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"Nella casa di Nazaret regna l'amore coniugale intenso e casto; rifulge la docile obbedienza del Figlio di Dio alla vergine Madre e a Giuseppe, l'uomo giusto a lei sposo; e la concordia dei reciproci affetti accompagna la vicenda di giorni operosi e sereni".
Non assomiglia ad uno spot della "famiglia Mulino Bianco"?!
Poco prima lo stesso prefazio ci fa pregare:
"Il tuo unico Figlio, venendo ad assumere la nostra condizione di uomini, volle far parte di una famiglia".
Aggiungerei: una famiglia normale. Di persone profonde, sensibili, devote, di carattere. In questo sono nella fede di Israele. Fin qui ci è testimoniato dalla Sacra Scrittura.
Ma tutto il resto... perché dobbiamo inventarlo e indicarlo ad esempio ("modello sublime di vita familiare", dice l'orazione all'inizio della Messa) tratteggiandolo con delle espressioni che si avvicinano più alle fiabe che al vissuto delle famiglie di duemila anni fa e della nostra epoca?! Saranno stati in disaccordo anche Maria e Giuseppe? Ci saranno stati i giorni poco operosi e qualche difficoltà a tirare la fine del mese? Si saranno scoraggiati a dover scappare in Egitto? Avranno avuto male ai piedi, influenze, morti di persone care, disaccordi coi vicini? Qualche pagina della Torah e qualche atteggiamento del figlio saranno stati incomprensibili anche per loro? Avranno dovuto trovare un modo equilibrato (e a volte faticoso e "di compromesso") per vivere i gesti della loro intimità?
Altrimenti scatterebbe una dinamica che definirei perlomeno "poco rispettosa" dell'Incarnazione e della Redenzione: il Figlio, invece, assume tutta la realtà (anche con le sue ordinarie stanchezze e difficoltà), affinché tutta sia redenta.
Mi sembrerebbe anche poco rispettosa della vita ordinaria degli uomini e delle donne di ogni epoca (cristiani e non): le vie difficoltose e spesso deraglianti che posto hanno agli occhi di Dio, se Lui le avesse schivate?
E che dire del rispetto verso Maria e Giuseppe? Non avevano essi stessi bisogno di salvezza? Non desideravano anche loro una vita più bella, più felice, più amorevole?
Chiudo con una citazione di Evdokimov, che sembrerà forte e irriverente:
"Com'è sintomatica di uno stadio ancora pre-teologico del matrimonio la mancanza di un archetipo dell'essere coniugale! Rifarsi al matrimonio di s. Giuseppe e di Maria non è sufficiente a questo scopo" (P. Evdokimov, Sacramento dell'amore, 156).
Direi che non è che l'archetipo ci manchi: è che l'abbiamo interpretato e proposto in un modo decisamente parziale e culturalmente datato. E' tempo che le famiglie siano messe in grado di trovare nella Sacra Famiglia e nelle famiglie cristiane dei "sacramenti" incarnati e portatori di salvezza per le relazioni coniugali così come storicamente le incontriamo ogni giorno.
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di Giulia Galeotti
Molto è stato scritto e pensato su Etty Hillesum. Le sue parole sono fonte continua di riflessioni, stimoli e spunti. Ogni lettore rimane affascinato da qualcosa, e a rileggerla a distanza di anni colpiscono aspetti sempre diversi. La mia copia del Diario 1941-1943 è stata sottolineata e risottolineata nel tempo, e se ogni volta incontro una Hillesum diversa, v'è però una cosa che mi colpisce, di nuovo e di nuovo, ogni volta: il suo percorso. Il suo partire umana e il suo finire eroica. È il cammino inverso alla razionalità, e a ciò che è umanamente lecito attendersi. Man mano che incontra, vive e tocca il dolore, la furia violenta e cieca, l'odio e la disperazione, Etty Hillesum impara ad amare di più. A prescindere dalle dispute religiose su di lei, questo - e solo questo - è l'amore. Non è qualcosa di normale.
È umanamente comprensibile il racconto di Ida Marcheria, nata nel 1929 a Trieste e deportata ad Auschwitz con la famiglia nel novembre 1943, che afferma: non perdonerò mai (Aldo Pavia - Antonella Tiburzi, Non perdonerò mai, Venezia, Nuovadimensione, 2006): "Io sono nata lì, al Kanada (reparto di Auschwitz) ho aperto gli occhi su un mondo di dolore, di offesa, di crudeltà. Al Kanada è finita la mia infanzia, è finita anche quella di mia sorella Stellina. Lì abbiamo imparato a odiare, abbiamo imparato a non perdonare, abbiamo capito che ciò non sarebbe mai stato possibile". È altrettanto umano il racconto di Vivian Jeanette Kaplan (Dieci bottiglie verdi. Vienna-Shangai: fuga dall'Olocausto, Vicenza, Il punto d'incontro, 2006), che ripercorre la rocambolesca vicenda della madre. Un giorno la ragazza è sola nel negozio di famiglia quando entra una SS: "Ho la pelle d'oca e non riesco a immaginare cosa potrebbe salvarci adesso. Mi obbligo a guardarlo dritto negli occhi. Non è molto più vecchio di me. La mia unica speranza è di puntare sui sentimenti. Mi mostro docile al mio dichiarato nemico (...). Gli parlo come se fosse un essere umano. "È un periodo difficile per tutti, vero?", chiedo facendo appello a tutto il mio coraggio. Dapprima sembra sorpreso per la domanda. Ha lui il coltello dalla parte del manico e ha potere di vita e di morte su di me. Ma ciò nonostante una ruga tra le sopracciglia indica che ci sta pensando seriamente. Risponde con una certa qual gentilezza che era addirittura al di là delle mie speranze. "Quando la violenza ha cominciato ad essere all'ordine del giorno, ci siamo chiesti se fosse giusto. Ma adesso le ragioni ci sono chiare. Vogliamo un'Austria forte e il nostro Führer ce la può dare, quindi anche quando abbiamo dei dubbi li dobbiamo accantonare. La guerra è solo temporanea. Siamo sicuri che una volta che il Reich si sarà stabilizzato, avremo di nuovo un impero unico, magnifico, prospero. Allora lei e io, signorina, potremo diventare ottimi amici". "Sì, certo". Sorrido cercando di apparire sincera. Come poteva anche solo immaginare una simile amicizia?".
ll percorso di Etty Hillesum, invece, comincia dalla distanza e da una certa chiusura, per approdare all'amore. Nella lucida consapevolezza di ciò che sta accadendo ("Vogliono la nostra fine e il nostro annientamento, non possiamo più farci nessuna illusione al riguardo, dobbiamo accettare la realtà per continuare a vivere"), la scelta eroica che, pagina dopo pagina, questa ragazza compie è quella di trovare un modo per farlo. Uno stile ("Se dobbiamo andare all'inferno, che sia con la maggior grazia possibile"), che diventa, ed è, amore per il prossimo. Comprensione e accettazione di Dio. "La sofferenza non è al di sotto della dignità umana. Cioè: si può soffrire in modo degno, o indegno dell'uomo".
È una versione altra ma simile a quella che Grossman racconta, in pagine memorabili in cui descrive gli effetti dell'ordine di uccidere per fame i contadini dell'Ucraina, del Don e del Kuban'. "Ho conosciuto una donna, aveva quattro bambini. Gli raccontava le favole, perché dimenticassero la fame, eppure faceva fatica a muovere la lingua; li prendeva in braccio, pur non avendo la forza di alzarle, le braccia. È che l'amore era vivo in lei". Nessuno si salverà ("uno alla volta, il villaggio intero morì"), ma "ci si è accorti che dove c'era odio, morivano più presto".
