«L'albero della vita, già, l'installazione per eccellenza di questo Expo2015. Paradossalmente il suo simbolo più "religioso", ci avete fatto caso? E non tanto per il ricorrere di questo simbolo in molte tradizioni religiose. No. Tipicamente religiose sono state le modalità proposte per la sua fruizione. Con una liturgia ad orari prefissati. Con il suo radunare tutti per guardare in una sola direzione. Persino con i telefonini all'insù - post-moderno surrogato dell'adorazione - e i santini sparsi in forma di selfie sulle bacheche dei social network. Religiosità pagana, è evidente.
Eppure qualche domanda su questa ritualità di fronte a un simbolo varrebbe la pena porsela».
Giorgio Bernardelli, Installazione o profezia? La lezione di Expo, su www.vinonuovo.it, 30 ottobre 2015
All'inizio degli anni Duemila, nelle aule della Facoltà Teologica dell'Italia Settentrionale (Milano) uno studente aveva "minacciato" di denunciarmi alle autorità accademiche perché avevo detto una cosa simile a quella che ieri papa Francesco ha detto durante l'omelia in Santa Marta.
E' vero, non si tratta di un pronunciamento ufficiale, però il dato teologico che annuncia è insuperabile.
Dobbiamo solo "ri-lavare" i nostri panni teologici dentro l'acqua rinfrescante del Vangelo.
don Chisciotte Mc
 
«Il dono è l’amore di Dio, un Dio che non può staccarsi da noi. Quella è l’impotenza di Dio. Noi diciamo: ‘Dio è potente, può fare tutto!’. Meno una cosa: staccarsi da noi! Nel Vangelo quell’immagine di Gesù che piange sopra Gerusalemme, ci fa capire qualcosa di questo amore. Gesù ha pianto! Pianse su Gerusalemme e in quel pianto è tutta la impotenza di Dio: la sua incapacità di non amare, di non staccarsi da noi. (…)
Dio non può non amare! E questa è la nostra sicurezza. Io posso rifiutare quell’amore, posso rifiutare come ha rifiutato il buon ladrone, fino alla fine della sua vita. Ma lì lo aspettava quell’amore. Il più cattivo, il più bestemmiatore è amato da Dio con una tenerezza di padre, di papà. E come dice Paolo, come dice il Vangelo, come dice Gesù: ‘Come una chioccia con i pulcini’. E Dio il Potente, il Creatore può fare tutto: Dio piange! In questo pianto di Gesù su Gerusalemme, in quelle lacrime, è tutto l’amore di Dio. Dio piange per me, quando io mi allontano; Dio piange per ognuno di noi; Dio piange per quelli malvagi, che fanno tante cose brutte, tanto male all’umanità… Aspetta, non condanna, piange. Perché? Perché ama!».
papa Francesco, omelia a Santa Marta, 29 ottobre 2015

Stupore, se considero che cose stupende (questo video, p.e.) possa fare la creatività umana.
Speranza: che questo spot-sogno possa diventare realtà.
don Chisciotte Mc

 

Mi spiace solo che questo articolo sia pubblicato su una rivistina che - in altri tempi - si sarebbe certamente scagliata contro autori come Pronzato, essendo ben nota la linea apologetica di questa pubblicazione.
Ma oggi va di moda essere "francescani"!
don Chisciotte Mc


Alessandro Pronzato: l’autore dei libri che Francesco ha regalato a Fidel Castro ci racconta la sua vita, passata a “inquietare i parrucconi”.
di Paolo Pegoraro

«Chi conosce il Vangelo finisce col perdere la sicurezza. Soltanto chi lo ignora può ostentare una certa sicurezza». Sembrano parole di papa Francesco, invece sono tratte da "Vangeli scomodi", uno dei libri che il Pontefice ha regalato a Fidel Castro durante la recente visita a Cuba. E, sfogliandone le pagine, lo stile pare proprio quello delle omelie di Santa Marta. Forse il suo autore ha suggerito al Papa come predicare? In effetti, quando era a Buenos Aires, il cardinale Bergoglio adoperava i commentari scritti da un altro piemontese, don Alessandro Pronzato, per preparare le sue omelie. E, fatto Papa, non ha esitato a contattarlo. Pronzato oggi ha 83 anni e si è ritirato a Lugano. Tra le tante cose fatte, ricorda la direzione del giornale diocesano di Casale Monferrato e l’insegnamento alle elementari per nove anni: due esperienze che gli hanno insegnato a parlare chiaro.
Poi, l’imprevisto. Una malattia polmonare lo costringe a un lungo ricovero al sanatorio di Pineta di Sortenna, in Valtellina, dove rimarrà a dirigere per vent’anni un centro di spiritualità. Un esilio? Sì, ma provvidenziale. «L’impulso a scrivere è venuto dal non poter fare altro. E il mio vescovo, scrittore anche lui, mi sollecitò a utilizzare questo talento».
Uno dei suoi primi libri, "Vangeli scomodi", uscì non senza polemiche...
«Quel libro ha ormai quasi cinquant’anni di vita e tante edizioni, ma dicevano che lo stile era troppo giornalistico. Allora papa Paolo VI, durante un’udienza particolare, mi disse queste testuali parole: “Non badi ai parrucconi! Scriva come sta scrivendo, perché è così che bisogna scrivere oggi”. Quel viatico mi ha accompagnato al traguardo di 135 libri».
Oggi quel libro conta tra i suoi lettori il Papa e Fidel Castro. Com’era nato?
«Pensavo che non bastasse ripetere quello che avevano già detto altri, quindi ho cercato di interpretare il Vangelo secondo schemi nuovi. Bisogna avere il coraggio di fare qualcosa di diverso. E il riscontro l’ho avuto dalle molte lettere di persone non credenti o da chi, sull’orlo del suicidio, confidò che una pagina l’aveva rimesso in piedi… Vado a rileggere quella pagina e mi rendo conto che la Parola non ci appartiene. Io ci metto il cuore e la fatica, perché da tanti anni mi alzo ogni giorno alle 4 del mattino per scrivere, ma 


