Tv2000, in occasione della Giornata mondiale del migrante e del rifugiato, trasmette domenica 29 settembre, alle ore 23, il docufilm “Corridoi di vita” sui corridoi umanitari. Un progetto umanitario finanziato dalla Conferenza episcopale italiana che in due anni ha fatto arrivare in Italia – in modo legale e sicuro – cinquecento persone provenienti dai campi profughi dell’Etiopia. È un racconto giornalistico prodotto da Tv2000, che inizia a Lampedusa dove il 3 ottobre del 2013 circa 400 giovani eritrei persero la vita a causa di un naufragio. Proprio per evitare tragedie simili, il 12 gennaio 2017 la Chiesa italiana ha siglato un protocollo d’intesa con il Ministero dell’Interno per “favorire l’arrivo in Italia in modo legale e sicuro di 500 migranti che si trovano in condizione di comprovata vulnerabilità”.
Le telecamere di Tv2000 con l’inviato Vito D’Ettore hanno seguito per due anni le storie di tre rifugiati eritrei: dal campo profughi nel deserto dell’Etiopia fino all’accoglienza nelle diocesi italiane. E poi, l’integrazione: un cammino pieno di speranza e di solidarietà ma talvolta difficile e mai scontato. Persone, non solo migranti come più volte ha ripetuto Papa Francesco.
La prima storia raccontata è quella di Abresh, un rifugiato eritreo cieco dall’età di 5 anni a causa di un’esplosione di una mina. È fuggito a piedi dall’Eritrea a causa della sua fede cristiana. Il regime di Asmara, infatti, è ateo e non prevede una piena libertà di religione. Negli ultimi mesi il regime ha requisito centinaia di scuole e ospedali di ispirazione cattolica. Abresh è arrivato in Italia il 27 giugno scorso grazie ai corridoi umanitari della Chiesa italiana. Adesso studia all’ Università per stranieri di Perugia.
La seconda storia è quella di Nebiat. È fuggita dall’Eritrea, come fanno tanti giovani suoi connazionali, a causa del servizio militare obbligatorio e illimitato. Oggi ha trovato lavoro ad Assisi presso un albergo.
La terza storia ha come protagonista Tesfalem che in Eritrea faceva il veterinario. È fuggito perché considerato non allineato al regime di Asmara. È rimasto nel campo profughi in Etiopia per nove anni e oggi è stato accolto nella diocesi di Terni-Narni-Amelia. Il suo sogno di vedere i suoi cinque figli studiare finalmente è diventato realtà.
https://agensir.it/quotidiano/2019/9/26/giornata-migrante-e-rifugiato-tv2000-domenica-29-settembre-in-onda-il-docufilm-corridoi-di-vita/


