Nel 2010 il battesimo è online

Nel milanese una vera parrocchia 2.0

Il battesimo in diretta web. Da un paio di mesi nella parrocchia Spirito Santo di Corsico, periferia Sud di Milano, i sacramenti possono essere mandati in streaming sulla rete. Un'iniziativa creata per consentire a chi non può recarsi in chiesa perché distante o malato di assistere ai riti religiosi dei propri cari. Tutto grazie a una web tv e a un sito realizzato dal parroco, don Carlo Pirotta, autodidatta perché “non avevamo soldi".

"Ci ho messo un anno per capire come fare” dice l'ecclesiastico di 54 anni che prima si occupava, per dirla con le sue parole, “di una sorta di zingaraggio nei Paesi dell'Europa dell'Est”. Tradotto: svolgeva progetti in cooperazione con la Caritas ambrosiana mirati al sostegno di case di accoglienza per minori o alla riabilitazione di soggetti affetti da disturbi psichiatrici.

Il battesimo in streaming, come è nata l'idea?

È stato un processo graduale. Prima della celebrazione del rito chiedo il consenso a chi verrà ripreso. Durante il battesimo di un bimbo filippino i parenti hanno potuto assistere al rito da casa propria nelle Isole Filippine. Comunque, non mandiamo online solo eventi lieti: abbiamo inviato anche le riprese di un funerale perché alcuni familiari del defunto non potevano essere presenti. C'è anche la possibilità di guardare i video in podcasting per vedere il filmato in base ai propri orari.

Quali altre iniziative per gli internauti?

Si possono scaricare in internet i moduli per la richiesta di battesimo e la domanda di matrimonio. Sia io che la Parrocchia abbiamo un profilo su Facebook. C' è anche una newsletter mensile per tenere aggiornati i fedeli sulle varie attività. È un meccanismo che si implementa di giorno in giorno per venire incontro a esigenze pratiche.

Crede che sia un modello esportabile o è molto legato al territorio?

Il contesto sociale parrocchiale è stato molto recettivo. In ogni caso, gli strumenti sono utili se si sfruttano in maniera appropriata . La comunicazione telematica non è l'unico mezzo per favorire la catechesi, è solo uno dei tanti che possono essere impiegati. Comunque, altri preti mi hanno chiesto informazioni perché vorrebbero seguire l'esempio.

Tante iniziative anche per i fedeli stranieri, si celebra la messa in quattro lingue
Dal «Prologo al commento del Profeta Isaia»

di san Girolamo


Adempio al mio dovere, ubbidendo al comando di Cristo: «Scrutate le Scritture» (Gv 5, 39), e: «Cercate e troverete» (Mt 7, 7), per non sentirmi dire come ai Giudei: «Voi vi ingannate, non conoscendo né le Scritture, né la potenza di Dio» (Mt 22, 29). Se, infatti, al dire dell'apostolo Paolo, Cristo é potenza di Dio e sapienza di Dio, colui che non conosce le Scritture, non conosce la potenza di Dio, né la sua sapienza. Ignorare le Scritture significa ignorare Cristo. Perciò voglio imitare il padre di famiglia, che dal suo tesoro sa trarre cose nuove e vecchie.


(1.2: CCL 73,1-3)






Van De Sfroos - Il Duello

Un pàss... un pàss... e pö un oltru pàss, / capèll sbassàa sö i öcc, pistola giò in bàss,

la geent la fiàda piö e l'ha cambiaa l' culuu / de che a ciinq menütt se spàra suta el su...

L'aria l'è ferma e trèmen anca i sàss / düü omen ne la via hann decidüü de cupàss

fiulitt a bùca verta che tègnen fermu el càn / el becamòort el vàrda e intaant el frèga i mànn

"Te spari per la Juve e per la partìda a scùpa e vàrdum drizz in fàcia, sun quèll che te cùpa!

E prèma de sparàtt te en dìsi ammo' vöena: ieer sìra al burdèll ho incuntraa la tua dòna".

"Parla pirla... che fra un pö te pàrlett piö, te màndi all'infernu cul vestii che te gh'eet sö

e dighell al demòni quaand te la dumànda: - A quell che m'ha cupaa, gh'eri sfrisaa la Pànda".



"CORRETE! CORRETE! I hènn dree a fà el düell / l'è mej de la pàrtida e de quaand gh'era el carusèll

Mariangela mövess che g'hann el culp in càna / registra tücoos che gh'el vèndum al Mentana"

"Preparess che tra un àttim la pistòla la vùsa... / el tò fiöö a l'è un drugaa... el ruvìna la mia tùsa!"

"Seet te che in sö i öcc gh'eet i fètt de sàlamm: la tua tùsa l'è cumè la credenza dle pàn!

Te seet sempru ciucch, te steet gnànca in pee, ma taant adèss te'l lèvi me el pensee

La mia pistòla spàra e la fa mea parè l'è mea un cioo cumè queèll che gh'eet scià te!

"CORRETE! CORRETE! I hènn dree a fàss la pèll, per che che g'ha prublemi gh'è pruunt el sgabèll

Madòna che tensiòn, l'è pègiu de un parto gh'è in giir i lüsèert che i ciàpen l'infarto"

I mànn currèn in prèssa, ma i ciàpen mea la pistòla / i tìren fö tücc düü de culpu el Motorola

la geent capìss nagòtt, la vàrda scià de là. / Cume mai i pistoleri i henn dree a telefunà?

"A l'era la mia dòna, me sà che g'ho de nà / a l'è incazzàda negra, l'è pruunt de mangià.

El fèmm un'oltra vòlta, anca mè g'ho de scapà, / l'è el cumpleànn de quèll penènn, se sun desmentegaa."

"Sole, fermati in Gabaon e tu, luna, sulla valle di Aialon", grida Giosué per completare una delle sue vittorie. Si arresti l'universo, lui non può fermarsi. "E si fermò il sole e la luna ristette": gli uomini della Bibbia chiedevano molto e molto era chiesto loro da Dio. La loro intesa veniva da una scelta reciproca e irrevocabile, una necessità di essere, l'uno per l'altro, Dio di un popolo e popolo di un Dio. Il loro scambio geloso piegava l'universo secondo un disegno allora nitido e oggi invisibile.

Erri De Luca, Una nuovola come tappeto, 74-75

Famiglia cristiana e il miracolo delle lingue

di Giancarlo Zizola

Una critica delle nequizie del dispotismo politico, come quella di Famiglia Cristiana, sarebbe difficile da comprendere fuori di un approccio profetico, cioè sulla sola linea in cui la Chiesa può prendere seriamente le distanze dalle logiche del mondo in ragione della propria identità spirituale. È l'opposto della "pornografia mediatica", l'ingiuria lanciata sul settimanale del cattolicesimo popolare in Italia da tecnici del porno di Stato e da scienziati della denigrazione politica. Il compito profetico è una delle prerogative battesimali del "popolo di Dio". Ha spinto in ogni tempo i cristiani all'obiezione agli idoli imperiali, dai Cesari a Hitler, al fascismo e al comunismo (...) Il vero scandalo, tuttavia, è che la libertà di una testata cattolica abbia fatto scandalo. (...) Si ha l'impressione che un riflesso autoritario produca in alcuni un tale timore della libertà dello Spirito che il solo sospetto che qualche fiammella scenda sulla testa di qualche cristiano basti a scatenare la voglia di chiamare d'urgenza i vigili del fuoco per stroncare la nuova Pentecoste e il miracolo delle lingue, cioè della libertà, da cui la Chiesa era sorta. Una visione gregaria della comunità ecclesiale ripugna anche a Ratzinger, di cui torna pertinente un testo del 1971 : «La vera obbedienza non è quella degli adulatori, chiamati falsi profeti dalla profezia genuina dell'Antico Testamento. Non è di quelli che evitano ogni ostacolo e urto, che pongono al di sopra di tutto la garanzia della propria comodità. Ciò che manca alla Chiesa di oggi (e di tutti i tempi) non sono i panegiristi dell'ordine costituito, ma gli uomini nei quali l'umiltà e l'ubbidienza non sono minori della passione per la verità, gli uomini che danno testimonianza nonostante ogni possibile travisamento ed attacco, gli uomini in una parola che amano la Chiesa più della comodità e della tranquillità del proprio destino». FC non è sola a vivere di questa passione. Essa è parte di una multiforme realtà, una vasta rete di riviste, settimanali diocesani, agenzie d'informazione, testate missionarie, siti e fogli di ordini e congregazioni religiose, di associazioni e movimenti, prestigiosi quindicinali e mensili culturali diffusi capillarmente e radicati nel territorio. Insieme informano, educano, narrano il mondo alla Chiesa e la Chiesa al mondo. Spesso trivellano i sottosuoli della fede cristiana, per portare in superficie le facce della Terra più violentate e più oscurate, ma anche quei pezzi di realtà ecclesiale meno visibili che vivono il disagio di una Chiesa (...). L'obiettivo è la promozione di una cultura dei valori senza i quali, diceva Wojtyla, «la democrazia si converte facilmente in un totalitarismo aperto oppure subdolo, come dimostra la storia». Sulla stessa linea Benedetto XVI nella enciclica «Deus caritas est» impegnava la Chiesa a offrire attraverso la formazione etica un contributo specifico, «affinché leesigenze della giustizia diventino comprensibili e politicamente realizzabili». (...) Colossale dunque l'abbaglio di quanti, di fronte all'indipendenza delle scelte politiche di FC, hanno tentato l'operazione di separarla dalla Chiesa gerarchica. Tanto più se si pondera il dato che il suo editore
Neanche per un istante metterei mai in discussione che è all'affetto che siamo debitori dei nove decimi della felicità salda e duratura di cui ci è dato godere nell'arco della nostra esistenza terrena (p. 73).

Chi non riesce a concepire l'amicizia come un affetto reale, ma la considera soltanto un travestimento, o una rielaborazione, dell'eros, fa nascere in noi il sospetto che non abbia mai avuto un amico (p. 81).

Lewis C. S., I quattro amori

Oltre la sporcizia

di Carlo Maria Martini

Manchiamo di riferimenti? È una frase che spesso si sente dire, con malinconia o con un senso di frustrazione, soprattutto se riferita ai giovani. Li si accusa (e in qualche modo anche ci si scusa) di non essere capaci di cogliere nella nostra società adeguati modelli di vita. Sentiamo la colpa di non aver saputo noi stessi indicare tali modelli. Abbiamo offerto piuttosto modelli di vita spensierata, di società dove i massimi valori sono successo e guadagno, o addirittura sopruso e menzogna. Da ciò ne segue un senso di smarrimento e una sfiducia nelle istituzioni, una sorta di anarchia dello spirito, che induce alla rassegnazione e al pessimismo su tutto il creato. Quando qualcuno sbaglia con errori che non sono solo da attribuire alla incapacità e all'errore personale ma sono come vere distruzioni del bene comune, a favore di un vantaggio privato, tutti ne ricevono una sgradita impressione e si domandano se esista davvero la possibilità di favorire un progetto comune. Quando poi tali gesti divengono in qualche modo maggioritari, la società si corrompe dall'interno e non è più capace di tenere insieme le persone. Si creano dei gruppi contrapposti che possono essere tra loro in completa disarmonia, fino a mettere in pericolo la capacità di collaborare anche nelle cose più essenziali. Il discorso che vale per una società vale anche per i gruppi religiosi. Quanto abbiamo sofferto tutti nella Chiesa Cattolica quando ci siamo resi conto della ipocrisia che era tra noi e della «sporcizia» di alcuni dei nostri fratelli. Ma ciò che ci ha rattristato è il fatto che i vescovi siano stati tutti accusati, o almeno sospettati, di coprire questi delitti. La Chiesa tutta ne ha subito una grande umiliazione. Essa ci aiuterà ad essere sommamente vigili in questo campo e a mettere in atto quelle strategie che possono far capire quali sono le inclinazioni di coloro che si rendono disponibili per un servizio alla comunità. Con questo non intendiamo aderire al pessimismo di chi dichiara di non avere più alcuna stima dei preti o dei religiosi e di non valutare positivamente il loro servizio. Ma tali comportamenti fanno sì che non si dia fede a quanti dicono di voler servire fedelmente il bene comune e non siano facilitati i comportamenti. Ma l'uomo non si rassegna mai al vuoto e ha perennemente bisogno di qualcuno o di qualcosa che gli dia entusiasmo e volontà di camminare anche su itinerari imprevisti o faticosi. Il vero problema non è dunque la mancanza di riferimenti, ma l'incapacità ad orientarsi verso i valori autentici. Possiamo domandarci se in altri tempi ci sia stata una analoga visione pessimistica. Dobbiamo riconoscere che è così. Ogni civiltà attraversa dei tempi oscuri, in cui pare che trionfino solo i malvagi, gli sfruttatori. Ma questo non è un motivo per dire che non esistono più profeti o testimoni. L'importante è cercarli con pazienza perché un profeta è sempre imprevedibile e non si trova nella melassa del sentire comune. Dobbiamo accettare di vivere in questa nebbia, ma sapendo che il Signore non ci abbandona e che ci sono tanti santi e testimoni anche nel nostro tempo. È ciò che ci si attende dagli educatori: aiutare a scoprire l'energia dello Spirito che ancora oggi è presente e ci vuole portare con efficacia a contemplare tutte le cose da un punto di vista superiore. In tutto questo processo sono responsabili soprattutto gli educatori, la cui opera deve aiutare gli uomini a scoprire i giusti valori. Si contrasta così il malessere diffuso dai media che spesso esagerano o danno troppo rilievo a singole situazioni negative.


in “Corriere della Sera” del 19 settembre 2010


Affermo davanti a tutti i naviganti che la moto BMW GS 1150 Adventure ritratta nelle foto degli album di questo sito è MIA, di MIA proprietà, intestata a ME.

