Non ce l'ho col ministro.

Non considero questo l'argomento più importante del giorno.

Non voglio avere come ministri solo "uomini di facciata".

Però credo che l'articolo voglia colpire una mancanza di stile,

una mancanza di rispetto del dolore e delle istituzioni,

che notiamo a tanti livelli.

don Chisciotte





Quando il politico è in vacanza (in tuta). Consigli per un guardaroba (doppio)

Lettera aperta al ministro Frattini: «Chieda in prestito a Chantal un po' di cipria per smorzare l'abbronzatura»

di Lina Sotis

Caro ministro, perché un bel signore dall'aria avvenente ed elegante come lei, con un perfetto phisique du role per fare il ministro degli Esteri si ostina a danneggiare la sua immagine? So che le ferie sono un diritto. Anche per un rappresentante del governo. Anche quando nel mondo scoppiano guerre e crisi terribili. Va bene. Ma dato che la diplomazia mondiale non riesce a rispettare i suoi tempi di vacanza, le vorrei dare qualche consiglio per attrezzarsi alle emergenze. Non è difficile, basta saper fare le valigie.

Prendiamo il caso della Georgia. Durante la crisi con la Russia, in un momento così delicato e difficile per i ministri degli Esteri di tutti i Paesi del mondo, lei si è fatto sorprendere in mutande da bagno alle Maldive. Non si è immediatamente infilato dei pantaloni ed è corso con il primo aereo alla Farnesina perché l'Italia potesse dire la sua, ma si è limitato a cambiare costume da bagno e, fra una nuotata e l'altra, ha lavorato, pare, in conference call. L'evento imponeva di scegliere dalla valigia un completo giacca-pantaloni non troppo estivo e non troppo chiaro, abbinarlo con camicia e cravatta, mettersi alle spalle una bella carta geografica con Russia e Georgia in evidenza e, in piedi accanto alla carta, spiegare scenari e mosse diplomatiche dell'Italia.

Veniamo a Gaza. Dal suo chalet di montagna intutato, sponsorizzato, abbronzato e dichiaratamente in vacanza lei si è limitato a fare un commento per i telespettatori. Le vacanze natalizie, si sa, sono sacre. Ma bastavano solo due minuti per togliere la tuta con marchio, indossare camicia, cardigan scuro e allontanarsi dalle travi di legno della baita, farsi prestare una bella scrivania e piazzarci sopra un mappamondo. E, magari, chiedere anche in prestito a Chantal, la sua compagna, un po' di cipria per smorzare l'abbronzatura. Troppo sole fa male, non è elegante e non trasmette sicurezza a meno che uno non faccia il ministro del Turismo. Lei che ha il phisique du role che tanti suoi colleghi di governo le invidiano, nel 2009 non ci deluda. Visto che ha la responsabilità degli Esteri abbia sempre pronta una faccia da estero-dramma; dato che parla di cose importanti e drammatiche quando parte porti sempre dietro due guardaroba, uno per le vacanze e uno per lavoro.

Quando comunica agli italiani esibisca quello professionale, si faccia vedere consapevole anche nel vestire delle parole che sta dicendo. Basta poco, in fondo. (...)
Sommersi da milioni di sms. Due miliardi per gli auguri

Oltre il 20% in più del 2007, 40 per ogni italiano. E solo gli inglesi ci battono

di Ettore Livini

(...) Al giro di boa del millennio - tra il 25 dicembre '99 e il primo gennaio 2000 - ne erano partiti 100 milioni. Sembravano tantissimi. Quest'anno solo tra vigilia e giorno di Natale sono stati quasi un miliardo, il 20% in più del 2007.

Uno tsunami di baci e abbracci virtuali destinato ad andare in replica alla mezzanotte (...) quando, tra zamponi e lenticchie, la contabilità delle affettuosità telefoniche - secondo le stime dei gestori nazionali - dovrebbe aggiungere un altro miliardo di sms portando verso il record dei 2 miliardi il totale in questi giorni di vacanza, una quarantina a italiano.

