Les Tambours du Bronx, gruppo della musica alternativa delle periferie francesi, ormai noti in tutto il mondo!

L'istituto di ricerca Nomisma nel suo quarto "Quaderno sull'economia" si è occupato del recente boom dell'industria del Gioco: nel 2008 sono stati 28 i milioni di italiani che hanno avuto almeno un'occasione di gioco, il 28% ha puntato almeno una volta sull'estrazione dei numeri

Scommesse, Lotto, Gratta e Vinci: Italia paese sempre più in gioco

Il gioco ed i giovani, i comportamenti dei giocatori e la social responsability degli operatori del settore. Sono questi i temi trattati dall'istituto di ricerca Nomisma, nel suo quarto "Quaderno dell'economia". Nel 2008 sono stati 28 i milioni di italiani che hanno avuto almeno un'occasione di gioco. L'11,6% (vale a dire oltre 6 milioni e mezzo) degli italiani - del rappresentativo campione analizzato da Nomisma - ha dichiarato di giocare una volta alla settimana e l'1,4% ogni giorno o quasi. Per oltre 700 mila persone il gioco è una componente irrinunciabile del proprio quotidiano. Più del 22% degli italiani ha sperimentato più di una tipologia di gioco; oltre 13 milioni di italiani ne praticano addirittura più di 3.

Analizzando i singoli giochi, viene fuori che, nel 2008, il 28% degli italiani - cioè 14,4 milioni di persone - ha giocato almeno una volta al Lotto. Al secondo posto il SuperEnalotto, che è stato giocato da 11,6 milioni di italiani, seguito dai Gratta e Vinci con 10,1 milioni di persone. Buono anche il successo delle Lotterie Nazionali, che hanno rappresentato un'occasione di gioco per 5,5 milioni di italiani. In calo invece il bacino d'utenza dei concorsi pronostici (2,3 milioni), mentre sono in crescita le persone (2,7 milioni nel 2008) che hanno giocato almeno una volta alle scommesse sportive. Importante anche il valore dei giocatori di scommesse sportive online: il 2,8% degli italiani (vale a dire 1,4 milioni) ha puntato sul web.

Ma qual è il motivo che spinge a giocare? Tra i giocatori la speranza di vincere denaro è la motivazione preponderante. Oltre il 43% dei giocatori individua nella possibilità di veder mutata la propria condizione economica con una spesa modica il principale stimolo a giocare. Sempre tra i giocatori, il 20% identifica il gioco con "divertimento". Ma emergono anche connotazioni negative: il 16% vede il gioco soprattutto come fattore di perdita di denaro. L'8,2% ritiene il gioco una dipendenza e circa il 5% lo vede come un rischio, vale a dire uno strumento che se non correttamente gestito può trasformarsi in dipendenza. Chi non gioca ha invece una posizione più critica. Il gioco è "perdita di denaro" per il 37% degli italiani che non giocano. L'aspetto ludico è decisamente in secondo piano: solo il 7% pensa che il gioco sia soprattutto divertimento, mentre il 2% pensa che sia una passione.

In tema invece di informazione sui rischi reali della dipendenza da gioco, dalla ricerca Nomisma viene fuori che il 53% degli italiani ritiene che l'informazione sia assolutamente carente. Un ulteriore 32,8% ritiene inoltre che vi sia inadeguatezza sull'informazione attualmente a disposizione. Una delle principali priorità deve essere la protezione dei giovani rispetto ai rischi del gioco. E secondo i dati riportati nel Quaderno, è opinione diffusa che gli operatori del gioco non abbiano predisposto meccanismi di tutela adeguati: il 74,1% degli italiani ha un giudizio negativo del sistema e ritiene l'azione degli operatori del settore non adeguata o comunque caratterizzata da strumenti poco efficaci. (...)

Per quanto riguarda la Social Responsability Index (SRI) e l'Indice di sensibilità nei confronti dei minori (ISM) per ciascuno dei 29 siti valutati, la maggior parte degli operatori di scommesse on line mostrano un indicatore medio di responsabilità sociale basso, pari a 30,8. La valutazione complessiva sulla responsabilità sociale espressa dal sistema può quindi essere considerata ancora insoddisfacente. Solo un operatore presenta infatti una valutazione appena sufficiente rispetto al SRI. La situazione risulta ancor più critica se si considerano i risultati dell'Indice di sensibilità nei confronti dei minori: il valore medio è in questo caso ancor più basso ed è pari a 26,5. Anche in questo caso, solo un operatore raggiunge la sufficienza, mostrando una adeguata sensibilità nell'adottare efficaci strategie di protezione dei minori e opportuni sistemi di inibizione al gioco. Quasi l'80% degli operatori presenta valutazioni gravemente insufficienti in tal senso.

Nel torneo interno tra le classi del seminario,

i prof si sono classificati primi nel girone di qualificazione

per la finale, con i seguenti punteggi:

contro la 3^ selezione B: vittoria per 3-0

contro la 5^: vittoria per 3-0

contro la 4^: sconfitta per 4-1

contro la 3^ selezione A: vittoria per 4-3



Non siamo mica come i brocchi di questo video!



Bisogna saper distinguere da caso a caso

Allarme degli esperti: «Viviamo una vita troppo medicalizzata»

Si usano cure per situazioni che molti reputano patologiche ma in realtà sono fisiologiche

(...) A riaccendere la miccia sulle polemiche dell'eccesso di «malattie», è un articolo apparso in apertura del sito della BBC online nel quale Tim Kendall, Joint Director del National Collaboration Centre for Mental Health e uomo chiave per le decisioni sanitarie del governo britannico, esprime in un'intervista la sua preoccupazione circa la «esondante» medicalizzazione della società. Nel Regno Unito, notoriamente, si è molto attenti alle spese, comprese quelle che lo Stato deve sostenere per la sanità pubblica, ma - fa notare Kendall - che al 10 per cento dei bambini britannici sia stato diagnosticata una malattia mentale, che, sempre per i sudditi di Elisabetta II, siano state fatte 34 milioni di prescrizioni di antidepressivi nel 2007 e che il 10 per cento dei ragazzini americani prenda una medicina contro la sindrome da iperattività , alimenta il sospetto che qualche esagerazione ci sia. «Se si consulta il manuale di riferimento degli psichiatri americani» fa notare Kendall nell'intervista alla Bbc, «si ha l'impressione che qualunque tipo di comportamento umano sia virtualmente patologico». L'esperto inglese vuole quindi denunciare una tendenza a «cercare di creare nuove categorie di malattia, non di rado laddove c'è, o ci sarà, un farmaco che potrebbe essere utilizzato al bisogno». Esempi? L'articolo della Bbc ne cita alcuni, come la «sindrome delle gambe senza riposo», piuttosto che la «fobia sociale», o alcuni disturbi della sfera sessuale femminile.

Su queste, ma anche su diverse altre condizioni, il dibattito sull'opportunità di cure è acceso da tempo, e sono disponibili montagne di studi pronti a dimostrare l'esistenza, la gravità e la diffusione di ciascuna di esse. Nondimeno, però, esistono spesso dubbi sul fatto che tali studi siano sempre uno specchio fedele della realtà e non invece una forzatura interpretativa per medicalizzare condizioni che invece, se non proprio del tutto fisiologiche, nemmeno sono sempre acclaratamente patologiche. Ovviamente bisogna sempre distinguere caso per caso, perché quando un farmaco ci vuole è sacrosanto prescriverlo (per il medico) e necessario prenderlo (per il paziente), ma quando non ci vuole è inutile. E questo sta alla sensibilità e alla capacità dei medici valutarlo. Se qualcuno davvero non riesce a dormire la notte perché le sue gambe sono «senza riposo», cioè non riescono a stare ferme, può trarre sicuro giovamento da un farmaco ad hoc, ma se è solo un po' nervoso quel farmaco potrebbe, non servirgli , e produrre magari qualche effetto collaterale inutile, se non altro al suo portafoglio o a quello del sistema sanitario che lo rimborsa. E il problema non esiste solo per le medicine, ma anche per alcuni esami.

Se può consolare, questo fenomeno, noto fra gli addetti ai lavori come «disease mongering», non è certo nuovo, e non c'è bisogno della Bbc per ricordarlo. Basti pensare che già nel 1923 a Parigi andava in scena a teatro «Il Trionfo della Medicina», commedia di Jules Romains in cui il dottor Knoch, giovane dottore appena nominato medico condotto in un paesino di campagna recitava: «La popolazione è sana soltanto perché non sa di essere malata».

Stabilire dove stiano i confini tra salute e malattia non è facile. A volte quei confini sono chiari e netti, le malattie sono reali e dolorose, e la cura con farmaci, terapie, procedimenti medici, sono quanto di più auspicabile ci possa essere. In altre circostanze, però, i limiti che delineano la patologia tendono sempre di più ad ampliarsi. Oppure problemi di salute sono talmente lievi o passeggeri che non giustificano una loro medicalizzazione.

Il meccanismo che sta alla base del «disease mongering» di solito è ricorrente: si parte da una patologia esistente e curabile farmacologicamente e poi, con operazioni ad hoc la si promuove e descrive in termini abbastanza generici da coinvolgere quanti più soggetti possibili. In altre occasioni addirittura il punto di partenza non è una malattia quanto piuttosto un problema, o semplicemente un fenomeno, che viene ridefinito opportunamente in chiave patologica. Non è che le patologie siano il risultato della creatività dell'industria: le malattie esistono, come pure sono normate e regolamentate le indicazioni per usare i farmaci, ma c'è un potente sforzo collaterale per spingere verso la medicina situazioni in cui un suo intervento è superfluo. Un sistema simile, così per come è strutturato, inevitabilmente genera e produce tendenze crescenti di medicalizzazione non sempre giustificate. Queste, se portate all'eccesso, non fanno bene né allo Stato né al cittadino: il contenimento della spesa sanitaria e la riduzione degli sprechi sono un problema importantissimo oggi per i responsabili della cosa pubblica di tutti i Paesi occidentali .