Ce l'ho fatta a dirlo! Non mi sembrava una fatica così grande!!


don Chisciotte

 

Difendiamo la bellezza.


Peppino Impastato

Facile ironia 1: se ad uno che è stato sfiduciato dalla sua società danno quaranta milioni di euro, figuriamoci cosa bisognerebbe dargli se avesse lavorato bene e godesse di ottima fiducia!

Facile ironia 2: quando mi toglieranno la "fiducia" relativa ai miei incarichi, potrò godere di un trattamento analogo?!


don Chisciotte

 

Dalla «Lettera a Proba» di sant'Agostino

La raccomandazione dell'Apostolo: «In ogni necessità esponete a Dio le vostre richieste» (Fil 4, 6) non si deve intendere nel senso che dobbiamo portarle a conoscenza di Dio. Egli infatti le conosceva già prima che fossero formulate. Esse devono divenire piuttosto maggiormente vive nell'ambito della nostra coscienza. Esse, poi, devono contare su un atteggiamento fatto di fiduciosa attesa dinanzi a Dio, più che ambire la manifestazione reclamistica dinanzi agli uomini.

Stando così le cose, non è certo male o inutile pregare a lungo, quando si è liberi, cioè quando non si è impediti dal dovere di occupazioni buone o necessarie. Però anche in questo caso, come ho detto, si deve sempre pregare con quel desiderio. Infatti il pregare a lungo non è , come qualcuno crede, lo stesso che pregare con molte parole. Altro è un lungo discorso, altro uno stato d'animo prolungato. Consideriamo come del Signore stesso sia scritto che passava le notti in preghiera, e che nell'orto pregò a lungo. Ed in ciò, che altro intendeva, se non darci l'esempio, egli che nel tempo è l'intercessore propizio, mentre nell'eternità è , insieme al Padre, colui che ci esaudisce?

Sappiamo che gli eremiti d'Egitto fanno preghiere frequenti, ma tutte brevissime. Esse sono rapidi messaggi che partono all'indirizzo di Dio. Così l'attenzione dello spirito, tanto necessaria a chi prega, rimane sempre desta e fervida e non si assopisce per la durata eccessiva dell'orazione. E in ciò essi mostrano anche abbastanza chiaramente che non si deve voler insistere in un prolungato sforzo di concentrazione, quando si vede che non può durare oltre un certo tempo, e d'altra parte non si deve interrompere alla leggera o bruscamente la preghiera, quando si vede che la presenza vigile della mente può continuare.

Lungi dunque dalla preghiera ogni verbosità, ma non si tralasci la supplica insistente, se perdura il fervore e l'attenzione. Il servirsi di molte parole nella preghiera equivale a trattare una cosa necessaria con parole superflue.

Il pregare consiste nel bussare alla porta di Dio e invocarlo con insistente e devoto ardore del cuore.

Il dovere della preghiera si adempie meglio con i gemiti che con le parole, più con le lacrime, che con i discorsi. Dio, infatti, «pone davanti al suo cospetto le nostre lacrime» (Sal 55, 9 volg.), e il nostro gemito non rimane nascosto (cfr. Sal 37, 10) a lui che tutto ha creato per mezzo del suo Verbo, e non cerca le parole degli uomini.


(Lett. 130, 9, 18 - 10, 20; CSEL 44, 60-63)

"Eppure io continuo a credere che se ci fosse silenzio, se tutti facessimo un po' di silenzio, si potrebbe capire qualcosa..."


Roberto Benigni, nel film "Le voci della luna"

La coppia senza fine

di Massimo Gramellini

Ieri Sandra Mondaini e Raimondo Vianello hanno finito di morire. Avevano cominciato cinque mesi fa, quando si era esaurito il polo maschile della coppia.

Da quel momento la conclusione era nota: nessuna pila può funzionare con un polo solo. La salute precaria dell'attrice ha accelerato l'opera di ricongiungimento, altrimenti dovremmo concludere che chi sopravvive al proprio coniuge non lo abbia amato davvero. Eppure molti di noi conservano nell'album di famiglia una storia simile. Nel mio c'è una nonna romagnola che comandava il marito a bacchetta ed era così anticonformista nei gesti e autonoma nei giudizi che quando il nonno se ne andò a poco più di sessant'anni, tutti pensarono che per lei sarebbe stato l'inizio di una seconda vita. Invece l'anno dopo lo aveva già raggiunto nel paradiso dei borbottoni. Evidentemente era quell'uomo a trasmetterle l'energia che le serviva per tiranneggiarlo, ma anche per amarlo con una purezza che di rado mi è poi capitato di riscontrare altrove.

Sandra e Raimondo - i veri divi televisivi non possiedono cognomi - hanno recitato a beneficio di un intero popolo la storia autentica dell'Amore Possibile, che non è mai un'emozione violenta e fuggevole, come nelle pubblicità, ma un sentimento lento, difficile, a tratti noioso («che barba che noia!») e però capace di creare una realtà nuova. Il Noi. Occorre fare chiarezza su questo punto, perché il romanticismo deteriore lo ha spolpato di senso. Creare il Noi di una coppia non significa distruggere i due Io che la compongono, annullandoli fino all'abbrutimento. Anzi, il Noi cresce e si fortifica solo in quelle unioni dove le individualità conservano intatta la loro forza. Il Noi non sostituisce gli Io. Li affianca. E' una terza entità autonoma e non va confusa neppure con i figli, tanto è vero che prospera in moltissime coppie sterili: Sandra e Raimondo ne sono una prova.

Gli amici dell'uno o dell'altro osservano il Noi dall'esterno e ne danno quasi sempre un giudizio negativo. Sembra loro che nella fusione i due Io ci abbiano rimesso troppo. Gli estimatori di Hillary Clinton, per esempio, considerano Billary (il Noi) una zeppa messa lì per rallentarle la vita. E quelli di Vianello imputavano a Sandra & Raimondo (il Noi) la mortificazione professionale dell'attore, destinato a diventare il Peter Sellers italiano se l'incontro con una donna che era l'esatto opposto della milanese radical-chic non ne avesse deviato il talento verso i facili denari della televisione berlusconiana. Ma è sbagliato giudicare il prossimo imprestandogli le proprie nevrosi. Se una coppia resiste nel tempo, specie in un tempo come questo governato dal demone della precarietà, significa che ha trovato un equilibrio sano. Ha sublimato le sue emozioni in sentimenti. Lungo le montagne russe della convivenza, quella coppia potrà litigare, tradire. Potrà persino lasciarsi. Ma non troppo a lungo e mai fino al punto di spezzare il cordino invisibile che la tiene insieme: il Noi che le tradizioni spirituali, religiose e no, indicano come il traguardo verso cui tendono naturalmente tutti gli esseri umani. Anche quando lo negano. Perché l'unità di Uomo non è l'uomo. E' la coppia. E nel loro piccolo, che poi tanto piccolo non è, gli sketch di Sandra & Raimondo saranno sempre lì a ricordarcelo.
Lo zio riprese a parlare per capire, non perché aveva già capito: «Fai bene ad informarti sul recente passato, è un tuo diritto e anche un interesse che altri tuoi coetanei non hanno. Però ho l'impressione che tu non lo faccia in modo sano. Insomma è buffo dirlo, ma mi sembra che tu voglia intervenire sul passato per correggerlo. Tu lo critichi con l'intento di cambiarlo, ma non si può. Nemmeno un Dio può più farci niente. E' già molto proteggere il presente dagli sbagli, non fare un male da dover riparare. E' molto anche se non basta: non aver fatto niente di male non risparmia la colpa. In momenti difficili che tu non hai conosciuto e non è detto che debba sperimentarli, in momenti difficili non fare niente di male è diventare complici del male».


Erri De Luca, Tu, mio, 109






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Mademoiselle Rosée tace. Tace, da alcune settimane in modo eloquente. Tace rumorosamente. Tace, ecco la parola giusta: religiosamente. Mademoiselle Rosée è passata senza accorgersene dall'amore per monsieur Gomez all'amore per Dio. Tutto questo è avvenuto con estrema dolcezza. La bellezza dei tulipani gialli non è forse estranea a questo cambiamento. Dio e monsieur Gomez hanno un punto in comune: nessuno dei due risponde all'amore di mademoiselle Rosée - ma con Dio resta una piccola possibilità. Monsieur Gomez, è certo, non lascerà mai sua madre. Dio è imprevedibile. Mademoiselle Rosée se ne va a pregare tutte le mattine alla cappella davanti alla nicchia scavata di Maria, sempre in viaggio. Tanto meglio. Mademoiselle Rosée ne ha abbastanza delle madri che covano i loro figli. Mademoiselle Rosée ama il ragazzo di Maria, cosa che non osserva nessuno, nemmeno Maria (pp. 76-77).

Parlami ancora di Dio, domanda monsieur Lucien a mademoiselle Rosée abbracciandole il collo. Avete una voce così dolce quando parlate di ciò che non esiste. Oh, ma caro il mio uomo, dice mademoiselle Rosée aggiustando la bretella del suo reggiseno, io non cerco di convincervi dell'esistenza di Dio. Se sapeste come poco gli importa che voi crediate in lui. Dio, caro il mio uomo, è tanto semplice quanto il sole. Il sole non vi chiede di adorarlo. Ci chiede soltanto di non fargli ostacolo e di lasciarlo passare, di lasciar fare. Un poco come Ariane in cucina, quando chiede ai bambini di andare a giocare un poco più lontano, per preparare questa pietanza che non prepara in fondo che per loro. Dio è così, caro il mio uomo. Ama vederci ridere e giocare. Di tutto il resto si occupa lui (p. 91).


Christian Bobin, L'amore è proprio una piccola cosa... con delle conseguenze meravigliose

Ci sono voluti 1800 anni (e i bersaglieri!) per "mollare" il "potere temporale";

ci sono voluti 140 anni per la "riconciliazione" con lo Stato.

Rapidi...


don Chisciotte

 

Prima lettura della messa di oggi, rito ambrosiano

Dalla prima lettera di san Pietro apostolo 5, 1ss

Carissimi, esorto gli anziani che sono tra voi (...): pascete il gregge di Dio che vi è affidato, (...) non come padroni delle persone a voi affidate, ma facendovi modelli del gregge.



Troppi, ancora troppi diaconi, preti (specialmente parroci) considerano loro proprietà le persone e le cose di una comunità cristiana, di una parrocchia, di una diocesi... della Chiesa tutta.

E si comportano come veri padroni che - appunto - spadroneggiano, decidendo tutto da soli, senza rispettare il popolo di Dio.

