«Talora presumiamo di avere già raggiunto la perfetta nozione di ciò che Dio è o fa.
Grazie alla Rivelazione sappiamo di lui alcune cose certe che egli ha detto di sé, ma queste cose sono come avvolte dalla nebbia della nostra ignoranza profonda di lui.
Non di rado mi spavento sentendo o leggendo tante frasi che hanno come soggetto "Dio" e danno l'impressione che noi sappiamo perfettamente ciò che Dio è e ciò che egli opera nella storia, come e perché agisce in un modo e non in un altro.
La Scrittura è assai più reticente e piena di mistero di tanti nostri discorsi pastorali. Preferisce il velo del simbolo e della parabola; sa che di Dio si può parlare solo con tremore e per accenni, come di "Qualcuno" che in tutto ci supera.
Gesù stesso non toglie questo velo, lui che è il Figlio: ci parla del Padre, ma "per enigmi", fino al giorno in cui svelatamente ci parlerà di lui. Questo giorno non è ancora venuto, se non per anticipazioni che lasciano ancora tante cose oscure e ci fanno camminare nella notte della fede.
Perciò anche la Chiesa, fatta a immagine della Trinità, non può capire mai a fondo se stessa né può cessare di ricercare con passione e pazienza la sua identità.
Molti discorsi pastorali nascondono l'illusione di sapere tutto sulla Chiesa e sui suoi cammini nel mondo, come se si trattasse solo di applicare delle regole e di dedurre conclusioni da principi. Ma la Chiesa ha la sua origine nel Padre che è prima di ogni principio e va accolta come dono che si rinnova ogni giorno per la forza sorgiva dello Spirito».
Carlo Maria Martini, Incontro al Signore Risorto I, 61
 

Siamo stati uniti nella preghiera e nell'ascolto della Parola del Vangelo: grazie!
Qui trovate lo schema della meditazione.
Buon cammino!
don Chisciotte Mc


Ti offro, Signore, il mio lavoro quotidiano.
Lo affronto serenamente con il tuo aiuto,
per la tua gloria,
come collaborazione all’opera creatrice di Dio Padre,
per il benessere della mia famiglia
e della società.
Cristo, insegnami a pensare al mio lavoro,
non soltanto come una fatica che redime,
ma come occasione per realizzare me stesso,
per servire amando il mio prossimo
e così incontrare te,
che mi hai redento e vegli su di me.
Spirito Santo,
aiutami a rendere l’ambiente del mio lavoro
più umano e cristiano
perché aiuti tutti a ritrovarci fratelli.
Dio Padre, soccorri le vittime del lavoro,
gli indifesi, i disoccupati, gli ammalati.
Dona a tutti il pane quotidiano:
soprattutto ai bambini e ai poveri.
card. Giovanni Battista Montini
 

«[Nella vita eterna] mia moglie, piuttosto che mia, sarà la sposa di Dio. Posso accettarlo senza gelosia. In questo senso, non mi sento in concorrenza. Quell'unione alla sorgente è la condizione per cui possiamo essere più profondamente l'uno per l'altro.
Ma c'è qualcosa che mi fa tremare. Là, il grado d'intimità non sarà più finizione dello spazio, ma dell'amore. Più vicino a mia moglie sarà l'uomo che l'avrà maggiormente amata.
Sarò io? Se quaggiù la possiedo come un proprietario, con sazia indifferenza, un altro può pregare per lei e prendersi segretamente cura di lei nella sua solitudine: è il suo volto che, nel nuovo giorno, le sembrerà il più coniugale, ed ella sarà più con lui che con me. 
Il dogma di un simile paradiso, lo confesso, non mi dà grande conforto. Ne avrei fatto volentieri a meno. Recalcitro davanti a tale pungolo. La sua prospettiva di gloria è una scheggia nella carne».

