«"Ho fatto una cavolata", così pare aver detto l'assassino (a questo punto reo confesso) di Lecce. Un ragazzo di 21 anni che si sarebbe così macchiato di un delitto atroce.
Quel che subito mi colpisce in fatti come questi, prima ancora di provare a penetrare nell'abisso che spalancano, sono le parole, quasi sempre fuori luogo. Non solo da parte dei carnefici, ovviamente. C'è come una asimmetria esibita, una incapacità di nominare il male - l'irrelatezza - per quello che è. Un grave disordine ontologico, prima ancora che morale. E questo è da temere più della peste».
Mario Domina, su FB 29.09.2020

Se nella Chiesa manca una classe dirigente all’altezza
di Sergio Di Benedetto
I fatti di cronaca e la pandemia hanno reso evidente un fatto: spesso nella Chiesa la classe dirigente non è all'altezza della situazione (e del Vangelo), come capita nel mondo civile.
28 settembre 2020
«(...) In ambito ecclesiale i fatti degli ultimi anni sembrano aver messo in luce un fatto analogo: la Chiesa, almeno in occidente, ha ugualmente un problema di qualità della classe dirigente: questo, mi pare, è stato ancor più evidente nel tempo della pandemia.
Esiste un problema di preparazione di quanti dovrebbero reggere e indirizzare la Chiesa, siano essi religiosi o laici.
Salvo alcune grandi eccezioni, spesso – purtroppo – nascoste, mancano uomini (le donne essendo ancora troppo poche, ahimè) ai vertici dotati di profezia, di sguardo profondo, di intelligenza, di cultura, di sapienza.
Penso a grandi pastori della seconda metà del Novecento, di sensibilità diverse, ma con carisma, cultura e capacità: escludendo i pontefici (ma quanto oggi la Curia vaticana avrebbe bisogno di un G. B. Montini!), mi vengono in mente Casaroli, Silvestrini, Martini, Lercaro, Pellegrino, Ballestrero, Biffi, Pappalardo, Bello, Lustiger, Wyszyński, Bernardin, tanto per fare dei nomi. E che dire dei grandi teologi del Novecento, anche di confessioni cristiane diverse? I fratelli Rahner, Von Balthasar, Barth, Bonhoeffer, Guardini, de Lubac, Daniélou, Congar, Chenu, Häring… a cui si accostano grandi pensatori laici e pensatrici laiche, anche qui di formazione e visioni differenti, come Guitton, Maritain, Ricœur, Weil, Zambrano… Senza parlare poi di figure di indubbio fascino, anche salite agli onori degli altari, come Madre Teresa, Magdeleine di Gesù, Lubich, Lazzati, La Pira, Milani, Mazzolari…
Insomma, il secolo scorso, prodigo di tragedie, lo è stato anche di grandi figure.
Ma oggi, non possiamo negare che troppo spesso nella Chiesa mancano uomini e donne di spicco, di cultura, di santità, che sappiano scorgere l’orizzonte, dare speranza, condividere parole di saggezza, cogliere i segni dello Spirito, guidare il popolo di Dio con equilibrio e coraggio, vivere il Vangelo, spezzare la Parola e renderla interessante per gli uomini di oggi… evitando proposte anacronistiche o svendite totali.
E se pensiamo ai pastori, cosa dire della ‘qualità’ di molto episcopato? Cosa dire di alcuni esponenti della gerarchia, spesso sulle pagine della cronaca, più occupati di manovrare potere e solleticare il proprio narcisismo, che testimoniare il Vangelo e pascere il gregge?
In questo, devo dire che – personalmente – Papa Francesco mi dà tanta speranza. Ma non sempre chi lo circonda e i pastori locali sembrano essere all’altezza dei tempi che viviamo (anche qui, però, bisogna ammettere che ci sono lodevoli eccezioni).
Difficile individuare la cause di questa ‘crisi della classe dirigente’: forse mancano studi approfonditi, preparazione ed esperienza, capacità di discernimento nelle nomine ai vertici; forse mancano anche la fede, o il coraggio, o l’obbedienza, o l’umiltà. Forse si tendono a ‘promuovere’ o ‘ascoltare’ persone pavide, interessate al potere, docili nel senso più deleterio, ambiziose…
Di certo l’epoca che stiamo vivendo necessita di grande preparazione, fortezza, audacia, intelligenza, fiducia nello Spirito.
Ecco, lo Spirito: forse è a Lui che dovremmo bussare… Perché lo Spirito agisce sempre e il Regno è già tra noi, sovente in crescita fuori dai ‘sacri recinti’: e se dovessimo, oggi, andare a cercare proprio là fuori? Siamo ancora capaci di osare?».
https://www.vinonuovo.it/teologia/pensare-la-fede/se-nella-chiesa-manca-una-classe-dirigente-allaltezza/?fbclid=IwAR3GMDZR1daB2_5gJrp7xzCHcQEPMyMDHxIG4zDZncCqbNbh9pDwUUlR-rQ

