento? Quali criteri e clausole introdurre? Come trovare punti di convergenza su questioni che dividono le coscienze e trasversalmente anche i gruppi sociali e politici?

Tra le questioni più calde v'è certamente la possibilità di interrompere (in condizioni particolari) l'alimentazione e l'idratazione artificiale e l'interrogativo di chi abbia il diritto di decidere e dei modi in cui la decisione dev'essere assunta. Nel primo caso si tratta di valutare le situazioni in cui il fornire cibo e acqua artificialmente si presenti come un atto di accanimento terapeutico; oppure se la loro sospensione si configuri come un atto eutanasico. Nel secondo, occorre senza dubbio riconoscere l'importanza della volontà del diretto interessato, ma nel quadro di una decisione che non risulti come un ricorso all'eutanasia (esclusa dalla legislazione italiana). Di qui l'importante funzione del medico, che - come avverte la Chiesa -, «in scienza e coscienza» e in dialogo con i familiari, contribuisca alla ricerca della soluzione da adottare. La strada dunque è irta di ostacoli. Ma da più parti si spera in una convergenza di orientamenti che ci offra una legge che per lo meno porti a scegliere il «male minore». Le posizioni si possono avvicinare se ognuno riconosce le buone ragioni degli altri e gioca al meglio le proprie risorse per arricchire la cultura della nazione.
Coerentemente con quanto sbandierato nei giorni scorsi,


personalità, politici, ecclesiastici, gente comune,

al di qua e al di là del Tevere,

continueranno ad occuparsi

con passione, emozione, rapidità,

prontezza, efficacia, profondità

di tutta una serie di temi caldi

che riguardano il rispetto della vita:





Informazioni sul sito della Diocesi.


 



Non sono i soli ad aver bisogno del Vangelo,

anche in questi giorni,

anche a Roma, a Udine, a Milano, a Varese...




Quei ragazzi sulla panchina hanno bisogno del Vangelo


di mons. Mario Delpini

Avvenire - Milano 7 - 20.04.08


Sembrava una buona idea quella delle panchine collocate là, nella piccola isola verde dell'oratorio. Si immaginavano nonni sapienti e mamme intenerite a vigilare su giochi di bimbi. Ma poi loro hanno preso l'abitudine di accamparsi sopra, sotto, intorno alla panchina: ragazzi e ragazze sdraiati, seduti, accucciati, i jeans a brandelli, la musica pesante. La panchina è diventata una specie di diario: scritte dipinte e cancellate, dichiarazioni graffiate nel legno con improbabili «per sempre», frasi celebri e misteriose allusioni. La panchina è diventata una specie di buco nero: le ragazze passavano alla larga per evitare commenti e volgarità, i bambini, se spingevano fin là il pallone, lo davano per perso. I genitori insistevano con proteste e proposte: «Lascia che mi dicano una parola e con due schiaffoni li metto a posto». «Un idrante ci vuole e fare pulizia». «Ma che cosa aspetta, don, a chiamare i carabinieri?». Ditemi: ha dunque sbagliato il Giuseppe, catechista da sempre, a sedersi con loro sulla panchina? Tra parole colorite e frasi sconnesse, Giuseppe ha raccolto l'immagine di ragazzi smarriti e derubati della speranza. Che abbiano bisogno del Vangelo?



Giornate buie:

per la pioggia,

per la nostra cultura,

per le nostre istituzioni,

per la nostra fede.



Cerchiamo di amare, come ci chiede il Vangelo di oggi:





Un dottore della Legge, interrogò il Signore Gesù per metterlo alla prova: «Maestro, nella Legge, qual è il grande comandamento?». Gli rispose: «Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente. Questo è il grande e primo comandamento. Il secondo poi è simile a quello: Amerai il tuo prossimo come te stesso. Da questi due comandamenti dipendono tutta la Legge e i Profeti». (Mt 22, 35-40)
Non bisogna sparare sui sognatori. Perché, a dispetto di ogni realismo scientifico che pretende di far tenere a ogni costo i piedi per terra, coloro che oggi camminano con la testa per aria saranno gli unici ad aver ragione domani. (...) "abbiamo fatto un sogno e non c'è chi lo interpreti!" Quella frase mi rotola sull'anima come un macigno. Perché sintetizza il grido di tutti gli oppressi. Di tutti i prigionieri del regime. Tutti violentati dei sistemi di potere. Di tutte le vittime dei palazzi. Di tutti coloro, cioè, che abitano sotterranei della storia, ai quali l'ingiustizia subita non impedisce di sognare, ma che non trovano sulla loro strada gente capace di decifrare i loro sogni. (...) Quella frase mi torna in mente ogni volta che, a uno a uno, se ne vanno i vecchi profeti, e all'orizzonte non si vedono discepoli che ne ereditino il mantello, e lasciano sia pure per poco lo sgomento del vuoto, i poveri sembrano rimanere più soli. Allora, ti confesso, anche me nasce un sogno nel cuore: quello di una Chiesa più audace, che si decida a scendere nelle carceri degli uomini e, organizzando la speranza degli ultimi, smetta di essere la notaia dell'ineluttabile, e divenga finalmente ministra dei loro sogni.