Pensare di essere malati perchè si perdono i capelli, oppure perchè si ha un po' di mal di testa prima del ciclo mestruale, oppure perchè... si invecchia, può essere fuorviante. La paura di rischi irrilevanti o inesistenti per la salute è profondamente malsana. Il richiamo di Kendall è in realtà motivato soprattutto dalla sua preoccupazione che anche in Europa possa essere ammessa la pubblicità diretta di farmaci soggetti a prescrizione al pubblico, come già avviene negli Usa. Pensiamo di poter però sintetizzare che il suo invito è che si sappia mantenere un ragionevole equilibrio tra i rischi sopportabili e quelli che non lo sono. Senza cadere nell'eccesso opposto: per un vero malato di depressione una terapia adeguata può fare la differenza fra la vita a la morte (non solo in senso fisco), così come per un malato di tumore o di una malattia del cuore. E allo stesso modo la prevenzione, quando attuata secondo criteri opportuni non solo può risparmiare una malattia o la vita stessa, ma fa anche risparmiare soldi alle casse dello Stato.
L'anaffettività

a cura di Marianna Pasquini

In psicologia l'anaffettività consiste nell'incapacità da parte dell'individuo di provare o produrre affetti e si manifesta attraverso la difficoltà di esprimere sentimenti ed emozioni; generalmente si accompagna ad una barriera corporea molto pesante: la persona anaffettiva è anche poco propensa ai contatti corporei, fino a provare disagio nell'essere abbracciata.

In psicopatologia l'anaffettività è un sintomo (non una sindrome) presente nell'anoressia mentale, in alcune forme di psicosi e in misura minore nelle nevrosi ossessive e in alcuni disturbi di personalità.

Viene anche considerato come un distacco emotivo spesso difensivo che si manifesta contestualmente alla presenza di emozioni troppo forti o che fanno paura; può anche rappresentare una fase transitoria di diversi disturbi di personalità, tra cui quello bipolare.

Inoltre é sicuramente possibile che se per una persona “amare” in passato è risultato doloroso e frustrante, più o meno consapevolmente possa iniziare a ritenerlo un comportamento da evitare o comunque da fuggire, si presenta così una reale difficoltà nel creare e sostenere rapporti che implichino intimità. Sono di solito abbastanza casuali i fattori della remissione di questo sintomo: a volte basta un incontro importante e la personalità di un soggetto cambia notevolmente.

Magari a questa persona potresti consigliare dei colloqui (non una psicoterapia) con uno psicologo, che la aiutino a far luce sulle sue difficoltà.


Londra

Cellulari: allarme giovani

Otto su dieci sono «dipendenti»

Uno studio inglese denuncia l'uso smodato da parte dei teenager: sei ore al giorno al telefonino

È allarme cellulari in Inghilterra, dopo la pubblicazione dello studio della «Health Protection Agency» sullo smodato utilizzo dei telefonini da parte dei teenager d'Oltremanica. Stando ai dati, rilevati grazie a un sondaggio del sito di ricerca youngpoll.com su un campione di 2000 ragazzini fra i 6 e i 17 anni, in un giorno un bambino inglese medio spedisce 19 sms, ne riceve 15 e fa 8 telefonate, restando, in pratica, attaccato al cellulare per più di 6 ore, parlando, messaggiando o ascoltando musica.

Ecco perchè 8 teenager su 10 si considerano ormai «telefonino-dipendenti»: una condizione confermata dal fatto che almeno la metà degli intervistati ha ammesso di dormire con il cellulare a fianco del letto e tre quarti di loro ha detto di controllare le chiamate perse o i messaggi ricevuti durante la notte come prima azione della giornata. E tutto questo a dispetto di una recente ricerca svedese, condotta dal professor Lennart Hardell dell'Università dell'Ospedale di Orebro, che ha dimostrato come l'eccessiva esposizione alle radiazioni dei dispositivi mobili quintuplichi il rischio di cancro al cervello fra gli under 20.

Non a caso, in Francia le pubblicità che invitano i ragazzi al di sotto dei 12 anni ad usare i telefonini sono state bandite, mentre in Inghilterra tale preoccupazione non sembra essere stata ancora recepita dal governo e, di conseguenza, i ragazzi inglesi non avvertono il pericolo insito nell'uso esagerato dei cellulari, visto che per l'81% di loro il telefonino è il bene più importante di tutti e addirittura uno su tre dice di sentirsi perso senza, mentre 6 su 10 sostengono di non riuscire a fare nulla se il prezioso oggetto viene loro rubato. Non solo. Numeri alla mano, 9 sedicenni su 10 ne possiede almeno uno e la stessa cosa vale per oltre il 40% degli allievi delle elementari. E i telefonini spuntano spesso anche durante le lezioni, come conferma il dato secondo cui un quarto degli studenti è stato beccato almeno una volta a mandare messaggini dal banco. «Occorre assolutamente scoraggiare i giovani all'uso dei telefonini per sei-sette ore al giorno come misura preventiva», ha spiegato al «Daily Express» un portavoce della «Health Protection Agency», mentre un suo collega della Youngpoll.com ha sottolineato come i cellulari rappresentino ormai il modo più veloce e più facile per comunicare fra i ragazzi. «Adesso con i dispositivi mobili i giovanissimi fanno davvero di tutto. Basta premere un tasto e possono andare online, giocare o ascoltare musica e così facendo il tempo passa in fretta ed è complicato trovare il giusto compromesso».

Caro confratello,

che il Padre del cielo ti doni quel riposo

che quelli che avrebbero dovuto essere tuoi "padri" terreni

non ti hanno saputo dare.

Che il Figlio Gesù ti sussurri quelle parole affettuose

che una parte della Chiesa non ha saputo dirti.

Che il Consolatore si prenda carico delle tue buone opere,

che chi avrebbe dovuto ricordare ha dimenticato.

Che in Cielo tu possa trovare una autentica Famiglia!

don Chisciotte


Sintesi

Non avrai altro io all'infuori di me.


da Jena de La Stampa

Tra le tombe i pensieri della signora Teresa

di mons. Mario Delpini

Avvenire - Milano 7 - 7 settembre 2008


La signora Teresa va spesso al cimitero. «Conosco più gente di là che di qua», dice. A dire la verità conosce anche abbastanza gente di qua per fermarsi a chiacchierare con tutti quelli che incontra. Chiacchiere, messaggi e rimproveri. «Come sono tristi quelle tombe senza neppure un segno religioso! Possibile che neppure la morte faccia pensare al Signore?». Passando davanti a tombe che sembrano piuttosto serre di fiori esotici commenta: «Che sperpero? Ma sarà per onorare i genitori o per esibire la ricchezza?». Su qualche tomba nota la foto di un cane o il modellino di una moto: «Sarà stato anche un cacciatore appassionato, sarà stato anche un motociclista spericolato, ma possibile che tutta una vita si riduca a un hobby?».

La signora Teresa ne ha per tutti, tra un requiem e un cenno di saluto semina critiche e consolazioni. Ma davanti alla tomba dei preti si ferma a lungo, in silenzio: come per ascoltare una confidenza, per ricordare una parola che, gridata dal pulpito o suggerita in confessionale, ha incoraggiato una scelta, ha dissolto un'angoscia, restituito il sorriso. È vero, cara signora Teresa, non basta la morte a spegnere l'eco di una voce amica che ci ha fatto del bene.
digiuno quaresimale
Qui i link dei tre filmati

in cui è raccolto il monologo di Roberto Saviano,


ieri sera a "Che tempo che fa",

tratti direttamente dal sito della Rai.

Una delle rarissime volte

in cui possedere un televisore ha un senso.



parte prima

parte seconda

parte terza

"L'uomo può dire: 'Voglio morire',

ma è incapace di realizzare il contrario: 'Io non voglio morire'".


T. Spidlik, "Maranathà". La vita dopo la morte, 99

postato il 12.12.07
Un libro descrive un fenomeno che non riguarda solo la sfera della emozioni

Secondo gli esperti, l'isolamento indebolisce l'organismo e complica la vita

Solitudine in aumento. Un danno per la salute

C'è quella di chi detesta gli altri, quella di chi non ha più niente da dire, quella voluta e quella sofferta, quella che rilassa e quella che fa impazzire. La solitudine possiamo incontrarla dappertutto, anche in mezzo alla gente. E secondo le ultime statistiche riguarda quasi 4 milioni di italiani e il 20% della popolazione mondiale. Il professor John T. Cacioppo, docente di psicologia della University of Chicago, studia questa condizione umana da anni (...) Le sue pagine descrivono una società nella quale i momenti di socializzazione sono rarissimi, concentrata più sul mondo virtuale che sulla realtà, e denunciano anche gli effetti che questa situazione provoca sulla salute.

In primo luogo perché ci abbrutiamo tra sigarette e pasti consumati fissando il pc. E poi perché la solitudine distrugge la nostra capacità di parlare e di muoverci, rende più coriaceo il guscio che ci separa dal resto del mondo e ci indebolisce. Anche fisicamente. "Non è solo una sensazione - spiega Cacioppo - ma una minaccia: ha effetti devastanti, ad esempio, su coloro che soffrono di pressione alta". Chi vive da solo e si sente un po' giù di corda difficilmente fa sport, più spesso si rifugia nel cibo, nella tv, nell'alcol o nelle sigarette. (...) Tra il 1985 e il 2004 la General Social Survey americana ha stilato una serie di statistiche basate su 1500 interviste a cittadini americani, facendo loro delle domande molto semplici: quanti amici hai? Con quante persone ti puoi confidare? La maggior parte degli intervistati ha risposto in modo vago, molti addirittura non sapevano cosa dire. (...)

"La solitudine è un segnale di dolore che spesso la società non recepisce - continua - Per intensità e carica devastante, potremmo paragonarla alla rabbia o alla sete". Lo psicologo precisa inoltre che la società guarda più alla quantità che alla qualità delle cose, e che questo criterio spesso viene adottato nelle relazioni sociali. "Pochi ma buoni: la quantità spesso va a scapito della qualità: è quello che ripeto ai miei pazienti". (...)

Pasolini scriveva che "bisogna essere molto forti per amare la solitudine": le tragedie di ogni giorno ci ricordano che tanto forti non siamo.

Sul sito dell'agenzia Fides trovi le motivazioni di questa giornata

e l'elenco dei missionari uccisi negli ultimi anni.