(...) Nel 2008, secondo la società di ricerca Gartner, sono stati spediti 2.300 miliardi di sms, il 19,6% in più dell'anno precedente e 150 volte i 17 miliardi del 2000. In Italia siamo a quota 29,3 miliardi e viaggiamo a una media di 1,4 a testa ogni giorno, lontanissimi dai fenomeni filippini (che ne digitano 15) ma secondi in Europa solo agli inglesi.

Cifre che si traducono in una pioggia d'oro - 60 miliardi l'anno il giro d'affari mondiale - per i gestori. Il motivo? Semplice, gli sms sono di gran lunga uno dei servizi più redditizi nel mondo della telefonia. Le cifre parlano chiaro: un messaggio può essere lungo un massimo di 160 caratteri, pari a 140 byte di spazio. In un kilobyte (prezzo di mercato circa 6 centesimi) ci stanno - anche aggiungendo un po' di spazio per formattazione e spedizione - sei testi. Il prezzo industriale, quindi, è attorno al centesimo mentre quello medio di vendita ai clienti di carte prepagate in Europa è di 7,5 centesimi (13 in Italia, siamo i più cari). Su 7.500 euro incassati dal gestore, insomma, ben 6.500 sono di profitto. Un margine da capogiro che ai colossi della telefonia mobile Usa è costato una class action da parte dei consumatori.

(...) In 16 anni di vita hanno cambiato le abitudini del mondo. Via sms ci si fidanza, si scoprono i tradimenti e alla fine ci si lascia (...). Il tempo ha sbriciolato anche le barriere generazionali: i ragazzi tra i 6 e i 19 anni (l'80% di loro ha almeno un telefonino) restano gli utenti più compulsivi con una media di cinque "invia" al giorno. I loro nonni però stanno recuperando il tempo perduto visto che in cinque anni il numero di ultra65enni che messaggia abitualmente è cresciuto del 33%. Qualcuno - soprattutto tra i giovanissimi - ne abusa. L'American Journal of Psychiatry ha ufficializzato sei mesi fa la nascita della dipendenza dai messaggini (sintomi l'apatia sociale e l'ansia quando si è senza cellulare), misurando stati di assuefazione agli sms superiori a quelli della nicotina. Le sale d'attesa degli ortopedici in tutto il mondo si sono riempite di pazienti affetti dalla neonata "Blackberry thumb", una tendinite che colpisce i pollici dei 40-50enni costretti - dopo anni d'ozio - a una compulsiva ginnastica messaggistica.

La lista delle patologie indirette è ancora più lunga. Se parlare al cellulare mentre si guida è pericoloso, leggere (e soprattutto digitare) un testo è un esercizio al limite del masochismo. Il Rac, l'Automobil club inglese, ha calcolato che la velocità di reazione dell'autista impegnato a pigiare i tasti del suo telefonino si riduce del 35%, più di chi ha fumato marijuana (21%) e persino di chi ha nel sangue una percentuale dello 0,8% di alcol (12%). Il vizio, tra l'altro, è piuttosto diffuso: il 70% degli americani, secondo Osterman Research, non rinuncia a mandare sms nemmeno mentre sta viaggiando in auto. (...). L'ultimo ingresso nell'enciclopedia medica del settore è però il nuovissimo "Sms walking", un fenomeno che solo nel 2007 in Gran Bretagna ha causato 68 mila feriti. Le vittime in questo caso sono i pedoni troppo concentrati nell'invio della loro corrispondenza telefonica per evitare ostacoli improvvisi lungo il percorso (cassonetti, auto in sosta, pali della luce, tombini aperti) o per accorgersi, capita anche a loro, di un semaforo rosso. A Londra i tecnici del Comune hanno addirittura avviato in alcune zone un servizio sperimentale di imbottitura dei lampioni con materassini morbidi, coadiuvato dal disegno di una linea continua a terra per segnalare i pericoli anche a chi - in trance da sms - cammina guardando solo verso il basso. (...)