mons. Tonino Bello, Ad Abramo e alla sua discendenza, 44-46

Il Web torna più orizzontale

di Federico Cella


La crisi entra di forza anche nelle abitudini di navigazione del nostro Paese, ma forse non è questo il punto più interessante dell'analisi del Web all'italiana fornita da Nielsen confrontando i dati del 2007 con quelli raccolti nello scorso mese di dicembre. Da un lato infatti si può notare una contrazione dell'uso della posta elettronica, la cosiddetta webmail, rispetto ai siti di community e ai loro strumenti di comunicazione, dall'altro entrano nella Top 10 delle categorie di siti più visitati quelli che vengono definiti "tool di ricerca" - siti con contenuti creati dagli utenti stessi (...).

"Le email sembrano ora perdere gradualmente l'esclusiva come mezzo per tenersi in contatto, a vantaggio dei social network, che consentono di chattare, condividere foto, video, interessi e altro ancora". Sul "crollo" delle news, Nielsen conferma che si tratterebbe di un segno che gli utenti si stanno abituando ad un Web più partecipativo e alla comunicazione orizzontale. Direi, "riabituando", data la perfetta o quasi orizzontalità della prima Internet.

Sul fronte crisi, le conseguenze online sono fondamentalmente due. Nella classifica per categorie entrano per la prima volta anche i siti dei rivenditori online, con grande evidenza per la sottocategoria delle cosiddette aste al ribasso, cioè la corsa alle occasioni (...). Seconda conseguenza, il rifugio nelle categorie di svago: il fenomeno YouTube e simili è quello che cresce di più, passando dal 43 al 54% della penetrazione sugli utenti attivi in Rete. In tal senso, buone performance anche per i siti per scaricare suonerie e giochi per il cellulare e i siti dei giochi online, oltre ai già citati siti di social network. Infine, ecco la "star" del 2008. Indovinate. Ovviamente FaceBook, passato dall'essere visitato dal 2% dei navigatori italiani alla fine del 2007 a quasi il 45% del totale degli utenti nel dicembre scorso. Come dire uno su due. In conclusione, Nielsen ci dice che il 2008 è stato un anno positivo per il Web italiano: nel mese di dicembre ogni navigatore ha passato sul web 26 ore al mese contro le 20 di dicembre 2007, collegandosi 33 volte e visitando 82 siti rispetto alle 29 volte e i 66 siti di un anno fa.
A me pare un po' una presa in giro,

vederli belli e sorridenti da un luogo di brutture.

Senza parlare poi dei costi dell'operazione:

avessimo dato a loro quei soldi,

li avremmo potuti fotografare più contenti.


Infine, ho molte riserve su chi costruisce la sua fama e i suoi interessi

approfittando della sofferenza altrui.

Ma tanto li vediamo dall'alto... in ogni senso.

don Chisciotte




Il nuovo progetto del fotografo parigino JR: scatti dalla baraccopoli di Kibera, in Kenya. Visibili anche da Google Earth e «persino dallo spazio» - dice l'artista - i poster sui tetti dei tuguri che ritraggono i volti e i sorrisi delle donne di Kibera.


Napoli: dieci auto d'epoca dimenticate nei depositi comunali

L'articolo e le foto.

Quando ho saputo l'età del nuovo presidente

della Commissione della Vigilanza sulla Rai (85 anni),

ho provato a sommarla con quella del Presidente della Repubblica,

+ quella del Presidente del Consiglio,

+ quella dei due immarcescibili conduttori televisivi italiani;

non potevo certo dimenticare l'età del Papa

e quella dell'Arcivescovo,

e neppure quella del più noto e attivo oncologo italiano,

poi...

ops, il pallottolliere è andato in tilt!

don Chisciotte
Non sono mai stato un super-patito,

né un competente del settore,

ma... alzi la mano chi non è rimasto a bocca aperta

davanti ad un plastico dei trenini elettrici!