Volete degli esempi?! Togliete le fette di salame dagli occhi e li vedrete anche voi!!


don Chisciotte

Ricordi d'infanzia in fotocopia

di Mina

Presa visione della fotografia, il capufficio alzò lo sguardo. Cosa poteva mai significare quell'immagine sbiadita di una donna con un bambino per mano. E quell'uomo con quell'aria dimessa, chi poteva mai essere
da p. Silvano Fausti, "Per una lettura laica della Bibbia"



- La Parola bella e buona fa venire alla luce la nostra identità, nascosta e da sempre desiderata. p.53

- La relazione con Gesù, mettendo in gioco la verità dell'uomo, interpella la sua libertà. Lui stesso è amore di verità e libertà, verità nella libertà dell'amore e libertà nella verità dell'amore. Nessuno può restare indifferente a lui. La folla anonima, tra cui c'è il lettore/spettatore, è chiamata a dichiararsi. Lo si accoglie o rifiuta, si diventa suoi amici o nemici, si impara a vivere come lui o si decreta la sua morte. Solo l'ignoranza della posta in palio può far rifiutare il dono. p.54

- L'evangelizzazione non può che essere fatta con il Vangelo. [...] Solo leggendolo si impara a leggerlo. p.55

- Gesù è il soggetto che fa qualcosa per qualcuno che è privo di quella cosa. [...] Restituisce all'uomo la sua umanità.[...] La trasformazione che avviene nei miracolati è la stessa che la parola del racconto opera in chi legge: il loro incontro con Gesù diventa quello del lettore. p.55

- La Parola lascia il tempo per considerare e maturare; invita però, con una certa urgenza, al passo successivo. Ma [...] rispetta sempre la libertà dell'altro. p.56

- Mi accorgo che dentro di me, sotto cumuli di paure e strati di menzogne, c'è il volto di Dio: è la mia verità di figlio suo. La Parola è come il sole. Dissolvendo menzogne e paure, mi fa vedere la mia verità. p.66

- La Bibbia è un libro vivo, a scrittura aperta, dove ognuno innesta nel passato il proprio presente. p. 74

- La Parola depositata nel cuore di chi legge, è seme deposto nella terra: nonostante le difficoltà, risulta fecondo al di là di ogni attesa (Mc 4, 3-9). p.76

- La Bibbia, risvegliando la nostra sete di verità e amore, giustizia e libertà, ci fa il racconto "più bello" possibile di noi stessi: ci schiude a desideri sempre maggiori, aprendoci all'infinito, fino a farci desiderio d'Infinito. p. 78

- Il criterio per distinguere lo Spirito di Dio da quello di Satana, secondo Gesù, non è né l'amore, né lo zelo per lui, ma l'amore e lo zelo per "salvare le vite degli uomini". [...] "Chi non ama il proprio fratello che vede, non può amare Dio che non vede" (1Gv 4,20). Il segno distintivo della presenza di Dio è il frutto dello Spirito, che è "amore, gioia,pace, pazienza, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé" (Gal 5, 22). Chi  manca di una di queste caratteristiche, non ha lo Spirito di Dio. p. 98

Il successo sembra essere soprattutto una questione di resistenza quando gli altri hanno mollato.


William Feather
Le mani sporche sulla nostra tavola

di don Luigi Ciotti

Le notizie che ci vengono dal mondo dell'illegalità e del crimine suscitano in generale allarme e disgusto. Ma le pagine de L'ultima cena di Peppe Ruggiero sono tanto più inquietanti perché vanno a scavare dentro un tema che siamo abituati a considerare leggero, o comunque «innocuo»: quello del cibo. Raccolgono dati e storie allarmanti nella loro «normalità». Perché qui non si parla di sequestri e omicidi, né di traffici di droga o armi, e neppure della mafia trasversale dei «colletti bianchi», quella degli appalti, delle grandi operazioni finanziarie e del riciclaggio. Si racconta invece di una mafia che bussa direttamente alle nostre porte, entra nella nostra quotidianità. Quella «mafia» che «si aggiunge un posto a tavola», non invitata, per «mangiare» alle nostre spalle, speculando su ciò di cui nessuno può fare a meno: il cibo, appunto.

Seguendo Peppe nel suo insolito tour enogastronomico, scopriamo che può esserci un fondo d'illegalità nel caffè che gustiamo al bar, un retrogusto di truffa nei nostri pranzi di famiglia, un ingrediente indigesto nella pizza condivisa con gli amici. Scopriamo che le mafie «ce la danno a bere» - e a mangiare - grazie a infiltrazioni profonde e consolidate in vari comparti del settore agroalimentare. E che a tutto questo come consumatori paghiamo un prezzo doppio: in termini di soldi - perché il prezzo delle merci sale per assicurare un margine di interesse a più persone
Responsorio dopo la prima lettura dell'Ufficio delle Letture

della memoria liturgica di san Satiro, fratello di sant'Ambrogio (rito ambrosiano)




Sulle spoglie di Satiro il padre nostro Ambrogio così fece lamento:

«Ora a chi mi rivolgo? Il bove cerca il bove compagno del suo giogo: con muggiti frequenti dice tutto il suo affetto.

Posso io non cercarti poi che, aggiogati insieme, insieme trascinammo l'aratro della vita?

Tu più di me reggevi alla fatica, io più di te volevo sentirti a me vicino.



Tu,  restando  al   mio  fianco,  donavi  a  mia  difesa l'amore di un fratello e la cura di un padre.

Posso io non cercarti poi che, aggiogati insieme, insieme trascinammo l'aratro della vita?

Tu più di me reggevi alla fatica, io più di te volevo sentirti a me vicino».



Dal «Trattato sulla morte del fratello Satiro» di sant'Ambrogio, vescovo.


Ora, fratello, dove andrò e a chi mi rivolgerò? Il bue cerca il bue e pensa che gli manchi qualcosa e manifesta col frequente muggito il suo tenero affetto, se per caso viene a mancare il compagno con cui sotto il giogo era solito trascinare l'aratro; e io, fratello, non dovrei cercarti? O potrei mai dimenticarmi di te con cui ho sopportato sempre l'aratro di questa vita, meno resistente alla fatica, ma profondamente congiunto a te nell'amore, non tanto capace per le mie qualità, quanto sopportabile per la tua pazienza, mentre tu, sempre sollecito nel tuo tenero affetto, col tuo fianco proteggevi il mio, amoroso come un fratello, preoccupato come un padre, premuroso come un anziano, rispettoso come un giovane? Così, nel legame di un'unica parentela, tu mi rendevi i servigi di molti parenti, tanto che io rimpiango in te la perdita non d'una sola, ma di più persone amate, in te che solo ignoravi l'adulazione ed eri l'immagine dell'affetto fraterno. Nulla, infatti, avresti potuto aggiungere con la simulazione, perché tutto avevi compreso nel tuo amore, così da non poter accrescerlo né attenderne il contraccambio.

 





La Bibbia scende in strada:

per le vie di Milano si legge la nuova edizione pocket firmata Famiglia Cristiana


“Si fanno forti del loro agire perverso/si mettono d'accordo nel nascondere tranelli/invece di profumo ci sarà marciume/Una bruciatura invece di bellezza”. Eminem? No, il Salmo 64. Ma anche il Vangelo, l'Ecclesiaste e i Proverbi. La Bibbia diventa un rap, un brano di due minuti che ha tutte le carte in regola per diventare una hit radiofonica di successo. Per il momento sarà la colonna sonora dello spot radio ideato per il lancio della nuova Bibbia San Paolo in edizione tascabile che sarà in edicola in allegato a Famiglia Cristiana e in tutte le librerie a partire da giovedì 16 settembre, al prezzo di 7,90
Dall'intervista rilasciata dal Papa ai giornalisti che accompagnano la visita ufficiale in Gran Bretagna

Come è noto lo scandalo degli abusi sessuali ha scosso la fiducia dei fedeli nella Chiesa, come pensa di poter contribuire a ristabilirla?

«Innanzitutto devo dire che queste rivelazioni sono state per me uno choc, sono una grande tristezza. È difficile capire come questa perversione del ministero sacerdotale sia possibile. Il sacerdote nel momento dell'ordinazione, preparato per anni a questo momento dice sì a Cristo, accetta di farsi la sua voce, la sua bocca, la sua mano e servire con tutta l'esistenza perché il Buon pastore che ama, aiuta e guida alla verità sia presente nel mondo. Come un uomo che ha fatto e detto questo possa poi cadere in questa perversione è difficile capire, è una grande tristezza, una grande tristezza anche che la autorità della Chiesa non fosse sufficientemente vigilante e non sufficientemente veloce, decisa nel prendere le misure necessarie. Per tutto questo siamo in un momento di penitenza, di umiltà, di rinnovata sincerità, come ho scritto ai vescovi irlandesi. Mi sembra che adesso dobbiamo realizzare proprio un tempo di penitenza, un tempo di umiltà e rinnovare, reimparare l'assoluta sincerità. Quanto alle vittime, direi che tre cose sono importanti. Il primo interesse sono le vittime, come possiamo riparare, che cosa possiamo fare per aiutare queste persone a superare questo trauma, a ritrovare la vita, a ritrovare anche la fiducia nel messaggio di Cristo. L'impegno per le vittime è la prima priorità con aiuti materiali, psicologici e spirituali. Secondo è il problema delle persone colpevoli: ci vuole la giusta pena e bisogna escluderli da ogni possibilità di accesso ai giovani, perché sappiamo che questa è una malattia che la libera volontà non funziona. Ove c'è questa malattia quindi dobbiamo proteggere queste persone da se stesse, e trovare il modo di aiutarle, ed escluderle da ogni accesso ai giovani. E il terzo punto è la prevenzione e l'educazione nella scelta dei candidati al sacerdozio. Essere così attenti da escludere, secondo le possibilità umane, casi futuri».
Il rapporto dell'Istat - Sono un milione e 200 mila

Molestate in ufficio, 8 su 10 tacciono

Ricattate per l'assunzione o per fare carriera. Nel mirino impiegate e commesse

Postazione di un call center o salotto aziendale, per lei cambia poco. Dalla catena di montaggio a quella di comando, il risultato è simile: il luogo di lavoro è ancora, per lui, lo spazio ideale per liberare fantasie sessuali, proposte indecenti e tormentoni osceni. Per lei, di subire o (raramente) denunciare. Un milione e 224 mila donne, secondo Istat, è oggetto di violenza o pressione, in una gamma di umiliazioni che, dalla telefonata hard può raggiungere lo stupro. La consapevolezza d'essere in presenza di un reato ancora non aiuta, visto che, documenta l'Istat, l'80% delle vittime-lavoratrici non solo non denuncia ma addirittura neppure si confida, tenendo tutto per sé.

Le ragazze, ma anche le adulte molestate (giacché fascino e sopraffazione non hanno niente a che spartire), sono pari all'8,5% della forza lavoro femminile, incluse quelle che, al momento, sono escluse dal mercato, in cerca magari di un'altra assunzione. «In Italia il numero delle donne che subisce molestie sul luogo di lavoro è praticamente stabile dal 2002 - spiega Maria Giusi Muratore, ricercatrice dell'Istituto di statistica - dopo un calo del fenomeno dalla seconda metà degli anni Novanta, quando i casi erano oltre un terzo in più». E qui il merito va alla legge del 1996 sulla violenza alle donne che ha «rotto il silenzio creando un clima sociale e un'attenzione mediatica che ha contribuito a inibire comportamenti molesti» dicono gli esperti di statistica.

Nella ricerca, commissionata dal ministero delle Pari Opportunità, l'istogramma più alto spetta al settore impiegatizio, pubblico e privato, con il 40% di dipendenti molestate. Al secondo posto quello commerciale con il 24% di lavoratrici, vittima di aggressioni di varia natura. «Da quelle più soft - spiega la ricercatrice - alla vera violenza». In mezzo c'è anche il ricatto. E qui, sottolinea l'avvocato Grazia Volo: «Chi minaccia il licenziamento per ottenere favori sta compiendo un'estorsione. E questo, purtroppo, nella situazione attuale, con le difficoltà presenti, è un fenomeno trasversale ai sessi». Dice la Volo: «Premesso che non credo alla questione femminile trattata in modo "statistico burocratico" vorrei dire che: in primo luogo il molestatore è una persona che mette in atto comportamenti deviati. Secondo: una donna trova il modo di evitare esperienze del genere».

Alcune delle percentuali Istat sono impressionanti. Ad esempio la reiterazione del ricatto sessuale che, nel 43% dei casi, si ripete ogni giorno. La molestia è grosso modo trasversale: «Il 14,3% delle donne molestate lavorava in attività immobiliari e informatiche, il 10,3% nelle attività manifatturiere, il 18% in professioni tecniche, il 7,8 in professioni intellettuali, scientifiche e di elevata specializzazione, come ad esempio legislatori, imprenditori, dirigenti».

Molestie interclassiste insomma. Quanto alla percentuale bassissima di denunce, l'avvocato Volo, tra le motivazioni resiste «la paura». Timore d'essere «giudicate male» ad esempio. Mentre nel 9,3% dei casi l'intervistata chiama in causa «indecisione, vergogna, auto-colpevolizzazione» per spiegare il tentativo di rimuovere la vicenda, senza parlarne apertamente. Il senso d'impotenza assume un risvolto per così dire «istituzionale» laddove l'intervistata parla di «mancanza di fiducia nell'operato delle forze dell'ordine o della loro impossibilità di agire». Oltre il 20% delle vittime.