Gli gnomi della pubblicità, com'era prevedibile, non si sono lasciati sfuggire un canale di comunicazione così importante e trasversale: solo in Italia nel 2007 sono stati spediti un miliardo di testi promozionali via telefono con un giro d'affari di 67 milioni, in aumento del 24% sull'anno precedente. La semplicità d'uso e di contabilizzazione ne ha fatto anche il canale privilegiato della raccolta di fondi per beneficenza, consentendo tra l'altro di raggiungere fasce di donatori che prima, scottati dalle difficoltà burocratiche e dai tempi lunghi, non avevano mai partecipato a iniziative di questo tipo: i bip-bip solidali hanno consentito l'anno scorso di raccogliere per buone cause 21,6 milioni di euro. La sms-mania, e non poteva essere altrimenti, ha contagiato anche l'uomo dell'anno del 2008, Barack Obama. (...) In termini di capillarità d'esecuzione e di costi, però, il risultato si ribalta: un voto costa 1,5 dollari con gli sms, 38 al telefono e 16 con la visita di persona a casa. (...)
Sms, placebo da 160 caratteri per la nostra solitudine

di Gabriele Romagnoli

Senza Motivazioni Sacre. Non ci sarebbe stato bisogno del Natale per accorgersi che la comunicazione tramite invio di brevi messaggi al cellulare ha raggiunto vette celestiali. Sono Malattie Sociali, contagi diffusi in tutte le regioni del pianeta.

Indipendentemente dalle condizioni di vita, nella scala delle necessità vere o immaginarie l'acquisto del pane può venire dopo la trasmissione di un "Come va?".

L'sms, più dell'e-mail, ha cambiato il mondo, devastandolo e salvandolo, svelandocelo e lasciandolo uguale a prima. Questo è l'elenco SeMiSerio delle sette principali conseguenze del suo utilizzo.

1. Ha creato e distrutto la maggior parte delle relazioni sentimentali (o qualcosa che loro assomiglia) attualmente esistenti. Senza la possibilità del ricorso all'sms molti corteggiamenti non sarebbero iniziati. Non ne sarebbero seguiti matrimoni o matrimoni spezzati. Un sms scappa anche al più timido, anestetizza la reazione, non espone al ridicolo. Mal che vada, va a finir bene. E qualcosa comincia. O finisce, perché la maggioranza dei tradimenti viene scoperta leggendo un sms altrui. Non ci vorrebbe molto a cancellare tutti quelli che si ricevono, ma è noto che la maggior parte delle azioni si compiono per renderle note e l'sms è non solo la comunicazione più veloce, ma anche la scorciatoia per la fine, il modo per farlo dire a chi non ne è capace. In definitiva, tra unioni che procaccia e altre che disfa, la somma algebrica resta zero.

2. Ha distrutto l'informazione creandone la forma più sintetica, esplosiva e ferale: il twitter, il figlio scemo del blog che già di suo non sempre era un genio. Centosessanta caratteri che vanno online e diventano notizia in tempo reale sono l'ultima frontiera, quella al confine del precipizio, dove nessuno più controlla niente, nessuno elabora niente, tutti sono autori e fruitori e nessuno ha il tempo e lo spazio per fare decentemente l'una o l'altra cosa.

3. Ha sdoganato la via brevis dell'ortografia. Per scritto X. Ch scritto K. Auguri alle maestre, che ci provino a correggere un bambino di 7 anni che scrive "anke". Mostrerà un sms del padre avvocato: "Xkè nn 6 qui?". Tutte le rivoluzioni finiscono così: dai muri di "Kossiga" allo schermo di "Albakiara". Ogni tragedia degenera nel ridicolo che già conteneva.

4. Consente alle coppie vip che un tempo si lasciavano con un fax di risparmiare carta, riducendo la quantità di materia da riciclare

5. Fornisce materiale pregiato alle intercettazioni. Digitando, molto più che parlando, il gap tra persone comuni e presunte personalità straordinarie si abbassa. In attesa della morte la nuova "livella" sociale è l'sms. Anke un bankiere invia caski di banalità. :-)

6. Permette di stabilire chi è la persona più popolare su un aereo. All'atterraggio, non appena i cellulari si riattivano, è quello dalla cui tasca parte il numero più alto di bip, accolti con fasulla irritazione e malcelata soddisfazione.