Guarda questo video

Obama non chiama

di Massimo Gramellini


Nelle prime due settimane di soggiorno alla Casa Bianca il presidente degli Stati Uniti ha telefonato a cinesi e indiani, francesi e afghani, inglesi e israeliani, palestinesi e pakistani, ai banchieri per insultarli e ai manager per tassarli, ai creditori per le loro spettanze e agli operai per le condoglianze, ai petrolieri perché si convertano in giardinieri e ai finanzieri perché diventino seri, alla sarta della moglie per licenziarla, alla moglie per ammansirla, alla suocera per farsi aiutare, alla moglie di nuovo ma per farsi perdonare, a Bruce Springsteen perché gli restituisse un disco che gli aveva prestato, al segretario dell'Onu per lo stesso motivo, a un venditore di articoli sportivi per piazzare un canestro nella Sala Ovale, a un amico di Chicago per invitarlo a fare due tiri, al comico David Letterman che ha messo giù pensando fosse un imitatore, a Scarlett Johansson che ha messo giù perché stava entrando suo marito, al fioraio, al callista, di nuovo alla suocera per sapere se la moglie aveva ricevuto i fiori, a Hillary Clinton che ha fatto finta di non sentire, a Bill Clinton che ha fatto finta di ascoltare, allo psicanalista, ancora alla suocera perché parla di meno ed è più rilassante, a una cugina hawaiana, a un prozio keniota, al Museo delle Cere, al suo parrucchiere, ai generali di Baghdad, al sosia pacifista di Ahmadinejad.

Infine, esausto, si è ricordato anche del nostro amato Paese. Ha chiamato Tony Mantuano, il proprietario del suo ristorante preferito, e gli ha ordinato una mozzarella in carrozza.
Una presentazione accattivante

per delle foto notevoli!


E' uno dei migliori prodotti in campo fotografico. I suoi reportage sono contesi dai più importanti magazine e quotidiani del mondo. Per molti è un artista militante, per altri un provocatore. Ma il comun denominatore è la genialità che nasce dalla capacità di lavorare mostrando tutto senza mezzi termini. La realtà non si manipola, la realtà "è". Dunque non lasciatevi fuorviare. Questa non è una mostra normale come non lo è Boogie. Di semplice in questi scatti non c'è nulla. Ma naturalmente bisogna perderci del tempo per capirlo. Neppure tanto, diciamo quello necessario per acquisire la consapevolezza che il principio non è "come si guarda" , ma "dove si guarda". Boogie è uno zingaro mancato, un giramondo per vocazione e un fotografo di grandissimo spessore. Sarà la terra dov'è nato (Belgrado) dilaniata dai conflitti etnici, dall'aver avuto il coraggio di emigrare a New York, forse le amicizie, magari l'amore per la professione: in ogni caso dopo aver "guardato" nelle pieghe delle metropoli, San Paolo, Belgrado, Parigi, New York, Istabul.. si cimenta con Milano che ospita la mostra "Boogie.5 Days" negli spazi della Avantgarden Gallery (via Cadolini 29, dal 5 febbraio. guarda il sito). Il tema è naturalmente Milano: quella grottesca e piena di contraddizione che si muove tra party e finanza, cimiteri e immigrazione. Milano bella e violenta, brutta e affascinante. Boogie non lascia nulla al caso e passa con una semplicità devastante dal racconto per immagini delle gang giovanili americane al racconto di città. Ci vuole talento e ironia. Scopritelo visitando il sito







Il mio cantautore preferito!

A me non conviene

di Massimo Gramellini

Il treno sta arrivando in stazione. Un giovanotto con la mascella da manager abbassa il finestrino e guarda fuori, alla ricerca di qualche faccia conosciuta. Soddisfatto, recupera la sua ventiquattrore dal bagagliaio e si accinge a scendere. «Scusi, ma conviene chiuderlo, quel finestrino, altrimenti chi salirà dopo di noi morirà di freddo», suggerisce con linguaggio felpato e volutamente impersonale un signore dall'aria serafica. Il giovanotto gli rivolge uno sguardo strafottente: «A me non conviene». E se ne va. Nessun passeggero sembra fare caso a questo episodio di ordinaria solidarietà fra le genti, tranne una ragazza energica che aiuta il signore dall'aria serafica a richiudere il finestrino e intanto commenta: «Lei è troppo buono. Al suo posto, io gli avrei tirato un calcio in mezzo ai calzoni» (non dice proprio calzoni, ma ci siamo capiti).