«PALESTINA: un conflitto dimenticato».
 
Giorgio Gallo
(Docente del Corso di Laurea in Scienze per la Pace, Università di Pisa)
“Palestina, 1948 – 2015: una storia di occupazione militare”.
 
Fiorella Gazzetta - Filippo Bianchetti
(Medici di Famiglia a Varese)
“Un’esperienza di volontariato medico nei campi profughi palestinesi in Libano”.

Venerdì 30 ottobre 2015, ore 20.45
presso l’auditorium della Parrocchia di Sant’Ambrogio Olona, via Lazzaro Papi, Varese
 


«Oggi, nella Chiesa, si vanno determinando due tendenze opposte. Si stanno scontrando due concezioni dell'apostolato. La prima è basata sull'istituzione. La seconda sul movimento.
1. La prima insiste più sull'ordine che sulla giustizia. Più sull'autorità che sulla corresponsabilità. Il suo impegno: difendere l'onore di Dio e i diritti della verità. Il suo ideale: una Chiesa rispettata. I mezzi per arrivarci: la protezione, l'appoggio (leggi, Stato, potere, ecc...). Conseguenze: un mondo chiuso, una mentalità da ghetto. Raggruppare i cristiani tra di loro (quanti circoli chiusi, con sopra l'etichetta di cattolico!), fare in modo che abbiano il minor numero di contatti col «mondo perverso» e così nessuno si perda, ma giungano tutti insieme, ben allineati, cartello in testa che indica «I nostri», alla Casa del Padre. In quest'opera di difesa e di costruzione di massicci bastioni, non è difficile reclutare volontari più o meno disinteressati. Mani grassocce e sudaticce. Persone che considerano Dio quale «guardiacaccia» dei loro privilegi. Che difendono i propri «diritti» dando a vedere di difendere i diritti della Chiesa.
2. Secondo la mentalità di movimento l'ordine, i privilegi, i titoli presuppongono qualcosa di più importante. Occorre arrivare a una chiarificazione, smascherare le posizioni sospette, abbandonare le preoccupazioni volte unicamente alla facciata. Bisogna avere il coraggio di sollevare certe polveri sacre che si sono accumulate sul nostro costume religioso e che, per quietismo e pigrizia, si considerano intoccabili. Il bersaglio non è l'autorità, ma l'autoritarismo. Non si rifiuta l'ubbidienza, bensì un'ubbidienza cieca, che impedisce una intelligente collaborazione. Più che leggi cristiane, urge fabbricare cristiani autentici. Di fronte al male, non si tratta tanto di prevenire, quanto di premunire (c'è una differenza sostanziale tra le due operazioni). Non basta che i cristiani sappiano dove non devono andare: occorre siano educati a scoprire dove devono andare. Bisogna che la Chiesa esca allo scoperto e che i suoi apostoli non abbiano paura di sporcarsi le mani affondandole nelle realtà del mondo in cui vivono. Il lievito va inserito dentro, non accanto alla pasta. Certe tattiche di attesa sono antievangeliche. Gli apostoli non hanno scritto sulla porta del Cenacolo: «Qui si parla di Gesù Cristo. Coloro che desiderano essere istruiti nella religione cristiana, possono presentarsi dall'ora tale all'ora tal'altra...». Sono usciti fuori. Sulla strada. Nelle piazze. Si sono mescolati agli uomini. La verità non si salva custodendola gelosamente sotto vetro, vigilata assiduamente da inesorabili cecchini dell'ortodossia. Ma portandola fuori, alla luce del sole, a contatto con la realtà di tutti i giorni. La verità non ha bisogno di essere rispettata. Chiede di essere amata. L'unico diritto che rivendica è quello di essere comunicata, di diventare proprietà di tutti.
Chi ha ragione? Probabilmente la soluzione verrà un giorno trovata alzandosi al di sopra dei contrasti (l'animosità delle rispettive posizioni non permette sempre di avere gli occhi limpidi), collocandosi su un piano superiore».
Alessandro Pronzato, Vangeli scomodi (1967), 351-353
 
L'astronauta
Federico Stragà
 
Viaggia bene il mio cuor, se respira il tuo amore.
In mezzo a tante persone non sento chiusure
e non ho più paura di uscire.
Saldamente il mio cuor se decide d’amore
battito regolare scommetto che non finirà.
L’amore è un astronauta
L’amore è un astronauta
Sol levante d’amor oggi è un’altra giornata sembra
di galleggiare in fondo ad un mare ascolto il mio cuore che fa aia.
 