Qui il link al Movimento Giovanile Missionario.

Se pensate che celebrare un matrimonio (civile o religioso che sia)

indichi sempre una sana volontà di amare,

fatevi una scorpacciata di bestiate

legate al "giorno più bello della vita".

Senza pessimismo, ma onestamente.

don Chisciotte


«La preghiera è l'unico legame con la realtà



- se per "preghiera" si intende semplicemente

un'attenzione massima e non preoccupata di alcun risultato,

un'attenzione così pura che chi la esercita non sa di esercitarla».



Christian Bobin, Il distacco dal mondo, 59
Costringete gli uomini a stare sdraiati per giorni e giorni: là dove guerre e slogan hanno fallito riuscirebbero i divani. Perché le operazioni della noia superano in efficacia quelle delle armi e delle ideologie.


Emil Cioran, Sillogismi dell'amarezza
La «fede» di House

Non vogliamo santificare House: è dichiaratamente ateo, a tratti flirta con l'idea dell'eutanasia o dell'aborto, e questo non lo condividiamo. Ma sarebbe così stupefacente sentirlo scagliarsi contro la droga o il sesso incestuoso

Non so bene perché a volte mi faccio del male volontariamente:

ho visto ancora una volta una parte della Messa in tv,

quella della Domenica mattina.

Assemblee di plastica; stile del celebrare più simile al medioevo che al 2009; ministranti-statuine;

canti da concerto; parole che non parlano.

Ho fondati dubbi che queste trasmissioni non siano strumenti di evangelizzazione,


bensì pantomime dello spettacolo, ossequiose agli stili della tv generalista.

Con questo non voglio togliere nulla all'ex opere operato,

né alla buona fede di chi le segue.

E pensare che sarebbe uno spazio ottimale per mostrare-far vivere

ciò che è la Liturgia della Chiesa.

E non un'altra cosa.



don Chisciotte




dalla Sacrosanctum Concilium del Concilio Vaticano II


14. È ardente desiderio della madre Chiesa che tutti i fedeli vengano formati a quella piena, consapevole e attiva partecipazione alle celebrazioni liturgiche, che è richiesta dalla natura stessa della liturgia e alla quale il popolo cristiano, « stirpe eletta, sacerdozio regale, nazione santa, popolo acquistato » (1 Pt 2,9; cfr 2,4-5), ha diritto e dovere in forza del battesimo. A tale piena e attiva partecipazione di tutto il popolo va dedicata una specialissima cura nel quadro della riforma e della promozione della liturgia. Essa infatti è la prima e indispensabile fonte dalla quale i fedeli possono attingere il genuino spirito cristiano, e perciò i pastori d'anime in tutta la loro attività pastorale devono sforzarsi di ottenerla attraverso un'adeguata formazione. Ma poiché non si può sperare di ottenere questo risultato, se gli stessi pastori d'anime non saranno impregnati, loro per primi, dello spirito e della forza della liturgia (...).

19. I pastori d'anime curino con zelo e con pazienza la formazione liturgica, come pure la partecipazione attiva dei fedeli, sia interna che esterna, secondo la loro età, condizione, genere di vita e cultura religiosa. Assolveranno così uno dei principali doveri del fedele dispensatore dei misteri di Dio. E in questo campo cerchino di guidare il loro gregge non solo con la parola ma anche con l'esempio. (...)

30. Per promuovere la partecipazione attiva, si curino le acclamazioni dei fedeli, le risposte, il canto dei salmi, le antifone, i canti, nonché le azioni e i gesti e l'atteggiamento del corpo. Si osservi anche, a tempo debito, un sacro silenzio. (...)

48. Perciò la Chiesa si preoccupa vivamente che i fedeli non assistano come estranei o muti spettatori a questo mistero di fede, ma che, comprendendolo bene nei suoi riti e nelle sue preghiere, partecipino all'azione sacra consapevolmente, piamente e attivamente. (...)
Melloni ricorda l'ultima pagina del Giornale dell'Anima di papa Roncalli, Giovanni XXIII, scritta il 24 maggio '63, pochi giorni prima di morire: «Ora più che mai, certo più che nei secoli passati, siamo intesi a servire l'uomo in quanto tale e non solo i cattolici; a difendere, anzitutto e dovunque, i diritti della persona umana e non solo quelli della chiesa cattolica. (...) Non è il Vangelo che cambia: siamo noi che cominciamo a comprenderlo meglio».

E' comune dire che gli italiani "parlano con le mani", ovvero gesticolano molto.


Ma c'è anche chi è molto espressivo nel volto e con tutta la gamma delle posture del proprio corpo.


Infine, scommetto che conoscete anche voi qualcuno che col proprio volto "mima" - involontariamente -


i contenuti e le emozioni che traspaiono sul volto e nelle parole delle persone che sta ascoltando.


Questo fenomeno è chiamato dei "neuroni specchio": ecco un illuminante video!


«Mamma non c'è, lavora in Italia»

(...) Di lei, ai figli restano la minuscola foto della patente, una telefonata a settimana, i dolci che ogni tanto carica sull'autobus per Iasi, la promessa che presto tornerà con tanti soldi. «Mi manca in ogni momento della giornata» Gabriela ha gli occhi lucidi «con papà non parlo come con lei. E per lui la casa non è mai pulita».

Nella campagna piatta attorno a Iasi, il principale centro della Moldavia romena, capita di incontrare vecchi e bambini mentre gli adulti inseguono chimere di benessere a Occidente. Sarebbero 4 milioni, quasi un quinto della popolazione, i romeni emigrati, soprattutto in Italia e Spagna. Con la crisi che qui taglia il Pil del 3,5 per cento e gli stipendi del 20, si prevedono altre emorragie umane. E al capolinea orientale d'Europa si parla già di “orfani da migrazione”: una generazione affidata alle cure di nonni, zii, vicini. L'Unicef ne stima 350 mila nel Paese, di cui un terzo in Moldavia dove una famiglia non percepisce più di 2.140 lei al mese, 510 euro. Gli esperti studiano questo nuovo disagio minorile, che promette malissimo per il futuro del Paese: «A scuola rendono poco, e sono a rischio delinquenza» spiega Alex Gulei di Alternative Sociale, un'associazione di Iasi che è stata la prima, nel 2005, a interrogarsi sull'abbandono da emigrazione. «Con la crisi in Italia e Spagna, non sono più i padri a partire per lavorare nei cantieri. Oggi se ne vanno le madri: la domanda di badanti e baby-sitter non è calata». I 350 mila “orfani bianchi” ipotizzati dall'Unicef sono per difetto. In Romania, sopravvive dal comunismo il sussidio statale per ogni bambino: 65 euro al mese fino ai due anni, 10 fino ai 18, ma se i genitori vivono in patria. Così tanti raccontano che mamma e papà lavorano nel villaggio accanto, o a Bucarest. «Solo il 7 per cento di chi va all'estero lo dichiara al Comune, come vorrebbe la legge» precisa Maricica Buzescu, coordinatrice degli psicologi scolastici nel distretto di Iasi, 63 per 350 istituti, che da tempo chiedono rinforzi per aiutare questi ragazzi difficili. «I figli restano senza tutela legale: un problema, se devono iscriversi a scuola o ricoverarsi in ospedale». La psicologa ricorda bene i quattro recenti suicidi, (...): «Soffrono d'ansia e depressione. Oppure sono aggressivi e iperattivi. Gli stessi disturbi di chi è davvero orfano». (...) «Da qui si parte per coprire i bisogni primari» dice Moga. «Mi sono accorto che tanti emigravano quando ho smesso di comprare di tasca mia il pane per i bambini». Anche le insegnanti, a Liteni, prendono un'aspettativa per lavorare in Italia come badanti. «Guadagno 150 euro al mese» ammette Elena Baziluc, quarant'anni, italiano perfetto «a Palermo ne prendevo 900. Ho ristrutturato casa, comprato un'auto e un pezzo di terra, computer e regali per i miei figli. Senza indebitarmi». In genere i genitori tornano dopo qualche anno, (...) «Solo una minoranza raggiunge il benessere » informa Narcisa Marchitan, che dirige i Servizi sociali del Comune «gli altri lavorano all'estero senza contratto, saltuariamente. Non tornano perché qui è peggio». (...) Andreea Petriciac, psicologa di Save the Children, legge il malessere nei loro disegni: «I soggetti ricorrenti? L'attesa dell'autobus; due adulti pieni di bagagli... I nonni s'impegnano per educarli, eppure i piccoli sono insicuri, si attaccano a chiunque: aspettiamo di osservarli nell'adolescenza». (...)
digiuno quaresimale

«Assistiamo impotenti al dolore di tante famiglie che vedono i loro figli finire miseramente vittime o mandanti delle organizzazioni della camorra.

Come battezzati in Cristo, come pastori della Forania di Casal di Principe ci sentiamo investiti in pieno della nostra responsabilità di essere “segno di contraddizione”.

Coscienti che come chiesa “dobbiamo educare con la parola e la testimonianza di vita alla prima beatitudine del Vangelo che é la povertà, come distacco dalla ricerca del superfluo, da ogni ambiguo compromesso o ingiusto privilegio, come servizio sino al dono di sé, come esperienza generosamente vissuta di solidarietà”.

La camorra oggi é una forma di terrorismo che incute paura, impone le sue leggi e tenta di diventare componente endemica nella società campana.

I camorristi impongono con la violenza, armi in pugno, regole inaccettabili: estorsioni che hanno visto le nostre zone diventare sempre più aree sussidiate, assistite senza alcuna autonoma capacità di sviluppo; tangenti al venti per cento e oltre sui lavori edili, che scoraggerebbero l'imprenditore più temerario; traffici illeciti per l'acquisto e lo spaccio delle sostanze stupefacenti il cui uso produce a schiere giovani emarginati, e manovalanza a disposizione delle organizzazioni criminali; scontri tra diverse fazioni che si abbattono come veri flagelli devastatori sulle famiglie delle nostre zone; esempi negativi per tutta la fascia adolescenziale della popolazione, veri e propri laboratori di violenza e del crimine organizzato.