«Far vivere l’umanità della liturgia è il compito che ci attende. Una delle acquisizioni di questo Convegno ecclesiale è aver raggiunto la consapevolezza che la realizzazione del nuovo umanesimo in Gesù Cristo non può prescindere dalla natura profondamente umana e autenticamente divina della liturgia. Negli anni che ci stanno davanti sarà più che mai necessario incamminare le comunità cristiane verso la ricerca di una sempre maggiore umanità della loro liturgia, facendo in modo che i credenti assidui come quelli occasionali, attraverso l’umanità del gesto, del linguaggio e dello stile liturgico, facciano esperienza dell’umanità di Dio rivelata da Gesù Cristo.
Dalla lettura delle sintesi mi è venuto spontaneo quanto scritto dal Cardinal Martini: “Se nei vangeli si parla poco o nulla di liturgia, ciò avviene perché essi sono di fatto una liturgia vissuta con Gesù in mezzo ai suoi (…) E’ questa la liturgia dei vangeli: essere attorno a Gesù nella sua vita e nella sua morte (…) Tutto ciò che i vangeli riferiscono di Gesù tra la gente è un’anticipazione della liturgia e, a sua volta, la liturgia è una continuazione dei vangeli” 1(C.M. Martini, “La liturgia mistica del prete. Omelia nella Messa crismale”, Rivista della Diocesi di Milano 89/4 (1998), pp. 641-648, p. 642).
La liturgia dei vangeli, di cui parla il cardinale Martini, ci indica che sarà sempre più urgente che le nostre liturgie siano capaci di ricreare quel tipo di relazione che Gesù di Nazaret sapeva creare con le persone che incontrava. “La relazione - è stato detto nei gruppi - è lo stile del trasfigurare”. Una relazione che è fatta di gesti semplici, ordinari e insieme straordinari per la carica di umanità che trasmettono. “Occorre ritornare alla stanza al piano superiore” in cui Gesù ha celebrato l’ultima cena lavando i piedi ai discepoli.
L’intera esistenza di Gesù è stata una liturgia ospitale, e anche le nostre liturgie sono chiamate a esserlo oggi più che mai. Per questo, negli anni che ci stanno davanti la santità della liturgia sarà chiamata a declinarsi come santità ospitale; non una santità di distanza ma di prossimità.
Di fronte a tutto questo, le liturgie di domani per essere cammini di prossimità, di misericordia, di tenerezza e di speranza saranno chiamate a diventare spazi di santità ospitale. Liturgie ospitali che sanno andare incontro alle persone fino a portare la fatica di chi fatica a vivere e a credere; che siano consolazione per chi è provato e ferito dalla vita, che siano capaci di dare ragioni per sperare. La cura delle relazioni e la tenerezza nel modo di presentarci, ci facciano sentire compagni di viaggio e amici dei poveri e dei sofferenti. La liturgia che ci attende sarà a immagine del Cristo che proclama: “ Venite a me voi tutti affaticati e oppressi e io vi darò riposo” (Mt 11,28). Solo così la liturgia della Chiesa sarà all’altezza della Vangelo di Cristo».
(terza consegna dei partecipanti alla quinta via del convegno ecclesiale di Firenze (Trasfigurare) presentata all'assemblea da Goffredo Boselli)

"Il clericalismo è una vera perversione nella Chiesa, pretende che il pastore sia sempre davanti, stabilisce una rotta, e punisce con la scomunica chi si allontana dal gregge. Insomma: è proprio l'opposto di quello che ha fatto Gesù. Il clericalismo condanna, separa, frusta, disprezza il popolo di Dio. Il clericalismo confonde il "servizio" presbiterale con la "potenza" presbiterale. Il clericalismo è ascesa e dominio. In italiano si chiama "arrampicamento'. Il clericalismo ha come diretta conseguenza la rigidità. Non avete mai visto giovani sacerdoti tutti rigidi in tonaca nera e cappello a forma del pianeta Saturno in testa? Dietro a tutto il rigido clericalismo ci sono seri problemi. Una delle dimensioni del clericalismo è la fissazione morale esclusiva sul sesto comandamento".
papa Francesco, parlando ai gesuiti durante il viaggio in Mozambico e Madagascar, settembre 2019 (pubblicato su "Civiltà Cattolica", 25.09.2019)

https://www.laciviltacattolica.it/articolo/la-sovranita-del-popolo-di-dio/?fbclid=IwAR1RoFyl411Z-h1V-8U7769iy2upsCzoESByygSXCZeRpUKpJlJH6CuE3NY


Anch'io ringrazio per il sole, la sua luce e il suo calore, e anche per l'acqua e la terra, coi suoi profumi.
Anch'io ringrazio per le montagne che tolgono il respiro e il mare senza confini.
Ma io ringrazio anche chi ha coltivato le patate e i pomodori.
Io ringrazio chi ha trovato il sistema di far essiccare la pasta e di preparare la pizza.
Io ringrazio chi ha tosato le pecore per farne caldi maglioni e chi ha pensato all'abbigliamento tecnico per lo sport.
Io ringrazio chi ha scavato il primo tronco per farne una canoa e chi ha realizzato il velocipede.
Io ringrazio chi ha inventato il telefono e chi ha inventato il cellulare.
Io ringrazio chi ha progettato e costruito i sentieri, le strade e gli aerei.
Io ringrazio chi mi ha avvolto in fasce, chi ha acceso il camino per scaldarmi e mi ha fatto correre dietro un pallone.
Io ringrazio chi ha scitto i libri e chi mi ha regalato occhi e neuroni per leggerli.
Io ringrazio chi mi ha insegnato le preghiere, chi mi ha fatto innamorare del Vangelo, chi mi ha aperto la mente alla teologia.
Io ringrazio chi mi ha perdonato e chi mi ha guidato a non alzare la voce.
Io ringrazio chi mi ha amato, chi mi ha insegnato ad amare e chi continua a farlo ogni giorno.
Io ringrazio chi mi ha sognato prima che io nascessi; chi mi ha sognato mentre sto vivendo; chi mi sognerà quando non ci sarò più. E chi mi ha offerto motivi per sognare, ieri, oggi e domani.

