"Si fanno, talvolta, molti incontri, dibattiti e discorsi per chiedersi che cosa fare per essere maggiormente adatti ai nostri tempi, quali riforme attuare, che cosa è indispensabile modificare nella Chiesa... quasi che, in tutto questo discorrere ecclesiastico, Cristo fosse sullo sfondo come un assente, come un morto. (...) Una tale consapevolezza dovrebbe indurre a vedere con lucidità che non si può oggi essere davvero in uscita se non si ritrova proprio un tale centro, che si tratta di trasmettere ad altri. 
In un contesto nel quale si era tutti "normalmente" cristiani non si poneva il problema di dove partire per annunciare il Vangelo. Si trasmetteva, per così dire, tutta l'impalcatura del cristianesimo, con naturalezza e contando su una società che era almeno formalmente cristiana. Ma oggi è indispensabile che la Chiesa e le comunità cristiane siano capaci di mostrare il cuore del cristianesimo, in un contesto nel quale si hanno spesso forti pregiudizi su di esso e non si sa più in che cosa consista. A che varrebbe proporre tutta una raffinata e radicale riflessione etica se non si sa su che cosa si fondi, dove appoggia? (...)
Che cosa capiterebbe nelle nostre parrocchie, se delle persone bussassero chiedendo di voler conoscere il cristianesimo e farne l'esperienza partendo dai fondamenti? Potremmo trovarci a dover ammettere di essere così abituati a dare per scontato il cuore del Vangelo, che poco o nulla del molto che facciamo è realmente capace di introdurre qualcuno ai fondamentali della fede cristiana". 
di Roberto Repole, in “Vita Pastorale” del marzo 2019

In tanti hanno creduto di sentire urlare «Ti amo io, ti amo». Ma Guglielmo uno dei ragazzini che fuggiva dallo scuolabus dirottato lo scorso 20 marzo da Ousseynou Sy in realtà ha confessato di aver gridato «Ti amo Dio, ti amo». Le sue parole erano rivolte al Signore, come racconta lui stesso: «Sul pullman eravamo tutti disperati e anch'io ho voluto fare la mia preghiera e quando siamo riusciti a salvarci mi è sembrato che si fosse avverata quindi ho voluto ringraziare Dio e ho urlato Dio ti amo» racconta il ragazzino in un'intervista:
https://www.avvenire.it/attualita/pagine/dio-ti-amo-preghiera-attentato-bus-bambini?fbclid=IwAR3ofoogCm_gK90lpgLpYmu_WtDPdvUDB34r7b0M84IeK6kUC3BEgGrzwz4


Ma la chiesa non può essere missionaria se non è sinodale.  Il fatto di essere poco significativi come cristiani è perché spesso siamo troppo poco credibili 
di Roberto Repole, presidente della Associazione Teologica Italiana
(...) Un po' ovunque si parli dell'importanza di una Chiesa "in uscita missionaria". Occorre dircelo: quasi in tutti i nostri convegni o discorsi pastorali si ode ormai l'invito a cambiare passo e a essere finalmente Chiese o comunità cristiane in uscita, estroverse, non autoreferenziali, capaci di raggiungere tutti. Qualunque sia l'ambito pastorale di cui ci si occupa, il richiamo all'uscita missionaria non manca: che si parli delle parrocchie o della pastorale degli ospedali, della presenza ecclesiale nel mondo universitario o della Caritas... 
L'implicito troppo spesso è che si tratta solo di impegnarsi di più e di concentrarsi finalmente sugli altri: su quelli "di fuori", su chi non è cristiano, sui molti che non hanno mai fatto parte o non fanno più parte della comunità cristiana. 
Ma un tale implicito può indurre a due pericoli alla lunga letali: il primo è di colpevolizzare quei pochi (preti, religiosi o laici, poco importa) che spesso ce la mettono già tutta e vivono spesso una vita carica di responsabilità; il secondo è di ritenere che il discorso sulla missione non riguardi il modo in cui viviamo la nostra vita ecclesiale ma, appunto, gli altri. In realtà, se c'è qualcosa che ancora possiamo trasmettere e offrire in questo mondo è quello che viviamo realmente dentro le nostre Chiese. 
Se abbiamo davvero a cuore la missione della Chiesa dovrebbe interessarci anzitutto che cosa ancora sperimentiamo dentro le nostre comunità: se sia cioè possibile fare un'esperienza di Dio al loro interno, se si faccia una reale esperienza di fraternità e di misericordia, se sperimentiamo ancora da qualche parte il "miracolo" di diversità riconciliate che possono davvero convivere in Cristo... Perché se non ci preoccupiamo di questo, non c'è veramente nulla che possa uscire e risultare appetibile per altri. 
Del resto, non sarebbe il caso di domandarci se il fatto di essere spesso così poco significativi non dipenda anche dal fatto di apparire troppo poco credibili?
in “Vita Pastorale” n. 2 del febbraio 2019

"Diversi perché unici".
In relazione perché diversi.