Orbito nei tuoi occhi dallo spazio profondo ricordo ma non tornerei.
L’amore è un astronauta
La vita è un astronauta
Mia nonna è un astronauta
La morte è un astronauta
 
Perché morire è restare senza fiato per poi ripartire,
è un altro mondo una altro modo di respirare è come
cielo ma per camminare, come uno specchio che
non ci assomiglia, è come un whisky senza una bottiglia.
 
L’amore è un astronauta
La vita è un astronauta
Mia nonna è un astronauta
L’amore è un astronauta
L’amore è un astronauta
L’amore è un astronauta
La vita è un astronauta
La morte è un astronauta
L’amore è un astronauta
La vita è un astronauta
Mia monna è un astronauta
L’amore è un astronauta
L’amore è un astronauta
 
«Se qualcuno di voi piangerà al mio funerale,
non vi parlerò mai più».
Stan Laurel

TU MI SOLLEVI
«Quando sono giù e oh la mia anima così stanca
Quando i problemi arrivano e il mio cuore è oppresso
Allora rimango zitto e aspetto qui in silenzio
Fino a quando arrivi tu e ti siedi un po’ con me
 
Tu mi sollevi così posso salire le montagne
Tu mi sollevi così cammino in mari tempestosi
Sono forte quando son sulle tue spalle
Tu mi sollevi molto più di quanto potrei
 
Tu mi sollevi così posso salire le montagne
Tu mi sollevi così cammino in mari tempestosi
Sono forte quando son sulle tue spalle
Tu mi sollevi molto più di quanto potrei
 
Tu mi sollevi così posso salire le montagne
Tu mi sollevi così cammino in mari tempestosi
Sono forte quando son sulle tue spalle
Tu mi sollevi molto più di quanto potrei
 
Tu mi sollevi così posso salire le montagne
Tu mi sollevi così cammino in mari tempestosi
Sono forte quando son sulle tue spalle
Tu mi sollevi molto più di quanto potrei
 
Tu mi sollevi molto più di quanto potrei»

canta: Martin Hurkens
 
YOU RAISE ME UP
 
When I am down and oh my soul so weary

Questo artista disegna questo quadro:

 Se zoomiamo sul particolare, restiamo stupiti per come curi anche le cose più piccole, che noi diremmo insignificanti e inutili (considerata l'ampiezza e il soggetto del quadro).

La Bibbia è un libro sovversivo 
di Desmond Tutu 
«(...) I missionari hanno messo nelle mani dei neri una cosa che sovvertiva profondamente l’ingiustizia e l’oppressione. [...] Se si vuole sottomettere e opprimere qualcuno, l’ultima cosa da mettergli in mano è la Bibbia. È più rivoluzionaria, più sovversiva di qualunque manifesto o ideologia politica. Perché? Perché la Bibbia afferma che ciascuno di noi, senza eccezioni, è creato a immagine di Dio (l’Imago Dei). Che sia ricco o povero, bianco o nero, istruito o analfabeta, maschio o femmina, ciascuno di noi è creato a immagine di Dio e questo è meraviglioso, entusiasmante. Il nostro valore è intrinseco; lo troviamo, per così dire, già confezionato in noi stessi. Tutte le discriminazioni si basano su qualche attributo: la razza, il genere, l’orientamento sessuale, il grado di istruzione, il livello di reddito. Ma questi attributi sono estrinseci; possono essere variegati e noi restiamo umani; siamo umani con qualunque combinazione dei precedenti attributi. La Bibbia dichiara esplicitamente e con forza che il fatto che ci riempie di valore, di un valore infinito, è uno solo: che siamo creati a immagine di Dio. Il nostro valore ci viene fornito con il nostro stesso essere. È intrinseco e universale. Appartiene a tutti gli esseri umani, indifferentemente.
Nel mondo antico il re, non potendo essere presente nello stesso tempo in tutte le parti del suo territorio, collocava nelle diverse province le sue immagini, che dovevano essere riverite come il monarca in persona. I sudditi del re dovevano inchinarsi o fare una riverenza davanti alla statua come avrebbero fatto dinanzi al sovrano in carne e ossa. Quindi, per la Bibbia, dire che siamo l’immagine di Dio significa fare un’affermazione importante e decisamente sovversiva. (...)
Ecco dunque ciò che i missionari ci hanno portato: un libro che è più radicale e più rivoluzionario di qualunque manifesto politico. San Paolo dice ai cristiani di Corinto che ciascuno di loro è un tabernacolo, un tempio dello Spirito Santo (1Cor 6,19). Nella tradizione anglo-cattolica, ci genuflettiamo per riverire il Santissimo Sacramento, di cui riconosciamo la presenza per mezzo della lampada, bianca o rossa, accesa davanti o sopra al tabernacolo. Se credessimo veramente che ciascuno di noi è un portatore di Dio e un tempio dello Spirito Santo, allora quando ci salutiamo non ci limiteremmo a stringerci la mano, ma ci inchineremmo profondamente come fanno i buddhisti, o ci inginocchieremmo gli uni davanti agli altri: «Il Dio che è in me saluta il Dio che è in te».
Noi non possiamo restare indifferenti di fronte alle ingiustizie patite da tanti nostri fratelli e sorelle, figli dello stesso Dio e Padre. Tutti gli altri, portatori di Dio, sono creati a immagine di Dio proprio come noi. Non abbiamo scelta. Noi che crediamo di essere creati a immagine di Dio, noi che siamo portatori di Dio, non possiamo restare in silenzio o indifferenti quando altri sono trattati come se fossero una razza diversa e inferiore. Noi dobbiamo opporci all’ingiustizia. Non abbiamo scelta. Nelle situazioni di ingiustizia e oppressione, non portate la Bibbia; altrimenti, se viene compresa correttamente, essa sovvertirà quell’ingiustizia e quell’oppressione».
in “la Repubblica” del 17 ottobre 2015
Come la metteranno adesso quelli che pensano di fare sempre le cose migliori, di farle da soli, di farle bene solo loro perché sono stati investiti di potere dall'alto... ?!
 