Ilaria Sacchettoni

Scioperati

di Massimo Gramellini

La questione non è se i calciatori possano scioperare. La questione è dove lo trovino, in un momento come questo, il coraggio di scioperare. Non mi si dica che lo fanno per i colleghi meno tutelati, i quali stanno comunque meglio dei loro coetanei con tre lauree. No, questa è gente che abita semplicemente fuori dal mondo. Il loro portavoce Massimo Oddo, un terzino che in pochi anni ha guadagnato più di quanto prenderà in tutta la sua vita uno scienziato, si è permesso di dire che i signorini protestano «contro lo status di oggetto con cui siamo trattati». Non gli basta poter andare dove vogliono, cioè dove li pagano meglio, anche a costo di fare le riserve delle riserve come Oddo. Vogliono di più. E hanno ragione.

La colpa non è loro. La colpa è dei dirigenti che continuano a corrispondere stipendi allucinanti e poi li ricaricano sul prezzo del biglietto, determinando la moria di spettatori negli stadi. La colpa è di noi giornalisti, che spremiamo pagine di interviste dai loro gargarismi banali e trasformiamo in maître-à-penser dei ragazzetti viziati che non leggono un libro e non conoscono una lingua, spesso neanche quella italiana. La colpa è dei tifosi, che hanno fame di idoli, come in politica di leader carismatici, e si dimenticano che i calciatori sono omini del calciobalilla, perché quella che conta è solo la maglia, come in politica dovrebbero contare solo gli interessi e gli ideali.

Scioperate pure, cocchi. Purché le società abbiano il buon gusto di devolvere le vostre succulente trattenute a un fondo per laureati disoccupati.
E un esercito di baby immigrati bussa alle porte delle elementari

di Maria Novella De Luca

Romeni, albanesi, cinesi, maghrebini, filippini, indiani, nati qui, nel nostro paese, nuovi italiani tra gli italiani, spesso ben integrati e bilingui, eppure ancora stranieri, perché senza cittadinanza e dunque con i diritti a metà. Bimbi e ragazzi made in Italy, con la pelle nera, gli occhi a mandorla, europei, asiatici, africani, simili e diversi insieme, figli di quel mini baby-boom dovuto all'immigrazione "residente" che negli ultimi anni ha fatto risalire il nostro avaro tasso demografico. C'è un nuovo mondo che bussa alle porte della scuola italiana, la fotografia del Paese che verrà, multietnico sì ma non ancora multiculturale, come sottolineano da tempo storici, demografi, insegnanti. Per i bambini immigrati infatti il percorso di studi sembra già "segnato" e accidentato sul nascere. Racconta Paolo Mazzoli, dirigente scolastico romano: «Le iscrizioni di quest'anno confermano che il numero degli alunni immigrati è in continua crescita, ma in modo disomogeneo tra i quartieri delle città, creando un impatto che la scuola spesso non riesce a gestire, sia per mancanza di risorse, ma anche per la mancanza di preparazione dei docenti, oggi a mio parere in profonda crisi di fronte a questa nuova sfida». Eppure un cambiamento radicale è alle porte, come dimostra la ricerca della Fondazione Agnelli curata da Stefano Molina dal titolo "I figli dell'immigrazione nella scuola italiana". Dove a fronte di flussi migratori in calo, si dimostra che la quota di alunni stranieri è invece "ancora destinata a crescere almeno per un decennio". E se quest'anno su 590mila bambini italiani iscritti alla prima elementare 65mila saranno stranieri (di cui 45.700 nati nel nostro paese) il grande salto si avrà nel 2015/2016. Tra quattro anni infatti mentre il numero di baby studenti italiani resterà quasi identico, gli stranieri per cui si apriranno le porte della scuola primaria saranno 100.500. Un numero raddoppiato in pochissimi anni. «Questi dati ci dimostrano che la gran parte dei bambini stranieri che si iscrive nelle nostre scuole dice Andrea Gavosto, direttore della Fondazione Agnelli - è in realtà nata in Italia. Si tende invece a parlare in modo indifferenziato di immigrati, soffermandosi soltanto sul problema linguistico, quando la gran parte di questi bambini l'italiano lo parla benissimo e magari con l'accento della città in cui vive. Il vero problema è la loro integrazione scolastica. In un certo senso è come essere tornati alla scuola degli anni Cinquanta, dove la differenza la facevano la classe e il ceto sociale. Questi ragazzi - aggiunge Gavosto - sono e si sentono italiani. E hanno diritto alla cittadinanza. A Torino il 30% dei bambini sotto i 5 anni ormai è costituito da stranieri nati qui: come possiamo non ritenerli italiani?». In un libro uscito di recente e dal titolo "La qualità della scuola interculturale" (Erickson) Milena Santerini, ordinario di Pedagogia Generale all'università Cattolica di Milano, racconta l'esperienza (virtuosa) di un gruppo di nove scuole ad alta percentuale di immigrati nel capoluogo lombardo. Spiega Santerini: «Nel mio viaggio all'interno di queste scuole primarie ho visto che davvero l'integrazione è possibile, ma servono fondi, strutture, e soprattutto un'idea di inclusione forte. In Italia sono stati fatti grandi sforzi, ma oggi è come se si stesse tornando indietro: basta vedere il tentativo di creare scuole soltanto di stranieri, una vera e propria strategia di segregazione. Il futuro passa attraverso la concessione della cittadinanza ai bimbi nati qui, e al coinvolgimento delle famiglie immigrate nel percorso di studio dei figli». In realtà, come sottolinea Anna Granata, psicologa e ricercatrice di Pedagogia, «noi spesso immaginiamo i bambini e gli adolescenti immigrati divisi tra due mondi, in realtà si muovono benissimo tra due culture». «Molti di loro raccontano di aver scoperto di essere "stranieri" crescendo, perché mentre la scuola elementare include, le superiori separano. Così come lacittadinanza. È quando realizza di non avere i documenti in regola o di non poter partecipare alla gita di classe all'estero che un giovane, fino a ieri identico ai suoi coetanei italiani, capisce di essere un po' meno italiano, e magari un cittadino di serie B». Di minori e di minori immigrati, lo scrittore Fabio Geda nella sua attività di educatore si è occupato a lungo. Fino a raccontare nel libro "Nel mare ci sono i coccodrilli", la storia vera, anzi l'odissea di un adolescente, Enaiatollah Akbari, fuggito bambino dall'Afghanistan dei talebani e approdato in Italia su un canotto di disperati. «Oggi Enaiatollah ha 21 anni, e ha deciso che vuole fare l'avvocato. E se la sua è una storia simbolo, di giovani immigrati con questa determinazione ne ho incontrati a decine. E spesso gli insegnanti raccontano - dice Geda - che sono proprio i bambini stranieri i più attenti e disciplinati in classe, pur arrivando da famiglie dove non si parla l'italiano, ma dove l'istruzione è considerata il salto verso un futuro migliore. Oggi però ci troviamo di fronte ad una scuola che non riesce a contenere nessun tipo di diversità, né la sfida multietnica, ma nemmeno l'handicap o il disagio sociale

Diventate «amici di rete» dei vostri figli

Vietato spiarli, ma anche gettare la spugna con l'alibi che ne sanno più di voi

In America aprono i primi corsi ed esce un libro "dedicato" (Facebook for parents, ovvero "per genitori"), in Italia, mentre cresce l'allarme legato agli episodi di cronaca, psicologi, pediatri e perfino ospedali (come il Bambino Gesù di Roma) stilano le loro "linee guida". Destinatari di tutti questi consigli i genitori in crisi davanti ai figli alle prese con i social network, Facebook in testa, quelle "piazze" virtuali, dove si può raccontare e leggere di tutto: dalle chiacchiere sull'ultima gita al mare con le amiche, alle ultime opinioni di Obama.

Che cosa temono i genitori? Soprattutto che i figli "perdano" ore e ore girellando sulla rete (invece di studiare e incontrare amici in carne ed ossa) e che possano fare cattivi incontri, passando da appuntamenti virtuali ad appuntamenti reali con sconosciuti. Ma anche che approdino troppo presto ai social network: non si può accedere a Facebook con meno di 13 anni, ma il divieto è facilmente aggirabile dichiarando una falsa identità. Davanti a questi timori, la tentazione di "spiare" i figli, carpendone la password, o fingendosi coetanei per diventare "amici" è forte. Non si tratta di sbirciare in un diario segreto, ma in un "diario pubblico" che fa paura proprio perché tale: che cosa racconteranno di sé i nostri ragazzi? Tuteleranno la loro privacy? Quali foto "posteranno"? «È proprio questo il punto - ci conferma Linda Fogg Philipps, autrice (con il fratello B.J. Fogg) di Facebook for parents, -. Facebook non è la cameretta privata del nostro ragazzo: è una cameretta in cui entrano centinaia di persone».

E, allora, come difendere i nostri figli? Chiarisce Linda Fogg (oltre che psicologa, madre di otto figli dai 26 ai 13 anni): «Insegniamo ai ragazzi che debbono proteggere le informazioni sensibili - indirizzo di casa, di scuola, numero di telefono - e spieghiamo loro come farlo. Convinciamoli che quello che mettono sul web, foto comprese, è incancellabile e che condividere le informazioni private con gli "amici degli amici" - invece di scegliere l'opzione "solo amici" - è come darle a chiunque».

«Vigilare però non vuol dire giudicare e tanto meno spiare, anche perché una volta persa la fiducia di un ragazzo, spiandolo, è molto difficile recuperarla » aggiunge Stefano Vicari, direttore di neuropsichiatria infantile del Bambino Gesù (sul sito wwww.ospedalebambinogesu.it altri consigli ai genitori). «Diamo ai nostri figli - prosegue Vicari - informazioni corrette. Andiamo, almeno le prime volte, in rete insieme a loro e parliamo anche dei molti aspetti positivi di Facebook, altrimenti perderemo credibilità. E se temiamo che cedano all'esibizionismo, o si inventino personalità del tutto fittizie, convinciamoli che "valgono" per quel che sono».

E se nonostante tutta la buona volontà dei genitori, i giovanissimi non ne volessero sapere di farli entrare nel loro mondo sul web? «Molto spesso - sostiene Linda Fogg - i figli ci dicono di no, non perché hanno paura d'essere spiati, ma perché temono che li mettiamo in imbarazzo. Impariamo il "galateo" dei social network e ci diranno di sì. Un sì che ci permetterà di conoscerli ed aiutarli meglio». «Se il "no" resta tale - aggiunge Vicari - importante è non cedere alla tentazione di dire "d'ora in avanti sono solo fatti tuoi"; debbono sapere che, se avranno dubbi o paure, noi saremo sempre lì».

«Magari - aggiunge Silvano Bertelloni, presidente della Società italiana di medicina dell'adolescenza (vedi decalogo a fianco) - proponiamo loro di farci entrare su Facebook come amici di "serie B", che hanno diritto ad accedere solo a un certo livello di informazioni».

«Ci sono i genitori invadenti, - sottolinea Piero Barone, docente di psicologia dell'adolescenza e pedagogia della devianza alla Bicocca di Milano - ma anche quelli che danno ai figli una fiducia illimitata con la scusa "ne sanno più di noi". Trovare un equilibrio è difficile, ma necessario. Anche perché il vero rischio, se i ragazzi diventano "dipendenti" dalla rete, è vederli perdere la dimensione corporea. Contrattiamo, dunque, con i nostri figli che cosa possono fare sulla rete: dopo tutto noi abbiamo concesso loro di avere un computer, cosa che "non" eravamo affatto obbligati a fare, quindi abbiamo diritto ad avere voce in capitolo. Non demonizziamo però chat, Facebook e quant'altro, grazie ai quali i ragazzi approdano a una dimensione costruttiva del sapere: imparano per "immersione", tuffandosi in questo nuovo mondo senza bisogno di manuali e corsi. Diventano più creativi, originali e imparano a condividere e a costruire insieme».