E con tutto questo io sono stato amato e ho potuto amare... cioé ho vissuto.
E ho vissuto bene, molto bene. E ringrazio.
Possiamo migliorare, addirittura convertirci, affinché tutto questo possa essere offerto a tutti.
Anzitutto, convertiamoci alla gratitudine e alla umiltà.
don Chisciotte Mc, 190924


Diventare cristiani 
di José Tolentino Mendonça 
Paolo ci obbliga a mantenere una distanza critica rispetto al "naturaliter christianus" di cui parlava Tertulliano. No, Paolo non è spontaneamente cristiano, né lo siamo noi. Egli approda al cristianesimo in un drammatico contromano, quando nulla lo faceva prevedere, che comportò un totale ribaltamento del suo destino. Non è a caso che Luca lo descrive «caduto a terra» (At 22,7), colpito da una cecità funzionale (come se dovesse tornare a imparare cosa significhi vedere) e guidato da altri, per mano (At 22,11); o che la sua storia stessa lo rende oggetto di sorpresa e sconcerto: «Colui che una volta ci perseguitava, ora va annunciando la fede che un tempo voleva distruggere» (Gal 1,23), dicevano i cristiani della Giudea. 
Il cristianesimo in Paolo comincia con la necessaria operazione di instaurazione, o di reinstaurazione, del soggetto credente. Così, la lezione di Paolo è che noi non siamo cristiani, ma piuttosto lo diventiamo, e ci obbliga a rompere con il conformismo teologico di un cristianesimo come dato acquisito, che si dà semplicemente per scontato. È vero l’opposto: con Paolo, il credere viene a essere regolato e modellato da un’esperienza di trasformazione. 
Come egli stesso scrive nella Seconda Lettera ai Corinzi: «Noi tutti, a viso scoperto, riflettendo come in uno specchio la gloria del Signore, veniamo trasformati in quella medesima immagine» (2Cor 3,18). 
in “Avvenire” del 29 giugno 2019

«Tutte le cose contraddittorie e storte che gli uomini avvertono sono chiamate la schiena di Dio. La sua faccia, invece, dove tutto è armonia, nessun uomo la può vedere» (Martin Buber). (...) In filigrana a questa immagine intravedeva un’emozionante esperienza di Mosè, desideroso di vedere in faccia quel Dio che gli aveva gettato sulle spalle il peso di traghettare un popolo riottoso verso la terra promessa della libertà. La risposta divina era stata glaciale: «Tu non potrai vedere il mio volto perché nessun uomo può vedermi e restare in vita». Gli aveva, però, riservato una concessione: «Ti porrò nella cavità di una rupe e ti coprirò con la mano finché non sarò passato. Poi toglierò la mano e vedrai le mie spalle, ma il mio volto non si può vedere» (Esodo 33,20-23). Nell’originale ebraico l’antropomorfismo è ben più pesante: Dio offre alla vista di Mosè ’aharaj, il «mio posteriore», un dato audace che sarà ritrascritto da Lutero quando affermerà che nel Cristo crocifisso, umiliato all’estremo così da “incarnarsi” al livello più basso dell’umanità mortale, sono esposti i "posteriora Dei"».
tutto l'articolo: https://pierluigipiccini.it/dio-non-neghera-il-suo-volto/
Gianfranco Ravasi, "Il Sole 24ore", 15.09.2019

Nella mia alta idealità, mi domando sempre: perché non potremmo farlo anche noi?!
 