«La sinodalità, come dimensione costitutiva della Chiesa, ci offre la cornice interpretativa più adeguata per comprendere lo stesso ministero gerarchico. Se capiamo che, come dice san Giovanni Crisostomo, «Chiesa e Sinodo sono sinonimi» - perché la Chiesa non è altro che il "camminare insieme" del Gregge di Dio sui sentieri della storia incontro a Cristo Signore - capiamo pure che al suo interno nessuno può essere "elevato" al di sopra degli altri. Al contrario, nella Chiesa è necessario che qualcuno "si abbassi" per mettersi al servizio dei fratelli lungo il cammino. (...) In questa Chiesa, come in una piramide capovolta, il vertice si trova al di sotto della base. Per questo coloro che esercitano l'autorità si chiamano "ministri": perché, secondo il significato originario della parola, sono i più piccoli tra tutti. È servendo il Popolo di Dio che ciascun Vescovo diviene, per la porzione del Gregge a lui affidata, vicarius Christi, vicario di quel Gesù che nell'ultima cena si è chinato a lavare i piedi degli apostoli (cfr Gv 13,1-15)».
papa Francesco, 17 ottobre 2015
 
Sono dei poverini che continueranno a fare le cose da soli...
e a farle meno bene (o male) di come le farebbero se le facessero nella condivisione delle idee, delle responsabilità, delle decisioni.
don Chisciotte Mc
 
E adesso come la metteranno quei vescovi che sono al Sinodo senza aver ascoltato... nessuno?! Tantomeno le famiglie?!

«Anche il Gregge possiede un proprio "fiuto" per discernere le nuove strade che il Signore dischiude alla Chiesa.
È stata questa convinzione a guidarmi quando ho auspicato che il Popolo di Dio venisse consultato nella preparazione del duplice appuntamento sinodale sulla famiglia (...) Come sarebbe stato possibile parlare della famiglia senza interpellare le famiglie, ascoltando le loro gioie e le loro speranze, i loro dolori e le loro angosce?».
papa Francesco, 17 ottobre 2015

Putroppo continueranno a fare lo stesso,
pensando di saperla lunga su tutto e su tutti.
don Chisciotte Mc
 
 

Dopo anni che dico-diciamo queste cose
e siamo guardati con sospetto e sufficienza
da vescovi, parroci, rettori, confratelli (e laici "vecchi dentro"),
finalmente un papa le ridice in termini chiari, forti, precisi.
E le mette in pratica!
don Chisciotte Mc