L'amore di cui diventa capace Etty Hillesum è senza tempo, e senza contesto: "Il dolore ha sempre preteso il suo posto e i suoi diritti, in una forma o nell'altra. Quel che conta è il modo con cui lo si sopporta, e se si è in grado di integrarlo nella propria vita e, insieme, di accettare ugualmente la vita. (...) Una volta è un Hitler; un'altra è Ivan il Terribile (...); in un caso è la rassegnazione, in un altro sono le guerre, o la peste e i terremoti e la carestia. Quel che conta in definitiva è come si porta, sopporta, e risolve il dolore, e se si riesce a mantenere intatto un pezzetto della propria anima". A essere onesti e coraggiosi, si scopre che l'odio non è indotto dal prossimo (o dagli eventi), ma dipende da una scelta personale: "Non possono veramente farci niente. Possono renderci la vita un po' spiacevole, possono privarci di qualche bene materiale (....), ma siamo noi stessi a privarci delle nostre forze migliori col nostro atteggiamento sbagliato: col nostro sentirci perseguitati, umiliati e oppressi, col nostro odio e con la millanteria che maschera la paura. (....) Siamo soprattutto noi stessi a derubarci da soli". E se il limite del prossimo è il nostro limite ("quell'uomo era pieno di odio per quelli che potremmo chiamare i nostri carnefici, ma anche lui sarebbe potuto essere un perfetto carnefice e persecutore di uomini indifesi"), la svolta è personale: "Abbiamo ancora così tanto da fare con noi stessi, che non dovremmo neppure arrivare al punto da odiare i nostri cosiddetti nemici. Siamo ancora abbastanza nemici fra noi". Solo incontrando e guardando l'Altro, lo si guarda nemico e lo si vede fratello: "Ho saputo all'istante che stasera avrei dovuto pregare anche per quel soldato tedesco. Una delle tante uniformi ha ora un volto. (...) E questo soldato soffre anche lui. Non ci sono confini tra gli uomini sofferenti, si patisce sempre da una parte e dall'altra e si deve pregare per tutti". Solo così, forse, si può davvero amare. Si può davvero amare gli altri e se stessi: "La mia consapevolezza di non essere capace di odiare gli uomini malgrado il dolore e l'ingiustizia che ci sono al mondo, la coscienza che tutti questi orrori non sono come un pericolo misterioso e lontano al di fuori di noi, ma che si trovano vicinissimi e nascono dentro di noi". E si può amare Dio: "Amo così tanto gli altri perché amo in ognuno un pezzetto di te, mio Dio. Ti cerco in tutti gli uomini e spesso trovo in loro qualcosa di te".
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Dal vangelo della Messa di oggi (Mc 5, 21ss)
Uno dei capi della sinagoga, di nome Giàiro (...) stava ancora parlando, quando dalla casa del capo della sinagoga vennero a dire: «Tua figlia è morta. Perché disturbi ancora il Maestro?». Ma Gesù, udito quanto dicevano, disse al capo della sinagoga: «Non temere, soltanto abbi fede!». E non permise a nessuno di seguirlo, fuorché a Pietro, Giacomo e Giovanni, fratello di Giacomo. Giunsero alla casa del capo della sinagoga ed egli vide trambusto e gente che piangeva e urlava forte. Entrato, disse loro: «Perché vi agitate e piangete? La bambina non è morta, ma dorme». E lo deridevano. Ma egli, cacciati tutti fuori, prese con sé il padre e la madre della bambina e quelli che erano con lui ed entrò dove era la bambina. Prese la mano della bambina e le disse: «Talità kum», che significa: «Fanciulla, io ti dico: àlzati!». E subito la fanciulla si alzò e camminava.
Dal Prefazio della III Domenica p.a. - rito ambrosiano
E' giusto benedirti in ogni tempo perché da te ci viene ogni alito di vita, da te ci è data ogni capacità di agire, da te dipende tutta la nostra esistenza. Nessun momento mai trascorre senza i doni del tuo amore, ma in questi giorni (...) si fa più chiara e viva la coscienza delle passate gioie e dei beni presenti.
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Riprendendo il post di poco fa: ecco qui un esempio di ciò che la sapienza potrebbe-dovrebbe mettere in luce a proposito di una relazione d'amore! Torneranno ad esistere immagini (anche al cinema) che esprimano questo?
don Chisciotte
«L'uomo e la donna stanno gli occhi negli occhi. Qui l'eguaglianza di rango è ancora più sottolineata: colui che si guarda intorno incontra un controsguardo in cui egli, che vede, diventa visto».
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Dico subito che non ho mai apprezzato quel cinema che dice di descrivere l'esistente: in generale perché credo che il linguaggio dell'arte (anche quella cinematografica, laddove esiste) dovrebbe rivelare qualcosa che normalmente non vediamo... anche della realtà più dura; in secondo luogo, perché mi pare che si prenda la "cronaca" per quel tanto che serva (spesso sempre gli stessi argomenti, tagli, debolezze, storture...) e le si dia amplificazione. Per questo non apprezzo che Avvenire abbiamo fatto una tale presentazione del film e del regista. Non mi basta che - visto che a lui serve fare un po' il sapientone! - il regista segnali le sofferenze delle separazioni e dei figli, quando lui vive e mangia di quel tipo di vita e di relazioni. E non capisco perché la comunità cristiana non colga le insidie di un modo apparentemente "colto" (solo perché un "cinema" di questo tipo non è proprio come un cine-panettone) di far passare che "tutti" i quarantenni sono così. Sarò toccato sul vivo dall'evocazione di questa età, ma non mi basta che il regista dica che "non tutti sono così": se uno è intelligente e vuole il bene della sua gente, non presenta in 600 sale a migliaia di persone i casi plastificati, ma rilancia alcune linee feconde presenti in questa società e in questa fascia d'età. O magari anche le fatiche di chi non trova lavoro, invece che l'ennesimo, ripetuto e ripetitivo (pur bellissimo che sia) bacio.don Chisciotte
Ricominciare. Il senso di un film si può, talvolta, riassumere in una sola parola. Questo ci sembra sia il senso di Baciami ancora: il film di Gabriele Muccino che (da venerdì in 600 cinema, di cui sette con sottotitoli per non udenti) cercherà di bissare il clamoroso successo de L'ultimo bacio, riprendendo
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Lei, determinata a strappare il miracolo a vantaggio della propria figlia, non si è lasciata scoraggiare dall'atteggiamento raggelante del Maestro. Anzi, è diventata sempre più pugnace (un esempio stupendo di umiltà audace e di audacia umile). E riuscita a forzare la porta con un'arma che non possiedono molti di quelli che pure stanno seduti alla tavola dei presunti padroni: la fede.
La cananèa, pur riconoscendo la priorità del diritto di Israele, il privilegio del popolo dell'Alleanza, ha rivendicato una parte almeno (niente più che una briciola) della grazia che Dio accorda... gratuitamente (altrimenti non sarebbe più grazia) a tutti, anche ai pagani. La fede della donna consiste nel riconoscere che il disegno salvifico di Dio non può essere determinato dalle stupide barriere che dividono gli uomini. Nell'intuire che il pane è destinato a tutti.
Nel racconto parallelo di Marco (7, 24-30), Gesù esclama: «Per questa tua parola...».
Tra i miei innumerevoli vizi, non c'è l'invidia (almeno, così mi pare). Però, qui, non posso fare a meno di invidiare questa donna. Cosa non darei per sentirmi dire una cosa simile: "Per questa tua parola...". Di parole il Signore da me ne sente molte, anche troppe. Chissà che almeno una volta, in mezzo al cumulo delle mie tante preghiere chiacchierate, Lui non riesca a scovare "una" parola, quella che gli interessa, che non ha mai sentito. Dopo la quale, posso tornare a casa sicuro. Le mie preghiere, troppo spesso, sono schermaglie inconcludenti, grandi manovre verbali. Gesù preferisce una preghiera che sia lotta vera, aspra. E non desidera di meglio che uscirne sconfitto. Da una parola...
«Avvenga per te come desideri». Quasi Gesù le dicesse: "Donna, sia fatta la tua volontà!". Anche se, almeno per il momento, non era quella di Dio...
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Trascinati dai genitori o vittime di «guru» pedofili
di Elena Lisa
Al centro una «figura carismatica». Attorno una casta di «eletti». Più in basso, gli «adepti»: uomini, donne. E i loro figli, anche piccoli: «bambini fantasma» dei quali si sa pochissimo, vittime indifese di violenze psicologiche e fisiche in nome di una pseudo-religione o di «credo» mascherati. «In Italia succede sempre più spesso», è la drammatica denuncia di Telefono Azzurro.