E' oramai chiaro che il disfacimento delle istituzioni civili ha consentito l'infiltrazione del potere camorristico a tutti i livelli. La Camorra riempie un vuoto di potere dello Stato che nelle amministrazioni periferiche é caratterizzato da corruzione, lungaggini e favoritismi.

La camorra rappresenta uno Stato deviante parallelo rispetto a quello ufficiale, privo però di burocrazia e d'intermediari che sono la piaga dello Stato legale. L'inefficienza delle politiche occupazionali, della sanità, ecc; non possono che creare sfiducia negli abitanti dei nostri paesi; un preoccupato senso di rischio che si va facendo più forte ogni giorno che passa, l'inadeguata tutela dei legittimi interessi e diritti dei liberi cittadini; le carenze anche della nostra azione pastorale ci devono convincere che l'azione di tutta la Chiesa deve farsi più tagliente e meno neutrale per permettere alle parrocchie di riscoprire quegli spazi per una “ministerialità” di liberazione, di promozione umana e di servizio.

Forse le nostre comunità avranno bisogno di nuovi modelli di comportamento: certamente di realtà, di testimonianze, di esempi, per essere credibili».


don Giuseppe Diana e i preti del Casalese, Natale 1991


scarica l'intero documento tra i nostri Testi o sul sito del Comitato

 


La mattina del 19 marzo '94, quindici anni fa, Giuseppe Diana fu ammazzato dai killer a Casal di Principe. Aveva preso posizione esplicita contro lo strapotere della famiglia

Don Peppino, eroe in tonaca ucciso dal Sistema dei clan

Le cosche tentarono di diffamarlo spargendo veleni dopo la morte

Rifondò la missione pastorale: denuncia e testimonianza contro le violenze e le sopraffazioni

di Roberto Saviano


La mattina del 19 marzo del 1994 don Peppino era nella chiesa di San Nicola, a Casal di Principe. Era il suo onomastico. Non si era ancora vestito con gli abiti talari, stava nella sala riunioni vicino allo studio. Entrarono in chiesa, senza far rimbombare i passi nella navata, non vedendo un uomo vestito da prete, titubarono. «Chi è Don Peppino?». «Sono io...».

Poi gli puntarono la pistola semiautomatica in faccia. Cinque colpi: due lo colpirono al volto, gli altri bucarono la testa, il collo e la mano. Don Peppino Diana aveva 36 anni. Io ne avevo 15 e la morte di quel prete mi sembrava riguardare il mondo degli adulti. Mi ferì ma come qualcosa che con me non aveva relazione. Oggi mi ritrovo ad essere quasi un suo coetaneo. Per la prima volta vedo don Peppino come un uomo che aveva deciso di rimanere fermo dinanzi a quel che vedeva, che voleva resistere e opporsi, perché non sarebbe stato in grado di fare un'altra scelta.

Dopo la sua morte si tentò in ogni modo di infangarlo. Accuse inverosimili, risibili, per non farne un martire, non diffondere i suoi scritti, non mostrarlo come vittima della camorra ma come un soldato dei clan. Appena muori in terra di camorra, l'innocenza è un'ipotesi lontana, l'ultima possibile. Sei colpevole sino a prova contraria. Persino quando ti ammazzano, basta un sospetto, una voce diffamatoria, che le agenzie di stampa non battono neanche la notizia dell'esecuzione. Così distruggere l'immagine di don Peppino Diana è stata una strategia fondamentale. (...)

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Due giorni di lavoro per rimuovere la roba e trovare il cadavere di una pensionata di 77 anni

travolta nel suo bungalow dagli oggetti che aveva accumulato per la sua mania di comprare

Gb, anziana malata di shopping, muore sepolta dai suoi acquisti


Di shopping si può anche morire. La mania di comprare senza una reale necessità ma solo per il gusto di accumulare abiti, oggetti e cose è costata la vita a una donna in Inghilterra, rimasta letteralmente sepolta dal cumulo di acquisti di una vita intera. Una montagna di oggetti ha infatti sepolto viva una pensionata di 77 anni, nel suo bungalow a Stockport, nella contea metropolitana inglese della Greater Manchester. Ci sono voluti due giorni di lavoro e due squadre di sei poliziotti per rimuovere tutta la roba e trovare il cadavere dell'anziana Joan Cucanne.

Ogni camera della sua abitazione era piena di roba, ma non solo. Anche il garage e la sua auto, una Rover 100, "straripavano" di oggetti, la maggior parte dei quali ovviamente inutilizzati. Secondo il Daily Mail gli agenti della polizia hanno trovato di tutto: gadget, vestiti, ombrelli, candele, ornamenti, vasi, molti dei quali nuovi di zecca. "Da 16 anni, comprava tutto ciò che le capitava tra le mani, per il semplice piacere di far compere e non perché le cose le servissero realmente" ha raccontato il miglior amico della donna. A dimostrare la sua affezione da shopping compulsivo possono bastare le 300 sciarpe di colori diversi che Joan possedeva. (...)

La donna non è mai stata sposata, anche se aveva un figlio. "Era una donna piacevole, con una forte personalità e sempre di buon umore". Così la ricordano gli amici e i vicini di casa. Nel suo bungalow viveva da sola e ogni settimana andava in chiesa. Nella sua mania era solita fare shopping nei centri commerciali di John Lewis, Marks and Spencer fino a tarda sera. Un'abitudine, o meglio un'ossessione, che le è costata la vita.

«Amare non significa convertire, ma per prima cosa ascoltare, scoprire quest'uomo, questa donna, che appartengono a una civiltà e ad una religione diversa».


Charles de Foucauld
Bill Apple

di Massimo Gramellini

I figli dell'uomo più ricco del mondo possono avere qualunque cosa dalla vita, tranne le due più diffuse fra i loro coetanei: l'iPod e l'iPhone. Glieli ha vietati papà con una motivazione inoppugnabile: sono prodotti Apple. E' stata la moglie di Bill Gates a rivelare l'umana debolezza del signor Microsoft. Uno che ha passato l'esistenza a seppellire l'azienda rivale sotto i numeri del suo fatturato, ma non ha mai smesso di invidiarne la creatività. Il rancore di Gates è così profondo che non diminuisce neppure adesso che dall'alto del suo successo potrebbe permettersi di essere magnanimo. Neppure adesso che il signor Apple, Steve Jobs, è alle prese con una malattia grave.

Forse i figli dell'uomo più ricco del mondo possono avere qualunque cosa dalla vita, tranne due, perché il loro padre ha avuto tutto dalla vita tranne la scintilla artistica che invidia a Jobs. Ma sarebbe sbagliato ridurre la questione a una baruffa fra due fuoriclasse diversamente attrezzati. In realtà l'episodio ci colpisce perché ciascuno di noi, nel suo piccolo, ha un Gates o un Jobs con cui si confronta ogni giorno per rovinarsi meglio la vita. Alzi la mano chi nel suo ufficio non ha individuato un personaggio, uno solo, che per qualche ragione, spesso incomprensibile agli altri, egli considera il suo antagonista, soffrendo per i suoi successi anche quando non oscurano minimamente i propri. Una sfida che si trasforma in ossessione, quasi sempre all'insaputa del rivale, il quale starà pensando a tutt'altro: al nemico che si è scelto lui. Siamo una razza masochista, ammettiamolo: da Bill in giù.





Clem Sacco - Baciami la vena varicosa

Un pizzico qualunquista,

ma non siamo lontani dal vero!




L'amaca

di Michele Serra


L' idea di Dario Franceschini (una tantum sui redditi alti) sarebbe del tutto condivisibile, anzi lo è. Non fosse per un dettaglio che, a pensarci bene, è semplicemente agghiacciante. Il dettaglio è questo: in Italia non è possibile tassare davvero i ricchi, perché i ricchi non sono identificabili. A centinaia di migliaia, non figurano nel novero di quegli "over 120mila euro all' anno" che Franceschini individua come ceto abbiente, e sono un misero, incredibile, beffardo 0,5 per cento degli italiani: circa duecentomila persone. Per avere un'idea di quanto minima sia questa percentuale di "abbienti dichiarati" rispetto a quella reale, basta vivere in una qualunque città italiana (soprattutto del Nord), avere a che fare con professionisti, medici, avvocati, ristoratori, manager, consulenti, mediatori, vecchio e nuovo ceto medio e medio-alto, vedere come vivono, in quali case, con quali consumi e quali automobili, e la quantità di denaro che maneggiano. Due volte su tre io valuto di essere meno benestante di loro, di avere un tenore di vita più sobrio e soprattutto di non essere mai riuscito a mettere un soldo da parte, a differenza di loro. Poi scopro di essere, ufficialmente, molto più ricco. Talmente ricco che pago le tasse anche per loro. Ogni volta che firmo la dichiarazione dei redditi, me li sento alle spalle che fanno il gesto dell' ombrello.








Obbedienti alla Parola del Vangelo e formati dall'insegnamento di Gesù.


Celtic vince la Coppa di Scozia!

I numeri sui citofoni: sicurezza o solitudine?

di mons. Mario Delpini

Avvenire - Milano 7 - 30.11.08


I campanelli e i citofoni sono stati inventati - io credo - per farsi trovare. So la via, il numero, il cognome e mi dico: «Sono di passaggio, faccio un'improvvisata, chi sa come sarà contento il mio amico di rivedermi!». Ma davanti al portone scopri che campanelli e citofoni, servono invece per nascondersi: numeri, sigle, codici. Tutto, eccetto il nome e il cognome. Sono proibite le improvvisate. Se nel palazzo c'è uno studio d'avvocati, un ufficio di consulenza, l'ambulatorio di un dentista, allora trovi in evidenza il nome sul campanello e sei guidato passo passo fin davanti allo sguardo sorridente di una segretaria: guai a perdere un cliente. E un amico che viene senza preavviso? Beh, se non ha il cellulare, passerà un'altra volta. E il prete che passa per la benedizione di Natale? Suona a tutti i campanelli, finché qualcuno risponde, apre, invita a entrare. «Buona sera, signor Rossi». «No, guardi, io sono il signor Bianchi. È rimasto il nome dell'inquilino di prima. Perché poi cambiare?». Il prete vorrebbe chiamare ciascuno per nome, a imitazione del Buon Pastore, ma sembra che la gente si senta più sicura nell'anonimato. Ma si deve dire «sicurezza» o piuttosto «solitudine»?