«Ho studiato teologia a cavallo fra gli anni '70 e '80 con fior di professori (Ravasi, Nicora, Coccopalmerio ,Corti, Tettamanzi, Caprioli, Coletti, Sequeri, Citrini...). Ho cercato di masticare la teologia frammischiata alla vita in questi quasi quarant'anni.
Non sono aggiornato sugli ultimi passi della teologia sacramentaria ma alcune domande mi sorgono spontanee:
1) A chi viene scelto per essere consacrato, oltre chiedere di essere un uomo adulto, maturo, equilibrato, sereno e anche con un po' di fede, viene spiegato chiaramente che con l'imposizione delle mani (nei gradi del diaconato, presbiterato ed episcopato) riceve certo il dono dello Spirito, ma questo dono non rende esperti di medicina, di economia, di finanza, di ingegneria, di architettura?
2) A chi viene scelto per essere consacrato viene insegnato che è chiamato a servire il popolo di Dio, non a vivere da libero professionista. Una cosa è coltivare le proprie passioni, altro è interpretare il ministero a proprio uso e consumo sperando in carriere prestigiose che parlano di tutto tranne che del Vangelo
3) A chi viene scelto per essere consacrato viene insegnato che è il massimo della vita lasciarsi guidare dal Vangelo? Le parole del Vangelo: "Fra voi però non è così; ma chi vuol essere grande tra voi si farà vostro servitore" (Mt 10,43). "Quando avrete fatto tutto quello che vi è stato ordinato di fare, dite. Siamo servi inutili. Abbiamo fatto quanto dovevamo fare" (Lc17,10). sono parole che ispirano e orientano una vita. Fuori da questa strada, è tutto stonato: anche le conferenze stampa.
4) A chi viene scelto per essere consacrato viene chiesto di sapere sempre quanto guadagna mensilmente un lavoratore generico in Italia, in Argentina, in Pakistan e in Mali? Questo per verificare in proporzione i propri risparmi personali e se c'è disinvoltura nell'utilizzare quantità di denaro per la Chiesa.
5) A chi viene scelto per essere consacrato si può ricordare che De Gasperi da Presidente del Consiglio faceva lavorare gratis la figlia nel ministero e casomai la pagava di tasca sua. Che De Gasperi quando incontrò un prete che accoglieva orfani, disse che non poteva aiutarlo con i soldi dello stato e gli diede il suo stipendio mensile.... di tasca sua? Insomma, fratelli, sorelle, figli, figlie, cugini e amici alla larga per non alimentare alcun tipo di sospetto.
Io spero che la teologia arrivi fino a qui».
Fiorenzo De Molli, su FB 28.09.2020


#Imparare

di Gianfranco Ravasi
«"Non ho mai insegnato ai miei allievi. Ho solo cercato di metterli nelle condizioni migliori per imparare".
Immaginate un vicolo buio in piena notte. In mano avete una candela accesa che si consuma, ma vi permette di procedere. Questo simbolo regge un proverbio turco tradizionale il cui messaggio è appunto "illuminante": "Un bravo insegnante è come una candela che si consuma per illuminare la strada degli altri". Questa premessa può illustrare la forte confessione autobiografica del grande Einstein, sopra citata, confermata da chi ha avuto la fortuna di seguirne le lezioni all'Institute for Advanced Study di Princeton.
Certo, per insegnare bisogna aver prima studiato, approfondito, indagato. Ma il vero maestro non distribuisce solo nozioni acquisite, ma stimola l'alunno ad andare oltre, a ricercare, a spingersi in avanti nell'immenso orizzonte del sapere. Roland Barthes, il noto saggista francese e docente del College de France, affermava in piena sintonia con Einstein: «Vi è un'età in cui si insegna ciò che si sa; ma poi viene un'altra in cui si insegna ciò che non si sa: questo si chiama cercare».
in "Il sole 24 Ore " del 20 settembre 2020