Se tu conoscessi... che a pochi metri da casa mia ho potuto contemplare questa meraviglia: "La Pantofola della Madonna", nome popolare della Calceolaria.


La Giornata è nata nel 1993 per iniziativa dell’allora Movimento Giovanile Missionario, diventato oggi Missio Giovani che, sotto l’egida della Fondazione Missio, anima, per la Chiesa italiana questo speciale evento di preghiera per ricordare tutti i testimoni del Vangelo uccisi in varie parti del mondo.
Nel 2018 c’è stato purtroppo un aumento di persone uccise in odium fidei: sono quaranta (circa il doppio rispetto allo scorso anno) gli operatori pastorali che hanno perso la vita per amore di Dio, come riporta l’annuale rapporto dell’Agenzia Fides della Congregazione per l’evangelizzazione dei popoli.
Il tema che abbiamo scelto quest’anno,  "Per amore del mio popolo non tacerò" (cfr. Is 62,1), è ispirato alla testimonianza di Oscar Romero, el santo de America, e vuole esprimere la piena consapevolezza che amare Dio significa amare i propri fratelli, significa difenderne i diritti, assumerne le paure e le difficoltà.
Per amore del mio popolo non tacerò significa agire coerentemente alla propria fede. In quanto cristiani, discepoli missionari, portatori della Buona Notizia di Gesù non possiamo tacere difronte al male. Farlo significherebbe tradire il mandato che ci è stato affidato.
https://www.missioitalia.it/materiale-per-lanimazione-della-giornata-dei-missionari-martiri-2019/


“La giovinezza è felice, perché ha la capacità di vedere la bellezza. Chiunque conservi la capacità di cogliere la bellezza non diventerà mai vecchio”. 
Franz Kafka


Vangelo secondo Matteo 5, 38-48
Gesù diceva ai suoi discepoli: «Avete inteso che fu detto: “Occhio per occhio e dente per dente”. Ma io vi dico di non opporvi al malvagio; anzi, se uno ti dà uno schiaffo sulla guancia destra, tu pórgigli anche l’altra, e a chi vuole portarti in tribunale e toglierti la tunica, tu lascia anche il mantello. E se uno ti costringerà ad accompagnarlo per un miglio, tu con lui fanne due. Da’ a chi ti chiede, e a chi desidera da te un prestito non voltare le spalle.
Avete inteso che fu detto: “Amerai il tuo prossimo e odierai il tuo nemico”. Ma io vi dico: amate i vostri nemici e pregate per quelli che vi perseguitano, affinché siate figli del Padre vostro che è nei cieli; egli fa sorgere il suo sole sui cattivi e sui buoni, e fa piovere sui giusti e sugli ingiusti. Infatti, se amate quelli che vi amano, quale ricompensa ne avete? Non fanno così anche i pubblicani? E se date il saluto soltanto ai vostri fratelli, che cosa fate di straordinario? Non fanno così anche i pagani? Voi, dunque, siate perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste».


«I due anziani si tengono per mano, mentre affrettano il passo verso la chiesa per la messa vespertina.
Lei alza lo sguardo. "Ah, eccola là, la luna. La cercavamo".
Vorrei invecchiare con questa capacità di stupore».
Barbara Garavaglia, 11.03.2019


«Nell’istante in cui s’incrociano conversione e perdono, si ha il fiorire di un unico amore, anche se esso sboccia nei due protagonisti, Dio e la persona umana. C’è l’amore divino che perdona e simultaneamente c’è l’amore del convertito che è occasione del perdono amoroso di Dio. L’uno e l’altro amore insieme si abbracciano».


Suggestivo è il dialogo che il grande credente e filosofo francese Blaise Pascal immaginava nei suoi Pensieri tra Dio e l’anima. «Se tu conoscessi i tuoi peccati, ti dispereresti», ammoniva il Signore. E allora il peccatore sente che c’è poco da fare per lui. Ma Dio continua: «No, tu non ti dispererai, perché i tuoi peccati ti saranno rivelati nel momento stesso in cui ti saranno perdonati». 