«(...) Dal Concilio Vaticano II all'attuale Assemblea, abbiamo sperimentato in modo via via più intenso la necessità e la bellezza di "camminare insieme". (...) Fin dall'inizio del mio ministero come Vescovo di Roma ho inteso valorizzare il Sinodo, che costituisce una delle eredità più preziose dell'ultima assise conciliare. (...) Proprio il cammino della sinodalità è il cammino che Dio si aspetta dalla Chiesa del terzo millennio. (...) Quello che il Signore ci chiede, in un certo senso, è già tutto contenuto nella parola "Sinodo". Camminare insieme – Laici, Pastori, Vescovo di Roma – è un concetto facile da esprimere a parole, ma non così facile da mettere in pratica. Dopo aver ribadito che il Popolo di Dio è costituito da tutti i battezzati chiamati a «formare una dimora spirituale e un sacerdozio santo», il Concilio Vaticano II proclama che «la totalità dei fedeli, avendo l'unzione che viene dal Santo (cfr 1 Gv 2,20.27), non può sbagliarsi nel credere, e manifesta questa sua proprietà mediante il senso soprannaturale della fede di tutto il Popolo, quando "dai Vescovi fino agli ultimi Fedeli laici" mostra l'universale suo consenso in cose di fede e di morale». Qual famoso infallibile “in credendo”. (...) Anche il Gregge possiede un proprio "fiuto" per discernere le nuove strade che il Signore dischiude alla Chiesa. (...) Come sarebbe stato possibile parlare della famiglia senza interpellare le famiglie, ascoltando le loro gioie e le loro speranze, i loro dolori e le loro angosce? (...) È un ascolto reciproco in cui ciascuno ha qualcosa da imparare. Popolo fedele, Collegio episcopale, Vescovo di Roma: l'uno in ascolto degli altri; e tutti in ascolto dello Spirito Santo, lo «Spirito della verità» (Gv 14,17), per conoscere ciò che Egli «dice alle Chiese» (Ap 2,7). (...) La sinodalità, come dimensione costitutiva della Chiesa, ci offre la cornice interpretativa più adeguata per comprendere lo stesso ministero gerarchico. Se capiamo che, come dice san Giovanni Crisostomo, «Chiesa e Sinodo sono sinonimi» - perché la Chiesa non è altro che il "camminare insieme" del Gregge di Dio sui sentieri della storia incontro a Cristo Signore - capiamo pure che al suo interno nessuno può essere "elevato" al di sopra degli altri. Al contrario, nella Chiesa è necessario che qualcuno "si abbassi" per mettersi al servizio dei fratelli lungo il cammino. (...) In questa Chiesa, come in una piramide capovolta, il vertice si trova al di sotto della base. Per questo coloro che esercitano l'autorità si chiamano "ministri": perché, secondo il significato originario della parola, sono i più piccoli tra tutti. È servendo il Popolo di Dio che ciascun Vescovo diviene, per la porzione del Gregge a lui affidata, vicarius Christi[20], vicario di quel Gesù che nell'ultima cena si è chinato a lavare i piedi degli apostoli (cfr Gv 13,1-15). E, in un simile orizzonte, lo stesso Successore di Pietro altri non è che il servus servorum Dei. (...) In una Chiesa sinodale, il Sinodo dei Vescovi è solo la più evidente manifestazione di un dinamismo di comunione che ispira tutte le decisioni ecclesiali. (...) Sono persuaso che, in una Chiesa sinodale, anche l'esercizio del primato petrino potrà ricevere maggiore luce. Il Papa non sta, da solo, al di sopra della Chiesa; ma dentro di essa come Battezzato tra i Battezzati e dentro il Collegio episcopale come Vescovo tra i Vescovi, chiamato al contempo – come Successore dell'apostolo Pietro – a guidare la Chiesa di Roma che presiede nell'amore tutte le Chiese (...) Ribadisco la necessità e l'urgenza di pensare a «una conversione del papato» (...) 
papa Francesco, 17 ottobre 2015

 

Nei mesi scorsi, ha girato gli Stati Uniti, scattando decine di fotografie — in bianco e nero — di persone normalissime, che facevano una cosa normalissima: guardavano i propri cellulari. Poi, in studio, ha «cancellato» i telefonini dalle immagini, per vedere l’effetto che faceva.
 
 

Conosco delle barche,
che restano nel porto per paura
che le correnti le trascinino via con troppa violenza.
Conosco delle barche che arrugginiscono in porto
per non aver mai rischiato una vela fuori.
Conosco delle barche che si dimenticano di partire
hanno paura del mare a furia di invecchiare
e le onde non le hanno mai portate altrove,
il loro viaggio è finito ancora prima di iniziare.
Conosco delle barche talmente incatenate
che hanno disimparato come liberarsi.
Conosco delle barche che restano ad ondeggiare
per essere veramente sicure di non capovolgersi.
Conosco delle barche che vanno in gruppo
ad affrontare il vento forte al di là della paura.
Conosco delle barche che si graffiano un po’
sulle rotte dell’oceano ove le porta il loro gioco.
Conosco delle barche
che non hanno mai smesso di uscire una volta ancora,
ogni giorno della loro vita
e che non hanno paura a volte di lanciarsi
fianco a fianco in avanti a rischio di affondare.
Conosco delle barche
che tornano in porto lacerate dappertutto,
ma più coraggiose e più forti.
Conosco delle barche straboccanti di sole
perché hanno condiviso anni meravigliosi.
Conosco delle barche
che tornano sempre quando hanno navigato.
Fino al loro ultimo giorno,
e sono pronte a spiegare le loro ali di giganti
perché hanno un cuore a misura di oceano.
Jaques Brel