Fabrice Hadjadi, Mistica della carne. La profondità dei sessi, 188-189


"Hanno cercato di seppellirci.
Non sapevano che eravamo semi".
(dalla Rete)

Altro che scherzo di Carnevale....
di Diego Andreatta
Al nostro "don" piace molto vedere la comunità viva attorno all'Eucaristia. Talvolta ci sorprende con qualche gesto espressivo - alla recita del Padre Nostro un giorno ha invitato i figli a mettersi accanto ai loro papà - e spesso ci richiama al significato dei segni e dei riti suggeriti dalla liturgia. Ma domenica scorsa ci ha proprio spiazzati, con uno scherzo da... prete impossibile da prevenire anche se era la domenica di Carnevale. Prima di invitarci a sedere per le letture, ha detto più o meno: "A questo punto in ogni Messa ci dedichiamo all'ascolto della Parola di Dio, con la solita attenzione. Oggi proviamo a fare esercizio e prestiamo ascolto dialogando con i nostri vicini". E ci ha invitato - così su due piedi - a metterci a dialogare con la persona che si trovava nel nostro banco, a destra e a sinistra. "Fate pure, vi interromperò io fra qualche minuto..." ha aggiunto avviandosi a far due parole con i giovani del coro.
Com'è andata? Lo choc iniziale, tipico della scossa improvvisa, si è sciolto presto grazie al buon esempio dei più estroversi. Alcuni papà non hanno avuto difficoltà a legare fra loro, le mamme hanno subito preso i figli piccoli come oggetto della conversazione. Molti anziani - la nostra è un'assemblea dai capelli grigi - si sono sentiti rivolgere per la prima volta la parola, un conoscente lontano ha ripreso forzatamente un dialogo con la signora del condominio di fronte interrotto qualche anno fa. C'è anche chi è rimasto solo - sempre più nascosto dietro la colonna - forse pensando cosa gli fosse venuto in mente al parroco. Complessivamente il calore dell'invito del parroco ha fatto centro rispetto al freddo dell'indifferenza o della timidezza: 8 su 10 si potrebbe dire, con una percentuale da tabellone del basket.
Non avevamo mai visto però, durante la Messa, una chiesa così animata in pochi minuti: non piazza, non mercato, certo, ma luogo di vita in cui il popolo di Dio era chiamato a guardarsi negli occhi, a darsi ascolto, in modo molto più esigente e coinvolgente rispetto ad un ripetitivo segno della pace prima della Comunione.
L'effetto della contemporaneità poi era davvero efficace, come in un flash mob dove tutti perseguono lo stesso obiettivo eseguendo gioiosamente un comando.
Immaginate i commenti a fine Messa (e forse anche quelli che arriveranno qui sotto), ma il parroco aveva chiarito in anticipo che si trattava di un una tantum simbolico. Non era però uno scherzo di Carnevale, molti vi hanno trovato una lezione preziosa. Oltre all'effetto sorpresa - simbolico per un cammino di fede che spesso vorremmo sempre piatto e poco coinvolgente - c'era il richiamo a sentirsi fratelli, capaci di ascolto, coraggiosi nel rompere quelle barrire convenzionali in cui spesso l'anonimato cittadino ci custodisce: a Messa e poi via, ognuno per la sua strada. Quei 4 o 5 minuti imprevisti, quel dialogo fra poveri cristi prima di mettersi a dialogare con Dio, ci hanno ricordato quanto siamo chiamati alla relazione. L'esercizio è riuscito, come ha colto il chierichetto più furbo: "Facciamolo ancora, don!".
 

 
E anche quest'oggi sarai tu a farci dei preziosi regali!
 


Non condivido i prodotti della pagina FB da cui è tratto questo video,
ma certamente - in questo caso - l'idea è forte e commovente.

