Instagram, un algoritmo capisce se siamo depressi in base a foto e filtri - Realizzato dall’università di Harvard è preciso al 70 per cento
di Alessio Lana
Dimmi che foto posti e ti dirò chi sei. Non è un segreto che parole e immagini che condividiamo in Rete svelano molto di noi e della nostra personalità ma se a interpretarle è un algoritmo ecco che la cosa si fa interessante. Ricercatori dell'università di Harvard e dell'Università del Vermount hanno creato un software complesso in grado di svelare segni di depressione a partire dalle foto che postiamo su Instagram. Grazie a una serie di complessi strumenti di machine learning, la capacità delle macchine di imparare da stimoli esterni un po' come fanno gli umani, l'algoritmo deduce lo stato mentale di una persona vagliando i colori, scannerizzando le facce e analizzando i metadati di ogni fotografia postata su un profilo. E il bello è che funziona. Stando allo studio, dopo aver vagliato 43.950 foto da 166 utenti differenti, l'algoritmo è stato in grado di riconoscere i depressi con una precisione del 70 per cento, scovando perfino chi ancora non sapeva di esserlo. Va detto che, come ogni ricercatore serio, anche quelli che hanno condotto questo studio invitano alla cautela. Il loro sistema non è pensato per dare una diagnosi definitiva ma può aiutare a trovare chi soffre di depressione in modo automatico, segnalando magari all'utente di farsi controllare. (...)
Corriere della Sera, 19 agosto 2016

Qui trovi l'omelia completa del card. Carlo Maria Martini alla Dedicazione della chiesa Kolbe, il 27 ottobre 1996: http://www.incamminoinsieme.it/kolbe.asp

Dalla violenza dei trafficanti alle barricate di Goro
di Raffaele Masto
Dodici donne e otto bambini. Sono loro “i profughi” contro cui hanno fatto le barricate alcuni abitanti di Goro. Donne e bambini provenienti da Costa D’Avorio, Guinea ma in maggioranza dalla Nigeria.
Sono i classici migranti dell’Africa Occidentale che ingrossano la cosiddetta rotta mediterranea. Le nigeriane di solito arrivano da Benin City, megalopoli vicina alla capitale economica Lagos, un vero e proprio serbatoio di donne nigeriane che poi i trafficanti avviano alla prostituzione ricavandoci grandi profitti. Molte vengono ingannate da un fidanzato complice dei trafficanti, molte scappano dalla miseria, da una vita che non offre nessuna chance, altre fuggono dal Delta del Niger, regione tra le più violente al mondo, con una guerra strisciante e perpetua e inquinata pesantemente dalle grandi compagnie petrolifere. Altre ancora dal Nord, dalle zone dove opera la surreale setta di Boko Haram.
Tutte in fuga. Per uscire dal loro Paese senza un visto di ingresso in nessun altro, si mettono in mano a bande di trafficanti che estorcono denaro con minacce, finti giuramenti voodoo, con il sequestro dei passaporti che poi verranno venduti ad altri trafficanti. Poi alle porte del deserto altri trafficanti, ancora più crudeli, ancora più 

«Ci sono diversi tipi di riunioni ma, in una comunità, hanno tutte lo stesso scopo: la comunione, la costruzione di un corpo, la creazione di un senso di appartenenza.
Poco importa che ci siano pochi o tanti affari da trattare, tutto serve in funzione dello scopo finale: riunirsi nell'amore».
Jean Vanier, La Comunità. Luogo del perdono e della festa, 320.
«Dio non è noioso. La Messa invece...» 
(...) Dice p. Ermes Ronchi: «Vedo che molti cristiani anche consapevoli e impegnati disertano le liturgie, dove si consuma il sacro, il fatto religioso, ma non si consegna speranza ai fedeli». Sono «celebrazioni senza patos, senza sorrisi, e noiose. Eppure Dio non è noioso! Credo che le chiese si svuotino per noia e per stanchezza; non per contestazione di dottrina o accuse alle istituzioni, non per scandali ma per stanchezze; non per i drammi della vita o per il rifiuto di Dio, ma per noia. Dio può morire di noia nelle nostre chiese». Il servita Ermes Ronchi cita il servita David Maria Turoldo: «Dio, ucciso dalle nostre mestissime omelie». La liturgia viva, ricorda Ronchi, «incide il cuore». (...) Un colpo di vento verso il futuro, che insegna respiri, apre sentieri. E libera». «Una liturgia – conclude Ronchi – è sana quando è bella, senza sciatteria. Una sobria bellezza: che significa semplificare la nebbia di parole, il linguaggio da prontuario, l’ovvietà riciclata, e andare al nocciolo, al cuore semplice della fede».
in “Avvenire” del 23 agosto 2016