7. È il placebo alla incurabile solitudine della razza umana. Da Tbilisi a Maputo, da Pechino a Rejkyavik per un anno, dovunque mi trovassi ho scattato immagini di persone sole, sedute sui gradini di una chiesa, nella hall deserta di un aeroporto, in una nicchia della notte, la schiena a un muro, a un bagaglio o a una quinta dell'oscurità. Avevano lo sguardo fisso davanti a sé, una riflesso di luce azzurrina ne illuminava i volti, cercavano con l'impegno di ingannare il fantasma della desolazione, di respingere l'idea che nessuno fosse al loro fianco, nessuno in ascolto. E lo facevano scorrendo quell'ultimo patrimonio che è la rubrica, trovando infine un nome a cui lanciare l'invocazione sotto forma di comunicazione e scrivendo, come se fosse un sos, un sms. Che cosa ne ho fatto di quella ventina di scatti globali? Una notte che ero solo a New York li ho spediti per mms a qualcuno che non era al mio fianco, che non era in ascolto. Manco Mi Scrisse.
Se questa è la celebrazione del sacramento del matrimonio cristiano...

"Non è colpa di nessuno", si dirà.





La medaglia d'argento dei pesi massimi di pugilato alle Olimpiadi di Pechino, Clemente Russo ha sposato la judoka Laura Maddaloni, sorella di Pino Maddaloni. La cerimonia si è tenuta nell'Abbazia di San Gennaro a Ferrari di Cervinara (Av). Gli abiti degli sposi sono stati disegnati da Gianni Molaro, artista-stilista napoletano. Tra i testimoni il fratello della sposa, Pino Maddaloni, medaglia d'oro alle Olimpiadi di Sidney del 2000. Clemente Russo ha fortemente voluto che fosse il poliedrico artista Molaro, a firmare gli abiti da indossare in quello che ha definito «il giorno più importante della mia vita». Alla vigilia aveva annunciato agli amici: «Sarò un raggio di sole dipinto da Gianni». Lo stilista Gianni Molaro alla vigilia aveva detto: «Clemente? Sarà un vero dandy inglese. Credo che in questo momento di crisi economica internazionale, la creatività ed i sogni possano aiutarci. Sicuramente sarà un matrimonio all'insegna della luminosità ed energia».

L'alba del genitore

di Massimo Gramellini


Trecento genitori in coda di prima mattina davanti all'ospedale di Civitavecchia per scoprire se fra i morti dell'ennesima ecatombe notturna ci fosse anche il loro figliolo. Sono l'avamposto di un esercito dell'ansia che annovera centinaia di migliaia di soldati, madri e padri che passano le notti in bianco nell'attesa di un ritorno che le leggi del turbo-consumismo, il quale ci pretende spendaccioni ben oltre l'orario di chiusura dei negozi, hanno spostato negli anni sempre più in là, fino a farlo coincidere con l'alba.

Ai miei tempi (espressione orribile) si entrava in discoteca alle undici e si usciva intorno alle due, riguadagnando la tana in punta di piedi, ma mai abbastanza perché nella stanza di papà non si accendesse e spegnesse la luce: il suo segnale per farti capire che aveva guardato l'orologio, perciò il giorno dopo non avresti potuto turlupinarlo sostenendo che eri rincasato a mezzanotte. Oggi i ragazzi escono all'ora in cui noi rientravamo e impedirglielo significa fronteggiare da soli un'ondata di piena, rappresentata dall'abitudine di una collettività intera. Educare un figlio all'anticonformismo è una contraddizione in termini e un dispendio enorme di tempo e fatica: bisogna motivare il rifiuto e avere la forza di difenderlo. Così molti genitori si riducono a non dormire la notte, riproducendo ironicamente la situazione di quando il pupo era in fasce. L'alba era un mito per noi che la aspettavamo svegli solo a Ferragosto e a Capodanno. Mi chiedo cosa rappresenti ancora per questi ragazzi, per i quali è Capodanno tutto l'anno e quindi non lo è mai.
Inchiostro simpatico