Grazie a Giovanni Todeschini per l'immagine.


di Franco Cardini 
La carità cristiana, tradotta nei termini concreti della solidarietà, dell’assistenza, dell’accoglienza, costituì un potente fattore di conversione e di diffusione della nuova fede. Per cogliere adeguatamente questo aspetto dello sviluppo storico del cristianesimo, bisogna tenere nel massimo conto il fatto che le Chiese cristiane si affermarono tutte e quasi esclusivamente, tra I e IV secolo, in ambiente urbano: anzi, soprattutto in quelli che nell’impero romano si potevano considerare i centri urbani più grandi – quella trentina circa che toccavano o superavano i 30.000 abitanti, quasi tutti ubicati nell’area orientale del Mediterraneo –, e prima degli altri i centri portuali quali Alessandria, Antiochia, Cesarea Marittima, Atene, Corinto, Efeso, Smirne, Tessalonica; e, in Africa occidentale – per gli antichi l’Egitto e la Cirenaica appartenevano piuttosto all’Asia –, Cartagine e Leptis Magna.
Si è spesso affermato e si continua ad affermare che il segreto della diffusione della nuova fede consisteva anzitutto nella speranza di una beata vita futura, una vita dopo la morte o addirittura una risurrezione fisica, che i fedeli del Risorto appunto proponevano. Ma tutto ciò appare poco convincente. Molti erano i culti orfici, iniziatici, ermetici, misterici che promettevano varie forme di sopravvivenza o di salvezza dell’anima dopo la morte.
Il fatto è che le comunità cristiane, oltre a propagare questa speranza, offrivano concretamente aiuto e sostegno ai meno abbienti o ai miseri – i poveri, gli ammalati, le vedove, gli orfani – per affrontare e alleviare gli aspetti più duri e spietati di un’esistenza individuale e collettiva che, specie a partire dalla 


«Non gli oppositori, non le ideologie avverse al cristianesimo, non quelli che stanno sull'altra sponda, non sono loro i più grandi nemici. I maggiori nemici sono i cristiani che si sono seduti, che si sono fatti una religione a modo loro».
Card. Giovanni Benelli (ai seminaristi della diocesi di Firenze - 1982)
 
"Chi sono coloro che si oppongono? Pensiamoci bene, quali sono i più grandi oppositori di Gesù? Sono gli uomini di religione, sono coloro che maggiormente osservano la parola di Dio. La religione è il grande ostacolo che Cristo ha trovato sulla terra. Ed è la religione, gli uomini di religione che, in fin dei conti, l'hanno mandato a morire. L'opposizione viene dai vicini più che dai lontani. L'opposizione, la resistenza che il Vangelo trova, in fondo è più forte, è più radicata, è più resistente in casa nostra che fuori".
Card.Giovanni Benelli (ai seminaristi della Diocesi di Firenze - 1982)
 

Ancora troppi formalismi tra noi.

 

 
 
«Vorrei interrogarmi soprattutto sulla povertà del processo (a Gesù) così come è presentato da Giovanni. Mentre è più plausibile nei sinottici, nel IV vangelo è una vera farsa, una caricatura. Mi pare che Giovanni intenda probabilmente sottolineare un indice di decadenza religiosa e giuridica: Gesù viene portato davanti a chi non è autorizzato né a interrogarlo né a condannarlo e tocca a lui spiegare come andrebbe condotto il processo. 
Ci troviamo davvero di fronte al crollo di una istituzione, una istituzione - notiamo - che avrebbe avuto il compito primario di riconoscere il Messia, verificandone le prove. Sarebbe stato questo l'atto giuridico più alto di tutta la sua storia. Invece fallisce proprio lo scopo fondamentale.
Certamente i sommi sacerdoti hanno molti titoli di discolpa. Possiamo comprenderlo considerando tutta la storia di Gesù e il modo con cui egli si è presentato (...) Ciò non toglie che Giovanni ci mette di fronte a una istituzione che ha perso l'occasione provvidenziale in vista della quale era sorta.
Si pone qui un problema gravissimo, quello della possibilità che un'istituzione religiosa decada: si leggono ancora i testi sacri, però non sono più compresi, non hanno più forza, accecano invece di illuminare.
Molte volte ho insistito sulla necesstà di giungere a superare le tradizioni religiose quando non sono più autentiche. Solo la parola di Dio, rappresentata qui da Gesù, è normativa e capace di dare chiarezza».
C.M. Martini, Le tenebre e la luce, 76-77