Ma quanti sono i bambini coinvolti? Non esistono cifre ufficiali, ma è ragionevole ipotizzare una stima di diverse centinaia, visto che il numero complessivo di «adepti» italiani, secondo le associazioni che riuniscono i parenti delle vittime, supera abbondantemente il milione. Una sola setta, la «Arkeon», controllava diecimila persone cui ha sottratto negli anni milioni di euro: contro i suoi undici leader è in corso un processo a Bari in cui per la prima volta è stata riconosciuta l'accusa di «associazione a delinquere». E tra i numerosi capi di imputazione, compare anche il «maltrattamento di minori».
Dice Ernesto Caffo, presidente di Telefono Azzurro: «Non ci sono soltanto i bambini trascinati nella setta dai genitori o da qualche pedofilo travestito da guru. Ci sono anche quelli che nascono dentro la comunità. Sono più fortunati degli altri: avendo avuto pochi contatti con il mondo esterno non devono sottoporsi a continui “riti di purificazione”. Ma di loro si hanno poche, debolissime tracce. Spesso non sono neppure registrati all'anagrafe».
Il quadro che emerge dai racconti dei seguaci in fuga e dalle denunce raccolte da polizia e carabinieri è terribile. Figli piccolissimi «regalati» dai genitori al capo-setta o a tutta la comunità. Confessioni «aperte» sulle pratiche sessuali, alle quali i bambini sono costretti ad assistere. Violenze quando vengono sorpresi a disubbidire - dove disubbidire significa anche solo parlare con la mamma - scariche elettriche, ustioni, droghe e psicofarmaci. Per «purificare lo spirito» è proibito piangere: i piccoli che lo fanno sono chiusi in stanze buie, minacciati o costretti al digiuno, umiliati «pubblicamente, davanti ai coetanei, per imprigionarli nell'insicurezza e tenerli legati.
«Riceviamo decine di segnalazioni ogni giorno - spiega Lorita Tinelli, presidente del Cesap, il Centro studi sugli abusi psicologici - e non è un azzardo ritenere che le sette “abusanti” in Italia siano circa un migliaio. Censirle non è facile: agiscono nell'ombra, e una volta scoperte si ricostituiscono in breve tempo sotto un altro nome».
L'ultimo elenco «ufficiale» delle congregazioni in Italia è vecchissimo, addirittura del ‘98. A produrlo il Dipartimento di Pubblica Sicurezza in un rapporto dal titolo «Sette religiose e nuovi movimenti magici in Italia» che calcolava 137 gruppi settari: 76 religiosi e 61 magici. Già allora le più diffuse erano le psicosette. «Gruppi “motivaziona- li” che agganciano i più giovani e promettono risultati sorprendenti a scuola, nello sport, con gli amici - spiega Maurizio Alessandrini, presidente della Favis, l'associazione dei familiari delle vittime -. Negli ultimi anni le psicosette si sono moltiplicate a dismisura entrando anche nelle scuole. Del resto, l'Italia è tra i pochi Paesi in Europa dove non c'è una legge ad hoc e nemmeno è punito il reato di “manipolazione mentale per fini illeciti”».
Di un fenomeno che dilaga si occupano associazioni laiche e religiose: «Riceviamo spesso chiamate da coniugi che si stanno separando - dice Don Aldo Buonaiuto, della comunità Papa Giovanni XXIII -. Non riescono più a vedere i figli e sospettano che siano finiti in una qualche comunità strana insieme all'altro genitore».
Le forze di polizia, che hanno formato squadre antisette con psichiatri e psicologi, confermano l'allarme. «Ho incontrato molti ragazzini irretiti da figure carismatiche, trascinati nelle sette all'insaputa della famiglia - dice Giorgio Manzi, comandante del reparto analisi criminologiche dei Carabinieri -. I genitori devono vigilare, cogliere ogni sfumatura di cambiamento nei figli. Il rischio, se non lo si fa, è perderli per sempre».
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(...) Per dare risposte adeguate a queste domande all'interno dei grandi cambiamenti culturali, particolarmente avvertiti nel mondo giovanile, le vie di comunicazione aperte dalle conquiste tecnologiche sono ormai uno strumento indispensabile. Infatti, il mondo digitale, ponendo a disposizione mezzi che consentono una capacità di espressione pressoché illimitata, apre notevoli prospettive ed attualizzazioni all'esortazione paolina: “Guai a me se non annuncio il Vangelo!” (1Cor 9,16). Con la loro diffusione, pertanto, la responsabilità dell'annuncio non solo aumenta, ma si fa più impellente e reclama un impegno più motivato ed efficace. Al riguardo, il Sacerdote viene a trovarsi come all'inizio di una “storia nuova”, perché, quanto più le moderne tecnologie creeranno relazioni sempre più intense e il mondo digitale amplierà i suoi confini, tanto più egli sarà chiamato a occuparsene pastoralmente, moltiplicando il proprio impegno, per porre i media al servizio della Parola.
Tuttavia, la diffusa multimedialità e la variegata “tastiera di funzioni” della medesima comunicazione possono comportare il rischio di un'utilizzazione dettata principalmente dalla mera esigenza di rendersi presente, e di considerare erroneamente il web solo come uno spazio da occupare. Ai Presbiteri, invece, è richiesta la capacità di essere presenti nel mondo digitale nella costante fedeltà al messaggio evangelico, per esercitare il proprio ruolo di animatori di comunità che si esprimono ormai, sempre più spesso, attraverso le tante “voci” scaturite dal mondo digitale, ed annunciare il Vangelo avvalendosi, accanto agli strumenti tradizionali, dell'apporto di quella nuova generazione di audiovisivi (foto, video, animazioni, blog, siti web), che rappresentano inedite occasioni di dialogo e utili mezzi anche per l'evangelizzazione e la catechesi. (...) (continua - trovi qui il messaggio completo)
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di Massimo Gramellini
Sul Lago di Garda abita una ragazza dello Sri Lanka, venuta in Italia per guadagnare i seimila euro che servono a pagare le cure del fratellino malato di tumore. Lavando i pavimenti di giorno, facendo la badante di notte, e risparmiando ferocemente su tutto, giorno e notte, in un anno la ragazza riesce a mettere da parte la cifra agognata. Si accinge a mandare il vaglia a casa, ma non resiste alla tentazione di telefonare alla mamma per anticiparle la grande notizia. Entra in una cabina (la ragazza non ha il telefonino), tenendo a tracolla la borsa con i seimila euro. Quando quattro ragazzetti gliela strappano, lei lancia un urlo nella cornetta e la madre, dall'altra parte del mondo, vive il suo dramma in diretta.
I carabinieri identificano subito i rapinatori: li conoscono già. Sono adolescenti della zona, molto ricchi e molto annoiati, che cercano di scuotere l'abulia delle proprie esistenze con gesti che procurino scariche violente di adrenalina: per esempio rubare soldi a chi ne ha bisogno per andarli a spendere in cose di cui loro non hanno alcun bisogno. Vengono acciuffati mentre stanno finendo di dilapidare il bottino in un negozio di oggetti griffati. Lo scontro fra bene e male è così lampante che per mettere tutto a tacere, anche la coscienza, i genitori dei bulletti rifondono i seimila euro. «Sono i nostri figli, cosa possiamo fare?», si giustificano. Un'idea l'avrei. Vivere come la ragazza per un anno: lavando i pavimenti di giorno, facendo i badanti di notte, e risparmiando ferocemente su tutto, giorno e notte. Magari funziona.
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E' sempre brutto fare paragoni, ma non voglio essere geloso dei fidati lettori di questo sito: ho trovato un blog che si presenta con delle caratteristiche che lo avvicinerebbero alla natura di SeiTreSeiUno. Se siete curiosi, visitatelo... ma non lasciate ai posteri l'ardua (?!) sentenza!don Chisciotte
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di Massimo Gramellini
La Iena televisiva Elena Di Cioccio ha abbordato il calciatore Beckham in un locale di Milano e, munita di guanti di resina, gli ha tastato il pacco, estremità compresa, inseguendo poi il malcapitato al grido di «è piccolo, è piccolo!». Le immagini suscitano un sorriso automatico, come il movimento del ginocchio colpito dal martelletto del medico. C'è del sadismo, in quella scena. C'è lo sberleffo nei confronti del ricco bello & famoso. E c'è il brivido del proibito (il palpamento dei genitali maschili da parte di una donna era uno degli ultimi tabù sopravvissuti). Insomma, c'è la televisione come siamo stati abituati a conoscerla in questi anni: un meccanismo infernale e infantile dove anche i programmi di buona qualità e di qualche pretesa, come «Le Iene», per catturare l'attenzione di un pubblico sempre più intontito devono colpirgli, ormai non solo metaforicamente, le parti basse.