Il discorso sul cibo sta sostituendo l’esperienza del cibo.
«Ora che l’ubriacatura dell’Expo è giunta quasi al termine, viene da chiedersi se tutta questa attenzione sul cibo sia “sana” come la cultura gastronomica che si vuole promuovere, oppure no. Al di là di giudizi sbrigativi, non si può non notare la discrepanza tra il progetto iniziale e quanto realizzato effettivamente. L’immenso terreno occupato da Expo2015 avrebbe dovuto ospitare anche aree coltivate, in cui mostrare ai visitatori le particolari varietà di piante, frutta e ortaggi di ogni Paese. Questo non è stato fatto, ma si è optato per una più tradizionale colata di cemento, sulla quale costruire i vari padiglioni. «Nel cluster del riso – racconta con ironia e disincanto lo scrittore Vincenzo Latronico – si può osservare una ricostruzione dei campi che occupavano il territorio dove sorge l’Expo prima che fossero distrutti per costruire l’Expo».
Lo storico John Foot, dopo aver visitato l’esposizione universale, pone alcuni interrogativi fondamentali: «La vera domanda non è “come”, “cosa” e neppure “dove”, ma “perché”? A cosa serve tutto questo? Forse questo “grande evento” diffonderà informazioni sul cibo, su come viene prodotto o su come salvare il pianeta? Ne dubito. Stupirà ed emozionerà la gente con la sua architettura eclettica e le sue folli installazioni? Dubito anche di questo. Sarà una divertente gita in famiglia? Forse, ma non particolarmente divertente».
Tornando all’analisi di Latronico, è interessante come lo scrittore rilevi che «All’Expo, la fiera del cibo, la presenza dominante non è il cibo ma il linguaggio». Egli nota una grande presenza di comunicazione relativa al cibo, ma per chi visita i vari padiglioni l’esperienza diretta col cibo non è l’aspetto principale. Un po’ perché i costi sono proibitivi, un po’ perché, a suo dire, la qualità è pessima. Anche il linguaggio fallisce, però il risultato educativo è informativo. La cartellonistica predominante mira «piuttosto a sbalordire e a mostrare visivamente». A dominare è «il linguaggio del racconto, dello storytelling, e cioè il linguaggio della pubblicità. Lo si riconosce dalla 

«Quando si parla di social media, oggi si fa riferimento soprattutto a Facebook. Il “diario virtuale” inventato da Mark Zuckerberg nel 2004 per il mondo universitario ormai conta quasi un miliardo e mezzo di utenti nel mondo. In pratica, il fenomeno più importante dall’invenzione di Internet, possibile solo grazie a Internet, perché senza l’infrastruttura della rete scomparirebbe in un secondo.
La formula vincente di Facebook è stata quella di fornire, con pochi paletti, una vetrina a chiunque volesse autopromuoversi, contattare vecchi amici, dire la sua, pavoneggiarsi. Il modello Facebook è ricco di contenuti, totalmente autogestiti e alimentati dagli utenti con modalità finora mai viste né previste. Anche per questo è diventato il maggiore veicolo mondiale per le leggende metropolitane, le informazioni false o non verificabili, la propaganda, addirittura per il reclutamento ideologico o militare.
Così come le tessere di fidelizzazione dei supermercati hanno eliminato le classiche, e costose, indagini sui gusti dei clienti – che ora di propria volontà forniscono gratis i loro profili di consumatori ai dipartimenti marketing – Facebook offre un gigantesco spaccato dell’umanità senza filtri e accessibile a tutti. Un patrimonio unico nella nostra storia, dal quale attingono servizi segreti, imprese, sociologi, massmediologi, politici.
Tra l’altro, Facebook è l’unico social in costante ascesa: i suoi competitor non riescono a crescere e Twitter ormai è in declino. 140 caratteri sono pochi per raccontare il proprio mondo e, soprattutto, i tweet sono effimeri, mentre su Facebook tutto rimane per sempre. Poter descrivere nascite, matrimoni, fidanzamenti a una platea almeno teoricamente planetaria è un richiamo al quale, in tempi di disperata ricerca di protagonismo mediatico, pochi possono resistere.
Facebook, che è un grande affare per i suoi proprietari, sfrutta la nuova psicologia di massa globale con un prodotto che si adatta a ogni cultura e società. Il patto con i consumatori è molto semplice: basta che tu mi intesti temporaneamente i diritti delle foto o dei commenti che posti, e io non ti faccio pagare niente. Gioca sul fatto che ancora non è diffusa la consapevolezza del valore commerciale dei contenuti e delle informazioni che si riversano nel web. In realtà, l’azienda di Menlo Park sta accumulando la memoria del futuro ed è questo il suo gigantesco capitale non svalutabile. Se è vero che il contratto prevede che l’utente possa cancellare i propri contenuti, è anche vero che le informazioni, quando sono state condivise da altri utenti, continueranno a rimanere dentro la rete aziendale.
Umberto Eco ha recentemente affermato che i social media hanno dato la parola a legioni di imbecilli. Una visione aristocratica del diritto di parola, che dovrebbe essere garantito anche agli imbecilli. Facebook non discrimina tra l’imbecille e il grande intellettuale, prende tutti e il suo miliardo e mezzo di utenti, incluso Umberto Eco, sono infinitamente più numerosi di quelli di qualsiasi testata giornalistica al mondo. Il punto è: chi legge i contenuti che questa moltitudine elabora ogni giorno? Pochissimi, perché i grandi numeri, anche sui social media, li fanno solo i famosi, cioè coloro che hanno sempre avuto visibilità e ascolto. Allora che cos’è Facebook se non una finzione, un’illusione di contare qualcosa nella globalizzazione che paghiamo cedendo il nostro pensiero, palesando i nostri gusti agli esperti di marketing o alla politica? Partecipazione 2.0 che, a differenza di quella “de visu”, ha un proprietario, si quota in borsa e ci perseguita 24 ore al giorno per venderci qualcosa».
Alfredo Somoza per "Esteri" di Radio Popolare (10.10.2015)
www.alfredosomoza.com
«La dottrina tradizionale dell'ex opere operato, mentre garantisce che lo Spirito non diserta la chiesa e la grazia rimane assicurata a dispetto di ogni peccato umano, quand'anche gli uomini direttamente implicati nell'istituzione ecclesiale non fossero degni di ciò che rappresentano, è però simultaneamente espressione del fatto che la chiesa attinge alla sorgente dello Spirito attraverso delle istituzioni che possono essere vissute in condizioni di grande povertà e manchevolezza umana. La chiesa continua a essere abitata dallo Spirito nella mediazione istituzionale, anche in questi casi limite.
Ma si tratta, per l'appunto, di casi limite, che possono essere giudicati come tali solo a partire da una visione delle istituzioni considerate come strutturalmente a servizio dello Spirito. Se, dunque, la chiesa vive nell'umiltà di sapersi "fatta" dallo Spirito anche quando i mezzi di cui egli si serve sono molto poveri e "terreni", ciò non può tuttavia rassegnarla al quietismo. Essa ha comunque il compito di conservare le sue istituzioni trasparenti all'azione dello Spirito; e deve sempre giudicare di esse sulla base della loro più o meno grande capacità di essere a suo servizio. È vero, cioè, che le istituzioni ecclesiali potrebbero non essere più funzionali alla libertà cui conduce lo Spirito santo, cosa che in diversi modi può venire giustamente e beneficamente criticata dalla cultura odierna; ma è altrettanto vero che la chiesa ha proprio nello Spirito la possibilità e il dovere di sottoporre a giudizio le sue istituzioni. In questo senso, come ha osservato l'ultimo concilio, la chiesa è semper purificanda (LG 8), sempre bisognosa cioè di rendere i suoi elementi istituzionali degli elementi autenticamente spirituali realizzando, con ciò stesso, la sua più reale riforma .
Ma non si evidenzia, anche in ciò, un altro aspetto della sua umiltà? La chiesa non può permettersi di lasciare che le sue dimensioni istituzionali siano vissute in un modo qualunque: deve, invece, mantenerle a servizio dello Spirito di Cristo. La chiesa non può perciò esimersi dall'esprimere un giudizio su di esse e dall'essere giudicata, in ragione del modo in cui vive le sue istituzioni.
E tuttavia il criterio in base al quale giudicare non è qualcosa che la chiesa possiede in maniera autonoma: è a lei trascendente, perché non è altri che quello Spirito, quell'altro da sé, nella cui relazione soltanto essa è chiesa e che rimane per lei indisponibile, mai manipolabile né circoscrivibile!».
Roberto Repole, L'umiltà della Chiesa, 2010, 64-66.
 