Fare pulizia nei nostri spazi. Letteralmente
di José Tolentino Mendonça
«Una volta udii dalla bocca di un monaco che il modo più rapido di adattarci a una nuova situazione è di prendere una scopa in mano. Raccontava con realismo che nel corso della sua vita tutto gli era costato fatica: arrivare a un nuovo monastero, avviare un nuovo ciclo, una stagione differente, iniziare una nuova tappa del cammino.
Ma che in ciascuno di quei momenti la scopa (nel senso letterale o figurato) gli fu, più di ogni altra cosa, l’indispensabile facilitatrice. Mi soffermai a rifletterci sopra. È un importante apprendistato quello che ci fa preferire la scopa alla sedia, alla cella o allo scettro. Quello della scopa è un registro umile, è vero. E non di rado lascia disarmate tanto le nostre aspettative e le idealizzazioni da cui siamo partiti quanto le ben ordinate disposizioni del protocollo sociale. La conoscenza, però, che essa ci offre è immediata, evidente, concreta, concentrata sul minuscolo, attenta ai dettagli, aderente allo spazio dell’esistenza e al suo ritmo quotidiano. Possiamo conoscere una data realtà in molte maniere, ma non la conosceremo mai in modo così preciso come quando le dedichiamo tutta la nostra cura. È il prendersi cura, in fondo, che consente di conoscere. I piani che noi andiamo ordendo da un punto di vista più teorico o più distanziato – come esige, per esempio, una lettura critica – hanno sicuramente la loro rilevanza e opportunità, ma non possiamo dimenticare che, di per sé, sono solo mappe approssimative. Le idee valgono molto; tuttavia non valgono da sole.
Necessitano di quegli adattamenti che soltanto la prova della loro applicabilità può garantire. Una relazione più piena, più dialogica, più incisiva prende inizio quando, in un gesto minimo come quello di prendere in mano una scopa, passiamo dalla posizione di spettatori a quella di attori. C’è un sapere che ci viene unicamente dalla volontaria dedizione al servizio. In momenti differenti della nostra vita, quando non ci appare chiaro quello che possiamo fare o da dove incominciare, mettiamo allora mano a una scopa.
La scopa ci sporcherà le mani e ci insegnerà così un’infinità di cose alle quali difficilmente avremmo accesso in altro modo». (...)
Avvenire, 17.09.2019

«Questo cammino nasce dal desiderio di Papa Francesco che la Chiesa accompagni i più giovani in un discernimento profondo sul matrimonio – chiosa Ruzza -; l’auspicio è che possa essere una preparazione distinta dal corso prematrimoniale tradizionale per lo spessore kerygmatico e l’approfondimento biblico che il catecumenato per sua natura prevede quale percorso di iniziazione a un sacramento». A febbraio scorso, in occasione della celebrazione per i fidanzati e gli sposi nella basilica di Santa Sabina all’Aventino, proprio nel giorno della memoria liturgica di san Valentino, il cardinale vicario Angelo De Donatis aveva annunciato questo progetto, che aveva spiegato nascere dalle indicazioni contenute nell’esortazione apostolica Amoris laetitia di Papa Francesco.
https://www.romasette.it/un-catecumenato-per-i-fidanzati/