«No che non siamo animali, perbacco! Però ci comportiamo da animali. Il nostro problema sta nel credere di esserlo. Ecco perché la nostra umanità finisce per farci orrore. Siamo post-animali che hanno nostalgia della loro animalità. Che è come dire esseri bifronti e ancipiti.

Siamo, di nuovo, degli ibridi nichilisti e bastardi. Anche se in realtà non sappiamo bene che cosa siamo, altrimenti non staremmo qui a chiedercelo».


Mario Domina
E se trovassero occupate queste location

e venissero in una bella chiesa barocca

con organo, pizzi e paggetti...

sarebbe sacramento?!

don Chisciotte


Le proposte recenti di Comuni o siti archeologici per celebrare cerimonie civili. E le autorità irachene mettono a disposizione il palazzo di Saddam per il viaggio di nozze.

Pompei, Babilonia o la Rotonda: il matrimonio piace un po' kitsch

La giunta di Verona offre la casa e il balcone di Giulietta

e per il banchetto fra gli scavi si può affittare un abito da antico romano


Las Vegas, Italia. Per celebrare un matrimonio stravagante, indimenticabile e un po' kitsch non c'è bisogno di attraversare l'oceano. Se proprio si ha voglia di strafare, si può pensare a una puntatina a Babilonia, dove consumare la prima notte di nozze sul letto che fu di Saddam Hussein. Ma anche entro i confini c'è la possibilità di scegliere location originali per una cerimonia che nemmeno Jessica e Ivano, quelli di "lo famo strano", avrebbero potuto immaginare. Il balcone veronese di Giulietta o la rotonda sul mare di Senigallia celebrata da Fred Bongusto o gli scavi di Pompei. La follia, però, costa cara. Ed è meglio pensarci bene, prima. Salvo rinunciare alla cucina firmata o a quel letto a baldacchino che tanto piaceva a mammà.

Perché sei tu, Romeo? Bello sposarsi nella casa dell'eroina resa immortale da Shakespeare. Ma tanta trepidazione si infrange contro i costi. Per celebrare le nozze nella casa-torre medievale di via Cappello, a Verona, bisogna sborsare 600 euro. ma solo se si è veronesi. Settecento se si risiede fuori Verona. Peggio va agli stranieri: 800 euro per i cittadini dell'Unione europea, 1000 euro per gli extracomunitari. Il progetto si chiama "Sposami a Verona", e i soldi - spiega l'assessore comunale alle relazioni con i cittadini, Daniele Polato - serviranno a pagare gli straordinari al personale municipale necessario per lo svolgimento del rito.

Al letto col raìs. Che sia un'occasione da Mille e una notte o al contrario da incubo, alle autorità irachene poco interessa. A loro importa solo rilanciare la disastrata industria turistica nazionale. Per questo, offrono soggiorni nel palazzo che fu di Saddam Hussein a Babilonia, sulle rive del Tigri, compreso un "pacchetto luna di miele". Il complesso è immenso: 31 suite, a partire da 60 dollari a notte. Diverso il discorso per la camera da letto di Saddam, 200 mila dinari per una notte, circa 170 dollari, in cambio dei quali nuotare nell'oro: un grande letto dorato, come dorati sono i comodini, gli armadi, i lampadari, i divani e lo scrittoio. Il suo palazzo (che a quanto risulta non abitò mai) è una specie di fortezza di quattro piani, in cima a una collina, su un'area vasta come cinque campi da calcio, circondata da palme. Per i saloni, ma anche per le camere da letto e i bagni, furono impiegati migliaia di metri quadrati di marmi pregiati. E forse sono le uniche cose rimaste degli originali splendori, poiché dopo il crollo del regime, nell'aprile del 2003, la residenza è stata saccheggiata da cima a fondo, compresi gli interruttori della luce e i rubinetti, perché si diceva che fossero d'oro massiccio.

Il nostro disco che suona. Per tornare in Italia, l'amministrazione comunale di Senigallia ha deciso di aprire stabilmente ai matrimoni di rito civile la Rotonda sul mare che ha ispirato la celebre canzone di Fred Bongusto, l'unica rimasta in Italia in stile Belle Epoque, sospesa tra cielo e mare. I matrimoni potranno essere celebrati dalle 10 alle 19 e ogni coppia avrà a disposizione un'ora di tempo per fare le foto e intrattenersi con parenti e amici.

Sotto il vulcano. Indossate i sandaloni e invitate i parenti a un baccanale se volete essere in linea con location come gli scavi di Catellammare e Pompei. Nozze civili all'interno dei siti, e banchetto all'esterno, con menu ispirato a gusti e abitudini degli antichi romani. Un'agenzia fornisce anche suonatori di cetra e di lira e, se proprio uno volesse fare le cose in stile americano a Roma, è pure possibile affittare abiti, o meglio maschere, realizzate da una sartoria teatrale. I prezzi però sono piuttosto alti, per questo sono spesso gli stranieri a scegliere l'organizzazione del matrimonio negli scavi archeologici. Gli italiani si limitano ad affittare ville private che hanno all'interno ruderi antichi e sono più economiche. Pochi chilometri più in là e, se il clima vi assiste, potrete invece scambiarvi le fedi sulla terrazza del Comune di Positano e consumare il buffet sulla spiaggia della celebre località della Costiera amalfitana. A lume di candela, e all'aperto, sulla sabbia: alto il rischio di ospiti indesiderati alla Totò, che fanno gli auguri agli sposi, mangiano e bevono, ma nessuno li ha mai visti prima.


Oggi l'arcivescovo compie 75 anni: AUGURI!

Digiuno quaresimale
Qualcuno penserà che ho delle azioni di questa società,

oppure che tutta la mia famiglia lavora lì...

ma io voglio pubblicare le ragioni della Campagna DOVE:




Perché la Campagna Per la Bellezza Autentica?


Per troppo tempo l'idea e i canoni della bellezza femminile sono stati condizionati dal confronto con modelli forzati. Pensiamo sia ora di cambiare registro perché, in tutto il mondo, le donne mandano segnali inequivocabili in tal senso. Segnali di disagio e di insofferenza, di voglia e bisogno di un cambiamento radicale di rotta. Siamo convinte che la bellezza autentica si manifesti in forme, taglie, colori ed età diverse. E pensiamo che sia arrivato il momento di raccontare al mondo il nostro modo di essere uniche. E' questo il motivo che ha portato Dove a lanciare la campagna Per la Bellezza Autentica. La campagna globale Dove Per la Bellezza Autentica ha lo scopo di cambiare la situazione attuale e offrire un'idea più ampia, più sana e più democratica di bellezza. Un'idea di bellezza che tutte le donne possono fare propria e apprezzare ogni giorno.




Se vuoi ritrovare online i video, clicca qui.



Ed ecco il terzo video: commovente!


 




Per favore non mandate i bacetti

di Lietta Tornabuoni

Le tecniche più usate per mandare baci sono tre: l'operatore si bacia la punta delle dita e invia il bacio verso il destinatario; l'operatore si copre il centro della faccia con il palmo delle mani, poi fa esplodere il bacio; l'operatore si bacia un palmo delle mani (quasi sempre la destra), lo investe con un soffio potente e fa volare il bacio verso l'interlocutore. A volte (spesso) il lancio del bacio è accompagnato da una smorfietta, un arricciarsi rafforzativo delle labbra. Naturalmente esistono altre tecniche, personalizzate oppure no: ma queste sono le più frequenti. Vengono usate dal palcoscenico o dallo schermo televisivo verso il pubblico plaudente; dagli artisti, dagli oratori, dagli sportivi, dagli amanti, da chi rimane a terra verso i partenti, dai parenti, dalle amiche; è già miracoloso che non mandino baci pure i soldati o gli ufficiali in divisa.

E' un segno di gratitudine o di saluto, si capisce. Ma, francamente, perché mandare baci o bacetti? Per il bisogno di compiere un gesto fisico, di esprimersi con qualcosa di concreto, come càpita con gli applausi ai matrimoni o ai funerali? Perché le parole (o i silenzi) paiono troppo modesti, poco eloquenti, poco partecipativi? Perché si tende a trasformare gli scarsi riti della vita quotidiana in spettacoli o casini? Perché non si fa caso alla natura leziosa, settecentesca e manierata del bacetto volante? Perché non si riflette sugli usi sciocchi e inutili che chissà come si sono introdotti nel nostro modo di fare?

L'invio (formale) del bacio è uno dei più recenti insieme con gli applausi in chiesa: farne meno non sarebbe male. L'applauso, specialmente a un funerale, ha qualcosa di grottesco. Come se in certo modo si volesse lodare il morto: e per cosa? Perché è morto o per l'insieme della sua vita, per dargli insomma una specie di premio alla terminata carriera di essere umano? Il lancio del bacio, a seconda delle circostanze, è altrettanto lezioso. Tutti e due gli usi perseguono magari inconsapevolmente lo scopo di mettersi in mostra nell'occasione di un raduno sociale. Ma andiamo, su. Se proprio volessimo metterci in evidenza, facciamo piuttosto qualcosa che meriti attenzione, ammirazione.

Il secondo filmato della DOVE: wow2!

Io a questi qui qualche prodotto glielo compro: meritano!

don Chisciotte


 

Rapporto di Medici senza frontiere e analisi sull'informazione dell'Osservatorio di Pavia

Gli angoli bui del mondo: le dieci crisi più gravi e dimenticate

Milioni di persone coinvolti ogni giorno. Ma sulle nostre tv queste notizie occupano solo il 6% del totale


MILANO - Centinaia di migliaia di persone fuggite in tutte le direzioni alla disperata ricerca di salvezza. Manca acqua, cibo e riparo; l'accesso all'assistenza sanitaria è praticamente inesistente. I profughi trovano rifugio nei campi o presso delle famiglie, oppure si nascondono nella foresta dove sono alla mercè di qualsiasi gruppo armato. Solo poche organizzazioni umanitarie sono presenti in modo continuativo, vicino alla capitale della provincia. Non è un film, sono storie vere, che continuano ad accadere in diverse parti del mondo. Soprattutto in Africa. (...)