Amare vuol dire scoprire la parte di follia che è in tutti noi
di Umberto Galimberti
"Tra Platone e Freud", una lectio di Umberto Galimberti al Festival della bellezza.
Se io ti do il mio amore, che cosa ti sto dando di preciso? Chi è l'Io che sta facendo questa offerta? E chi, per inciso, sei tu? Se lo domanda lo psicoanalista americano Stephen Mitchell in L'amore può durare? Il destino dell'amore romantico (ed.o Cortina). La domanda non è retorica. Segna piuttosto un ribaltamento radicale circa il modo di considerare l'amore, quasi sempre pensato come qualcosa in possesso dell'Io, qualcosa di cui l'Io può disporre. Per questo nessuno crede fino in fondo all'altro quando dice: «Io ti amo». Amore non è una faccenda dell'Io.
L'ultimo a ricordarcelo, in ordine di tempo, è stato Freud quando ha detto che «l'Io non è padrone in casa propria», perché inconsce sono le forze che determinano quelle che l'Io considera sue scelte. Ma prima di Freud a cogliere nell'amore ciò che viola l'integrità dell'Io è stato Platone che nel Simposio (192 c-d) scrive: «Gli amanti che passano la vita insieme non sanno dire che cosa vogliono l'uno dall'altro. Non si può certo credere che solo per il commercio dei piaceri carnali essi provano una passione così ardente a essere insieme. È allora evidente che l'anima di ciascuno vuole altra cosa che non è capace di dire, e perciò la esprime con vaghi presagi, come divinando da un fondo enigmatico e buio». Amore appartiene all'enigma e l'enigma alla follia che abita l'altra parte di noi stessi, e a cui si può accedere non con le parole ordinate dalla razionalità dell'Io, ma con il collasso dell'Io, che non oppone più resistenza all'irruzione di quel passaggio trasfigurante la sua abituale dimora che è il passaggio di Amore.
E qui la direzione del discorso si lascia intuire. Amore non è solo godimento di corpi, Amore è molto di più. Occupando, come scrive Platone, «il posto intermedio tra l'uno e l'altro estremo», Amore si fa


Avere una equilibrata percezione di sé e della propria condizione

sarebbe una grande saggezza.
don Chisciotte Mc, 200921

«Non c'è bisogno di sacralizzare con l'acqua santa per rendere sacre le cose. E anche quando vi comprate la macchina nuova. Io sono convinto che quando sarete usciti dalla macchina perché avete accompagnato uno all'ospedale che non aveva la possibilità, e la mamma di quel bambino vi dice “Dio ti benedica”, quella benedizione vale più dell'altra che vi può dare un parroco o il vescovo, o addirittura il Papa».
don Tonino Bello

«Quando ci si affanna a cercar apposta l’occasione di infilar la fede nei discorsi, si mostra di averne poca, di pensare che la fede sia qualcosa di artificiale aggiunto alla vita e non invece modo di vivere e di pensare».
don Lorenzo Milani, Esperienze pastorali, 238

«Un tema ancora diverso è quello che si centra sulla figura del prete bello che buca gli schermi televisivi e che partecipa a programmi messi in scena per altri scopi, per fare cassetta, intrattenere, divertire la gente: preti di spettacolo, preti che diventano attori anche se pensano di non esserlo, anche se le loro motivazioni sono differenti. Insomma il prete come personaggio televisivo.
Perché è evidente che una televisione che presenta la società e la interpreta ha bisogno anche del prete, che è un personaggio della società. Dunque lo assolda (il termine è corretto anche per i cachet che il prete percepisce) per usarlo a proprio scopo, che non è certo la diffusione della fede cattolica. Ai programmi televisivi importa poco della fede, mentre fa comodo avere un prete per metterlo a confronto o in opposizione con un altro attore e così fomentare la discussione spettacolo, ma in questo clima il prete va completamente fuori del suo ruolo e della sua missione, diventa un uomo di televisione.
Naturalmente non tutti possono aspirare a questo ruolo perché esige caratteristiche di spettacolo che non tutti posseggono: bisogna essere televisivamente belli, avere la battuta facile, essere sempre capaci di meravigliare. Essere spiritosi. E in nome di questa apertura mentale il prete bacia la presentatrice che appoggia su quella sacra veste il seno che le precedenti inquadrature hanno mostrato prosperoso e invitante, e che nella visione sacerdotale diventa il seno della Maddalena.
Sono attori ricercati e amati, e ormai sono come le veline, perversamente desiderati. (…)
Per accennare a un altro campo, è indubitabile che esistano preti con