Eviterò di fare il moralista, ribaltando la scena: come avremmo reagito se una Iena-maschio avesse palpato il seno della moglie di Bechkam gridandole «è piccolo, è piccolo»? Ed eviterò di fare il penalista, rammentando che la molestia sessuale rimane un reato, anche se compiuta nei confronti di una persona nota, persino di una persona nota che ha posato per la pubblicità di una marca di intimo. Non posso invece evitare di fare il femminista: era dunque questa la parità per cui ci siamo battuti, una parità al ribasso che consenta alle donne di trattare in pubblico il corpo degli uomini con lo stesso disprezzo con cui gli uomini trattano quello delle donne?
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Che l'autore di queste righe sia "partito"... lo sappiamo da tempo;
che in queste righe la caritas e la veritas non trovino casa è confermato;
in esse non vedo altra utilità che sprecare inchiostro presentando se stessi.don Chisciotte
E' buffo leggere sulla prima pagina della Repubblica una reprimenda di Giancarlo Zizola contro le omelie dei preti. Proprio quella stessa prima pagina che ogni domenica, da anni, contiene interminabili e illeggibili omelie di Eugenio Scalfari.
Se sono noiose e logorroiche le omelie clericali (e lo sono spesso) non sono migliori quelle anticlericali: penso non solo a Scalfari o a Pannella su Radio radicale, ma a molti altri che moraleggiano col ditino alzato sui giornali, come Claudio Magris o Barbara Spinelli, per citarne solo due.
Se dai pulpiti piove uggiosa insignificanza (ed è vero!), dalle pagine dei giornali, con gli articoli di certi soloni, diluvia il tedio, sottoforma di banalità, di pregiudizio astioso, di sussiegoso moralismo e di ideologia. Del resto i giornali sono pronti per incartare l'insalata ai mercati già quando escono dalla tipografia.
Dunque “se Sparta piange, Atene non ride”. Però fermarsi qui sarebbe un'autoconsolazione sciocca. Piuttosto i due fenomeni
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di Massimo Gramellini
Leggo e rileggo la lista dei cinquanta italiani illustri che da ieri si contendono su Raidue il televoto dei loro connazionali e rimango allibito.
Lui non c'è.
Ma com'è possibile? Quale autorevolezza potrà mai avere un referendum sul più grande italiano di sempre che non contempli il più grande presidente del Consiglio degli ultimi 150 anni, migliore persino di De Gasperi? Nella griglia dei finalisti c'è Garibaldi, e va bene. C'è Fiorello, e ci mancherebbe. Ci sono addirittura due Mazzini (Giuseppe, patriota, e Mina, cantante). E non si è trovato uno strapuntino per quel gigante del pensiero (anche se non di statura)?
Nessuno può vantare una storia di successo così fulminante e, a suo modo, romantica. La cavalcata inarrestabile di un imprenditore innovativo - un uomo del fare - che in un momento difficile della storia patria decide di lasciare la sua azienda per scendere in campo. Un po' cascamorto con le donne, ammettiamolo. E abbastanza spregiudicato nelle frequentazioni. Ma vitale, vivaddio! Lavoratore instancabile, capace di conservare il potere nonostante l'ostilità di una nomenclatura ancorata ai propri privilegi e malgrado i rapporti non facili con il capo dello Stato. Qual è la causa di questa discriminazione inconcepibile? Forse la sua provenienza dal Nord produttivo e operoso, di cui può considerarsi a buon diritto il campione? O la sua appartenenza al centrodestra, mentre la Rai - si sa - è in mano ai comunisti?
Scusate lo sfogo, ma è davvero una vergogna che abbiano lasciato fuori... Cavour!
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Più volte l'abbiamo ribadito su queste colonne e con forza l'abbiamo affermato in più occasioni: ci stiamo dirigendo a piccoli passi verso la barbarie. Negli ultimi tempi l'andatura è sempre più accelerata e l'emergenza di alcuni fattori deleteri ci porta a riconoscere che ormai ci troviamo in una barbarie diffusa. Non si tratta solo di assenza o debolezza della cultura, ma di una ferita alla civiltà inferta dall'affermazione di comportamenti indegni dell'uomo che non cercano la qualità della convivenza ma la oltraggiano. Assistiamo non allo scontro di civiltà profetizzato da Huntington, né alla fine della storia ipotizzata da Fukuyama ma, in modo più tragicamente banale, al piombare in un'epoca oscura, in cui è minacciata di sparizione la stessa democrazia. Quest'ultima, infatti, non può sussistere in una società in cui si disprezza la politica, cioè la gestione del bene comune, in cui non si avverte più come necessaria alcuna convergenza sull'orizzonte di senso della polis.
Nel Salmo 14 vi è un'amara constatazione: «tutti sono corrotti, nessuno fa il bene!»: grido tragico perché, se da un lato può essere denuncia di una situazione reale contingente, d'altro lato può attestare la presenza di una pandemia etica che dilaga e che perverte la natura stessa della convivenza civile. La violenza, l'aggressione innanzitutto verbale non è forse un habitat al quale oggi assistiamo attoniti, in un'impotenza a fare qualcosa che ci rende tristi e amareggia i nostri giorni? Basta accendere la televisione - cosa che personalmente mi capita assai di rado e solo fuori casa - per assistere a talk-show in cui si misura da subito il sistematico non ascolto dell'altro mentre il tono di voce gridato copre ogni opinione e passa sovente al disprezzo e all'insulto che negano l'altro nella sua soggettività e dignità. Così i telespettatori si abituano progressivamente ad assumere come propri nel quotidiano quegli atteggiamenti aggressivi. Questi divengono così la modalità consueta dei rapporti in famiglia, sul lavoro, nei luoghi di incontro: tutti si sentono non solo autorizzati, ma incoraggiati alla rissa, all'aggressione, al dileggio delle regole comuni. I ragazzi e i giovani, invece di essere contenuti e corretti nelle intemperanze proprie dell'età, di essere condotti alla consapevolezza di limiti e di freni essenziali e decisivi nei rapporti e nella comunicazione, si sentono stimolati a emulare i modelli di comportamenti incivili offerti dagli adulti: se incrociano un senzatetto lo scherniscono quando non lo malmenano, alla vista di una persona di colore partono insulti e sputi, gli immigrati sono oggetto di minacce e di intimazioni a tornarsene a casa loro...
Anche certa stampa ormai è divenuta palestra di combattimento, in cui non ci si arresta neppure davanti al mistero e alla dignità della persona, con accuse che vogliono solo distruggere il bersaglio preso di mira. Questi sono anni in cui molti italiani si sentono autorizzati dagli esempi provenienti da quanti occupano posizioni di rilievo anche istituzionale a far uso non solo di espressioni violente, volgari, offensive dell'altro, ma di un profondo disprezzo per qualsiasi regolamentazione. L'egolatria dominante reclama che i bisogni soggettivi siano accolti da tutti come diritti, anche se contro gli altri e contraddicenti l'umanizzazione, dimentica che accanto ai diritti ci sono sempre dei doveri, sembra negare ogni responsabilità personale per inquadrare il male compiuto in una fisiologia della vita umana personale e sociale: tutto questo fa sì che la barbarie avanzi e che la stessa democrazia sia erosa.