Quante e quali sono le aree di crisi nel mondo che in Italia i media, in particolare la tv, rappresentano poco - e spesso male - nel loro racconto della realtà? Quante emergenze finiscono nella spirale del silenzio? Quali sono invece più visibili? In quale misura? Dal 2004 l'Osservatorio di Pavia cerca di dare una risposta a queste domande nell'annuale analisi dell'informazione italiana sulle crisi, nell'ambito del progetto di Medici Senza Frontiere sulle emergenze umanitarie dimenticate. E ogni anno va peggio. La nostra società parla sempre più di sè stessa, ormai avvitata di fronte a un deformante specchio per cui ci sentiamo centro del mondo, senza esserlo. Lanciando emergenze e allarmi continui, ridicoli se confrontati per un attimo con quelli che esistono altrove. Ecco l'informazione in tv. Un anno di fame: 110 notizie, un inverno di influenza nel nostro paese: 121 notizie; un mese di colera in Zimbabwe: 12 notizie; un'estate di Briatore-Gregoraci: 33 notizie; un anno di stermini in Sudan: 53 notizie: tre mesi di caldo 81 notizie.

LE DIECI CRISI PIU' GRAVI DEL 2008 - L'ultimo rapporto di Msf elenca e descrive le dieci crisi umanitarie più gravi e ignorate nel 2008. Ecco l'elenco, non in ordine di importanza e ricordando che ce ne sono molte altre: la crisi sanitaria nello Zimbabwe; la catastrofe umanitaria in Somalia; la situazione sanitaria in Myanmar; i civili nella morsa della guerra nel Congo Orientale (RDC); la malnutrizione infantile; la situazione critica nella regione somala dell'Etiopia; i civili uccisi o in fuga nel Pakistan nordoccidentale; la violenza e la sofferenza in Sudan; i civili iracheni bisognosi di assistenza; gli effetti nei paesi poveri della diffusione della coinfezione HIV-TBC.

IL SILENZIO DELLA TV - L'analisi fatta dall'Osservatorio di Pavia delle principali edizioni (diurna e serale) dei telegiornali Rai e Mediaset confermano la tendenza riscontrata negli ultimi anni di un calo costante delle notizie sulle crisi umanitarie, che sono passate dal 10% del totale delle notizie nel 2006, all'8% nel 2007 fino al 6% (4901 notizie su un totale di 81360) nel 2008.

A MENO CHE NON CI SIANO ITALIANI - Infine, anche per il 2008 viene confermata la tendenza, da parte dei nostri media, di parlare di contesti di crisi soprattutto laddove riconducibili a eventi e / o personaggi italiani o comunque occidentali. Emblematici in questo senso sono la crisi in Somalia, a cui i Tg hanno dedicato 93 notizie (su 178 totali) che coinvolgevano uno o più nostri connazionali; la malnutrizione infantile, di cui si parla principalmente in occasione di vertici della FAO o del G8; il Sudan, cui si fa riferimento principalmente per iniziative di sensibilizzazione che vedono coinvolti testimonial famosi e per notizie circa l'inchiesta da parte della Corte Penale Internazionale per il presidente del Sudan.

LA CAMPAGNA DI MSF - Di fronte a questo stato di cose l'associazione di Medici senza frontiere, con il patrocinio della Federazione Nazionale Stampa Italiana (Fnsi), ha deciso di lanciare nei prossimi mesi la campagna "Adotta una Crisi Dimenticata” rivolta ai media italiani, alle università e alle scuole di giornalismo. Corriere.it ha dato la sua adesione.




Ascolta l'intervista.



Ma "l'ora dei laici" non avrebbe dovuto essere 45 anni fa,

dopo il Concilio Vaticano II?

O forse addirittura 1976 anni fa,

dopo il 33 d.C.?!

don Chisciotte





L'articolo di Famiglia Cristiana.

"Non amiamo gli altri perché sono buoni. Ma li facciamo diventare buoni perché li amiamo. La sfida al male non consiste nel condannare, nello scomunicare. E non consiste neppure nel discutere. «Tutte le volte che ho vinto una discussione ho perso un'anima» (Mons. Fulton Sheen). La vera sfida avviene sul piano dell'amore. In un film famoso, Il Porto delle nebbie, c'è un dialogo che sintetizza efficacemente la portata di questa sfida. Il disertore riconosce dinanzi alla fidanzata di essere una creatura abbietta. La ragazza lo interrompe: 'Tu non puoi essere cattivo perché io ti amo'! Se c'è tanto male nel mondo, ciò è dovuto al fatto che a questo male noi abbiamo opposto la nausea, il disgusto, la condanna. Mentre dovevamo opporre l'amore. L'amore impedisce a Zaccheo di essere cattivo".


Alessandro Pronzato, Vangeli scomodi, 221


postato il 2.12.07

La firma DOVE ha creato una campagna pubblicitaria

che trovo eccezionale!

Sarà pure un interessato posizionamento di mercato,

ma lo considero un ottimo modo di spendere dei soldi!



Ecco il primo video:

quando anche la Chiesa

riuscirà a proporre forme di comunicazione così ben fatte ed efficaci?!

don Chisciotte


 





Visita il sito per vedere

gli espositori, gli orari e il programma.

«Il pensiero è serio soltanto grazie al corpo, è l'apparizione del corpo a conferirgli il suo peso, la sua forza, le sue conseguenze, i suoi effetti definitivi. L'anima senza corpo saprebbe fare solo giochi di parole e teorie. Che cosa potrebbe sostituire alle lacrime un'anima senza occhi? e donde potrebbe essa trarre un sospiro e uno sforzo?».

Paul Valery
Il corpo spogliato delle donne in tv

Gambe scoperte e scollature a tutte le ore: Victoria Silvstedt gira le lettere della «Ruota della fortuna» anche in Francia: ma là è molto più sobria e le telecamere non le riprendono le mutande. 8 marzo, festa delle donne, viva le donne, mimose e tanti auguri e film a tema su molti canali (...)

Una studentessa francese dell'Erasmus prepara una tesi sul rapporto tra tv italiana e corpo femminile. Com'è messa l'Italia?, chiede. Non siamo messi bene. Uso strumentale della bellezza, gambe scoperte e scollature a tutte le ore, il corpo è mio, lo gestisco io e lo spoglio: questo è, sul video, il retaggio del femminismo, l'autosfruttamento consapevole del proprio fisico. Accade solo alla tv del Bel Paese. Victoria Silvstedt, per esempio, gira le lettere della «Ruota della fortuna» anche in Francia, ma là è molto più sobria e le telecamere non le riprendono le mutande.

Che succede da noi? Perché quest'altra anomalia italiana? Perché le ragazze, per apparire emancipate, si devono porre come oggetto del desiderio? Perché le donne in tv, anche quelle consapevoli, non mostrano il vero volto, bensì una maschera fatta di aggiustamenti, correzioni, interventi? E' come se le donne vere stessero scomparendo dalla tv, sostituite da una rappresentazione grottesca, volgare, umiliante. O umiliazione o incompetenza. Questi e altri problemi si pone l'inquietante, civile documentario «Il corpo delle donne», di Lorella Zanardo e Marco Malfi Chindemi. Il documentario andrà in Festival a Firenze. Poi speriamo che qualche rete lo trasmetta. Ma quale rete avrà il coraggio di fare autocritica? Di non aver paura, anche, della retorica postfemminista? Troppi interrogativi, in questo intervento. E anche nel filmato. Prima di dare le risposte, d'altronde, è indispensabile porsi le domande.
Un sondaggio sul rapporto tra le lavoratrici, i figli, la famiglia

La maggioranza cerca soddisfazioni nell'attività fuori casa. Con l'aiuto del compagno

"Desperate housewiwes? No grazie". In Italia le donne scelgono il lavoro

di Caterina Pasolini

Mamme e lavoratrici. Una lotta quotidiana a caccia dell'equilibrio perduto, riconquistato. In bilico perenne per bilanciare affetti e carriera, realizzazione personale e sensi di colpa atavici, figli, capo e compagni di vita. A raccontare un equilibrio possibile, raggiunto quotidianamente con fatica e fantasia dal 61% delle intervistate, è un sondaggio del mensile Psycologies. Un'indagine che racconta il nuovo rapporto delle donne con lavoro. Vissuto come libera scelta, in nome di una realizzazione personale a tutto campo che vede, ed è la prima volta, il supporto, la condivisione, la complicità del 75 % dei mariti d'accordo sull'attività della moglie. Anche se per le donne lavoratrici i sensi di colpa restano quotidiani anche perché i figli sembrano riottosi a lasciarle andare fuori: solo il 35 % appoggia la loro voglia di lavorare. (...)

Sono state intervistate 1908 donne. Il 46% è impiegata, il 20% libera professionista. Il 44% con un contratto full time a tempo indeterminato, il 19% indeterminato part time, il 14% tempo indeterminato, il 24% atipico (collaborazione, partita Iva).

Oggi le donne lavorano sempre di più per scelta (59%), non per necessità. L'occupazione rappresenta un piacere in più della metà dei casi (54%), è un'occasione di gratificazione personale (46%). Significa soddisfazione per il 56 % delle intervistate mentre è vissuto come necessità dal 44%.

Il lavoro è visto come un vero e proprio segno di identità tanto che viene scelto dalla donna spinta dal desiderio di autonomia e indipendenza (78%), per dimostrare qualcosa a se stessa (10%) ed è vissuto come un'occasione di gratificazione personale, come un piacere dal 54% delle intervistate. Il tratto distintivo del lavoro è nel 48% dei casi il fatto di avere un'attività interessante e o utile, vedere riconosciuti i propri meriti nel 35% dei casi. Solo il 40 % delle donne che hanno risposto al sondaggio smetterebbe di lavorare se potesse. E lo farebbe più per sé che per la famiglia. Nel 53% dei casi infatti, rinuncerebbe alla propria occupazione per dedicare più tempo a marito e figli, ma nel 56% per dedicare più tempo a se stessa.