«Le sono perdonati i suoi molti peccati perché ha molto amato. Colui al quale si perdona poco, ama poco» (7,47). (...) La prima dichiarazione vede l’amore come causa del perdono dei peccati, che «le sono perdonati perché ha molto amato». Nella seconda asserzione, invece, l’amore è l’effetto del perdono ricevuto, tant’è vero che «colui al quale si perdona poco, ama poco». Gli studiosi pensano che questa differenza nasca dalla fusione di due frasi di Gesù pronunziate in momenti e situazioni diverse. In verità, è possibile tenere insieme quel duplice profilo del detto di Cristo, proprio perché idealmente chiude il cerchio dell’amore che è sorgente del perdono, ma ne è contemporaneamente il frutto.
Suggestivo è il dialogo che il grande credente e filosofo francese Blaise Pascal immaginava nei suoi Pensieri tra Dio e l’anima. «Se tu conoscessi i tuoi peccati, ti dispereresti», ammoniva il Signore. E allora il peccatore sente che c’è poco da fare per lui. Ma Dio continua: «No, tu non ti dispererai, perché i tuoi peccati ti saranno rivelati nel momento stesso in cui ti saranno perdonati». Ecco, nell’istante in cui s’incrociano conversione e perdono, si ha il fiorire di un unico amore, anche se esso sboccia nei due protagonisti, Dio e la persona umana. C’è l’amore divino che perdona e simultaneamente c’è l’amore del convertito che è occasione del perdono amoroso di Dio. L’uno e l’altro amore insieme si abbracciano, proprio come era accaduto in quel giorno nel palazzo di Simone il fariseo».
Gianfranco Ravasi, Famiglia Cristiana, 7 marzo 2019
http://m.famigliacristiana.it/blogpost/lincrocio-tra-peccato-amore-e-perdono.htm

Nella chiesa di Sesto Pusteria la teologa Christine Leiter ha guidato la liturgia della Parola per le esequie, nell’ambito della novità pastorale operativa in tutta la diocesi altoatesina col prossimo mese di giugno, quando termineranno il loro percorso formativo i dodici laici scelti dall’arcidiocesi di Bolzano-Bressanone: sei uomini e sei donne.
Christine è una di loro e come il “collega” Hans Duffek a Bolzano (“Avvenire” ne ha dato notizia qualche mese fa) si è trovata a celebrare il primo funerale a causa dell’assenza del parroco, impegnato fuori sede per un servizio. «Dal momento che il loro percorso formativo prevede di fare esperienza con la celebrazione di tre funerali prima del termine del corso – ci spiega il parroco di Dobbiaco, don Josef Gschnitzer – avevamo concordato che a Sesto Pusteria avrebbe presieduto lei un funerale nel caso di necessità. E così è stato, visto che io ero assente. È andato tutto bene, normalmente, con l’unica differenza che non si è celebrata l’Eucaristia». (segue)
https://www.avvenire.it/chiesa/pagine/funerale-presieduto-da-una-donna-alto-adige

Il fondo, aperto al contribuito dei cittadini, sarà destinato in primo luogo agli ospiti al momento presenti nel sistema di accoglienza diffusa della diocesi di Milano, titolari di un permesso di soggiorno, ma che nonostante questo sarebbero costretti a interrompere i percorsi di integrazione già intrapresi.
Inoltre le risorse raccolte serviranno per auto-finanziare le ospitalità in quei posti all’interno delle rete degli appartamenti parrocchiali e degli istituti religiosi che non saranno più convenzionati con le Prefetture alla scadere dei nuovi bandi.
https://www.caritasambrosiana.it/area-per-la-stampa/approfondimenti-area-per-la-stampa/fondo-di-solidarieta-per-gli-esclusi-dallaccoglienza?fbclid=IwAR38cF4FfeZ8d9ixfQKAMlf5LhAguIgp0zPKUViD-7xRIbAv59i9eKweMkU

«[En archè en o lògos kài o lògos en pros ton theòn, kài theòs en o lògos]
In principio era la Parola 
e la Parola era presso il Dio 
e Dio era la Parola.
Difficile trovare un principio più potente di questo con cui si apre il Vangelo secondo Giovanni, circa l'indistinguibilità di linguaggio, pensiero, divinità, umanità. Essi sono un tutt'uno, nel bene e nel male. L'uomo si crede un dio perché pensa e parla, dio si crede un uomo per la stessa ragione».
Mario Domina, 7.03.2019