«"Noi cerchiamo un altro Dio, che non meni vanto di questo mondo infelice. Abbiamo bisogno di cambiare Dio per conservarlo, e perché lui conservi noi" (Paolo de Benedetti, Quale Dio?).
I profeti si formano nella zona liminare tra la vita e la morte. È lì che apprendono il loro "mestiere". Sono perennemente in bilico, funamboli tra il già e il non ancora, esposti sul confine fondamentale e decisivo della condizione umana. La Bibbia sa che chi vede Dio muore. Il profeta "vede" Dio, lo ha visto o quantomeno udito nel giorno della sua chiamata. La vocazione profetica è insieme Tabor, Golgota e sepolcro vuoto: si vede Dio, si muore, si risorge.
(...) La religione economico-retributiva è infatti molto più antica e quindi radicata nel cuore individuale e collettivo della religione dell’amore e della grazia. Ecco perché ci servono i profeti. I profeti si mettono accanto a noi. Fanno silenzio, non ci fanno prediche né discorsetti consolatori, ci donano un Dio liberato dalle colpe e dai meriti, tutto grazia e misericordia. Lo fanno con la parola, ma soprattutto col corpo: con un abbraccio lungo e tenace, condividendo un pasto di lacrime e sale, standoci vicini, silenziosi, in quei sabati santi che non finiscono mai.
(...) Nelle grandi crisi e nei dolori insostenibili il profeta si mette accanto a noi e chiede a Dio di mostrarsi buono almeno quanto una madre. Mentre ci insegna le parole di Dio, guarda il meglio degli uomini e lo indica, lo insegna, a Dio. Se la Bibbia, alla fine, ci ha potuto donare l’immagine di Dio che si commuove per il figlio tornato, che si china sulla vittima nella strada per Gerico, è perché i profeti avevano osato chiedere a Dio di scendere dai cieli e di diventare buono almeno quanto le madri. I falsi profeti per difendere Dio condannano gli uomini. I profeti veri sanno invece che l’unico modo per salvare e proteggere veramente Dio è proteggere e salvare veramente gli uomini – soprattutto i figli. I profeti sono gli amici di Dio, hanno una intimità unica con l’assoluto. Sta qui il loro mistero. Questo episodio ci dice che il primo compito dei profeti è usare quella loro intimità divina per salvare i nostri figli.
(...) La parola della preghiera deve arrivare assieme alla parola del corpo».
Luigino Bruni, Avvenire 24 agosto 2019
https://www.avvenire.it/attualita/pagine/luigino-bruni-profezia-storia-12?fbclid=IwAR0kaZvLlVSu672SjnAu0VhK3AjcPlvrYkAbyr68wf9gLMXnRBeRGZcjnA4

«Per favore, non circondatevi di portaborse e yes men. I preti arrampicatori, per favore fuori!». Ai vescovi di nuova nomina papa Francesco indica la parola chiave per il loro ministero: semplicità. Che fa rima con «povertà» e «sobrietà» e che si traduce nella «vicinanza» ai fedeli che non è «retorica».
Bergoglio riceve in Sala Clementina i presuli ordinati nell’ultimo anno che partecipano al corso di formazione promosso dalla Congregazione per i Vescovi e dalla Congregazione per le Chiese Orientali. Nel suo discorso il Papa tocca punti nevralgici e non usa mezze misure, come quando ammonisce: «È brutto quando un vescovo abbatte dei ponti, semina odio o sfiducia, fa il contro-vescovo». Non è così lontano dalla realtà vedere infatti prelati mutare volto dopo il titolo ricevuto e diventare superbi e lontani dal popolo. Perciò Francesco indica la «vicinanza» come antidoto a queste tentazioni: «Non bramate di essere confermati da coloro che siete voi a dover confermare», afferma.
«Pur nella nostra povertà, sta a noi che nessuno avverta Dio come lontano, che nessuno prenda Dio a pretesto per alzare muri, abbattere ponti e seminare odio», sottolinea in un altro passaggio del discorso, intervallato da diverse frasi a braccio. «Essere vicini – prosegue - è immedesimarsi col popolo di Dio, condividerne le pene, non disdegnarne le speranze. Essere vicini al popolo è avere fiducia che la grazia che Dio fedelmente vi riversa, e di cui siamo canali anche attraverso le croci che portiamo, è più grande del fango di cui abbiamo paura». «Per favore», domanda il Papa, «non lasciate prevalere i timori per i rischi del ministero, ritraendovi e mantenendo le distanze».
"La Stampa", 12 settembre 2019
https://www.lastampa.it/vatican-insider/it/2019/09/12/news/il-papa-ai-nuovi-vescovi-non-circondatevi-di-portaborse-e-yes-men-1.37452293?utm_source=dlvr.it&utm_medium=facebook