Una riflessione sui gesti, sul corpo, sulla loro relazione con le intenzione e i sentimenti.


“Se un uomo delle SS dovesse prendermi a calci fino alla morte io alzerei ancora gli occhi a guardarlo in viso, e mi chiederei, con un’espressione di sbalordimento misto a paura, e per puro interesse nei confronti dell'umanità: «Mio Dio, ragazzo, che cosa mai ti è capitato nella vita di tanto terribile da spingerti a simili azioni?»”.
Etty Hillesum
grazie a Venanzio Viganò su FB

Francesco. Né conservatore, né progressista: il discernimento "aperto" del papa gesuita
di Fabrizio D'Esposito
È un testo di indubbio fascino intellettuale il lungo saggio che "La Civiltà Cattolica" nel suo ultimo quaderno quindicinale (il numero 4085) ha dedicato ai primi sette anni di governo di papa Francesco nella Chiesa. A scriverlo il direttore padre Antonio Spadaro (...). Spadaro compie proprio l'operazione opposta rispetto alle contrapposizioni ideologiche o politiche nella Chiesa e spiega il senso del magistero di Francesco. La sua visione ignaziana, dal fondatore della Compagnia di Gesù. E il *metodo decisivo del discernimento*, reso celebre dagli esercizi spirituali di Ignazio di Loyola. Insomma, papa Bergoglio è un papa gesuita nel vero senso della parola, da accostare però alla corrente mistica della Compagnia, quella di san Pietro Favre, il "prete riformato". E *il punto di partenza è di un'intensa bellezza teologica*, tipica del discernimento. Cioè, *lo "svuotamento" di se stessi*, avendo come esempio massimo "il cuore di Cristo" che "è il cuore di un Dio che, per amore, si è svuotato" (Bergoglio, 2014). Questo *processo interiore immerso nella realtà* ("la realtà è sempre superiore all'idea"), e quindi nel popolo e nelle sue sofferenze, non conduce a un programma predefinito, a una _road map_ da attuare con scadenze precise.
Al contrario, e qui c'è un'altra espressione molto bella, *"il cammino si apre camminando"*. Ossia "una strada aperta" in cui la spiritualità ignaziana non impone ma è *legata alla dinamica della storia*: "Essa, anzi, fa lievitare la storia e organizza, struttura una istituzione". E ancora: "Il Papa vive una costante dinamica di discernimento, che lo apre al futuro, anche a quello della Riforma della Chiesa, che non è un progetto, ma *un esercizio dello spirito* che non vede solamente bianchi e neri, come vedono coloro che vogliono sempre fare 'battaglie'". (...) La tempistica del processo riformatore è inserita in questa dinamica di discernimento spirituale: "A volte un problema si risolve senza volerlo affrontare subito". Il riformismo di Francesco è dunque flessibile e senza precise forme, e in cui *la conversione è "un atto di governo radicale"*. Non "l'ennesima ideologia del cambiamento". Avversari e amici impazienti del papa farebbero bene a capirlo, cominciando a svuotare se stessi.
in "ilFatto Quotidiano" del 7 settembre 2020

Ogni giorno vi sono delle piccole gioie. Alcuni giorni delle gioie un po' più grandi!!
don Chisciotte Mc, 200912