In questo quadro sconsolante la società risulta afflitta da una progressiva perdita di memoria, e un paese senza memoria non ha passato, non riconosce l'eredità che gli è propria e perde così la capacità di vivere il presente con consapevolezza e il futuro con speranza e progettualità. Per ogni cultura, la memoria dei momenti e delle forze che l'hanno generata è essenziale: è proprio nella memoria degli eventi fondatori che la democrazia si afferma e si manifesta come valore. Ora, un individuo sradicato dal proprio passato, senza vera appartenenza che non sia quella localista o quella dettata da meri interessi economici, non può essere un cittadino di una società autenticamente democratica. Quando l'identità è negata a livello di polis ed è valorizzata solo con atteggiamenti etnicistici, innesca infatti una regressione alla dimensione tribale, alla tirannia di gruppi «consanguinei» e autoreferenziali che minano lo spazio della communitas. Va invece spezzata la contrapposizione tra cittadino e Stato, tra individuo e società e riscoperta la dialettica tra queste due polarità perché l'«io», il «noi» senza «gli altri» depersonalizza e immiserisce: il «noi» assume la forma incontenibile dell'esclusione e, di conseguenza, l'altro assume i tratti della minaccia da scongiurare o da distruggere preventivamente. A questo punto la strada verso il razzismo è spalancata.
Non si dimentichi che le parole quando si caricano di odio diventano armi, che le accuse reciproche senza più limiti né rispetto spingono alla negazione e alla distruzione dell'avversario, che il continuare ossessivamente a indicare nell'avversario il Male genera a poco a poco una violenza che può arrivare ad assumere persino le forme del terrorismo più o meno elaborato ideologicamente.
Saremo capaci di un soprassalto di dignità umana e di etica democratica? Sapremo riscattare il senso alto della politica, oggi pesantemente affetta da una malattia autoimmune di svilimento? Non si tratta tanto di auspicare una tregua verbale posticcia, di aggiustare i toni di un confronto che da tempo ha cessato di essere tale ma, ben più in profondità, di favorire il passaggio dall'individuo al soggetto politico, innescando una logica non solo di diritti ma anche di doveri verso gli altri e con gli altri. Ritrovare la propria qualità di cittadini significa sentirsi attori di una storia collettiva, capaci di immaginare se stessi assieme agli altri, tesi a riscoprire valori comuni e principi etici condivisi attraverso i quali edificare la polis, rifiutando che sia la forza a prevalere. Certo, questo richiede volontà, assunzione della responsabilità comunitaria, senso dello Stato e capacità di elaborare, mantenere e alimentare un quadro sociale e istituzionale che garantisca a tutti la libertà nella giustizia. Ma è l'unico percorso per uscire dalla barbarie e rientrare nella civiltà.
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Italiani sedentari e sempre più grassi fin da piccoli. E «battere la fiacca» riduce gli anni di vita in buona salute, facendo salire i tassi d'invalidità e morte prematura.
La pigrizia uccide quanto molte patologie. Per inattività fisica e a causa delle malattie che insorgono anche per la mancanza di movimento muoiono ogni anno solo nel nostro paese circa 28mila persone (il cinque per cento del totale dei decessi). Non solo, «battere la fiacca» contribuisce a ridurre gli anni di vita da trascorrere in buona salute, facendo salire i tassi d'invalidità e morte prematura. Sono i dati allarmanti contenuti nella relazione annuale del ministero della Salute sullo stato sanitario del Paese presentato a dicembre 2009. Fare sport, si legge nel rapporto, è generalmente una buona abitudine che tende a essere associata ad altri tipi di comportamenti salutari, come il mangiare sano e il non fumare. Ma in Italia, secondo i dati Istat relativi al 2008, il 40,2 per cento della popolazione non pratica attività né sportiva né fisica nel tempo libero. La sedentarietà è più frequente tra le donne (45 per cento) che tra gli uomini (35,3 per cento), mentre lo sport sembra essere una prerogativa prettamente giovanile e maschile.
Sconfortanti sono anche le informazioni raccolte sul tempo trascorso davanti alla televisione o ai videogiochi e sulla ginnastica praticata dai bambini e adolescenti di età compresa fra i 6 e i 17 anni sono: uno su quattro non pratica alcuno sport e altrettanti sono quelli che lo fanno per non più di un'ora a settimana. Inoltre, la metà circa dei bambini ha la tv in camera e la guarda per tre o più ore al giorno.
Non meno preoccupanti appaiono poi i dati sull'alimentazione, nonostante il legame con lo sviluppo di malattie cardiovascolari, cancro, diabete mellito, sovrappeso e obesità sia ben noto. In Italia, l'Istat conta circa 4,7 milioni di adulti obesi, soprattutto al Sud e fra le persone con un basso grado di istruzione. E se il 96 per cento degli intervistati Passi (Progressi delle aziende sanitarie per la salute in Italia), un progetto dell'Iss per la continua sorveglianza della popolazione italiana adulta sui principali fattori di rischio comportamentali, ha dichiarato di mangiare frutta e verdura almeno una volta al giorno, soltanto il 10 per cento mangia le cinque porzioni raccomandate per un'efficace prevenzione dei tumori. L'abitudine a consumare cinque o più razioni di frutta e verdura al giorno è comunque più diffusa tra le persone sopra ai 50 anni, tra le donne (12 per cento), le persone con basso livello d'istruzione (10) e le persone obese (12).
Nonostante il persistere di certe cattive usanze, aumentano le aspettative di vita degli italiani, con il 20 per cento dei cittadini che supera i 74 anni (e nel 2050 si arriverà al 35 per cento): si è passati da una speranza di circa 74 anni per gli uomini e di 80 per le donne nei primi anni '90 rispettivamente a 78,4 e 84. Diminuisce poi la mortalità infantile (meno 19 per cento per gli uomini, meno 31 per le donne) e quella legata ai decessi per tumori, che insieme alle malattie cardiovascolari causano il 70 per cento delle morti nel nostro Paese. Inoltre le stime attribuiscono dalle 70mila alle 83mila morti l'anno al fumo da tabacco e oltre 24mila decessi sono correlati all'alcol tra gli italiani over 20.
Dallo studio emerge comunque che circa il 61 per cento della popolazione si considera in buona salute, con una spiccata propensione al pessimismo per il genere femminile, nonostante più di una persona su 10 si trovi a dover convivere con almeno una patologia cronica. Il 13 per cento della popolazione risulta infatti affetto almeno da almeno una fra le patologie croniche più rilevanti, con una prevalenza femminile (17,2 per cento). Quelle più diffuse sono l'artrosi e le artriti (18,3 per cento), seguite dall'ipertensione arteriosa (13,6) e dalle malattie allergiche (10,7). Negli over 65, poi, cifre significative riguardano i malati di diabete (14,5 per cento), cataratta (12,4) e osteoporosi (18,8).
Si stima che il 2,8 per cento della popolazione italiana (circa 1,8 milioni di persone) abbia ad oggi avuto nel corso della propria vita una diagnosi di cancro. La percentuale dei decessi relativa ai tumori è però in diminuzione, anche se i morti legati al cancro costituiscono il 30 per cento del totale e rappresentano la seconda causa di morte nel nostro Paese (in particolare la prima fra gli adulti e la seconda fra gli anziani, dopo quelle derivanti dalle malattie cardiocircolatorie). Se alla fine degli anni ‘70 la sopravvivenza a cinque anni dalla diagnosi di cancro era del 33 per cento, nei primi anni '90 si è saliti al 47 per cento. Andando poi ad analizzare le tipologie di tumori, si scopre che la mortalità per tumore del colon-retto ha registrato, a partire dai primi anni ‘90, una costante riduzione in entrambi i sessi, mentre il cancro al polmone è in diminuzione tra gli uomini (che vedono pero aumentare i casi di quello alla prostata), ma in aumento fra le donne. Infine, riguardo al carcinoma alla mammella, dall'inizio degli anni ‘90 la mortalità è diminuita di circa il due per cento ogni anno.
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La lettera doveva invogliare. Invece, proprio chi vive dentro l'attività se ne scansa con non so quale scusa; che discutere è inutile. Per la stessa ragione un altro vi può dire che mangiare è inutile, che vivere è inutile.