Daniela Natali

14/9/2010

Asilo politico

di Massimo Gramellini

Basta, pietà, cambiate schema, evolvete verso forme di vita più complesse. Di che cosa di tratta? Ma del nuovo modo di concepire il dibattito politico e giornalistico in Italia. Il rimpiattino. Ultimo esempio ieri. Ministro Gelmini, cosa pensa di quella scuola pubblica di Adro che espone dappertutto il simbolo della Lega Nord? Risposta: vorrei che si polemizzasse anche quando nelle classi si utilizzano dei simboli di sinistra. Giusto, il primo studente che trova una foto di Marx o di Bersani sotto il banco è pregato di rivolgersi alla polizia. Ma cosa c'entra, adesso? Stiamo parlando della scuola leghista di Adro! Ed è tutto così. Se gli amici di Berlusconi ficcano il naso nei movimenti immobiliari di Fini, quelli di Fini si affannano a ricordare che Berlusconi comprò sottocosto la villa di Arcore. Ormai i politici vanno in tv con le tasche piene di ritagli, pronti a rintuzzare le critiche non con una spiegazione convincente, ma con una memoria d'archivio che possa testimoniare la mancanza di coerenza dell'accusatore.

Il «doppiopesismo» è stata una vergogna che ha massacrato la verità e le teste di almeno una generazione di italiani. Ma questo suo peloso contraltare, il rimpiattino, è una via di fuga avvilente, un cibo per vittimisti che non scioglie i nodi della storia e porta solo ad accumulare nuovi rancori. All'asilo è normale reagire ai rimbrotti della maestra gridando: è stato lui, ha cominciato lui. All'asilo, appunto.
Dai «Discorsi»

del beato Isacco, abate del monastero della Stella


Due sono le cose che sono riservate a Dio solo: l'onore della confessione e il potere della remissione. A lui noi dobbiamo fare la nostra confessione; da lui dobbiamo aspettarci la remissione. A Dio solo infatti spetta rimettere i peccati e perciò a lui ci si deve confessare. Ma l'Onnipotente, avendo preso in sposa una debole e l'eccelso una di bassa condizione, da schiava ne ha fatto una regina e colei che gli stava sotto i piedi la pose al suo fianco. Uscì infatti dal suo costato, donde la fidanzò a sé.

E come tutte le cose del Padre sono del Figlio e quelle del Figlio sono del Padre, essendo una cosa sola per natura, così lo sposo ha dato tutte le cose sue alla sposa, e lo sposo ha condiviso tutto quello che era della sposa, che pure rese una cosa sola con se stesso e con il Padre. Voglio, dice il Figlio al Padre, pregando per la sposa, che come io e tu siamo una cosa sola, così anch'essi siano una cosa sola con noi (cfr. Gv 17, 21).

Lo Sposo pertanto è una cosa sola con il Padre e uno con la Sposa; quello che ha trovato di estraneo nella sposa l'ha tolto via, configgendolo alla croce, dove ha portato i peccati di lei sul legno e li ha eliminati per mezzo del legno. Quanto appartiene per natura alla sposa ed è sua dotazione, lo ha assunto e se ne è rivestito; invece ciò che gli appartiene in proprio ed è divino l'ha regalato alla sposa. Egli annullò ciò che era del diavolo, assunse ciò che era dell'uomo, dono ciò che era di Dio. Per questo quanto è della sposa è anche dello sposo.

Ed ecco allora che colui che non commise peccato e sulla cui bocca non fu trovato inganno, può dire: «Pietà di me, o Signore: vengo meno» (Sal 6, 3), perché colui che ha la debolezza di lei, ne abbia anche il pianto e tutto sia comune allo sposo e alla sposa. Da qui l'onore della confessione e il potere della remissione, per cui si deve dire: «Và a mostrarti al sacerdote» (Mt 8, 4).

Perciò nulla può rimettere la Chiesa senza Cristo e Cristo non vuol rimettere nulla senza la Chiesa. Nulla può rimettere la Chiesa se non a chi è pentito, cioè a colui che Cristo ha toccato con la sua grazia; Cristo nulla vuol ritenere per perdonato a chi disprezza la Chiesa. «Quello che Dio ha congiunto l'uomo non lo separi. Questo mistero è grande, lo dico in riferimento a Cristo e alla Chiesa» (Mt 19, 6; Ef 5, 32). Non voler dunque smembrare il capo dal corpo. Il Cristo non sarebbe più tutto intero. Cristo infatti non è mai intero senza la Chiesa, come la Chiesa non è mai intera senza Cristo. Infatti il Cristo totale ed integro è capo e corpo ad un tempo; per questo dice: «Nessuno è mai salito al cielo fuorché il Figlio dell'uomo che è disceso dal cielo» (Gv 3, 13). Questi è il solo uomo che rimette i peccati.

(Disc. 11; PL 194, 1728-1729)

Che tristezza i bimbi travestiti da cantanti

«Ti lascio una canzone», un gioco che gioco non è

di Aldo Grasso

Non so a voi, ma a me quei bambini che imitano gli adulti nelle movenze sensuali, negli ammiccamenti, negli sguardi complici; quei bambini che si riempiono la bocca di «questo nostro amore», di «quello che donne non dicono», di «quando nasce un amore»; i bambini offerti come caricature di adulti e gli adulti che gettano sguardi adoranti verso quegli stili di vita di riporto dei loro figli, ecco a me mettono un'infinita tristezza.

Sono ragazzini dai 7 ai 15 anni reclutati da «Ti lascio una canzone», una sorta di «Canzonissima» in miniatura, un ingresso precoce nel mondo dello showbiz (Raiuno, venerdì, ore 21.22). Sono bravi, hanno talento, non c'è dubbio, ma qualcuno è in grado di assumersi il rischio di questa forzatura, di questo gioco troppo impegnativo per restare tale, di questa gratificazione genitoriale? Alla corte di Antonella Clerici, una conduttrice che ha fatto della goffaggine la sua cifra distintiva, sembrano tutti affetti dalla «sindrome Shirley Temple» («l'infanzia è solo il suo travestimento, il suo appeal è più segreto e più adulto», come ha scritto mirabilmente Graham Greene). Salvo la ragazzina che cantava spensieratamente tutto il repertorio di Renato Carosone, gli altri bambini erano impegnati a offrire emozioni adulte, ruffianerie in musica attraverso la maschera dell'infanzia. Un'infanzia solo di facciata.

A un certo punto della serata, l'auditorium Rai di Napoli si è trasformato in un villaggio vacanze (ci dev'essere l'impronta di Eddy Martens, il compagno della Clerici, ex animatore ormai assurto agli onori dei titoli di testa): sulle note di «Waka waka» la Clerici si è messa a imitare Shakira mentre i bambini si esibivano nella più classica delle baby break-dance. La battuta più felice della serata è comunque della giurata Stefania Sandrelli, l'unica rimasta eterna bambina: «Quanta musica è passata sotto i miei ponti». Il suo dentista ringrazia.

Chi conosce i propri peccati è più grande di chi con la sua preghiera risuscita i morti. Chi conosce la propria debolezza è più grande di chi vede gli angeli.

Isacco il Siro

Finalmente un amico dei comunisti e dell'ex-direttore del KGB, il servizio segreto sovietico.


 



Dedicata a chi lavora nel vasto mondo del turismo... con sudore e sogni!





 


Grand Hotel

di Davide Van De Sfroos


La mia nona la m'ha dii che pudèvi fa carriera... al Grand hotel Mia nonna mi diceva che potevo far carriera al Grand Hotel

e una volta a Sofia Loren g'ho verdüü anca la purtéra, i henn mea ball... e una volta a Sofia Loren ho aperto perfino la portiera, non sono balle

La gh'era sö un prufoemm che previa primavera, l'antivigilia de Nataal... aveva un profumo che sembrava primavera... l'antivigilia di Natale

el diretuur emuziunaa l'ha perdüü anca la dencéra, giò in de la hall... e il direttore, emozionato, ha perso la dentiera... giù nella hall



El mè ziu sarà veent'ann che'l lavùra là in cüséna... al Grand Hoel Mio zio saranno vent'anni che lavora giù in cucina al Grand Hotel

una vita col filetto al pepe verde e'l maa de schèna... e cul curtèll... una vita col filetto al pepe verde e il mal di schiena e col coltello,

el fa balà tücc i pügnàtt l'è giamò ciucch alla matèna, te tuca vedèll! fa ballare le pentole, è già ubriaco alla mattina, dovresti vederlo

Quaand'el tö giò la medesèna el g'ha el cervèll in altalèna, ma l'è'l sò bèll. quando prende la medicina ha il cervello in altalena, ma è il suo bello....



Sèmm tücc fiöö de questa scalinada siamo tutti figli di questa scalinata

che urmai cugnussum basèll per basèll, che ormai conosciamo scalino per scalino

tücc bei vestii cumè suldaritt de tòla tutti vestiti come soldatini di latta

cun't el baretén de stüpid e quaivön cun't el Gel... col berretto da stupidi e qualcuno col gel

E i turisti cun la bùca sbaratàda e i turisti con la bocca spalancata

quand che rüven sö la porta de entràda... quando arrivano sulla porta d'entrata

e me una quaj valìsa l'ho purtàda, e io qualche valigia l'ho portata

una quaj mancia l'ho ciapàda... al GrandHotel qualche mancia l'ho presa... al Grand Hotel



Quand che l'è el desdòtt de magg rüva sempru la Cuntessa, al Grand hotel Quando è il diciotto di Maggio arriva sempre la contessa, al Grand Hotel

la g'ha quasi nuvant'ann e de murì la g'ha mea pressa e l'è nurmaal, ha quasi novant'anni e di morire non ha fretta... ed è normale

el sò omm l'era un playboy e l'ha basaa anca la Vanessa, lé suta i scaal il suo uomo era un playboy, ha baciato anche Vanessa, lì sotto le scale

lìè finii senza un butòn insèma a una certa duturessa, al'uspedaal è finito senza un bottone insieme ed una certa dottoressa, all'ospedale



E innanz e indree, sö per i scaal, giò per i scal, sempru de cursa, e avanti e indietro, su per le scale, giù per le scale, sempre di corsa

nèta la scarpa che gh'è scià anca el diretuur... pulisci la scarpa che arriva il direttore

e curr de scià e curr de là, cume un ratt cun la divisa, e corri di qua, corri di là, come un topo con la divisa

sempru in man 'na quaj valìsa che però l'è mai la mia.... sempre in mano qualche valigia che però non è mai la mia

un bell suriis alla francesa e alla dunètta inglesa, ... un bel sorriso alla francese e alla donnetta inglese

pigiàtt de la malùra un quaj desmìla el rüverà... pidocchi della malora un diecimila arriverà

Te fann südà, ma guai se te spüzzet, ti fanno sudare, ma guai se puzzi

te fann sultà, ma guai se te bùfet... ti fanno saltare, ma guai se sbuffi

e veert quela porta che g'ho scià el Moesciandòn e apri quella porta che ho qui il Moet & Chandon

altrimenti el bevi me e te lassi che dumà el büsciòn... altrimenti lo bevo io e ti lascio solo il tappo



E una dona cume lee l'eri pròpi mai vedüda, al Grand Hotel E una donna come lei non l'avevo proprio mai vista, al Grand Hotel

la m'ha dii che in vita sua nissön l'era purtada, in söl batèll, mi ha detto che in vita suo nessuno l'aveva portata sul battello

me gh'eri el cöör de dree ai urècc e la fàcia imbalsamada, lé suta i stell avevo il cuore dietro alle orecchie e la faccia imbalsamata, lì sotto le stelle

la g'ha impiegaa tüta la nocc per dimm che l'era innamurada... ci ha messo tutta la notte per dirmi che era innamorata...

del me fredèll... di mio fratello....

Sèmm presunée de questa scalinàda, Siamo prigionieri di questa scalinata

che maledissum basèll per basèll, che malediciamo scalino per scalino

gh'emm un suriis che sta insèma cun la còla, abbiamo un sorriso che sta insieme con la colla

l'entusiasmo alla moviola e quindes chili de bàll... l'entusiasmo alla moviola e quindici chili di balle

E i turisti cun la facia incazzada, e i turisti con la faccia incazzata,

quand che tröven la machina sfridàda... quando trovano la macchina sfrisata

E me la sua Mercedes, l'ho sbüsàda, e io la sua Mercedes l'ho bucata

e me la sua mancia l'ho mea vurüüda, e io la sua mancia non l'ho voluta

e me la sua valìsa l'ho lassàda.... al mè fredèll!

A quali estremi può essere spinto l'uomo da così grave iattura e da così spietata condizione di cose!