Il pane di Dioniso
di Massimo Gramellini
C’è un panettiere sull’isola di Kos che tutte le mattine sforna cento chili supplementari di pane per i profughi stremati del porto. La gratuità del suo gesto ha scaldato persino il presidente della commissione europea, non esattamente un campione di emotività, che ha eletto il benefattore greco a simbolo dell’accoglienza. In realtà Dyonisis Arvanitakis non è un simbolo ma una storia. Se ogni mattina regala un quintale di pane ai migranti affamati è perché è stato un migrante affamato anche lui. Lasciò il natio Peloponneso a quindici anni, inseguito dalla miseria, e dopo un viaggio avventuroso sbarcò in Australia senza sapere una parola di inglese. Patì la fame vera, conobbe l’umiliazione e la vergogna di chi legge negli occhi degli altri il fastidio, il disagio, talvolta il disprezzo per il suo stato. La fame divenne la sua ossessione, al punto che per essere sicuro di non soffrirne mai più si fece panettiere. Mise da parte un po’ di soldi e sposò una connazionale di Kos, dove adesso vive senza smettere di ricordare. 
Solo i santi riescono a immedesimarsi nei problemi del mondo pur non avendoli conosciuti prima sulla propria pelle. Per noi comuni mortali ci vuole l’esperienza diretta. Subisci una truffa e crei un comitato di difesa dei cittadini. Hai un malato in famiglia e fondi un’associazione di volontari che si occupi di quella malattia. Ti è mancato il pane da ragazzo e lo regali a chi ne è sprovvisto adesso. Forse il dolore ci visita per renderci capaci di tramutarlo in sollievo per qualcun altro».

«Il Signore Dio fece all’uomo e a sua moglie tuniche di pelli e li vestì» (Genesi 3,21).