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Dal discorso di papa Benedetto XVI alla sinagoga di Roma (17 gennaio 2010)
2. La dottrina del Concilio Vaticano II ha rappresentato per i Cattolici un punto fermo a cui riferirsi costantemente nell'atteggiamento e nei rapporti con il popolo ebraico, segnando una nuova e significativa tappa. L'evento conciliare ha dato un decisivo impulso all'impegno di percorrere un cammino irrevocabile di dialogo, di fraternità e di amicizia, cammino che si è approfondito e sviluppato in questi quarant'anni con passi e gesti importanti e significativi, tra i quali desidero menzionare nuovamente la storica visita in questo luogo del mio Venerabile Predecessore, il 13 aprile 1986, i numerosi incontri che egli ha avuto con Esponenti ebrei, anche durante i Viaggi Apostolici internazionali, il pellegrinaggio giubilare in Terra Santa nell'anno 2000, i documenti della Santa Sede che, dopo la Dichiarazione Nostra Aetate, hanno offerto preziosi orientamenti per un positivo sviluppo nei rapporti tra Cattolici ed Ebrei. Anche io, in questi anni di Pontificato, ho voluto mostrare la mia vicinanza e il mio affetto verso il popolo dell'Alleanza. Conservo ben vivo nel mio cuore tutti i momenti del pellegrinaggio che ho avuto la gioia di realizzare in Terra Santa, nel maggio dello scorso anno, come pure i tanti incontri con Comunità e Organizzazioni ebraiche, in particolare quelli nelle Sinagoghe a Colonia e a New York.
Inoltre, la Chiesa non ha mancato di deplorare le mancanze di suoi figli e sue figlie, chiedendo perdono per tutto ciò che ha potuto favorire in qualche modo le piaghe dell'antisemitismo e dell'antigiudaismo (cfr Commissione per i Rapporti Religiosi con l'Ebraismo, Noi Ricordiamo: una riflessione sulla Shoah, 16 marzo 1998). Possano queste piaghe essere sanate per sempre! Torna alla mente l'accorata preghiera al Muro del Tempio in Gerusalemme del Papa Giovanni Paolo II, il 26 marzo 2000, che risuona vera e sincera nel profondo del nostro cuore: "Dio dei nostri padri, tu hai scelto Abramo e la sua discendenza perché il tuo Nome sia portato ai popoli: noi siamo profondamente addolorati per il comportamento di quanti, nel corso della storia, li hanno fatti soffrire, essi che sono tuoi figli, e domandandotene perdono, vogliamo impegnarci a vivere una fraternità autentica con il popolo dell'Alleanza".
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Nel fitto bosco che lo circondava, c'era una piccola capanna che un Rabbino di una città vicina usava di tanto in tanto come eremo. Nei lunghi anni di preghiera e contemplazione i monaci avevano sviluppato una straordinaria sensibilità ed erano perciò quasi sempre in grado di capire quando il Rabbino si trovava nell'eremo. Un giorno l'Abate, sempre più preoccupato per la situazione dell'Ordine, volle recarsi alla capanna per chiedere consiglio al saggio ebreo, ma questi non potè fare altro che condividere il suo dolore: «Conosco il problema; la gente ha perso la spiritualità e anche nella mia città quasi nessuno viene più alla sinagoga». Si lamentarono insieme, poi lessero alcuni brani della Torah e conversarono serenamente di profonde questioni spirituali. Prima di congedarsi, l'Abate gli domandò di nuovo se non avesse dei consigli da dargli per salvare il monastero e l'Ordine dalla rovina. «No, mi dispiace - ripetè il Rabbino -; l'unica cosa che posso dirti è che il Messia è tra voi».
Rientrato al monastero, l'Abate riferì le strane parole del Rabbino e nei giorni, nelle settimane che seguirono, i vecchi monaci riflettevano su quella frase: Forse il Messia è uno di noi? Certo, potrebbe essere l'Abate oppure fratello Thomas che è davvero un sant'uomo; sembra invece difficile che il Rabbino alludesse a fratello Elred, irascibile com'è, ma non si sa mai; quanto a fratello Philip, è una vera nullità e tuttavia, quando c'è bisogno di lui, quasi misteriosamente è sempre presente e dunque magari è proprio lui il Messia. E se fossi io?, diceva il quarto monaco. Non è possibile, non sono tanto importante, però per il Signore lo sono; chissà?
Immersi in questi pensieri, i monaci cominciarono a trattarsi tra di loro con straordinario rispetto perché esisteva, pur se remota, la possibilità che il Messia fosse tra loro. La foresta in cui si ergeva il monastero era stupenda e accadeva che di tanto in tanto arrivassero dei visitatori che venivano a passeggiare lungo i viali o per i sentieri. Senza rendersene conto, i visitatori cominciarono ad avvertire il clima di straordinario rispetto che circondava i cinque monaci e che da loro irradiava. Tornarono al convento più spesso, portarono degli amici per mostrare quel posto speciale; e gli amici arrivarono con altri amici. Dopo qualche tempo uno chiese di unirsi ai monaci; poi un altro e un altro ancora.
Nel giro di pochi anni il monastero ridivenne un centro vivo di luce e di spiritualità per tutta la regione.
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«Se partissimo dal presupposto che siamo tutti folli, questo ci aiuterebbe a comprenderci gli uni con gli altri, risolverebbe molti enigmi».
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"Si avvisa che quest'anno Gesù bambino resterà senza regali: i Magi non arriveranno perché sono stati respinti alla frontiera insieme agli altri immigrati”: è la scritta riportata sul cartello apparso oggi, alla vigilia dell'Epifania, davanti al presepe della Cattedrale di San Gerlando ad Agrigento. “È un'iniziativa concordata con l'arcivescovo Francesco Montenegro” ha spiegato Valerio Landri direttore della Caritas diocesana, ritenendo che “bisognasse dare un segnale” per far riflettere la comunità ecclesiale e civile. “A pensarci bene se oggi Gesù Bambino volesse venire da noi probabilmente sarebbe respinto alla frontiera” ha detto Landri, aggiungendo che l'iniziativa non vuole essere motivo di polemica: “Siamo consapevoli che è necessaria una regolamentazione, ma siamo anche convinti che bisogna comprendere il perché questa gente fugga dal proprio paese” ha detto e che “bisogna dunque pensare intanto all'accoglienza”. A chi si è lamentato, sostenendo che non si deve sacrificare la tradizione alle problematiche legate all'immigrazione il direttore di Caritas ha obiettato che “non si può anteporre la tradizione ai diritti delle persone”. [AdL]
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di Massimo Gramellini
Sconvolto dagli effetti apocalittici del terremoto di Haiti, sono andato in cerca di informazioni per scoprire com'era la vita nell'isola, fino all'altro ieri. Ho appreso che l'ottanta per cento degli haitiani vive (viveva) con meno di un dollaro al giorno. Che il novanta per cento abita (abitava) in baracche senza acqua potabile né elettricità. Che l'aspettativa di vita è (era) di 50 anni. Che un bambino su tre non raggiunge (raggiungeva) i 5 anni. E che, degli altri due, uno ha (aveva) la certezza pressoché assoluta di essere venduto come schiavo.
Se questa è (era) la vita, mi chiedo se sia poi tanto peggio la morte. Ma soprattutto mi chiedo perché la loro morte mi sconvolga tanto, mentre della loro vita non mi è mai importato un granché. So bene che non possiamo dilaniarci per tutto il dolore del mondo e che persino i santi sono costretti a selezionare i loro slanci di compassione. Eppure non posso fare a meno di riflettere sull'incongruenza di una situazione che - complice la potenza evocativa delle immagini - mi induce a piangere per un bambino sepolto sotto i detriti, senza pensare che si tratta dello stesso bambino affamato che aveva trascorso le ultime settimane a morire a rate su quella stessa strada. Così mi viene il sospetto che a straziarmi il cuore non sia la sofferenza degli haitiani, che esisteva già prima, ma il timore che una catastrofe del genere possa un giorno colpire anche qui. Non la solidarietà rispetto alle condizioni allucinanti del loro vivere, ma la paura che possa toccare anche a me il loro morire.