Tra i motivi che portano le donne a non voler lasciare il lavoro l'idea che così perderebbero un'occasione di realizzazione personale 52%, la mancanza di stimoli culturali 24%, la mancanza di contatti col mondo esterno 37%. Insomma, poca voglia di diventare "desperate housewiwes".

La scelta di lavoro è condivisa dal 74% dei partner mentre il consenso crolla quando si parla di figli. I ragazzi contenti di avere una mamma che lavora sono solo il 36%, convinti nel 29% dei casi che lei vada in ufficio soprattutto per necessità e non per soddisfazione 28%. Più realisti e consapevoli di cosa pensa la donna, sono i partners. Il 42% è persuaso che il lavoro per la moglie sia soddisfazione, necessità per il 40.


 


 


 


 


 


Scarica qui il depliant che spiega i Gruppi sanguigni a cura di Avis Milano.

Digiuno quaresimale
Su le mani

di Massimo Gramellini

Dopo un lungo e democratico dibattito fra sondaggisti, il Pdl ha infine deciso le modalità con cui, a fine mese, sceglierà il suo leader fra Silvio e Berlusconi. Niente acclamazione con petardi e putipù, come avrebbe preteso l'ala critica del partito. Scartata anche la genuflessione, causa problemi tecnici (i tailleur delle delegate). Si procederà per alzata di mano: vietato usarne più di tre a testa, e questo per scoraggiare il mercato delle protesi. Lascia perplessi il basso profilo della scelta adottata. La «ola» avrebbe garantito una resa assai migliore nei telegiornali della sera. Per non parlare del «trenino» e della macarena, perfettamente in linea con la cultura egemonica: il villaggio-vacanze.

L'idea di fingere un'elezione vera, raccogliendo i voti anche per un rivale fantomatico a cui attribuire un 10 per cento di bandiera, è stata scartata perché noiosa e infatti già utilizzata da Franceschini nella recente pantomima del Pd. Ammainata a malincuore anche l'ipotesi dell'incoronazione nella cappella di Arcore dopo il rifiuto dei vescovi lefebvriani di partecipare alla cerimonia (che noiosi, non fanno che negare e negarsi su qualsiasi argomento), restava l'ipotesi di un karaoke sulle note del tormentone festivaliero di Arisa: «Silvio Pascià - è un elemento imprescindibile - per una coalizione stabile - che punti all'eternità». Ma pare sia stata bocciata dall'unica forma di democrazia ancora concessa alle masse: il televoto.

Quando il digiuno imbarazza i cristiani

di mons. Mario Delpini

Avvenire - Milano 7 - 10.02.08


Il digiuno non fa più parte del linguaggio dei cristiani. È una parola che usano i medici che annunciano un intervento chirurgico, gli infermieri che ricevono prenotazioni per prelievi ed esami. Ma i cristiani, dopo secoli e santi di molti digiuni, usano la parola con imbarazzo. Ci sono buone ragioni per non fare del digiuno una priorità pastorale. In casa vivono bambini e anziani; ci sono ritmi di lavoro, stili di vita, relazioni abituali che impediscono di gestire la propria vita come si vorrebbe. Poi esistono modi di sfumare il digiuno per cui uno quasi non si accorge: un pasto ridotto, un piatto solo, meno o niente fuori dai pasti. Perciò quando tra gli avvisi si dice: «... e poi ricordo che il primo venerdì di Quaresima è giorno di digiuno oltre che di astinenza dalla carne», nessuno se ne preoccupa. Tuttavia se il papà, venerdì sera, tornando dal lavoro dicesse: «Stasera non mangio perché è il primo venerdì di Quaresima: vado in chiesa per pregare un po' e portare un'offerta per la carità», non credo che la cosa passerebbe inosservata. Il venerdì sera può dunque raccontare la commozione di guardare il Crocifisso e un residuo di serietà a proposito del digiuno.

DISCERNIMENTO COMUNITARIO


Un altro oggetto di discernimento in questa seconda fase nelle comunità cristiane è spesso il lavoro pastorale, la missione, le priorità apostoliche (chiudere o aprire una comunità in un determinato posto, assumere un compito pastorale, lasciarne un altro ecc.). Per questo motivo si è tornati a parlare di discernimento comunitario, in quanto si vuole che tutta la comunità partecipi alle scelte che si prendono. Il discernimento comunitario, nel senso proprio del termine, non significa arrivare alla scelta sommando i discernimenti individuali, ma che la comunità si riconosce come un organismo vivo, che le persone che la compongono creano una comunione dei cuori tale che lo Spirito si può rivelare e che esse lo colgono in quanto comunione di persone, unità di intesa.

Il discernimento comunitario fa leva sull'amore nel quale vive la comunità. La carità fraterna è la porta alla conoscenza. L'amore è il principio conoscitivo. Dunque, se realmente si vive nell'amore e non solo si pensa, si è nello stato privilegiato per la conoscenza delle realtà spirituali e per la creatività. Le intuizioni, la capacità creativa, inventiva, crescono proficuamente solo dall'amore. Allora la comunità può essere molto più sicura di essere sulla scia della volontà di Dio, che la intuisce, la conosce e che risponde, se discerne come comunità, proprio a causa dell'amore fraterno. Il discernimento comunitario non è dunque un semplice dibattito su un argomento, una riflessione guidata, partecipata; il discernimento comunitario non si muove sulle coordinate della valutazione democratica, con i processi di votazione usuali nei parlamenti.

Le premesse del discernimento comunitario

Sono necessarie alcune premesse perché il discernimento nel senso vero si possa realizzare:

- Le persone della comunità dovrebbero essere tutte ad uno stadio di vita spirituale caratterizzato da una radicale sequela Christi, con una esperienza riflettuta di Cristo pasquale. I membri della comunità devono essere dunque ben dentro alla logica pasquale e spinti da un autentico amore per Cristo che deve essere il primo nei loro cuori. (...)

- Le persone della comunità dovrebbero avere anche una maturità ecclesiale, una coscienza teologica della Chiesa liberata dai determinismi sociologici e psicologici, per una libera comprensione dell'autorità e dunque un libero atteggiamento di fronte ad essa. (...) Le persone devono essere, almeno in linea di principio, pronte ad entrare in una preghiera per liberarsi dalle proprie vedute, dai propri argomenti e dai propri desideri.

- Ci vuole la maturità umana di saper parlare in modo distaccato, pacato e conciso. Ci vuole la maturità di saper ascoltare fino in fondo, di non cominciare a reagire mentre l'altro ancora parla. Non solo esteriormente, ma anche interiormente, ascoltare fino alla fine. (...) Più ci si inciampa tra le persone, meno si è protesi verso la direzione giusta.

- Inoltre, ci vuole un superiore, una guida della comunità capace di portare a termine il processo di discernimento. Una persona cioè che abbia un'autorità spirituale, non semplicemente ex officio, e che conosca le dinamiche del discernimento, in modo da poterne guidare il processo.


M. I. Rupnik, Il discernimento, 123 ss.


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Meno male che ci sono CSI e RIS!


Bergamo, il saluto fascista del prete lefebvriano


Lui è don Giulio Tam, padre lefebvriano che si definisce “gesuita itinerante”. Sabato scorso il sacerdote ha sfilato, accanto a Roberto Fiore, in testa al corteo di Forza Nuova a Bergamo: più che altro una parata militare, con i militanti forzanovisti che hanno marciato per le vie del centro muniti di caschi e bastoni. Tra saluti romani, “boia chi molla” e qualche “Sieg Heil”, la manifestazione ha accompagnato l'inaugurazione della nuova sede del movimento di estrema destra.

Una Newsletter “quaresimale”: siamo entrati in questo Tempo liturgico particolare e vogliamo dedicare una Newsletter al tema della “rinuncia”. Cercatela nella sezione Newsletter!


Oggi sui quotidiani fa scalpore la proposta di rinunciare agli sms

Tutti gli esercizi di discernimento hanno infatti lo scopo di acquisire un atteggiamento costante di discernimento. C'è una grande differenza tra il discernimento come esercizio spirituale all'interno della preghiera e l'atteggiamento del discernimento acquisito ormai come habitus, come atteggiamento costante, come una disposizione orante alla quale portano tutti gli esercizi della preghiera.

L'atteggiamento del discernimento è uno stato di attenzione costante a Dio, allo Spirito, è una certezza esperienziale che Dio parla, si comunica, e che già la mia attenzione a Lui è la mia conversione radicale. E' uno stile di vita che pervade tutto ciò che io sono e faccio.

L'atteggiamento di discernimento è vivere costantemente una relazione aperta, è una certezza che ciò che conta è fissare lo sguardo sul Signore e che io non posso chiudere il processo del mio ragionamento senza l'oggettiva possibilità che il Signore si possa far sentire - proprio perché è libero - e dunque mi faccia cambiare; l'atteggiamento di discernimento è quello che impedisce di intestardirsi: non ci si può rinchiudere nel proprio aver ragione, perché non sono io il mio epicentro, ma il Signore, che riconosco come la fonte dalla quale tutto proviene e verso la quale tutto confluisce.

L'atteggiamento del discernimento è dunque un'espressione orante della fede, in quanto la persona permane in quell'atteggiamento di fondo di riconoscimento radicale dell'oggettività di Dio Padre, Figlio e Spirito Santo, Per¬sone libere, e questo riconoscimento costituisce la fede.

Il discernimento non è allora un calcolo, una logica deduttiva, una tecnica ingegneristica in cui scaltramente bilancio mezzi e fini, né una discussione, una ricerca della maggioranza, ma una preghiera, l'ascesi costante della rinuncia al proprio volere, al proprio pensiero, elaborandolo come se dipendesse totalmente da me, ma lasciandolo totalmente libero.