Cari ragazzi, studiate teologia 
di Christoph Théobald
«Ci capita, fra insegnanti, di lamentarci per la mancanza di cultura dei nostri studenti, la mancanza di metodo di lavoro che avrebbero dovuto imparare alla scuola superiore, il loro scarso sapere catechistico. Tuttavia, frequentando maggiormente le donne e gli uomini che vengono a seguire i nostri corsi di formazione, si scopre che il loro approccio alla società, alla chiesa e alla fede manca effettivamente di un solido fondamento storico, ma è aperto alla pluralità delle culture e delle religioni; si scopre che non hanno molta familiarità con i metodi classici delle «scienze umanistiche», ma sanno usare molto bene il web, restituendo le conoscenze sotto forma di una gigantesca enciclopedia dai confini indistinti; si scopre soprattutto che hanno bisogno di precisi punti di riferimento per sostenere la loro identità cristiana, sottoposta a dura prova in una società nella quale il cristianesimo appare ormai come una forza fra molte altre.
Essendoci immersi, il pluralismo radicale in materia culturale e religiosa influisce sul rapporto intimo che intratteniamo con la nostra propria identità e più specificamente con la nostra fede.
Dobbiamo riconoscere che quest’ultima è, nella maggior parte delle persone, indebolita nella sua pretesa universalistica e ultima; ciò che si manifesta spesso con riflessi identitari, addirittura intransigenti, in materia di conservazione dei segni e simboli più visibili della sua identità. Il ventaglio delle modalità di gestione della propria identità cristiana e della combinazione di questi diversi fattori, insieme a molti altri, è evidentemente molto ampio, ma si costituisce a partire da un nuovo rapporto con la verità, compresa piuttosto 

Indovina, indovinello:
quale dei miei amati "lettori online"
ha provato a far togliere la foto del post di sabato,
segnalandola all'autorità di Facebook come "nudo"?!
Tutti i giorni - da anni - pubblico post su tutti gli argomenti
(chiesa, arte, letteratura, musica, politica...);
come mai le polemiche (e i predicozzi di Soloni e affini)
vengono sollevate solo quando metto qualcosa su
vesti liturgiche, messa in latino e Silvio Berlusconi?!
A proposito di lobbies, poteri forti e tabù...
don Chisciotte Mc


«Vedo alberi verdi, anche rose rosse.
Le vedo sbocciare per me e per te.
E fra me e me penso:
che mondo meraviglioso!
 
Vedo cieli blu e nuvole bianche,
il benedetto giorno luminoso,
la sacra notte scura.
E fra me e me penso:
che mondo meraviglioso!
 
I colori dell'arcobaleno,
così belli nel cielo,
sono anche nelle facce
della gente che passa
Vedo amici stringersi la mano, chiedendo: «Come va?».
Stanno davvero dicendo: «Ti amo».
 
Sento bambini che piangono,
li vedo crescere;
impareranno molto più
di quanto io saprò mai.
E fra me e me penso:
che mondo meraviglioso!
Sì, fra me e me penso:
che mondo meraviglioso!».

Foto del 1915 o del 2015?!

Un'esperienza vissuta: le assemblee domenicali della Parola 
di Conférence Catholique des Baptisé-e-s Francophones 
«Ecco la relazione di un'esperienza attuata in una diocesi francese. Può dare delle idee a coloro che non accettano di restare privi di celebrazione la domenica, per mancanza di preti.
Questa domenica, la chiesa del paese è rimasta chiusa. Come le altre diciassette del settore. I parrocchiani dovrebbero essere nella diciottesima chiesa della parrocchia, dove c'è la messa. È poco probabile. Il “car pooling” è un fiasco. Le persone anziane non lo accettano. E meno ci si riunisce, meno viene voglia di riunirsi. Le persone ormai vanno a messa solo quando “viene fatta” nel loro paese. Allora, dobbiamo accettare di lasciare le nostre chiese chiuse, inutili, e nel giro di poco tempo anche senza manutenzione?
Non sarebbe più ragionevole, più conforme alla nostra tradizione (nei primi secoli, i fedeli si riunivano per cantare i salmi e per ascoltare la Parola, la messa è diventata abituale solo molto più tardi), proporre delle assemblee della parola che i parrocchiani stessi potrebbero organizzare, a condizione di essere preparati? 
È bene riunirsi. È alla domenica, giorno della Resurrezione, centrato sul mistero pasquale, che i cristiani si riuniscono. Quindi, è in quel giorno che è opportuno prevedere una celebrazione della Parola. Il diritto canonico prevede la possibilità per i cristiani di riunirsi alla domenica in mancanza di un prete (Canone 1248 § 2). D'altra parte, il Concilio Vaticano II afferma: “Cristo è... presente nella sua parola, giacché è lui che parla quando nella Chiesa si legge la sacra Scrittura (v. anche Dei Verbum 24). È presente infine quando la Chiesa prega e loda, lui che ha promesso: «Dove sono due o tre riuniti nel mio nome, là sono io, in mezzo a loro» (Mt 18,20) (Sacrosanctum Concilium n° 7).
Essendo la domenica il giorno del Signore, i cristiani di un piccolo centro manifestano con la loro assemblea in una chiesa la visibilità e la realtà del Cristo risorto. Costruiscono il Corpo di Cristo. Questo è ben più della semplice devozione o meditazione personale! 
Le assemblee della Parola
A molti preti sembra importante proporre 

Monaci tibetani nella funzione di "guardiani" di un tempio.