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di nic(oletta) til(iacos)
“Perché le diverse componenti che animano la chiesa, divise su tanti aspetti, hanno però in comune uno stupefacente silenzio sulla donna?”. La storica Emma Fattorini e la regista Liliana Cavani aprono così il loro intervento sull'ultimo Domenicale del Sole 24 Ore, con il quale lanciano l'idea di un Sinodo sulla donna. Necessario, scrivono, per dare seguito alle grandi aspettative
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Tu scruti gli abissi, conosci le azioni degli uomini, aiuti quanti sono in pericolo, sei la salvezza di chi è senza speranza, il creatore e il vigile pastore di ogni spirito. Tu dai incremento alle nazioni della terra e tra tutte scegli coloro che ti amano per mezzo del tuo Figlio diletto Gesù Cristo, per opera del quale ci hai istruiti, santificati, onorati.
Ti preghiamo, o Signore, sii nostro aiuto e sostegno. Libera quelli tra noi che si trovano nella tribolazione, abbi pietà degli umili, rialza i caduti, vieni incontro ai bisognosi, guarisci i malati, riconduci i traviati al tuo popolo. Sazia chi ha fame, libera i nostri prigionieri, solleva i deboli, da' coraggio a quelli che sono abbattuti.
Tutti i popoli conoscano che tu sei il Dio unico, che Gesù Cristo è tuo Figlio, e noi «tuo popolo e gregge del tuo pascolo» (Sal 78, 13).
Tu con la tua azione ci hai manifestato il perenne ordinamento del mondo. Tu, o Signore, hai creato la terra e resti fedele per tutte le generazioni. Sei giusto nei giudizi, ammirabile nella fortezza, incomparabile nello splendore, sapiente nella creazione e provvido nella sua conservazione, buono in tutto ciò che vediamo e fedele verso coloro che confidano in te, o Dio benigno e misericordioso. Perdona a noi iniquità e ingiustizie, mancanze e negligenze.
Non tener conto di ogni peccato dei tuoi servi e delle tue serve, ma purificaci nella purezza della tua verità e guida i nostri passi, perché camminiamo nella pietà, nella giustizia e nella semplicità del cuore, e facciamo ciò che è buono e accetto davanti a te e a quelli che ci guidano.
O Signore e Dio nostro, fa' brillare il tuo volto su di noi perché possiamo godere dei tuoi beni nella pace, siamo protetti dalla tua mano potente, liberati da ogni peccato con la forza del tuo braccio eccelso, e salvati da coloro che ci odiano ingiustamente.
Dona la concordia e la pace a noi e a tutti gli abitanti della terra, come le hai date ai nostri padri, quando ti invocavano piamente nella fede e nella verità. Tu solo, o Signore, puoi concederci questi benefici e doni più grandi ancora.
Noi ti lodiamo e ti benediciamo per Gesù Cristo, sommo sacerdote e avvocato delle nostre anime. Per mezzo di lui salgano a te l'onore e la gloria ora, per tutte le generazioni e nei secoli dei secoli. Amen.
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Un video duro (che consiglio di vedere con adulti) per non dimenticare ciò che noi - di pelle, "cultura", "religione"... bianche - siamo stati in grado di fare.
E' difficile dire che vince nella gara della violenza e delle brutalità.don Chisciotte
grazie a GP per la segnalazione
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Sarah cerca l'uomo perfetto
Australiana, 36 anni, ha lanciato un appello online sfruttando il meccanismo del crowdsourcing: "Se va bene per individuare un buon ristorante, perché non usare la stessa strada per il fidanzato?"
di Benedetta Perilli
Sarah Stokely ha 36 anni, un'ottima posizione nelle pubbliche relazioni, una casa a Melbourne, buoni guadagni, un cane, un divorzio alle spalle e nessun uomo disponibile a scaldare il suo cuore. Single ormai da troppi anni e dopo aver tentato ogni strategia per trovare l'anima gemella, Sarah ha deciso di chiedere aiuto al web. Con il progetto 100 Dates ha lanciato online un appello: "Uscirò con cento uomini in cento appuntamenti diversi con la speranza di trovare quello giusto". Ma inutile sgomitare per cercare di entrare nelle grazie della bionda australiana: qui non si tratta di un mega appuntamento al buio ma di un serio esperimento che unisce web e sociale. In particolare si tratta di un'insolita forma di crowdsourcing, la fortunata strategia di marketing collaborativo che ha permesso a compagnie come Wikipedia di affermarsi sul mercato.
Il concetto è semplice: persone provenienti da ogni parte del mondo si uniscono gratuitamente, o su chiamata retribuita, e forniscono il loro apporto nella realizzazione di un progetto. Grazie al web oggi si parla di crowdsourcing, neologismo che nasce dalla fusione delle due parole inglesi crowd (gente) e outsourcing (appalto), per ogni genere di attività: dalla sperimentazione di nuovi prodotti alla ricerca di servizi, dalla promozione di oggetti alla recensione di film, libri o dischi in uscita. Insomma, se si può ricorrere all'apporto della comunità per trovare il miglior meccanico in città perché non provare a farlo anche per scovare il fidanzato perfetto?
Ad aiutare Sara ci sono almeno 1.692 persone, precisamente il numero degli utenti che seguono i suoi aggiornamenti su Twitter. Saranno loro a raccomandare alla ragazza i presunti pretendenti, ma non senza aver prima compilato il questionario di adesione al progetto. Una speranza viene lasciata anche a chi vuole proporsi pur non avendo amici che lo raccomandano: si compila il questionario e il giudizio sull'idoneità del pretendente viene lasciato ai lettori. (...) Le risposte verranno vagliate dagli utenti del blog e di Twitter di Sarah e se almeno uno dei lettori giudicherà idoneo il pretendente l'interessata si occuperà di contattarlo e di combinare un appuntamento con lui. (...) leggi qui il seguito
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Dopo il picco d'audience la qualità s'abbassa
di Alessandra Comazzi
MILANO - Se il dottor House parla coi morti, Cettina del Medico in famiglia, che doveva essere dispersa in mare, torna invece a casa da nonno Libero, ma con l'amnesia. In America hanno un termine tecnico per definire queste stravaganze: «jumping the shark», letteralmente, saltando lo squalo. Si usa per indicare il momento in cui una serie tv, dopo aver raggiunto il suo picco, abbassa il livello di qualità, facendo venir meno la verosimiglianza della storia. (...) Che poi le serie declinino veramente con il salto dello squalo, è ancora tutto da dimostrare. Può capitare che invece continuino, che si azzeri l'assurdo, e si ricominci con nuova linfa realistica. Oppure si va avanti così, con stranezze e successo, come continua a capitare, per esempio, in Beautiful. Certo è che in questo periodo stiamo assistendo, sia per i prodotti di importazione, sia per quelli italiani, a una radicalizzazione delle storie. I modelli continuano a riprodursi, ma in maniera sempre più schematica, estrema, irreale. Forse, al di là di Happy Days, non è da sottovalutare l'influenza dei reality show, con l'irrompere continuo sul piccolo schermo di una realtà esasperata e, alla fine, altrettanto irreale. Il paradosso è che proprio la fiction potrebbe raccontare la realtà meglio di un reality, e invece dilaga l'effetto Pretty Woman, cioè uno scenario realistico per una sostanza da favola: lo vediamo nei Cesaroni, nei Carabinieri, in Don Matteo.
Lo stesso fenomeno del Dr. House si può riscontrare negli altrettanto popolari racconti di Csi, Las Vegas, Miami e New York, dove tutto è estremo, impossibile. Le storie si complicano e gli attori, sempre meno convinti, devono sostenere una sceneggiatura non più rigorosa, e che anzi si concede sconcertanti strappi di improbabilità. (...)
«E così - aggiunge Ortoleva - per via di questa selezione darwiniana, quando le serie americane s'iniziano sono perfette, inattaccabili. Poi, una volta consolidato lo zoccolo duro del pubblico, gli sceneggiatori cominciano a sbizzarrirsi». In altre parole: se ne fregano della verosimiglianza. Saltano gli squali. Le puntate diventano collezioni di sketch, sempre più banali, e l'elemento narrativo si perde. Nella minore attenzione, si sviluppano alcune ossessioni tipicamente americane: una delle quali, fondamentale, è l'introduzione dell'elemento soprannaturale. Gregory House, e lo abbiamo visto di recente su Canale 5, non tiene più: come cantava Giorgio Gaber, «non tiene più l'elastico, di colpo fuori e dentro, lo schianto». Prima di autoricoverarsi, tristemente, in un ospedale psichiatrico mentre i suoi ex allievi ingrati Cameron e Chase si sposano, non trova di meglio che conversare a lungo con Amber, la fidanzata morta dell'amico Wilson.