« (...) La crisi che stiamo vivendo a causa della pandemia colpisce tutti; possiamo uscirne migliori se cerchiamo tutti insieme il bene comune; al contrario, usciremo peggiori. Purtroppo, assistiamo all’emergere di interessi di parte. Per esempio, c’è chi vorrebbe appropriarsi di possibili soluzioni, come nel caso dei vaccini e poi venderli agli altri. Alcuni approfittano della situazione per fomentare divisioni: per cercare vantaggi economici o politici, generando o aumentando conflitti. Altri semplicemente non si interessano della sofferenza altrui, passano oltre e vanno per la loro strada (cfr Lc 10,30-32). Sono i devoti di Ponzio Pilato, se ne lavano le mani.
La risposta cristiana alla pandemia e alle conseguenti crisi socio-economiche si basa sull’amore. (...) Questa è la saggezza cristiana, questo è l’atteggiamento di Gesù. (...)
Sappiamo che l’amore feconda le famiglie e le amicizie; ma è bene ricordare che feconda anche le relazioni sociali, culturali, economiche e politiche, permettendoci di costruire una “civiltà dell’amore”, come amava dire San Paolo VI [1] e, sulla scia, San Giovanni Paolo II. Senza questa ispirazione, prevale la cultura dell’egoismo, dell’indifferenza, dello scarto, cioè scartare quello a cui io non voglio bene, quello che io non posso amare o coloro che a me sembra sono inutili nella società. (...)
Se le soluzioni alla pandemia portano l’impronta dell’egoismo, sia esso di persone, imprese o nazioni, forse possiamo uscire dal coronavirus, ma certamente non dalla crisi umana e sociale che il virus ha evidenziato e accentuato. (...)
È dunque tempo di accrescere il nostro amore sociale – voglio sottolineare questo: il nostro amore sociale – contribuendo tutti, a partire dalla nostra piccolezza. Il bene comune richiede la partecipazione di tutti. (...)».
papa Francesco, catechesi 9.09.2020
https://www.vatican.va/content/francesco/it/audiences/2020/documents/papa-francesco_20200909_udienza-generale.html

Impariamo la strategia della gentilezza
di Nadia Terranova
Nessuna virtù è guardata con il sospetto che si riserva alla gentilezza. Nessuna strategia (etimologicamente: l'arte del condottiero dell'esercito) scatena più ingiustificato senso di superiorità nell'interlocutore per il quale vincere equivale a ricevere un facile applauso plateale. Niente come la gentilezza viene trattato con sufficienza, denigrazione, sarcasmo; è il più potente generatore di nervi sulla piazza: nulla provoca nervosismo e spocchia come avere di fronte un avversario di tenace gentilezza. Come la felicità per i romanzieri, la gentilezza è per i saggisti un tabù: cosa si potrà scrivere di interessante in ambiti che si fondano sul conflitto e sull'infelicità? Gianrico Carofiglio intitola "Della gentilezza e del coraggio" il suo "breviario di politica e altre cose" (...): «La pratica della gentilezza non significa sottrarsi al conflitto. Al contrario, significa accettarlo, ricondurlo a regole, renderlo un mezzo di possibile progresso e non un evento di distruzione». Dopo aver chiarito cosa la gentilezza non è (garbo, grazia, affabilità e tutti gli altri sinonimi da dizionario), l'autore spiega dalle prime pagine che la parola che più le si avvicina è "cedevolezza", vera chiave di accesso al potere. Solo chi cede qualcosa all'avversario entra in una conflittualità autentica e può aspirare a conquiste non effimere. (...) L'alternativa al discorso manipolatorio, scrive, è la discussione ragionevole, «caratterizzata dal rispetto di regole che sono etiche ed epistemologiche al tempo stesso». (...) L'elenco delle procedure manipolatrici, in questo libro, è una ragionata indicazione di false metodologie. Di contro, gli si oppongono le regole dell'argomentazione, da quella della rilevanza (difendersi solo con argomenti pertinenti) a quella delle premesse implicite (da evitare per non trasformarsi in pistoleri). (...) Se l'umorismo è un'arma contro il fanatismo, avverte Carofiglio, l'essenziale è utilizzarla anche contro noi stessi, dato che, in quanto esseri umani, conviviamo con la tendenza a sopravvalutarci: lo sguardo su noi stessi è privo di metacognizione, ovvero dello spirito critico oggettivo che invece riserviamo agli altri. Ridere di noi ci salva da questa ontologica carenza e, aiutandoci anche a denigrarci con leggerezza, ci avvicina alla strategia di Lincoln, sia verso noi stessi sia verso i nostri nemici: «Non mi piace quell'uomo. Devo conoscerlo meglio».
A questo punto, avrete già capito che le due parole che compongono il titolo sono in realtà una parola sola: la gentilezza "è" il coraggio, e viceversa. Intanto potrebbe venirvi voglia di telefonare a qualche vecchio nemico, uno di quelli con cui siete stati così poco saggi da azzuffarvi, non per perdonarlo o perché siete diventati buoni o buonisti, piuttosto, per la soddisfazione di vincere una volta per tutte, infine consapevoli delle armi dalla vostra parte: la filosofia, il diritto e tutta la cedevole eleganza della ragione.
in "laRepubblica" del 6 settembre 2020