Da questo aneddoto, raccontatomi da un lettore, un pessimista trarrebbe lo spunto per celebrare i funerali dell'umanità. Se persino in tempi di crisi il menefreghismo prevale sulle forme più elementari di educazione civica, le speranze di veder sopravvivere la convivenza sociale sono ridotte al lumicino. Ma chi è condannato dal titolo della rubrica a concedere sempre un'ultima chance all'ottimismo, non può non guardare con simpatia alla ragazza energica. Che diventi mamma al più presto per educare la prossima generazione di calzoni, ricorrendo ai metodi che riterrà più appropriati all'immane compito. A noi conviene.


Un video presenta alcune attenzioni per la navigazione in famiglia.

Un perdono dai frutti avvelenati

di Franco Garelli

Mai come questa volta un gesto di riconciliazione è stato amaro. La revoca della scomunica ai quattro vescovi lefebvriani, fortemente voluta da Benedetto XVI, non soltanto non ha ammorbidito i rapporti tra questa ala ultratradizionalista cattolica e il Vaticano, ma ha innescato una serie di polemiche e rancori che ci dicono quanto gli steccati siano alti e le ferite ancora aperte. Le recenti frasi del vescovo lefebvriano di Rimini sono eclatanti. «Siamo stati scandalizzati dalla preghiera di Benedetto XVI nella Moschea Blu di Istanbul. [...] Il Papa poteva entrare in quel luogo dell'Islam come turista, ma non come Papa e come orante». Pochi giorni prima altri suoi colleghi si erano affrettati a dire che la loro riammissione nella Chiesa non comporta l'accettazione del Concilio Vaticano II, o il ripudio delle accuse che da 50 anni il gruppo di Econe lancia contro Roma e il resto del mondo.

Ai lefebvriani, dunque, non basta un Papa che fa del recupero della tradizione un punto qualificante del suo pontificato; non è sufficiente un Vicario di Cristo che ripristina la possibilità di dire la messa in latino, secondo quel rito di Pio V che richiama la profonda frattura tra i cristiani e gli ebrei, incentrato più sull'idea del sacrificio che della comunione; non va nemmeno bene un Pontefice che li riabilita nella Chiesa togliendo la scomunica loro impartita 20 anni fa da Giovanni Paolo II.

Sconcerto anche nella Chiesa. Ancora, a essi non basta neppure un Papa che fa un gesto gratuito di perdono senza condizioni, sperando che la gratuità sia feconda e inneschi un cammino di avvicinamento delle posizioni. Il perdono del Papa ai vescovi lefebvriani non ha avuto gli effetti sperati. Il porgere la prima guancia da parte del Papa è stato letto dai dissidenti come una resa incondizionata di Roma alle loro pretese tradizionalistiche. Il gesto di riconciliazione, invece di smuovere i cuori, sembra averli induriti e resi consapevoli della debolezza di Roma, nonché della forza della loro tradizione, che sembrano ritenerla più forte della stessa autorità del Pontefice. Chissà, come ha notato qualcuno, se essi credono veramente nell'infallibilità del Papa, quando si pronuncia sulle verità della fede?

È evidente lo sconcerto che questa complicata vicenda produce non soltanto fuori della Chiesa (nei rapporti con le altre confessioni religiose, nell'indebolimento del dialogo ecumenico), ma anche al suo interno. Molti hanno osservato che non c'era un tempo più sbagliato di quello scelto dal Vaticano per questa riconciliazione incompiuta o impossibile, essendo stata resa pubblica nel giorno (il 25 gennaio scorso) in cui convergevano tre circostanze significative: i 50 anni dall'inizio del Concilio Vaticano II; l'inizio delle celebrazioni annuali della Shoah; la conclusione della settimana di preghiera per l'unità dei cristiani.