Scegliere di star fermi è già un tornare indietro.
don Chisciotte Mc

Un’etica che è già estetica 
di Raul Pantaleo 
Progettare in zone di crisi secondo l’esperienza che ho maturato con l’organizzazione umanitaria Emergency (www.emergency.it) significa saper coniugare, anche in contesti difficili, etica ed estetica; dare risposte pratiche all’emergenza ma anche porre la questione di cosa l’edificio rappresenti in quei luoghi, quindi si deve parlare di bellezza o meglio di quello che preferiamo definire: «bellitudine» (una parola nata per caso da un errore diventato poi per noi un programma).
La «bellitudine» è qualcosa di diverso dalla bellezza, è una parola «sporca», imperfetta, che accoglie le asperità della vita, non ha l’eterea distanza della bellezza. La «bellitudine» sintetizza quello che per noi significa coniugare etica ed estetica.
Ci si stupisce sempre quando si parla di bellezza in progetti d’emergenza come quelli realizzati da Emergency, in realtà ci si dovrebbe stupire del contrario, del perché un ospedale in Africa, in un luogo di guerra, o in una tendopoli post terremoto non dovrebbe essere bello? Non vi è alcun motivo razionale alcuna giustificazione pratica. È semplicemente una questione di cultura e attenzione.
Per questo ci piace parlare di «bellitudine» perché la parola bellezza è troppo «scivolosa», chi decide cos’è bello o meno, in base a quale criterio?
«Bellitudine», invece, si toglie da questa secolare disquisizione, è qualcosa d’altro, più sottotono, modesto: è semplicemente cura delle cose, dei dettagli, delle proporzioni, amore delle persone, in sintesi rispetto. Dal rispetto non può che nascere qualcosa di bello, non può essere altrimenti.
Si è discusso per secoli di bellezza. Alla fine se ne è parlato talmente tanto che ci siamo dimenticati di cosa sia veramente la bellezza. Allora, inventare una nuova parola ci toglie d’impaccio e ci permette di tornare a parlare di bello senza tanti patemi. In questa prospettiva i progetti «belli» partono da un principio di giustizia. Partono dal presupposto che stare in un luogo, pulito, curato armonioso, anche creativo sia una sorta di diritto.
Non è una questione di costi ma di cultura. La progettazione in zone di crisi ha a che fare con il futuro e non si può che immaginarlo migliore del presente, non avrebbe senso pensarlo altrimenti. Il futuro ha il respiro ampio dell’utopia non ha nulla a che fare con l’emergenza, deve superarla e basta.
Sono utopie molto concrete: tre alberi in un campo profughi in mezzo al deserto, una parete colorata nel mezzo del grigio di una periferia, un edificio pulito nel mezzo del degrado che sia il post terremoto o il campo profughi, aiuterà le persone ad uscire dalla crisi, dalla disperazione, l’architettura aiuta ad immaginare un futuro (possibilmente migliore). La «bellitudine» diventa così pratica concreta nei progetti di Emergency, parte dal rispetto delle persone, dei loro diritti di vivere in un luogo accogliente che sia nell’ultima delle periferie, in un campo profughi, o in mezzo alla nuova povertà.
in “il manifesto” del 27 agosto 2016

Attento a ciò che dici e a come lo dici: stai manifestando chi sei.
«La bocca parla dalla pienezza del cuore» (Mt 12,34)

Non ha rispettato nemmeno la regola delle “quote rosa”, quelle a salvaguardia della parità di genere.Monsignor Fausto Tardelli, 65 anni, vescovo di Pistoia, ha sparigliato tutte le carte con una mossa originale e ha costituito, con decreto canonico, un “Consiglio speciale” formato da sole donne. Sono dodici, come i dodici apostoli o le dodici tribù d’Israele. Dovrà offrire pareri e suggerimenti sulla vita della diocesi, aiutando in questo modo il vescovo nel suo ministero episcopale. Qualcuno la potrà anche giudicare mossa d’assalto o bizzarra o eccentrica. In realtà il vescovo Tardelli ha soltanto colto l’essenziale di una situazione e ha aperto un (continua:
http://www.famigliacristiana.it/articolo/in-diocesi-di-pistoiale-donne-del-vescovo.aspx

Dedicato a voi che saltavate (o saltate) la corda! Le meraviglie della creatura umana!
 


O Padre, che ascolti sempre la voce dei tuoi figli,
ricevi il nostro umile ringraziamento,
e fa’ che in una vita serena e libera dalle insidie del male
lavoriamo con rinnovata fiducia all’edificazione del tuo regno.
Per Cristo nostro Signore. Amen.