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di p. Renato Kizito Sesana, missionario comboniano
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Rosarno, l'omelia di don Pino: "I cristiani aiutano chi sbaglia"
"Se siamo pronti alle violenze nei confronti dei più deboli, allora non veniamo più in chiesa"
di Daniele Mastrogiacomo
(...) "Bisogna aiutare i fratelli che sbagliano", spiega il sacerdote. "E in questi giorni che stiamo vivendo qualcuno ha sbagliato. Ma questo non ci autorizza a colpirlo, a inseguirlo, a ucciderlo, a cacciarlo. Ci obbliga a capire, a fermarci. Per non sbagliare più. Questo dobbiamo fare se vogliamo essere dei cristiani". Il parroco lascia l'altare, scende tra la gente. Parla a braccio, stringe con le mani il microfono. "Se ho un fratello in famiglia non posso picchiarlo o cacciarlo di casa perché ha rotto un vaso. Devo andargli incontro, sostenerlo, capire cosa è accaduto". Allarga le braccia, sorride: "Vedo finalmente questa chiesa piena, sono contento che moltissimi tra voi sono tornati. Ma vedo anche che manca qualcuno". Don Pino sospira, si rivolge ai bambini. "Lo vedete anche voi. Non c'è John. Vi ricordate di lui? Veniva ogni domenica". I bambini annuiscono. I genitori, dietro, restano in silenzio. Tesi e consapevoli. "Mancano anche Christian, Luarent. E Didou, il piccolo Didou. Mancano i suoi genitori. Erano come voi, con la pelle più scura, venivano dall'Africa. Non ci sono perché li hanno cacciati".
E' il culmine dell'omelia. E' il momento dell'appello. E del rimprovero: "Mi rivolgo ai più grandi, ai genitori. Perché loro hanno un ruolo importante, formativo. A voi dico: non vi fate trascinare verso ragionamenti e reazioni che non sono da cristiani. E' facile dire: abbiamo ragione noi. Quando siete nati, Dio è stato chiaro: questo è mio figlio. Lo siamo tutti. Tutti abbiamo diritto alla vita, una vita dignitosa, che non ci umili. Anche quelli di un altro colore, anche quelli che sbagliano sempre. Se vogliamo essere cristiani noi non possiamo avere sentimenti di odio e di disprezzo".
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L'eros fisico ti sia di modello per il tuo desiderio di Dio.
Beato chi ha per Dio una passione non meno violenta di quella dell'amante per l'amata.
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La prima cosa che si compie nella vita eterna è l'unione dell'uomo con Dio. Dio stesso, infatti, è il premio e il fine di tutte le nostre fatiche: “Io sono il tuo scudo e la tua ricompensa sarà molto grande” (Gn 15,1). Questa unione poi consiste nella perfetta visione: “Ora vediamo come in uno specchio, in maniera confusa, ma allora vedremo faccia a faccia” (1 Cor 13,12).
La vita eterna inoltre consiste nella somma lode come dice il profeta: “Giubilo e gioia saranno in essa, ringraziamenti e inni di lode”” (IS 51,3).
Consiste ancora nella perfetta soddisfazione del desiderio. Ivi infatti ogni beato avrà di più di quanto ha desiderato e sperato. La ragione è che nessuno può in questa vita appagare pienamente i suoi desideri, né alcuna cosa creata è in grado di colmare le aspirazioni dell'uomo. Solo Dio può saziarlo, anzi andare molto al di là, fino all'infinito. Per questo le brame dell'uomo si appagano solo in Dio, secondo quanto dice Agostino: “Ci hai fatti per te, o Signore, e il nostro cuore è senza pace fino a quando non riposa in te”.
I santi, nella patria, possederanno perfettamente Dio. Ne segue che giungeranno all'apice di ogni loro desiderio e che la loro gloria sarà superiore a quanto speravano. Per questo dice il Signore: “Prendi parte alla gioia del tuo padrone” (Mt. 25,21); e Agostino aggiunge: “tutta la gioia non entrerà nei beati ma tutti i beati entreranno nella gioia”; ed anche: “Egli sazia di beni il tuo desiderio”. Tutto quello che può procurare felicità là è presente ed in sommo grado. Se si cercano godimenti, là ci sarà il massimo più assoluto godimento, perché si tratta del ben supremo, cioè di Dio: “dolcezza senza fine alla tua destra” (Sal. 15,11).
La vita eterna infine consiste nella gioconda fraternità di tutti i santi. Sarà una comunione di spiriti estremamente deliziosa, perché ognuno avrà tutti i beni di tutti gli altri beati. Ognuno amerà l'altro come se stesso e perciò godrà del bene altrui come proprio. Così il gaudio di uno solo, sarà tanto maggiore quanto più grande sarà la gioia di tutti gli altri beati.
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Eccomi rientrato col corpo nella mia camera. La testa e il cuore dove saranno?! A presto!
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Quanta gente a Betlemme... e di tutti i colori! Sembrava proprio che fossero arrivate le carovane dei Re Magi!
Domattina ultimo saluto al Santo Sepolcro, poi Qumran e Mar Morto.
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Ore di preghiera al Calvario e alla Tomba vuota: che dono prezioso!
Oggi Epifania a Betlemme!
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Cafarnao, Monte delle Beatitudini, Tabga, lago di Tiberiade, Mensa Christi, Chiesa del primato... luoghi della vita quotidiana di Gesù, insieme ai suoi amici. Condizione da bere con gli occhi, da annusare con le narici, da toccare con la pelle, da ascoltare nella Parola.
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Una semplice e partecipata processione aux flambeaux stasera presso la Basilica della Annunciazione. Un bel mix di lingue; apprezzata in modo particolare la presenza dei giovani arabi, che ci hanno insegnato canti mariani nella loro lingua.
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Viaggio ottimo. Pellegrini di qualità. Clima primaverile. Profumo di mare a Cesarea. Nazareth ci ha accolti. Tra poco la Basilica dell'Annunciazione.
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Salmo 122
Quale gioia, quando mi dissero: «Andremo alla casa del Signore!».
Già sono fermi i nostri piedi alle tue porte, Gerusalemme!
Gerusalemme è costruita come città unita e compatta.
È là che salgono le tribù, le tribù del Signore,
secondo la legge d'Israele,
per lodare il nome del Signore.
Là sono posti i troni del giudizio, i troni della casa di Davide.
Chiedete pace per Gerusalemme:
vivano sicuri quelli che ti amano;
sia pace nelle tue mura, sicurezza nei tuoi palazzi.
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Cari naviganti, ho preparato una valigia e uno zainetto: si parte per il pellegrinaggio nella Terra di Gesù! Credo sia uno dei modi più belli di iniziare un nuovo anno! Come dieci anni fa, quando vedemmo l'alba del Duemila dal monte Sinai!
Il bagaglio è leggero, e c'è spazio per le tante intenzioni di preghiera che ho ricevuto da voi, con mail personali o dal post sul sito.
Nei prossimi giorni (tornerò l'8 gennaio) non sarà regolare la pubblicazione dei post sul sito: mi piacerebbe tenervi informati, ma non voglio farmi “disturbare” da altre incombenze che non siano ascoltare la terra che vide, ascoltò, accolse il Figlio di Dio incarnato. E poi, in fondo, credo che il nostro sito non sia fatto per comunicare anzitutto ciò che capita al sottoscritto!! Comunque provate a visitare www.seitreseiuno.net : magari ci scappa un mini-aggiornamento!
Ho riportato nella Newsletter alcune parole di un grande amante della Terra di Gesù, il card. Martini: sono espressioni che risalgono al momento in cui la malattia ancora gli permetteva di “sognare” di finire i suoi giorni a Gerusalemme! Sono molto felice che - di ritorno dalla Terra Santa - lo stesso 8 gennaio potrò andare a trovare il card. Martini presso l'Aloisianum di Gallarate.
Auguri per il nuovo anno, nella nostra terra, anch'essa luogo di incarnazione del Figlio di Dio!don Chisciotte