M. I. Rupnik, Sul discernimento


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Adulo, dunque sono

Dalla politica al lavoro ai sentimenti: elogio della pratica più antica del mondo

di Mirella Serri


Lo fanno gli scimpanzé che offrendo cibo e sesso a volontà sono soliti incensare e arruffianarsi il capo per ottenere favori e benemerenze. E lo fa - da par suo, s'intende - anche Luciana Littizzetto, complice Fabio Fazio in «Che tempo che fa». Quando declama: «Sire Nostro che sei in the sky, Maestà, Nostro Figo Imperiale, Bello tra i Belli, Gran Pacco, Gran Pezzo di Body Art, Sovrano dei Paesi Bassi, Zar di tutte le Russie, Eccelso, Esimio, Ettore di tutte le Troie (intesa come città), Ape Regina...». Con chi ce l'ha la Littizzetto con l'esempio di sperticato elogio di Berlusconi? Con l'adulazione? Con la più utile di tutte le arti, come la definiva lo storico Edward Gibbon? O col peggiore dei vizi, come diceva Niccolò Machiavelli? O con un modello di prostituzione, di grande circo mediatico, di attiva e sottile forma di seduzione? Oggi il mestiere più antico (tra i praticanti c'erano Platone, Tacito e Cicerone) viene rivalutato nell'«Elogio dell'adulazione. Tra l'erudito e il faceto» del sociologo Willis Goth Regier (De Agostini). Spiega Regier che la pratica servile è parte integrante della moderna vita professionale ma se ne giovano pure l'equilibrio e la dinamica socioculturale collettiva. Già, proprio così: chi si genuflette e china la schiena può vivere meglio di tanti altri, facendo però attenzione a non incorrere in errori madornali. Come l'esagerazione. L'eccesso non giova.

Capitò al pittore Hans Holbein: dipinse la non appetibile principessa Anne di Clèves in modo indulgente e di fronte a quel ritratto Enrico VIII decise di convolare a nozze, ma dopo aver incontrato la blasonata in originale prese a pedate l'artista. Di licenziamenti per surplus di piaggeria non se ne ricordano comunque molti, nemmeno quando un solerte senatore propose di incoronare col Nobel per la pace Silvio Berlusconi. Era un enfatico omaggio-boomerang per il presidente del Consiglio, insediato da un anno e tre mesi. Il troppo stroppia e anche Racine fu costretto a riconoscerlo. Al poeta di Bérénice Luigi XIV si rivolse in questi termini: «Ti avrei apprezzato di più se mi avessi elogiato di meno».

La blandizie anche se viscida di amici e nemici svelenisce comunque il clima e rende i rapporti più armoniosi e sereni: è questa la tesi che permette allo studioso americano di considerare la piaggeria un efficace calmiere di spiriti conflittuali e ardenti. Ed è questo l'uso che oggi ne fa Sandro Bondi, il ministro dei Beni culturali nonché facitore di ossequiosi versi che dedica non solo a consanguinei politici ma anche a oppositori veementi: da Michela Vittoria Brambilla, "Ignara bellezza / Rubata sensualità / Fiore reclinato / Peccato d'amore", ad Anna Finocchiaro, "Nero sublime / Lento abbandono / Violento rosso... / Intrepido mistero", a Jovanotti, "Concerto / Vibrazioni dell'anima... / Onde dell'amore". Da don Abbondi - come Dagospia l'ha ribattezzato - ai cerimoniali delle corti dell'Europa imperiale, il passo è breve se si tratta di untuose lusinghe. Napoleone considerava le teste chine «uomini benedetti dal cielo».

Avido di lodi com'era, consumava la vena dei corifei che si libravano sempre nelle stesse formule ripetute fino allo stremo: «Dio della vittoria, Salvatore della patria, Pacificatore del mondo, Arbitro dell'Europa». A raccontare come una moderna corte napoleonica gli ambienti di Saxa Rubra e dintorni è stato Pierluigi Celli, l'ex direttore generale della Rai. Gli elogiatori sono duttili e veloci, non conoscono limiti o confini, nemmeno quelli che li separano dai nemici. Il poeta e filosofo Ralph Waldo Emerson rilevava che l'adulazione favorisce la competizione, e questo è vero anche oggi («Scrive sempre articoli di grande interesse che esprimono la cifra della grande politica», osserva Tremonti, insospettabile estimatore di Prodi). Gli adulatori si modellano abilmente sull'interlocutore: «Dicono all'uomo ricco che è un oratore e un poeta e che, se solo lo volesse, potrebbe essere un pittore e un musicista», osservava Plutarco. Per questo trasformismo molti li hanno disprezzati come striscianti mestatori: Tiberio li odiava, Galba li derideva, Marco Aurelio li ridicolizzava e così faceva a distanza di secoli il Kaiser Guglielmo I. Ma li hanno anche individuati come fonte di consolazione in caso di sconfitta (da Giulio Cesare a Caterina la Grande al ministro Brunetta che si complimenta con Veltroni che «ha trasformato le più cocenti sconfitte in trampolini di lancio»).

L'adulatore che sa far bene il suo mestiere è un valore aggiunto. Lo sanno i potenti con ambizioni artistiche. Per il primo romanzo di Veltroni si sono spesi giudizi come questo: «Racconto di amore e di fede nella forza e nello strazio dei sentimenti». Lo sperimentano in questi giorni politici-scrittori balzati sotto i riflettori, dal neosegretario del Pd Dario Franceschini al neoconsigliere d'amministrazione Rai, Giorgio Van Straten, circondati da nugoli di ammiratori che ne aumentano la statura e li rendono imponenti. Tanti adulatori tanto onore: «È piacevole avere dei parassiti, vuol dire che la qualità del tuo sangue è buona», affermava Aldous Huxley. Nietzsche concordava: «L'uomo è la specie più evoluta che ospita il maggior numero di parassiti». Un corpo senza il suo ruffiano di riferimento non vale niente, sosteneva Talleyrand. Shakespeare era d'accordo: disprezzava gli adulatori e con ciò si lasciava adulare. Oggi ne sono convinti anche nella casa del Grande Fratello. La prosperosa Cristina Del Basso nel confessionale si autoincensa: «Sono una di pelle, una che non ci pensa, percettiva, che va a sensazioni». E suscita il commento della telespettatrice Lilla: «Senza l'adulazione la donna vanitosa non può stare. Un esempio lampante è la tettona alle cui poppe si sono abituati tutti e che nessuno più elogia».

'autoadulazione - di cui erano maestri Cicerone e Franklin - è il grande spartiacque del nostro tempo, avverte Regier. Utilizziamola a più non posso come una crema tonificante per la pelle. Anche se magari va a finire che chi di adulazione colpisce, di adulazione perisce. È capitato a Emilio Fede che anni fa aveva osato dire del suo leader di riferimento «Lo amo». Oggi è stato stritolato dalle lodi di Iva Zanicchi: «Ti voglio bene, a te e alla tua tv così bella, pulita e vera».

 



Che sia una cattiva notizia siamo d'accordo;

mi domando se sia autentica la convinzione che non ne abbiamo bisogno
:




ecc. ecc. ecc.


 




























Quaresima e nuovi stili di vita
di Maria Chiara Rioli



 
Un digiuno di un giorno, per una Quaresima di relazioni e corresponsabilità. Uno strumento per ricordarci che le nostre azioni, i nostri stili di vita hanno ricadute in contesti geograficamente lontani. È questo il significato delle proposte per una Quaresima differente che diocesi di tutta Italia propongono da alcuni anni. Dal 2007 la diocesi di Trento propone un digiuno dall'uso dell'automobile, iniziativa che quest'anno viene integrata con altre: il digiuno dall spreco, dal denaro, dall'egocentrismo, dal virtuale, dall'alcol.

La diocesi di Venezia opta anche quest'anno per la rinuncia all'acqua in bottiglia , aderendo alla campagna “Imbrocchiamola, lanciata dal mensile Altreconomia.

A Modena invece il venerdì di Quaresima diventa il “No SMS Day”. Come spiega l'Ufficio di animazione e formazione missionaria di Modena “le nostre dita corrono veloci sulla tastiera del telefonino. Cambiamo i nostri cellulari a ripetizione, alla ricerca di un modello con nuove - spesso inutili - funzioni. Le nostre dita corrono su un minerale, il coltan, fondamentale per la tecnologia di telefoni, computer, videogiochi, satelliti e missili. Le nostre dita non pensano al viaggio che questo minerale compie: nel mondo l'80% del coltan proviene dalla regione orientale del Congo, il Kivu, dove una guerra civile ha causato oltre 4 milioni di morti negli ultimi dieci anni. L'estrazione e il commercio di questo minerale da parte di potenti multinazionali occidentali finanzia e alimenta la guerriglia”. La diocesi di Modena propone allora per quest'anno un digiuno particolare: nei venerdì di Quaresima tutti sono invitati a rinunciare all'uso degli SMS. Un piccolo modo per sottolineare che le nostre dita sul telefonino contribuiscono a scrivere la storia di milioni di vite in Congo e per ricordare l'importanza di relazioni concrete e non virtuali con gli altri. Per riscoprire, dunque, la bellezza dell'incontro.


L'impegno per una nuova pastorale centrata sui temi della giustizia, della pace, della salvaguardia del creato e di diverse pratiche quotidiane (singole, parrocchiali e diocesane) ha dato vita nel 2007 alla Rete interdiocesana sui nuovi stili di vita che incrocia oggi 19 realtà ecclesiali di tutta Italia, nel tentativo di individuare riflessioni e proposte concrete per un cattolicesimo italiano che integri realmente Vangelo e vita quotidiana. Il prossimo incontro della Rete è per sabato 21 febbraio a Verona. La proposta di un digiuno che sottolineasse l'urgenza di nuovi modelli di sviluppo e di relazioni è nato dall'intrecciarsi fecondo di queste esperienze. E, come ricorda il Papa nel suo messaggio per la Quaresima di quest'anno, “ai nostri giorni, la pratica del digiuno pare aver perso un po' della sua valenza spirituale e aver acquistato piuttosto, in una cultura segnata dalla ricerca del benessere materiale, il valore di una misura terapeutica per la cura del proprio corpo. Digiunare giova certamente al benessere fisico, ma per i credenti è in primo luogo una ‘terapia' per curare tutto ciò che impedisce loro di conformare se stessi alla volontà di Dio”. Il Papa invita a una maggiore sobrietà e nel suo messaggio cita un antico inno liturgico quaresimale: “usiamo in modo più sobrio parole, cibi, bevande, sonno e giochi, e rimaniamo con maggior attenzione vigilanti”. In tempi di crisi economica, nuove piste ecclesiali su cui riflettere e ripartire.