PAPA FRANCESCO - UDIENZA GENERALE - Mercoledì, 2 settembre 2020

Catechesi - “Guarire il mondo”: 5. La solidarietà e la virtù della fede

Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

Dopo tanti mesi riprendiamo il nostro incontro faccia a faccia e non schermo a schermo. Faccia a faccia. Questo è bello! L’attuale pandemia ha evidenziato la nostra interdipendenza: siamo tutti legati, gli uni agli altri, sia nel male che nel bene. Perciò, per uscire migliori da questa crisi, dobbiamo farlo insieme. Insieme, non da soli, insieme. Da soli no, perché non si può! O si fa insieme o non si fa. Dobbiamo farlo insieme, tutti quanti, nella solidarietà. Questa parola oggi vorrei sottolinearla: solidarietà.

Come famiglia umana abbiamo l’origine comune in Dio; abitiamo in una casa comune, il pianeta-giardino, la terra in cui Dio ci ha posto; e abbiamo una destinazione comune in Cristo. Ma quando dimentichiamo tutto questo, la nostra interdipendenza diventa dipendenza di alcuni da altri – perdiamo questa armonia dell’interdipendenza nella solidarietà – aumentando la disuguaglianza e l’emarginazione; si indebolisce il tessuto sociale e si deteriora l’ambiente. È sempre lo stesso modo di agire.

Pertanto, il principio di solidarietà è oggi più che mai necessario, come ha insegnato San Giovanni Paolo II (cfr Enc. Sollicitudo rei socialis, 38-40). In un mondo interconnesso, sperimentiamo che cosa significa vivere nello stesso “villaggio globale”. È bella questa espressione: il grande mondo non è altra cosa che un villaggio globale, perché tutto è interconnesso. Però non sempre trasformiamo questa interdipendenza in solidarietà. C’è un lungo cammino fra l’interdipendenza e la solidarietà. Gli egoismi – individuali, nazionali e dei gruppi di potere – e le rigidità ideologiche alimentano al contrario «strutture di peccato» (ibid., 36).

«La parola “solidarietà” si è un po’ logorata e a volte la si interpreta male, ma indica molto di più di qualche atto sporadico di generosità. È di più! Richiede di creare una nuova mentalità che pensi in termini di comunità, di priorità della vita di tutti rispetto all’appropriazione dei beni da parte di alcuni» (Esort. ap. Evangelii gaudium, 188). Questo significa solidarietà. Non è solo questione di aiutare gli altri – questo è bene farlo, ma è di più –: si tratta di giustizia (cfr Catechismo della Chiesa Cattolica, 1938-1940). L’interdipendenza, per essere solidale e portare

Contemplazione. Rapiti da scelte profetiche
di Nunzio Galantino
«Contemplazione. Una delle parole e delle pratiche che meno sembra appartenere alla nostra società che, nella migliore delle ipotesi, la relega in luoghi ritenuti privi di vita vera e la considera estranea ai suoi ritmi e alle sue esigenze. La nostra, infatti, è una società sempre meno avvezza a nutrirsi di parole sensate, nate dalla fecondità del silenzio, e di gesti che sgorgano dalla gratuità di sguardi attenti e prolungati.
La parola contemplazione deriva dal latino "contemplari" (guardare a lungo, con stupore e ammirazione), formato dal suffisso "cum" e dalla parola "templum", spazio di cielo che l'"augure", indovino dell'antica Roma, circoscriveva col suo bastone sacro ("lituo") per osservarvi il volo degli uccelli ed effettuare delle divinazioni.
Dall'osservare il volo degli uccelli, contemplare passò a significare più in generale lo sguardo interiore, intenso e continuo, su qualcosa, su una proposta o su una parola. Soprattutto quest'ultima, se rivelata o ritenuta tale.
La lingua ebraica, per indicare l'esperienza contemplativa, ricorre a locuzioni equivalenti al nostro "alzare gli occhi" e fa uso della particella "wehinnèh", che accentua l'effetto di sorpresa e di imprevedibilità che accompagna la contemplazione. Nel mondo greco, ai verbi "orao" e "theoréo" è affidato il compito di esprimere le due caratteristiche dello sguardo contemplativo: l'intensità e la persistenza.
Liberata dai limiti dell'idealismo classico e dell'attivismo moderno, la contemplazione si presenta come la forma più alta della vita intellettuale e spirituale dell'uomo. È l'esperienza interiore di chi, abitando in maniera intensa e prolungata il proprio templum, giunge alla consapevolezza necessaria per interpretare la storia personale e quella comunitaria. (...)
in "Il Sole 24 Ore " del 30 agosto 2020