Il valore profetico della misericordia. Quei gesti che testimoniano la grandezza della vita 
di Jürgen Moltmann
Vi sono strutture della misericordia? Finora abbiamo considerato la misericordia, secondo il suo contenuto letterale, solo nella pietà personale e spontanea verso i bisognosi. Ma la misericordia funziona solo nell’ambito personale? Il vescovo brasiliano dom Hélder Câmara una volta ha detto: «Quando provavo pietà per i poveri, mi si lodava e mi si chiamava santo. Quando chiedevo pubblicamente perché i poveri sono tali, mi si insultava e mi si chiamava comunista».
Se vi sono leggi inumane e strutture asociali, vi sono anche leggi umanamente giuste e strutture socialmente eque. Dunque vi sono anche strutture misericordiose o meno. Le prime comunità cristiane non affrontavano la povertà solo individualmente come il “samaritano misericordioso”; praticavano la nota comunione dei beni protocristiana che ancora oggi vige negli ordini cristiani dei monaci e delle suore: «Non c’era infatti tra loro alcun bisognoso» (Atti, 4, 34). La comunità originaria di Gerusalemme aveva ordinato persino «sette assistenti ai poveri» (Atti, 6, 3) che si prendevano cura di vedove e orfani privi di diritti e indifesi. A quanto pare alcune comunità si prendevano cura non solo dei propri poveri, ma - come constatavano i contemporanei ammirati - anche di vedove e orfani dell’intera città. In entrambi gli istituti riconosciamo le radici cristiane della solidarietà. La solidarietà qui si può riconoscere come fedeltà comunitaria: non lasciamo che nessuno cada, ma ci preoccupiamo di tutti quelli che appartengono a noi. Ma vediamo anche una solidarietà aperta verso tutti i miseri della città o della società. Di fronte alle chiese medievali sedevano sempre molti mendicanti in modo che i pii fedeli potessero esercitare verso di loro le buone opere di misericordia e raccogliere per sé un tesoro nei cieli. Certo, nelle società medioevali vi erano anche fratellanze per compiere le sette opere di misericordia. (...)
Quando sentiamo la parola misericordia, pensiamo solitamente all’uomo misericordioso, non all’uomo misero. Come si sentono i poveri che sono affidati ai buoni doni dell’uomo misericordioso? Come si sentono i disoccupati e senzatetto che dipendono dalle mense e da un luogo caldo nelle chiese? Se la misericordia viene dall’alto verso il basso, essi si sentono doppiamente umiliati. Dare è un bene, accettare è più difficile. Per questo appartiene alla pietà sempre anche il riconoscimento della dignità dell’uomo e il rispetto di fronte all’amore di sé del bisognoso. L’aiuto migliore è

 

Anche il Piccolo Principe legge la Bibbia
di Alessandro Zaccuri 


(...) Interessante senza dubbio "Il Piccolo Principe commentato con la Bibbia" (editrice Ancora). Traduce, con bella misura, Vincenzo Canella, mentre il vasto apparato di note e citazioni è allestito da Enzo Romeo, che nel 2012 aveva pubblicato presso lo stesso editore un suggestivo profilo spirituale di Saint-Exupéry. (...). «Non ho trovato ciò che cercavo – annotava Saint-Exupéry nella prima stesura di Corriere del Sud –. Era, Signore, qualcosa d’altro, molto lontano, nel fondo di me stesso». Sono questi fondali che Romeo ha deciso di esplorare, allineando una serie impressionante di corrispondenze tra la Scrittura e la favola del fanciullo misteriosamente approdato sulla Terra. Una rete fittissima, che si rivela fin dalla prima pagina del racconto, nella quale l’aviatore-narratore disegna un boa straordinariamente simile al serpente del Genesi così come Michelangelo lo ritrae negli affreschi della Cappella Sistina.
Ma le analogie non riguardano soltanto il bestiario del Piccolo Principe, con le pecore che rinviano alla parabola evangelica del pastore e la volpe che diventa il simbolo della tenerezza di Dio verso l’uomo («Io li traevo con legami di bontà, con vincoli d’amore» è il versetto di Osea rievocato da Romeo). In molti casi la sovrapposizione delle immagini risulta pressoché perfetta. Succede con il personaggio