Dario Fo: sono un ateo di Dio 
di Paolo Foschini 
Diciamolo subito. Se avete in mente il Bonifacio VIII del Mistero buffo , che diceva «attento te...» e mimava di inchiodare per la lingua chi gli pestava il mantello; o il famoso remagio «negro, ma così negro come non s’era mai visto un negro», che per tutto il viaggio verso la grotta cantava «Occhebèl ch’è andare sul camèl» mentre «el remagio vecio ghe urlava basta, bastaaa!» ; o il gramelot sulle piume dell’arcangelo Gabriello, o l’ironia su Caino e Abele che in realtà il cattivo era buono eccetera: ecco, allora sappiate che questo libro su Dario e Dio scritto a quattro mani da Dario Fo con la giornalista Giuseppina Manin (Guanda) non potrà mai eguagliare il riso profondo che il premio Nobel ha saputo regalarci da mezzo secolo in qua recitando quei testi in teatro. Ma se siete curiosi di scoprire qualcosa sull’anima intima, le certezze ma anche i dubbi, le paure ma anche l’incantamento di fronte all’universo, di un «ateo convinto» che compirà 90 anni tra 12 giorni, allora leggetelo. Forse resterete sorpresi come lui quando a volte — dice — cammina in un bosco o guarda la meraviglia del cielo: «No che non esiste. Non ci credo. Però...».
Perché l’altra cosa che si può subito dire è che Dario Fo ci avrà anche scherzato tanto ma, forse proprio per questo, di cose su Dio un po’ ne sa. Le prime delle quali imparate quando suo papà Felice, il ferroviere, e sua mamma Pina, la contadina, per quanto «atei e laici fino al midollo», lo avevano 

Anche questa volta Crozza ha fatto centro: è pieno il web di personaggi che parlano, commentano, scrivono... ma non agiscono.

Un breve video di una risata che ha coinvolto papa Francesco e il primate anglicano Justin Welby testimonia la confidenza e il clima di amicizia tra i capi delle due grandi chiese cristiane.  "Sai quale è la differenza tra un liturgista e un terrorista? Con il terrorista puoi trattare...", avrebbe detto Welby. E il Papa è scoppiato a ridere, seguito dal primate anglicano.


Tu che abiti al riparo del Signore
e che dimori alla sua ombra
di al Signore mio Rifugio,
mia roccia in cui confido.
 
E ti rialzerà, ti solleverà
su ali d'aquila ti reggerà
sulla brezza dell'alba ti farà brillar
come il sole, così nelle sue mani vivrai.
 
Dal laccio del cacciatore ti libererà
e dalla carestia che ti distrugge
poi ti coprirà con le sue ali
e rifugio troverai.
 
E ti rialzerà...
 
Non devi 

Breve antologia di testi
di presentazione della AMORIS LAETITIA
come "questione di stile".

Essere se stessi. Autenticità 
di Nunzio Galantino 
«Imparerai a tue spese che nel lungo tragitto della vita incontrerai tante maschere e pochi volti» ( L. Pirandello). Il volto riflette l’autenticità... quando c’è! Da autòs («che sta a sé», «da sé», «senza concorso di altri»), l’autenticità è l’atto di riconoscere e attribuire carattere di verità a un gesto, a una persona, a un atto pubblico. Nell’Esistenzialismo, si riconosce autenticità all’esistenza di chi riesce a ritrovare se stesso, spendendosi dinanzi a delle possibilità, senza lasciarsi risucchiare nell’anonimato, nei luoghi comuni e nella retorica fine a se stessa. Ciò fa dell’autenticità una vera e propria conquista, che impegna e dà senso all’esistenza. Si sente sempre più spesso, ai nostri giorni, parlare di «etica dell’autenticità», basata sull’idea che il solo metro valido per le scelte del singolo sia la fedeltà/corrispondenza tra le proprie scelte o azioni e le proprie aspirazioni più profonde. Una tale “etica della responsabilità” è frutto della lotta ingaggiata contro i condizionamenti esteriori ed è frutto dell’aver posto il proprio centro nell’obbedienza al comando della ragione. Ma quale ragione? Non certo la 

Preghiera dal Kenya -  Dio nostro Padre, ti ringraziamo per il dono della fede. Riconosciamo che è un dono da vivere e da condividere. Ti ringraziamo per tutte le persone che nutrono e fortificano la nostra fede, e ci portano l’amore di Dio con la loro vita e le loro parole. Ti ringraziamo per le donne e per gli uomini che vanno alle periferie del nostro mondo. Essi mettono a disposizione i loro talenti per promuovere la solidarietà, la dignità umana e la fraternità. Ti chiediamo di fortificarci in questo Anno Santo della Misericordia. Fa’ che essa pervada tutta la nostra vita e accenda in noi il desiderio dell’annuncio del vangelo a coloro che ancora non ti conoscono. Benedici la comunità di tutti i credenti. Manda il tuo Santo Spirito su coloro che hanno delle responsabilità nella Chiesa e tutte le persone di buona volontà. Te lo chiediamo per Cristo nostro Signore. Amen.