di Massimo Gramellini

Fino all'altra sera avevo il sospetto che l'Italia fosse nelle mani di una classe dirigente superficiale e furbastra, simpaticamente ispirata alla famiglia Cesaroni. Ma poi ho visto la puntata di «Report» in cui Colaninno, messo all'angolo da quella judoka della notizia che è Milena Gabanelli, cercava fra i papiri del suo ufficio la clausola statutaria che dovrebbe impedirgli di vendere entro cinque anni l'Alitalia. Cercava e non trovava, lo Steward Maximo, ma ci rideva sopra. Si sa come sono le clausole, specie quelle cresciute nel microclima peninsulare: animaletti infingardi che si nutrono di inchiostro simpatico e il mercoledì si intrufolano fra le pieghe di una legge per amore dei manager («Tanzi, io ti salverò!») e la domenica scappano a gambe levate dagli statuti delle compagnie aeree. Sempre all'insaputa dei legittimi proprietari, naturalmente. E confidando nel disinteresse ostentato dell'opposizione, che non ha tempo per inseguire le clausole, dovendo occuparsi di cose molto più importanti, delle quali ci verrà fornito un elenco appena possibile, cioè mai.

Sì, fino all'altra sera avevo il sospetto che l'Italia fosse nelle mani ecc. ecc., ma adesso non l'ho più, perché il sospetto è diventato certezza. Viviamo momenti in cui uno guarda gli esempi che gli arrivano dall'alto e, per quanto si sforzi di imitarli, non riesce a essere altrettanto approssimativo e cialtrone.

Amico: perché sei il legame che unisce, ma non imprigiona.

Amico: perché sei la stella che guida, ma non abbaglia.

Amico: perché sei l'albero che abbraccia, ma non stringe.

Amico: perché sei la brezza che placa, ma non addormenta.

Amico: perché sei sguardo che scruta, ma non giudica.

Amico: perché sei parola che previene, ma non tormenta.

Amico: perché sei fratello che corregge, ma non umilia.

Amico: perché sei un mantello che copre, ma non soffoca.

Amico: perché sei lima che affina, ma non scortica.

Amico: perché sei la mano che accompagna, ma non sforza.

Amico: perché sei il cuore che ama, ma non esige.

Amico: perché sei la tenerezza che protegge, ma non assoggetta.

Amico: perché sei immagine di Dio, appunto per questo.


E. Oshiro

postato sul blog il 26.12.2007
"Quel giorno in cui questo lavoro smetterà di tormentarti l'anima e di farti venire fredde le mani, forse sarà ora di cambiare mestiere".


Jason Gideon

postato sul blog il 19.11.2007

Griffati ma senza famiglia

di Lorenzo Mondo


Danno fuoco a un barbone, per divertimento, e si scopre che sono ragazzi di buona famiglia. Approfittano d'un corteo di protesta per sfasciare vetrine e saccheggiare negozi. E si scopre che sono ragazzi di buona famiglia. Investono con l'auto un disgraziato sulle strisce pedonali e lo lasciano morire senza soccorrerlo. E si scopre che sono ragazzi di buona famiglia... I luoghi comuni non attentano soltanto alla qualità della scrittura ma anche alla verità. La definizione esprime intanto, in molti casi, un riguardo che non esiterei a definire classista. Perché viene riferita ai figli di professionisti o di gente facoltosa, che occupa buone posizioni nella società. Gli altri vengono per lo più designati come incensurati, come soggetti senza precedenti penali.