Combattere bisognava e camminare, senza tregua e spesso senza speranza. Chi dopo aver lottato per lunghi giorni contro lo sfinimento era costretto a perder terreno, andava insensibilmente ai margini della colonna in marcia e finiva per accasciarsi poi lungo le prode delle piste, rimanendo per terra a seguire con lo sguardo spento il fiume lento dei compagni dilungantesi, guardato esso stesso senza pietà e senza interesse, votato alla morte per assideramento. I muli, uno dopo l'altro si abbattevano estenuati dalla fatica, dalla fame, dal gelo, e così le slitte cariche di feriti e di congelati restavano arenate nell'immensità disperata della steppa. «Non abbandonateci, siamo italiani anche noi!» gemevano quegli infelici, aggrappandosi ai compagni che a mala pena reggevano essi stessi il peso della propria marcia. «Signor Cappellano -implorava un ferito - sparatemi, per amor di Dio, ma non lasciatemi qui».

Può darsi condizione più disperante e più umiliante di quella che viene dall'impossibilità di soccorrere, dal non aver più una benda per un ferito, la forza di stendere la mano a un congelato che si trascina carponi dietro la colonna, un po' d'acqua per un morente (che spesso i pozzi erano suggellati dal ghiaccio), un pezzo di pane per un estenuato - peggio ancora - del non aver neppure la facoltà di commuoversi e di soffrire? Chi può dire, se nella vita non l'abbia provato, il terrore che viene dal veder l'anima propria perdere mano a mano il potere di consentire al dolore, al pericolo e alla morte? Nulla è più agghiacciante di questo impietramento e quasi morte interiore, sotto i colpi troppo gravi e reiterati della sventura, della fame, della stanchezza e del sonno.


don Carlo Gnocchi, Cristo con gli alpini, 30-31

Concordo con chi è preoccupato del disagio sociale e della debolezza politica e culturale in cui si agita il nostro Paese: troppi sono scontenti di ciò che non va (cfr il famoso pre-'68); troppi sentono che la povertà non è così lontana; troppi hanno imparato la demolizione sistematica dell'avversario politico con ogni mezzo (si veda chi legge peggioramento sostanziale del clima istituzionale con la famosa "discesa in campo", 15 anni fa); troppi hanno la percezione di un'ingiustizia tale, che l'unico a cui rivolgersi sembra essere il Gabibbo. Troppi. E a più livelli, compreso quello ecclesiale, che non riesce più (e meno male!) a imbonire e trattenere le masse. Ritengo che il grave pericolo è che questo disagio non verrà ascoltato sul serio, esploderà in forme violente, siano esse di massa o di pochi esagitati... o più disperati.


don Chisciotte



Un Paese prigioniero delle curve da stadio

Editoriale - La Stampa

Nell'Italia degli ultrà, delle minoranze che sequestrano i diritti delle maggioranze, il confronto delle idee sta diventando impossibile. S'avanza una strana idea di libertà e di democrazia: non più il diritto di dissentire, criticare, contestare, sacrosanto in un sistema sano e ben funzionante, ma il diritto di impedire al tuo avversario di parlare.

Non importa se c'è una sala piena di persone che vorrebbero ascoltare, cercare di capire, formarsi un'idea, magari anche fischiare, non importa perché la logica delle curve dello stadio si sta impossessando del Paese. Così si ragiona nei termini dell'invasione di campo, del lancio del fumogeno contro il portiere avversario, si cerca di interrompere la partita e si festeggia la squalifica del campo. Non si tratta più di giocare e cercare di vincere, l'importante è fermare tutto.

Si dirà che questo accade perché troppi si sentono esclusi dalla partita e spinti ai margini, perché sulle gradinate del benessere e delle sicurezze sociali c'è sempre meno posto, che la politica vive e gioca a porte chiuse e non lascia nessuno spazio a chi è fuori. C'è del vero, ma oggi faremmo bene a vedere che è suonato un campanello d'allarme. Chi ha colpito Raffaele Bonanni ha tirato ciò che aveva in mano e si era portato da casa, questa volta era un fumogeno ma niente vieta di immaginare per il futuro una pietra o altro. Non lo si voleva tacitare ma metterlo in fuga e spaventarlo.

E' giunto il tempo di preoccuparsi di una convivenza possibile nella società, il primo passo parte ancora una volta dal linguaggio: sacrosanto condannare ora l'aggressione, ma ogni soggetto politico e sociale del Paese, al pari dei mezzi di comunicazione, farebbe bene a mettere da parte in fretta demonizzazioni e scomuniche. E' tempo che si torni ad usare le parole per il significato che hanno, prima di trovarci a vivere davvero in uno stadio dove i tifosi ospiti devono arrivare scortati e il fumo dei bengala annebbia la vista.
La colletta di Ombretta

di Massimo Gramellini

La senatrice Ombretta Colli, membro autorevole della commissione Istruzione e Cultura, ha proposto ai napoletani una colletta per ripianare il debito di 30 milioni che Maradona ha contratto col fisco italiano (quindi con loro), così da consentire al Pibe de Oro di festeggiare a Napoli il compleanno senza che la Finanza accorra a fargli gli auguri. Il nobile gesto, la cui priorità rispetto ad altre emergenze del Sud risulta evidente, ha una motivazione istruttiva e culturale, come si conviene al ruolo della senatrice. Chi dispensa emozioni non va solo ricompensato con un mucchio di soldi, ma su quei soldi non deve pagare le tasse. Poiché però lo Stato ne ricaverebbe un danno, e questo non è bello, diventa necessario che gli «emozionati» subentrino all' «emozionante» nell'adempimento degli oneri fiscali.

L'emozione, infatti, per la colta e istruttiva Colli, è il petrolio della vita. Non i sentimenti, i pensieri profondi, i gesti altruistici. Quelli sono tassabili senza problemi. Meritano il supporto dei contribuenti soltanto le scariche d'adrenalina. Per rimanere sotto il Vesuvio: Gigi D'Alessio va sostenuto perché come Maradona mette i napoletani di buon umore, mentre Saviano va osteggiato perché li deprime con quei discorsi tristi e risaputi.

Il paragone non è farina del mio sacco, ma sfavilla fra le dichiarazioni estive dell'emozionatissima senatrice. Mi permetto di contribuire anch'io allo stato dell'Istruzione e della Cultura, dando al ragionamento della Colli il tocco finale: le tasse di Maradona deve pagarle Saviano.
J. Sulivan sosteneva che il più grosso rischio è quello costituito da un linguaggio religioso che parla disinvoltamente al nostro posto. E il fenomeno riguarda soprattutto un certo linguaggio religioso, che spunta sulle labbra, quasi attraverso un automatismo, un gioco di riflessi condizionati, come succedeva ai cani di Pavlov. Per cui, in determinate circostanze, di fronte a certi problemi, scattano immediatamente e... inesorabilmente quelle formule, quelle sentenze, quelle risposte prefabbricate, quei giudizi definitivi, quei consigli "infallibili".

Le parole parlate percuotono l'orecchio. Ma difficilmente riescono ad arrivare al cuore.

Le parole parlanti sono le parole che hanno qualcosa da dire, e riescono a dirlo. Parole essenziali, autentiche, palpitanti (oltre che... esitanti). Calde, anzi incandescenti, oltre che trasparenti. Parole "rispettabili", che si fanno prendere sul serio. Autorevoli (anche se chi le pronuncia non ha alcuna autorità ufficiale). Parole che hanno un peso. Parole che vengono da "altrove". Ti accorgi che arrivano da lontano, e soprattutto dal profondo. Parole che, magari, ti frugano, impietosamente e misericordiosamente, in tutti gli angoli del tuo essere. Parole che ti mettono addosso, o, meglio, dentro, una sensazione di pace e tormentosi rimorsi. Terribili e dolci. Semplici e cariche di mistero. Parole lievi, ma che non si possono prendere alla leggera.

Le parole parlanti sono quelle di un linguaggio che scaturisce dai sotterranei dell'essere, da una zona segreta, grazie a un lento, faticoso lavoro di "estrazione". Per cui ognuna di quelle parole è come un brandello di carne, una parte viva, e qualche volta dolente, che si stacca dalla persona che parla. Quelle parole, cavate con estrema difficoltà, contengono una carica infinita di silenzio e una riserva inesauribile di luce. Sono preziose e vanno custodite gelosamente. Forse non risolvono alcun problema. Ma fanno pensare. Non offrono spiegazioni. Ma costituiscono un invito all'adorazione.

Mentre le parole parlate ronzano all'orecchio (fastidiose come vespe), le parole parlanti provocano una risonanza interiore.


Alessandro Pronzato, La predica prova della fede, 81

La ricerca “Mandiamoli a casa”

La ricerca si chiama «Mandiamoli a casa» e porta la firma di Giuseppe Civati, Ilda Curti, Ernesto Ruffini e Roberto Tricarico, amministratori (non solo torinesi) del Partito democratico. Un campionario dei luoghi comuni sugli immigrati, puntualmente smentiti dai dati reali di diversi enti e istituti, pubblici e privati.

Ad esempio: nei paesi islamici ai cristiani viene impedito di costruire chiese, mentre qui vogliono le moschee. Il caso del Marocco è emblematico. I cattolici sono circa 27 mila, meno dello 0,1%, della popolazione. In Marocco però ci sono 3 cattedrali e 78 chiese. A proporzioni invariate gli islamici in Italia (che sono 1,3 milioni) dovrebbero poter pregare dentro 4 mila moschee.

Ci sarà nei prossimi anni un'esplosione di fedeli musulmani: secondo l'Ismu l'aumento dei musulmani, tra il 2009 e il 2030, sarà del 139%, simile a quello dei cattolici (+137%) e a quello delle persone fedeli di altre religioni (+130%).

Vengono qua e ci rubano il posto, lavorando in nero: i dati Inail del 2007 dicono che gli assicurati stranieri sono 2.173.545, pari al 92% di tutta la popolazione straniera regolare censita e dimostrano che il lavoro nero è l'unica opzione per gli immigrati senza permesso di soggiorno. In più per l'Inps gli occupati stranieri svolgono lavori che si concentrano tra quelli manuali e poco specializzati da cui noi rifuggiamo: il 72% è personale non qualificato (tra gli italiani siamo al 37%).

Hanno fatto aumentare il tasso di criminalità: il numero dei reati ascritti a stranieri sul totale della popolazione straniera, non è molto dissimile da quello degli italiani: 1,4% per gli stranieri regolari contro 0,7 per gli italiani. Per la Banca d'Italia inoltre tra il 1990 e il 2003 il numero dei permessi di soggiorno si è quintuplicato, mentre la criminalità ha mostrato una lieve flessione.


Il documento completo al sito: http://www.civati.it/mandiamoliacasa.pdf

in “La Stampa” - 8 settembre 2010

La bellezza ha a che fare con l'occhio e con il cuore dell'uomo. Lo sguardo è il primo linguaggio del desiderio: «La donna vide che l'albero era buono da mangiare, gradevole agli occhi e desiderabile» (Gen 3,6); «Chiunque guarda una donna per desiderarla, ha già commesso adulterio» (Mt 5,28); «I sandali di Giuditta rapirono gli occhi di Oloferne, la sua bellezza avvinse il suo cuore» (Gdt 16,9). In ebraico, occhio si dice 'ajin. Questa stessa parola significa anche «sorgente, pozzo». Per l'ebraico l'occhio, organo preposto alla visione, introduce anche alla profondità
Per tentazione qui non si intende, almeno immediatamente, la spinta a fare il male. E' qualcosa di molto più sottile, più drammatico e pericoloso: è la tentazione di fuggire dalle proprie responsabilità, la paura di decidersi, la paura di guardare in faccia una realtà che esige una decisione personale; è la paura di affrontare i problemi della vita, della comunità, della nostra società.

È la tentazione della fuga dal reale, di chiudere gli occhi, di nascondersi, di far finta di non vedere e non sentire per non essere coinvolti: è la tentazione della pigrizia, della paura di buttarsi, la tentazione che vuole impedirci di rispondere a ciò a cui Dio, la Chiesa, il mondo ci chiamano a compiere.

Quindi l'esortazione a pregare per non entrare in tentazione significa: pregate per non entrare in quell'atmosfera di compromesso e di comodità, di viltà, di fuga e di disinteresse nella quale si matura la scelta di non scegliere, la decisione di non decidere, la fuga dalle responsabilità. Questa situazione è esemplificata nel brano evangelico da ciò che fanno gli apostoli: dormono per la tristezza, dormono per non vedere. Ci sono altri episodi biblici che sottolineano la fuga dalla realtà. Il sacerdote e il levita che, passando presso l'uomo ferito sulla strada da Gerusalemme a Gerico, chiudono gli occhi e vanno oltre, sfuggono alla domanda di responsabilità. Il grande profeta Elia, coraggioso, temerario e impavido, è stato travolto anche lui da questa tentazione del disimpegno: nel primo Libro dei Re si racconta infatti che «impaurito si alzò e se ne andò per salvarsi» (19,3 ss.). Eppure Elia aveva saputo affrontare da solo, sulla montagna del Carmelo, i 450 profeti di Baal: sembrava che non avesse paura di nessuno, ma a un tratto è afferrato da questa tentazione e fugge dalla realtà. È anche la tentazione del profeta Giona che fugge perché non vuole affrontare il suo compito di profeta. E la tentazione che prende ciascuno di noi quando chiudiamo occhi e orecchie per non vedere e non sentire i bisogni di chi ci sta intorno. Disimpegnarci, defilarci lontano da ciò che invece ci chiamerebbe a buttarci con coraggio.