"Vi è un’espressione estremamente sintetica che Bergoglio ha scritto agli educatori e con la quale possiamo rilanciare a questo punto la nostra azione ecclesiale: «Educare è una delle arti più appassionanti dell’esistenza, e richiede incessantemente che si amplino gli orizzonti». (continua:
https://www.laciviltacattolica.it/articolo/sette-pilastri-delleducazione-secondo-j-m-bergoglio/?fbclid=IwAR0k4G6WVVJwiBDtEqcH3_uNVyioHPYr3BzhgWHJ5XRyHKGEE3s2agZZQzk

Da quanto tempo lo diciamo?! Meno male che qualche vescovo dice qualcosa di saggio e veramente innovativo (anche se avremmo dovuto capirlo da tempo... da almeno 55 anni!).

Reggio Emilia, 9 settembre 2019 - Come salvare le parrocchie e le piccole chiese di montagna, se continuano a calare i preti? L’idea, in un qualche modo rivoluzionaria, parte da un luogo inaspettato: il pulpito della basilica della Ghiara, nel giorno dell’apertura dell’anno pastorale. E a pronunciarla è il vescovo Massimo Camisasca. « Là dove è possibile, ogni piccola comunità radunata attorno a una chiesa che non può essere servita dalla presenza stabile di un presbitero, possa trovare in un uomo o una donna laici, in una persona consacrata o in un diacono permanente, oppure in lettori, accoliti o ministri straordinari della Santa Comunione, un punto di riferimento stabile per la cura di quella comunità».
https://www.ilrestodelcarlino.it/reggio-emilia/cronaca/chiese-abbandonate-laici-diaconi-1.4773608?fbclid=IwAR3W1J6HMi5uTPdu2oz4-I9tAbcDycOg2tmi0f5S2-mnNFQYkL0YlVA2zDg

Quando - anni fa - sulla radio diocesana è iniziata una rubrica che fosse la prima ad aprire il palinsesto (ore 6.50, prima del giornale radio delle ore 7) si chiamava "Prima di tutto: il Vangelo del giorno" ed era composta dalla lettura del brano evangelico della liturgia della messa del giorno, con un commento di due-tre minuti.
Poi il titolo si è ridotto a: "Prima di tutto". E cominciava con l'almanacco degli appuntamenti diocesani... e alla fine diceva: "Il lezionario ambrosiano oggi prevede...".
Adesso hanno tolto anche "Prima di tutto". Comincia con "Vista Duomo: per inizare bene la giornata". Poi ci sono il santo del giorno, le notizie dal portale della diocesi... infine: "Stiamo per ascoltare - secondo quanto prevede il lezionario ambrosiano - un brano tratto dal vangelo secondo...".
Cosa è prima di tutto?!
don Chisciotte Mc, 190907

«Il Parco della droga di Milano non è solo le siringhe a terra e la sporcizia tutto attorno o le migliaia di euro di droga venduta. Rogoredo sono le persone che ci stiamo dimenticando. Come Elnora che ha partorito il suo bambino in mezzo alle siringhe. Maurizio che pensa di non meritare niente. Didina, che dopo una dose, si è addormentata dentro al bosco e le hanno dato fuoco. Io lì dentro ci ho passato una notte. Ecco quello che ho visto».
di Anna Spena - 8 settembre 2019
http://www.vita.it/it/story/2019/09/07/persone-trasformate-in-bestie-la-mia-notte-tra-gli-scarti-di-rogoredo/296/


«La responsabilità di parroco, vicario, amministratore parrocchiale, responsabile di Comunità pastorale, è impegnativa, ma io voglio alleviare tale carico, riducendolo all’essenziale. Vorrei che, almeno per alcune decisioni, diciate che è il Vescovo che vi chiede alcune scelte, magari un po’ antipatiche».
«Io mi impegno a non proporre scelte pastorali bizzarre».
«Scaricate pure sul Vescovo le scelte impopolari».
Sono parole che mi fanno paura. Sarà certamente una interpretazione parziale ad opera della giornalista...
don Chisciotte Mc, 190906

https://www.chiesadimilano.it/news/chiesa-diocesi/il-trasferimento-sia-tempo-di-grazia-esperienza-spirituale-occasione-di-riflessione-sul-proprio-ministero-258783.html