Arrivando alla sostanza del problema, quante buone famiglie si accreditano come tali per avere accondisceso a tutti i desideri dei loro rampolli, dotandoli di ogni possibile aggeggio elettronico, vestendoli di scarpe e giubbotti griffati, pascendoli di stadi e discoteche. Senza preoccuparsi del vuoto mentale, e morale, che li pervade. Incapaci di educarli al rispetto di sé e degli altri, tendono perfino a giustificarli e a proteggerli quando si comportano male. Esistono situazioni di speciale disagio giovanile davanti alle quali si può soltanto tacere, e compatire. Esiste una pressione sociale che, forzando le barriere del contesto familiare, influisce negativamente sulle persone più fragili. Ma in troppi casi l'espressione «buona famiglia» avrebbe senso soltanto se fosse usata come un eufemismo (in analogia con il termine buonadonna) e dovrebbe essere sostituita semmai da un «senza famiglia»: una dizione più veritiera e alla fine più comprensiva per i devianti. Mi ha colpito come una sferzata l'osservazione di una madre in difesa della figlia, che aveva partecipato con una banda di coetanei ubriachi alla distruzione dei vetri e degli arredi d'una stazione ferroviaria. Un episodio tutto sommato minore. Sennonché, pur esprimendo rincrescimento per l'accaduto, la signora, quasi a tagliar corto, se ne è uscita con una frase di troppo: «In fondo non ha ucciso nessuno». Veniva la voglia di risponderle, incrociando le dita: «Speriamo che non accada la prossima volta».
Sono anch'io per le scelte un po' "parlanti"

e non per le solite parole mute.

Come siamo dispiaciuti per i cristiani

che non sentono la gioia di condividere la mensa della Eucarestia domenicale,

così non ne possiamo più dei "cattolici della Messa",

che all'uscita dalla chiesa firmano contro gli stranieri.

Avrei preferito un bel "non siamo pronti".

E poi Gesù, che è un grande,

nasce anche dove noi non lo faremmo nascere,

magari anche in certe chiese.

don Chisciotte





Monsignor Attilio Bianchi nella Messa di mezzanotte ha detto ai presenti che se non sono preparati ad accogliere gli immigrati, "Gesù non nasce"

Bergamo, niente Bambinello nel presepe

Il parroco spiega ai fedeli: "Non siete pronti"

In una chiesa di Bergamo il parroco si è rifiutato di mettere la statuetta di Gesù Bambino nel presepe (come accade, per tradizione, il 24 dicembre), perché la gente "non è pronta". E ora fa discutere la scelta di monsignor Attilio Bianchi, parroco della chiesa di Santa Lucia, il Tempio votivo di Bergamo, annunciata nel corso dell'omelia, alla Messa di Mezzanotte.

Il sacerdote, che durante le omelie domenicali invita i fedeli a curarsi dei poveri e degli emarginati, ha deciso di comportarsi di conseguenza. E durante l'omelia ha proclamato: "Questa notte non è Natale. Non siete pronti. Se non sapete accogliere lo straniero, il diverso, non potete accogliere il Bambin Gesù. Perciò Gesù non nasce".

E quindi non ha fatto porre nel presepe della chiesa la statuetta (già pronta) del Bambinello. A chi ha chiesto spiegazioni ha poi detto che il presepe era basato sul racconto di Ezio del Favero 'Al chiaro delle stelle', in cui Gesù Bambino esce dalla culla per andare da un bimbo povero che non osava stargli vicino: "Il messaggio che abbiamo voluto dare è proprio questo: Gesù non ha paura di avvicinarsi agli emarginati, agli ultimi. E' ora che chi si dice cattolico metta in pratica gli insegnamenti di Cristo".
Il quarto dei magi che ritardando giunse in anticipo

di Igor Man

E' nato il bambino ch'è già nato. Un bambino povero, senza giocattoli, una mangiatoia per culla. È nato nel buio della povertà ma subito ha sparso luce perché gli uomini sapessero dove andare e chi adorare. Tanto tempo è passato da quel momentum ma «sembra ieri» e da allora anno dopo anno si rinnova il mistero chiamato Gesù.