L'esortazione di Gesù a pregare per non entrare in tentazione ci fa allora capire che la preghiera non è fuga, non è declinare le responsabilità, non è rifugiarsi nel privato: la preghiera è guardare in faccia la tentazione, la paura, la responsabilità. La preghiera è fare come il samaritano che di fronte all'uomo ferito si ferma e si piega su di lui. La preghiera è audacia che affronta la decisione importante. Questo è il rapporto che il testo presenta tra preghiera e tentazione.


Carlo Maria Martini, Qualcosa di così personale, 46-47

Se quanti servono la verità rinunciassero ad essere benvoluti dagli uomini, la chiesa avrebbe meno pagine oscure nella sua storia e maggior rispetto intorno ai suoi uomini. Quando però, con l'aiuto di Dio, il profeta rimane fedele, egli paga il suo «non licet» come l'hanno pagato tutti i profeti e come è giusto venga pagata la testimonianza della verità.


don Primo Mazzolari, Il solco, 18 ottobre

Tettamanzi: "Subito la moschea. Milano garantisca il diritto di culto"

Il cardinale ai politici lombardi: “La politica strumentalizza il problema alimentando tensioni”

A dicembre la Padania, quotidiano della Lega, lo attaccò violentemente, arrivando a definirlo "imam"

di Zita Dazzi

Tettamanzi sa di toccare un nervo scoperto e ricorda bene quante polemiche seguirono, due anni fa, quando auspicò la creazione di luoghi di preghiera per tutti le fedi in ogni quartiere. Ma non si tira indietro: «È ora di mettersi attorno a un tavolo a ragionare concretamente

Come si può credere in Dio se non si crede nell'altro?

di Enzo Bianchi

Secondo l'apostolo Paolo, «non di tutti è la fede» (2Tess 3,2), cioè non tutti accolgono il dono della fede da parte di Dio perché essa è «virtù teologale», come recitava il catechismo: si può quindi affermare anche che questo dono non è fatto a tutti. La fede, infatti, nasce dall'ascolto (Rm 10,17) e perciò occorre che la parola di Dio giunga al cuore dell'uomo e vi desti la fede. Ma è anche vero che la fede
Padroni in casa nostra? E' la misura di Sodoma

di Piero Stefani

Leggo spesso giudizi molto duri nei confronti di chi dice «padroni in casa nostra». Ma cosa c'è di iniquo? In fin dei conti, chi viene da altre parti sarà padrone a casa sua. Detto in altro modo, si potrebbe dire che quel che è mio è mio e quel che è tuo è tuo. Cosa c'è di male? (Alessandro Tomasini di Verona)


Risponde il giudaista Piero Stefani:

«Ci sono quattro misure (vale a dire modi di comportamento) per l'uomo. Quel che dice il mio è il mio e il tuo è tuo. È la misura della spartizione. Ma c'è chi dice: è la misura di Sodoma. Il mio è tuo e il tuo è mio: è un ignorante. Il mio è tuo e il tuo è tuo: un pio. Il mio è mio e il tuo è mio: un empio», si legge nel capitolo 5, 10 dei Pirqè Avot (Capitoli dei padri), una raccolta di detti di maestri ebrei. La struttura a quattro è propria dei detti raggruppati in quella sezione. Esso, come i punti cardinali, indica tutte le principali dimensioni di riferimento. Molti aspetti della nostra massima si comprendono al volo. L'articolazione legata al possesso (o alla proprietà privata) è un principio ordinante. La confusione "comunistica" in cui non c'è distinzione tra mio e tuo è segno di ignoranza perché fa di ogni erba un fascio. Un sigillo di malvagità contraddistingue chi tiene stretti i suoi possessi, mentre si accaparra quelli altrui. Chi conosce la distinzione ma non la fa pesare a proprio favore, anzi la rende un servizio per gli altri senza chiedere il contraccambio, è un pio. Quanto resta più difficile da comprendere è il giudizio pesante riservato alla prima alternativa, quella che afferma la netta separazione tra il «mio» e il «tuo»: cosa sta a fare il riferimento a Sodoma? Fermo restando che
Beati i puri di cuore perché vedranno Dio

Se dici: Fammi vedere il tuo Dio, io ti dirò: Fammi vedere l'uomo che è in te, e io ti mostrerò il mio Dio. Fammi vedere quindi se gli occhi della tua anima vedono e le orecchie del tuo cuore ascoltano. Infatti quelli che vedono con gli occhi del corpo, percepiscono ciò che si svolge in questa vita terrena e distinguono le cose differenti tra di loro: la luce e le tenebre, il bianco e il nero, il brutto e il bello, l'armonioso e il caotico, quanto è ben misurato e quanto non lo è, quanto eccede nelle sue componenti e quanto né è mancante. La stessa cosa si può dire di quanto è di pertinenza delle orecchie e cioè i suoni acuti, i gravi e i dolci.

Allo stesso modo si comportano anche gli orecchi del cuore e gli occhi dell'anima in ordine alla vista di Dio. Dio, infatti, viene visto da coloro che lo possono vedere cioè da quelli che hanno gli occhi. Ma alcuni li hanno annebbiati e non vedono la luce del sole. Tuttavia per il fatto che i ciechi non vedono, non si può concludere che la luce del sole non brilla. Giustamente perciò essi attribuiscono la loro oscurità a se stessi e ai loro occhi.

Tu hai gli occhi della tua anima annebbiati per i tuoi peccati e le tue cattive azioni. Come uno specchio risplendente, così deve essere pura l'anima dell'uomo. Quando invece lo specchio si deteriora, il viso dell'uomo non può più essere visto in esso. Allo stesso modo quando il peccato ha preso possesso dell'uomo, egli non può più vedere Dio.

Mostra dunque te stesso. Fa' vedere se per caso non sei operatore di cose indegne, ladro, calunniatore, iracondo, invidioso, superbo, avaro, arrogante con i tuoi genitori. Dio non si mostra a coloro che operano tali cose, se prima non si siano purificati da ogni macchia. Queste cose ti ottenebrano, come se le tue pupille avessero un diaframma che impedisse loro di fissarsi sul sole.

Ma se vuoi, puoi essere guarito. Affidati al medico ed egli opererà gli occhi della tua anima e del tuo cuore. Chi è questo medico? E' Dio, il quale per mezzo del Verbo e della sapienza guarisce e dà la vita. Dio, per mezzo del Verbo e della sapienza, ha creato tutte le cose; infatti «Dalla parola del Signore furono fatti i cieli, dal soffio della sua bocca ogni loro schiera» (Sal 32, 6). La sua sapienza è infinita. Con la sapienza Dio ha posto le fondamenta della terra, con la saggezza ha formato i cieli. Per la sua scienza si aprono gli abissi e le nubi stillano rugiada.

Se capisci queste cose, o uomo, e se vivi in purezza, santità e giustizia, puoi vedere Dio. Ma prima di tutti vadano innanzi nel tuo cuore la fede e il timore di Dio e allora comprenderai tutto questo. Quando avrai deposto la tua mortalità e ti sarai rivestito dell'immortalità, allora vedrai Dio secondo i tuoi meriti. Egli infatti fa risuscitare insieme con l'anima anche la tua carne, rendendola immortale e allora, se ora credi in lui, divenuto immortale, vedrai l'Immortale.


Dal «Libro ad Autolico» di san Teofilo di Antiochia, vescovo

(Lib. I, 2. 7; PG 6, 1026-1027. 1035)

Le congregazioni religiose invecchiano e faticano ad attirare i giovani cattolici

di Stéphanie Le Bars

Dietro i loro alti muri a volte millenari, le loro misteriose “grate”, i loro abiti immutabili, i monaci, le monache e i membri delle 400 comunità religiose presenti in Francia non sono al riparo dalle trasformazioni del mondo cattolico. Sono anzi agli avamposti delle evoluzioni legate alla scristianizzazione. Mentre la disaffezione riguardante le vocazioni dei preti si conferma di anno in anno
La preghiera di Gesù contempla due cose fondamentali: l'esclamazione «Padre», che è l'atteggiamento di totale fiducia in colui che lo ama come Figlio, e l'espressione di desideri profondi e vitali: «se vuoi, allontana da me questo calice», «non la mia, ma la tua volontà». Gesù lascia emergere in sé due desideri oggettivamente contrastanti, due realtà conflittuali di cui non ha paura perché nella sua preghiera si unificano nella domanda «si compia la tua volontà».

Pregare nel momento della prova vuol dire lasciar emergere l'angoscia, la paura, il timore di ciò che ci sta di fronte e che è opposto al desiderio che abbiamo di essere disponibili, di deciderci, di affrontare la realtà. Nella preghiera, questa divisione che è in noi si unifica, disponendoci alla lotta e alla decisione coraggiosa. Ciò che in noi è tumultuosamente conflittuale e perciò ci impedisce di agire, di muoverci, ci paralizza nella paura, ci porta a dilazionare nel tempo le decisioni, ad accampare scuse senza limiti; tutto questo conflitto interiore, se messo a fuoco nella preghiera, ci unifica e ci permette di riprendere in mano la nostra capacità di deciderci e di dire: «sia fatta la tua volontà», «si compia in me ciò a cui sono chiamato».

Il testo ci dice inoltre che la preghiera di abbandono e di unificazione di Gesù è espressa in uno stato di angoscia e di agonia. Viene alla mente la parola di Pascal: «Gesù è in agonia fino alla fine del mondo, nella sua Chiesa, negli uomini». Possiamo quindi unirci all'agonia, all'angoscia e allo sconforto di tutti gli uomini che nel mondo, vicino o lontano da noi, soffrono e sono sottoposti alla prova. Gesù nella sua prova vince la prova per noi fino alla fine del mondo; nella sua angoscia è vinta la nostra. La paura di deciderci, di buttarci, di perdere la vita per i fratelli, è vinta dalla sua preghiera nell'agonia. Gesù ha voluto manifestare la sua angoscia per esserci vicino fino in fondo. Non ha temuto che apparissero la sua debolezza e la sua fragilità per insegnarci a non avere paura della nostra; a non avere paura neanche che essa si manifesti e sia conosciuta, perché in questa nostra fragilità opera la potenza di Dio.

Carlo Maria Martini, Qualcosa di così personale, 48-49

Può darsi che sia vero che la Chiesa avrà tempi duri, come Israele ebbe ai tempi della deportazione (quante profezie amare ed ingenue circolano nel sottobosco delle parrocchie!).

A me tutto questo non dice molto perché Cristo mi ha liberato proprio dalla paura.

Io mi sento assicurato e confortato dal passaggio di Gesù nella mia vita.

Se si chiude un seminario non mi viene alla mente di dubitare che mi mancherà un prete a darmi l'Eucaristia.

Se si vende il Vaticano non tremo pensando che tutto è finito e che Dio è stato vinto dal male.

No, e preferisco cantare con Osea le stesse parole della speranza: «Io sono il Santo in mezzo a te, Israele e ruggirò come leone dinanzi al male. Accorreranno i tuoi figli come colombe, e come augelli ritorneranno al loro nido» (11,10-11). Sì, ho tanta speranza!

Ed è la speranza vera, quella non fondata sull'ottimismo umano, ma nata dalla contraddizione e debolezza mia, dalle contraddizioni e debolezze della Chiesa e dalla visione della babele del mondo di sempre.