«Tutta questa retorica del guerriero e dell'eroe che combatte la guerra senza paura [contro il tumore] sia in realtà un modo per esorcizzare qualcosa che ci fa paura. Siamo una società che tende a nascondere la sofferenza. E lo facciamo perché vogliamo nascondere e dimenticare un dato incontrovertibile: l'orizzonte ultimo di ciascuno di noi è la morte. Non importa se si è ricchi o poveri, famosi o sconosciuti, atleti o sedentari. Non voglio fare il menagramo sia chiaro. Il fatto è che noi viviamo nel mito dell'uomo invincibile, nel calcio soprattutto. Ma l'uomo invincibile non esiste. Ci si illude che si possa vivere senza dolore e fatica. Ma non è così e Mihajlovic ce lo ricorda in modo drammatico. Si vede che è sofferente. È un'immagine forte. La retorica ci serve per provare un'ultima fuga di fronte a quell'immagine. Di fronte all'evidente aspetto bisognoso della condizione umana che la malattia fa emergere».
don Tullio Proserpio, 27.08.2019
http://www.vita.it/it/article/2019/08/26/la-retorica-su-mihajlovic-serve-solo-a-nascondere-le-nostre-paure/152460/

(...) «Chiarezza, capacità di sintesi e un sincero sguardo pastorale orientato all’impegno reale di accompagnare e di guidare le persone in difficoltà. Con questo obiettivo i vescovi della Conferenza episcopale marchigiana hanno “tradotto” in un breve sussidio il senso del capitolo VIII di Amoris laetitia. In dieci paginette, più una conclusiva, i presuli marchigiani sono riusciti a spiegare con chiarezza l’essenza del capitolo più discusso dell’Esortazione postsinodale sulla famiglia. E, allo stesso tempo, hanno offerto indicazioni non equivoche sulla prassi pastorale da seguire. Un lavoro davvero efficace, ultimo in ordine cronologico tra quelli realizzati delle Conferenze episcopali regionali per agevolare la comprensione di Amoris laetitia, ma non certo ultimo per chiarezza ed efficacia esplicativa.
Il lavoro dei vescovi delle Marche è tutto fuorché una semplificazione banale, anzi si segnale per lo sforzo ammirevole di rendere agevoli e alla portata di tutti, indicazioni pastorali che qualcuno aveva addirittura valutato come inopportune, sbagliate o addirittura eretiche» (...).
Avvenire, 31 agosto 2019
https://www.avvenire.it/chiesa/pagine/eucaristia-e-divorziati

Fa cadere le braccia ascoltare i commenti al Vangelo del giorno proposti dalla radio diocesana (non solo in questi giorni, ma in generale): manca un metodo di comunicazione (soprattutto sui mass media) e i contenuti (la conoscenza della Bibbia!!) sono proprio fragili. Occasioni mancate.
don Chisciotte Mc 190903

"A ridosso della Giornata nazionale per la custodia del creato che si celebra domenica 1 settembre e in vista del Sinodo del prossimo ottobre, Caritas Italiana pubblica un documento con un focus sull’Amazzonia, il polmone della terra da difendere e salvaguardare. E annuncia la propria scelta di disinvestimento dai combustibili fossili
Si richiama alla Laudato Si’ il messaggio dei vescovi scritto in occasione della Giornata nazionale per la custodia del creato che si celebra il 1° settembre e che si chiude con queste parole: “Lo Spirito creatore guidi ogni uomo e ogni donna ad un'autentica conversione ecologica, secondo la prospettiva dell’ecologia integrale della Laudato Si’, perché - nel dialogo e nella pace tra le diverse fedi e culture - la famiglia umana possa vivere sostenibilmente sulla terra che ci è stata donata”.
Per far fronte all’attuale crisi socio- ambientale – sottolinea il messaggio - sono necessari comportamenti di amore e di cura per la nostra terra e per la ricchezza della vita" (continua). http://www.vita.it/it/article/2019/08/30/deforestazione-emergenza-silenziosa-il-dossier-caritas/152519/