Riconciliazioni in lista d'attesa. Ma al di là della costante difficoltà della Chiesa di Roma di scegliere i tempi giusti per scelte che coinvolgono il suo essere nel mondo, resta il profondo disagio che la revoca della scomunica ai lefebvriani ha alimentato in molte aree della cattolicità. È il dubbio di quanti si chiedono se davvero valeva la pena ricucire lo strappo con gli ultratradizionalisti, pensando alle molte tensioni e conflitti che questa apertura può produrre negli ambienti ecclesiali. Oppure, è l'interrogativo su quali siano le misteriose ragioni che spingono il Papa a dedicare molte energie a questa difficile impresa, in una Chiesa che è chiamata oggi a misurarsi con sfide e problemi assai più importanti e impegnativi. Inoltre, molti si interrogano sul perché il Vaticano dia grande risalto a questo tipo di riconciliazione, sul perché questa vicenda sia un cruccio personale del Papa, quando altre sensibilità «cattoliche» - situate anch'esse ai margini o fuori della Chiesa - non ottengono altrettanta attenzione dal centro della cattolicità. Perché, ad esempio, la Chiesa di Roma non si impegna con la stessa intensità a riallacciare i rapporti con quei gruppi della teologia della liberazione, con quei credenti progressisti «rei» di avere alimentato un'idea di Chiesa più orizzontale che verticale? Ancora, perché il Vaticano - come ha detto di recente Hans Küng - non propone un atto di riconciliazione anche verso quei cristiani «normali» che non accettano il veto della Chiesa sulla pillola, sul divorzio, sulla contraccezione? Tutti aspetti che possono creare uno scisma strisciante nel «popolo di Dio», anche se non dà adito a pronunciamenti e animi induriti come quelli dei lefebvriani.

A cosa servono ancora gli uomini

di Massimo Gramellini


Il maschio continua a rivestire un ruolo non sostituibile: quello di massaggiatore morale. Essendo anche l'ultimo rimastogli, vale la pena di approfondirlo. Ci sosterrà nell'impresa Tzipi Livni, futura premier israeliana. Quando le chiedono il contributo del marito al suo cammino esistenziale, la signora non ha dubbi: «Ogni volta che sono a pezzi, lui è lì per rimettermi insieme». Ecco, fratelli, la nostra missione. Esserci. Ascoltarle. O almeno fare finta, ma con un minimo di credibilità (niente cuffie dell'ipod in testa, per capirci).

La femmina contemporanea cresce con l'ansia di prestazione e un'agenda di impegni lavorativi, familiari e personali fatti apposta per provocarle un senso inestinguibile di inadeguatezza. Dal compagno della vita non si aspetta più quasi nulla: meno che mai a letto, dove si corica soltanto per fare ginnastica o l'ennesima telefonata.

L'unica cosa che ancora pretende è di essere rimessa in carreggiata al primo accenno di sbandamento. C'è un momento ciclico in cui si sente brutta, invecchiata, non all'altezza. Allora si rivolge al maschio di casa perché la rassicuri. Funzionano sempre i mantra hollywoodiani: «Non preoccuparti, cara» (Spencer Tracy), «Va tutto bene, amore» (Gregory Peck), «Tu salti, io salto» (Di Caprio). Se però ambite a una Tzipi Livni, serve qualcosa di più. Uno scatto d'umorismo. Dopo il suo primo incontro con Condoleeza Rice, la Livni telefonò agitatissima al marito che l'aveva vista in tv. «Sei stata fantastica, tesoro», la tranquillizzò lui. «Anche se, rispetto alla Rice, ti ho trovato un po' pallida». Questo sì che è un uomo.

 


Il quadro regalato dalla signora Aloisia

di mons. Mario Delpini

Avvenire - Milano 7 - 27.04.08


La signora Aloisia dispone di risorse e conoscenze, è generosa, facile all'entusiasmo. Don Paolo, esaurite le magre risorse negli interventi strutturali, chiede un aiuto per la cappellina feriale: «Forse un quadro? O una statua?». La signora Aloisia si entusiasma: «Conosco l'uomo adatto. È un grande artista. Espone anche all'estero». Don Paolo cerca qualche garanzia: «Forse è meglio che prepari un bozzetto... e anche un preventivo... ». Ma la signora Aloisia è animata da uno slancio travolgente: «Non ci pensi! Lei provveda alla cornice. Penso io a tutto. E poi l'artista è un vero maestro ed è mio amico». Quando poi arriva il quadro è proprio brutto, così brutto che i benevoli cercano parole prudenti: «Ha un significato profondo, ma in chiesa...». Altri usano espressioni più colorite. «E adesso dove lo mettiamo?», si domanda don Paolo, dopo aver speso un capitale per cornice e trasporto, tanto per gradire il dono. La conclusione è che il quadro rimane in qualche deposito, don Paolo ha imparato a diffidare degli slanci di certi benefattori, la gente s'è confermata nel sospetto verso l'arte moderna e la signora Aloisia, offesa, non frequenta più la chiesa di don Paolo.