« (...) Nella sua sapienza, Dio ha riservato il giorno di sabato perché la terra e i suoi abitanti potessero riposare e rinfrancarsi. Oggi, tuttavia, i nostri stili di vita spingono il pianeta oltre i suoi limiti. La continua domanda di crescita e l’incessante ciclo della produzione e dei consumi stanno estenuando l’ambiente. Le foreste si dissolvono, il suolo è eroso, i campi spariscono, i deserti avanzano, i mari diventano acidi e le tempeste si intensificano: la creazione geme!
Durante il Giubileo, il Popolo di Dio era invitato a riposare dai lavori consueti, a lasciare, grazie al calo dei consumi abituali, che la terra si rigenerasse e il mondo si risistemasse. Ci occorre oggi trovare stili equi e sostenibili di vita, che restituiscano alla Terra il riposo che le spetta, vie di sostentamento sufficienti per tutti, senza distruggere gli ecosistemi che ci mantengono.
L’attuale pandemia ci ha portati in qualche modo a riscoprire stili di vita più semplici e sostenibili. La crisi, in un certo senso, ci ha dato la possibilità di sviluppare nuovi modi di vivere. È stato possibile constatare come la Terra riesca a recuperare se le permettiamo di riposare: l’aria è diventata più pulita, le acque più trasparenti, le specie animali sono ritornate in molti luoghi dai quali erano scomparse. La pandemia ci ha condotti a un bivio. Dobbiamo sfruttare questo momento decisivo per porre termine ad attività e finalità superflue e distruttive, e coltivare valori, legami e progetti generativi. Dobbiamo esaminare le nostre abitudini nell’uso dell’energia, nei consumi, nei trasporti e nell’alimentazione. Dobbiamo togliere dalle nostre economie aspetti non essenziali e nocivi, e dare vita a modalità fruttuose di commercio, produzione e trasporto dei beni. (...)
Il Giubileo è un tempo per riparare l’armonia originaria della creazione e per risanare rapporti umani compromessi.
Esso invita a ristabilire relazioni sociali eque, restituendo a ciascuno la propria libertà e i propri beni, e condonando i debiti altrui. Non dovremmo perciò dimenticare la storia di sfruttamento del Sud del pianeta, che ha provocato un enorme debito ecologico, dovuto principalmente al depredamento delle risorse e all’uso eccessivo dello spazio ambientale comune per lo smaltimento dei rifiuti. È il tempo di una giustizia riparativa. A tale proposito, rinnovo il mio appello a cancellare il debito dei Paesi più fragili alla luce dei gravi impatti delle crisi sanitarie, sociali ed economiche che devono affrontare a seguito del Covid-19. Occorre pure assicurare che gli incentivi per la ripresa, in corso di elaborazione e di attuazione a livello mondiale, regionale e nazionale, siano effettivamente efficaci, con politiche, legislazioni e investimenti incentrati sul bene comune e con la garanzia che gli obiettivi sociali e ambientali globali vengano conseguiti.
È altresì necessario riparare la terra. Il ripristino di un equilibrio climatico è di estrema importanza, dal momento che ci troviamo nel mezzo di un’emergenza. Stiamo per esaurire il tempo (...)».
http://www.vatican.va/content/francesco/it/messages/pont-messages/2020/documents/papa-francesco_20200901_messaggio-giornata-cura-creato.html?fbclid=IwAR2C0yVtoZVWpCp43caZAS_VHSQhfpEcVuYf2v1Pf6qciKoemJeP3apZKjc