Il gesuita Claudio Zonta sul numero di marzo de "La Civiltà Cattolica" riprende l'album del 1996 D'amore, di morte e di altre sciocchezze per dire che Guccini canta dei "grandi temi propri dell'umanità, i sentimenti e le passioni della vita, la riflessione sull'eterno limite esistenziale, e tutte quelle istanze quotidiane, misere e sublimi, dette con ironia 'sciocchezze', con cui l'essere umano si deve confrontare". Per Zonta "è un canto libero e dubbioso, incapace di chiudersi in certezze, ma, nello stesso tempo, attento a cogliere nell'attimo e nel poco l'infinita grandezza e complessità dell'esistenza".
https://www.globalist.it/musica/2019/02/28/i-gesuiti-elogiano-guccini-canta-il-dubbio-e-i-temi-dell-umanita-2038080.html?fbclid=IwAR2YZxsj-mmWkwHF_JDUlvgoaCO1sHGLs7QVJDb-V8VMgOoPLTSnRkWnWA8


"La fiducia nella bontà altrui è una notevole testimonianza della propria bontà".
Giuseppe Pischetti, 4.03.2019

«In merito al Carnevale non siamo forse un po’ schizofrenici? Da una parte diciamo molto volentieri che il carnevale ha diritto di cittadinanza proprio in terra cattolica, dall’altra poi evitiamo di considerarlo spiritualmente e teologicamente. Fa dunque parte di quelle cose che cristianamente non si possono accettare, ma che umanamente non si possono impedire? Allora sarebbe lecito chiedersi: in che senso il cristianesimo è veramente umano? (...) Anche per il cristiano non è sempre allo stesso modo tempo di penitenza. C’è anche un tempo per ridere. L’esorcismo cristiano ha distrutto le maschere demoniache, facendo scoppiare un riso schietto e aperto. (...) Per questo noi cristiani non lottiamo contro, ma a favore dell’allegria. La lotta contro i demoni e il rallegrarsi con chi è lieto sono strettamente uniti: il cristiano non deve essere schizofrenico, perché la fede cristiana è veramente umana» .
Joseph Ratzinger, Speranza del grano di senape, 1974


Quando la testa del corteo è arrivata in piazza Duomo, la coda non si era ancora mossa dal punto di partenza, Porta Venezia: “siamo oltre 200mila” hanno esultato dal palco gli organizzatori della manifestazione. Secondo le stime più prudenti, sarebbero la metà le persone scese in corteo per chiedere un Paese “senza discriminazioni, senza muri, senza barriere”, come voleva (continua: https://www.avvenire.it/attualita/pagine/people-milano-manifestazione?fbclid=IwAR15p9QKm6g7gvLf0v1xvbWaS_k2dvEdWZJDaSTEnsPOdHIKiRBKQwCvIS4


Parola. È potente e rende potenti 
di Nunzio Galantino 
Dal latino par(ab)ola, più che indicare un determinato termine, in origine “parola” significava genericamente "esempio", "similitudine" o "racconto" in senso lato. (...) In genere la parola trasmette una nozione generica, descrive un’azione, esprime un sentimento, comunica una conoscenza. Ma la parola non è solo “informativa”. Vi è anche una parola “performativa”. È quella che, utilizzata in maniera consapevole, genera una realtà o determina una situazione. Come quando una parola viene rivolta a un’altra persona dando forma e comunicando un sentimento, innescando una decisione, facendo nascere o interrompendo una relazione. In maniera decisiva per la vita. Migliore è la conoscenza e l’uso delle parole, migliore sarà il nostro potere sulla realtà. Sì, perché la parola è potente e rende potenti. (...) Aveva scritto la poetessa statunitense E. Dickinson: «Non conosco nulla al mondo che abbia tanto potere quanto la parola. A volte ne scrivo una, e la guardo, fino a quando non comincia a splendere». È l’esperienza fatta da chi ha visto le parole trasformarsi in arma potente contro il potere. Tanto potente che, durante le rivoluzioni, migliaia di libri contenenti pagine piene di parole sono stati bruciati. Per paura. Non certo per paura delle pagine di carta, ma per paura di ciò che le parole evocavano e delle decisioni che da esse potevano scaturire. (...) Leggere un libro di parole o scrivere parole è acquisire e trasmettere conoscenza ma può essere anche un passo decisivo per dire la propria voglia di libertà, di relazioni e di vita. La parola, quella sensata, è in fondo un’impronta che osa disturbare il silenzio o riempire il vuoto per rendere felice o spingere alla disperazione, per insegnare, per condizionare giudizi o decisioni, per mostrare la propria identità. (...) Parlare è altro dall’ “emettere suoni”. La parola autentica nasce dal grembo reso gravido dal silenzio e dal rispetto di sé, degli altri e della verità. «Le parole infatti cantano. Esse feriscono. Esse insegnano. Esse santificano. Esse furono la prima, incommensurabile caratteristica magica dell’uomo». (Leo C. Rosten).
in “Il Sole 24 Ore” del 4 febbraio 2018