Ho la speranza che non si fonda più sulle mie forze o sulle forze organizzate della Chiesa, ma solo sul Dio vivente, sul Suo amore per l'uomo, sulla Sua azione nella storia, sulla Sua volontà salvifica.


fr. Carlo Carretto, Ogni giorno, 8 gennaio


Segnale inequivocabile: il popolo (solo a volte, purtroppo) non sopporta che si metta sul piedistallo chi è stato condannato per associazione mafiosa. I modi della piazza non sono mai fini e non si possono condividere del tutto, però trovo significativo che - una volta su mille - non "un gruppo di facinorosi", ma la cittadinanza civile si rifiuti di accettare tutto e tutti. E lo faccia contro gli atteggiamenti mafiosi, non per questioni di calcio o di veline.


don Chisciotte


 


Varese - L'offerta di lavoro da parte di un'azienda di servizi cimiteriali

«Cercasi hostess per il caro estinto»

Il suo compito è offrire supporto ai parenti, compenso otto euro all'ora. Già 50 aspiranti per il posto

Le hostess, evidentemente, vanno forte in questo periodo. Cinquecento ne ha volute Gheddafi al suo cospetto, per lo show italiano degli scorsi giorni. Adesso un'azienda di Varese che si occupa di servizi cimiteriali ne cerca una da assumere part time nei campisanti intorno a Milano, per dar conforto ai parenti del caro estinto nell'ultimo saluto alla vita terrena. La paga è otto euro all'ora.

Così si legge nel sito Infojobs, che rimanda all'agenzia di lavoro interinale Randstad. Descrizione dell'offerta pubblicata online: «Ricerchiamo una hostess che si occupi di accogliere i parenti dei defunti e di accompagnarli alla tomba in occasione dell'esumazione della salma. La risorsa dovrà fornire un supporto ai parenti del defunto e dovrà essere in grado di non farsi coinvolgere emotivamente dalle situazioni. Orario di lavoro è part-time, 3 ore e mezzo al giorno da martedì a venerdì. Possibilità di utilizzo dell'auto aziendale per gli spostamenti tra i cimiteri».

«Abbiamo ricevuto già 50 curricula in cinque giorni», racconta Silvia Lentà, unit manager di Randstad. «L'azienda non ha posto limiti di età per la candidata, tranne le qualità psicologiche. Deve essere una persona predisposta a questo tipo di circostanze. Non fredda ma professionale. Potrebbe avere, per esempio, esperienza come infermiera o operatrice socio-assistenziale». Nelle intenzioni dell'azienda del Varesotto, che ha ottenuto importanti appalti per i servizi cimiteriali in Lombardia (infatti cercano anche 8 manutentori, fanno sapere da Randstad), c'è quella di seguire il modello americano. «Non si tratterà, nel futuro, di accompagnare i parenti nell'esumazione della salma, ma se l'idea funziona, di organizzare una sorta di party di saluto, come avviene negli Stati Uniti».


Stella Grasso

Le gheddafine, il Signore e la gent

di Beppe Severgnini

Se una delle «gheddafine» reclutate a 40 euro leggesse quest'articolo, per favore, si metta in contatto con me. Voglio sapere perché ha accettato: la risposta aprirebbe squarci affascinanti nella nuova mente italiana. Lavorando la baby-sitter avrebbe preso di più. Recitando in quell'avanspettacolo di proselitismo islamico (© Franco Venturini) ha guadagnato una miseria; ha tollerato un'umiliazione; ha messo in imbarazzo, se ancora conta, il suo Paese.

Il capo del governo italiano è stato invece, a suo modo, coerente. Da decenni sostiene che il cliente ha sempre ragione, e la regola vale per tutti: inserzionisti permalosi, elettori umorali, alleati scomodi come il colonnello Gheddafi (ma generale non lo promuovono mai?). Anche l'uomo di Tripoli, se vogliamo, ha mantenuto le promesse. La sua idea di modernità è quella: lui sfoggia e gli altri ammirano; lui parla e gli altri ascoltano. Anche il mondo cattolico, davanti ad affermazioni strabilianti («L'Europa sarà islamica») è apparso, per una volta, unito. Il quotidiano Avvenire s'è evangelicamente scocciato. Perfino Comunione e Liberazione, reduce dell'annuale flirt adriatico col potere, s'è ribellata. Maurizio Lupi e Mario Mauro - rispettivamente vicepresidente della Camera e capogruppo Pdl al Parlamento Europeo - sono stati chiari: «È opportuno offrire il nostro Paese come palcoscenico per gli spettacoli del raìs?». Mi è sfuggita la reprimenda antigovernativa della pasionaria cristiana Daniela Santanchè, ma forse ero distratto.

Anche la reazione dell'opinione pubblica, se ci pensate, è prevedibile. Stupore divertito: non indignazione. Battute di spirito: non proteste. Il pubblico ha osservato la silenziosa guerra di tinture dietro le promesse d'amicizia tra i leader, ha ascoltato gli annunci di accordi. Non mi sembra però sia stato colto quest'aspetto: solo in Italia Gheddafi avrebbe potuto fare quello che ha fatto. Risposta governativa: solo l'Italia è così vicina alla Libia e ha tanti interessi laggiù!

Vero: ma la gente non ragiona come il ministero degli Esteri, Unicredit o Impregilo. Il motivo per cui il «Gheddafi-show» (© Lupi-Mauro) è stato tollerato è un altro: siamo abituati a non discutere il potere. Si chiami Signore, Principe, Re, Duce, Presidente o Raìs, noi l'accettiamo, da secoli. Magari lo deridiamo, l'aggiriamo, lo imbrogliamo: ma non lo discutiamo. Il potente, in Italia, non è costretto all'understatement del potere, come nelle altre democrazie occidentali. Può sfoggiarlo: buona parte dell'opinione pubblica vivrà gli eccessi di lui come motivo di divertimento o, addirittura, d'orgoglio. Lo zar russo o il raìs arabo godono dello stesso privilegio. Il presidente Medveded può arrivare a Cervinia e pasteggiare a mezzogiorno con champagne da 500 euro a bottiglia; Gheddafi può trasformare Roma in un set televisivo personale; Berlusconi non deve nascondere ciò che ha e ciò che fa (feste e ragazze comprese). Ecco perché Palazzo Chigi va d'accordo con Tripoli e il Cremlino, da quando gli inquilini sono questi.


Corriere della Sera, 2 settembre 2010

Nel Vangelo della messa ambrosiana di oggi leggiamo: «Gesù si mise a parlare di Giovanni alle folle: «Dai giorni di Giovanni il Battista fino ad ora, il regno dei cieli subisce violenza e i violenti se ne impadroniscono» (Mt 11,12).

Più vengo a conoscenza e rifletto sull'atteggiamento di numerosi diaconi, presbiteri e vescovi nei confronti delle loro comunità cristiane, mi rendo conto che "violento" può essere un aggettivo che ben lo definisce.

E' violenza non ascoltare coloro che abitano quel territorio, quella parrocchia, quella diocesi.

E' violenza imporre la propria spiritualità, i propri gusti estetici, le proprie preferenze culinarie.

E' violenza costringere un popolo ad adeguarsi alla propria forma mentis.

E' violenza ritardare il cammino di tutti a motivo della propria pigrizia, ignoranza, incapacità.

E' violenza soffocare chi dà fastidio e costringerli ad andarsene.

E' violenza rubare tempo alla cura delle pecore malate, ferite, bisognose.

E' violenza non pensare al domani della propria gente.

E' violenza trattare le cose di tutti come se fossero esclusiva proprietà privata... propria.

Se qualche diacono, prete e vescovo avesse pensato che la vita della Chiesa fosse cosa sua, la parola di Gesù è chiara: i violenti si sono impadroniti del Regno.


Con amarezza, don Chisciotte
"Andrò a vedere i lager libici dove tengono gli immigrati"

intervista a mons. Domenico Mogavero, a cura di Orazio La Rocca

«L'Italia non ci ha fatto una gran bella figura. Io speravo almeno di poterci parlare, brevemente, su questioni delicate come l'immigrazione, che non può essere governata con i respingimenti e, tantomeno, con i campi di concentramento in zone desertiche. Ma non è stato possibile. Comunque, non mi fermo. Ho chiesto di poter andare in Libia per visitare i centri di accoglienza che, a quanto dicono, sono dei veri e propri lager».

E' deluso, monsignor Domenico Mogavero, vescovo di Mazara del Vallo e, fino allo scorso mese di maggio, presidente del Consiglio per gli Affari giuridici della Cei, l'unico prelato ad essere stato invitato dall'Accademia Libica d'Italia al ricevimento ufficiale in onore di Gheddafi.

Un invito piuttosto inusuale: ma perché, monsignor Mogavero, ha accettato?

«Speravo di poter parlare col leader libico, stando anche a quanto mi era stato prospettato. Speravo di potere aprire qualche piccola finestra almeno sul fronte umanitario. Alla fine della cena l'ho salutato come tutti, ma non c'è stato il tempo nemmeno per una parola».

Ma cosa avrebbe voluto chiedergli?

«Avrei voluto chiedergli che fine hanno fatto le tante persone respinte dalle navi italiane e mandate con forza sulle sue coste. Non mi è stato permesso di farlo, ma io non mi arrendo. Ho già chiesto di poter andare in Libia dove spero di poter visitare i centri di raccolta degli immigrati respinti. Appena mi daranno l'autorizzazione, partirò».

Gheddafi ha chiesto all'Europa ben 5 milioni di euro l'anno per poter fermare il flusso di immigrati.

«Al di là delle provocazioni, è però vero che sull'immigrazione serve una strategia comune della Ue che per ora non c'è. E non si può affidare il presidio dell'intero fronte africano ad un solo Paese e sulla base di accordi bilaterali che prevedono, in cambio, contratti di carattere economico a vantaggio della Libia e dei nostri imprenditori».

Nessuno ha sollevato il problema delle condizioni in cui versano gli immigrati respinti sulle coste libiche.

«E' vero, e per questo dico che non ci abbiamo fatto una gran bella figura. La questione dei diritti umani è di primaria importanza: ignorarla per non turbare gli accordi commerciali, è deleterio. Come vescovo di Mazara del Vallo, dove da anni arrivano disperati su carrette del mare, non posso stare zitto».

Gheddafi ha anche lanciato la campagna di islamizzazione dell'Europa. Preoccupato?

«Non mi è sembrata una uscita seria. Lo ha detto, poi, ad una platea di ragazze assoldate per ascoltarlo. Ma l'Europa farebbe bene a rafforzare le sue radici cristiane».


in “la Repubblica” del 1° settembre 2010

Terrasanta, preghiere via e-mail

di Marco Tosatti


Parecchie comunità contemplative della Terra Santa ora accettano richieste di preghiera trasmesse per e-mail. Il Patricarcato latino di Gerusalemme ha annunciato di aver organizzato questo tipo di servizio, dal momento che molte persone da tutto il mondo chiedono preghiere alle comunità contemplative che vivono in Terra Santa. In un comunicato, il Patriarcato afferma che queste intenzioni di preghiera possono essere molto importanti, per i richiedenti, “e questa è la ragione per cui essi vogliono affidarle alle persone che hanno dedicato la loro vita a Dio, per vivere e pregare in Terra Santa”. Di conseguenza , ricordando anche che nell'Instrumentun Laboris per il Sinodo sul Medio Oriente si afferma che ”la prima missione dei monaci e delle monache è la preghiera e l'intercessione per la società”, il Patriarcato invita I fedeli a mandare le loro richieste di preghiera a una delle comunità religiose. “Potete affidare loro le vostre intenzioni, specificando i dettagli che vi stanno a cuore. Tutto ciò resterà privato e noto solo a voi e alla comunità a cui vi rivolgerete”.

Ecco gli indirizzi di e-mail comunicati dal Patriarcato:

-- Poor Clares, Nazareth: Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.

-- Carmelites, Mount Carmel, Haifa: Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.

-- Nuns of the Emmanuel, Bethlehem: Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.

-- Bridgettine Sisters, Bethlehem: Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.

-- Silent Workers of the Cross, Mater Misericordiae, Jerusalem: Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.

-- Benedictines, Mount of Olives, Jerusalem: Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.

-- Poor Clares, Jerusalem: Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.

-- Carmelites of the Pater, Jerusalem: Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.

-- Nuns of Bethlehem, Bet Gemal, Bet Shemesh: Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.

-- Little Family of the Resurrection, Jerusalem: Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.

Il "proselitismo" del colonnello

Incresciosa messa in scena o forse solo un boomerang

di Marco Tarquinio

Amiamo l'idea di un Mediterraneo «mare comune» dei popoli che gli vivono attorno, specchio di culture e di economie amiche e in serena collaborazione, metaforica e concreta via di comunicazione anche tra le religioni dopo essere stato per secoli tramite di ostilità, di terrori e di reciproche invasioni militari. Abbiamo perciò accolto come una buonissima notizia, due anni fa, la «riconciliazione» tra Italia e Libia dopo un lunghissimo e aspro contenzioso, frutto della politica coloniale italiana e dei suoi misfatti