Un miracolo non più idilliaco, difficile da rinnovare; un miracolo antico e tuttavia presente. «La novità vera è Gesù, contemporaneo ad ogni epoca», ipse dixit Giovanni Paolo II al Vecchio Cronista allorché questi fu ricevuto nell'appartamento pontificio il 9 di dicembre del 2001. Era prevista una udienza di routine ma papa Wojtyla, inopinatamente, mi dedicò mezza mattinata. Nel lontano 1949 avevo incontrato Padre Pio, lungamente. E Giovanni Paolo II, insaziabile, mi interrogava sul cappuccino che di lì a poco avrebbe fatto santo. In quella inobliabile occasione parlammo dell'islàm nella prospettiva del «dialogo» che secondo il Papa avrebbe potuto trovare una sorta di «paziente scorciatoia» nella preghiera interreligiosa, dal Papa stesso affidata all'«Onu di Trastevere», cioè alla Comunità (laica) di Sant'Egidio. Ogni anno, cristiani, ebrei e islamici si radunano in una capitale del mondo per riflettere e ragionare sulle religioni monoteiste. Chiude la «tre giorni» la preghiera interreligiosa: si prega fisicamente insieme; ognuno a suo modo, spiritualmente. Il Papa parlava sommesso ma la sua voce si fece alta e forte quando ricordò l'Epifania: «Il racconto dei Magi può, in un certo senso, indicarci una rotta spirituale - disse -: i Magi furono in qualche modo i primi missionari. L'incontro col Cristo non li bloccò a Betlemme ma li spinse nuovamente per le strade del mondo». Giovanni Paolo II, l'ho già scritto, fa pensare al «quarto» dei Magi. Mia madre, russa ortodossa, mi raccontava la incredibile storia, appunto, del «quarto».

Si chiamava Artaban ed era un persiano zoroastriano. Comparsa la stella cometa, si mette in viaggio per raggiungere gli altri tre. A poche ore dall'appuntamento, Artaban si imbatte in un ebreo terribilmente ferito. Soccorre il moribondo, questi guarisce e lo ringrazia rivelandogli che il Messia sarebbe nato a Betlemme. Mancato l'appuntamento con Gaspar, Melkior e Balthasar, il «quarto» vende una delle pietre preziose destinate al Bambinello e allestisce una nuova carovana. Arriva a Betlemme ma in piena strage degli innocenti. Con un rubino salva dalla morte un bimbo corrompendo i centurioni che stavano per sgozzarlo. Passano gli anni e il vecchio Artaban conserva gelosamente l'ultimo suo tesoro: una rarissima perla. Con essa, un giorno doloroso, il «quarto» spera di salvare il Messia dalla crocefissione. Ma sul Golgota un ragazzo lo implora di riscattarlo dalla schiavitù romana e il vecchio re sapiente sacrifica l'ultimo suo bene: la perla. In quel preciso momento «egli si avvede d'essere stato ammesso, per primo, alla presenza del re tanto atteso e cercato, quello vero: Gesù». Qui è stato facile a chi scrive identificare, se così può dirsi, il quarto dei Magi in Giovanni Paolo II.

C'è infatti una morale in questa storia, una morale luminosa come la grotta in cui nasce Gesù di Nazareth. Eccola: Artaban è giunto in ritardo a Betlemme ma è arrivato in anticipo sulla Pasqua di Resurrezione. Tutto muta ma nulla è cambiato e allora diremo, credenti e laici, che Gesù non è solamente dalla parte del Mistero di Dio di fronte all'uomo, ma altresì dalla parte dell'uomo di fronte al Mistero di Dio.

dall'Omelia della Messa di Mezzanotte in Duomo:




(...) In questo Natale, già segnato dalle prime ondate di una grave crisi economica, un interrogativo mi tormenta: io, come Arcivescovo di Milano, cosa posso fare? Noi, come Chiesa ambrosiana, cosa possiamo fare?

Prima di porre un segno, quasi a dare il “la” ad un concerto che mi piacerebbe potesse coinvolgere coralmente tutta la nostra Chiesa e anche tutti gli uomini di buona volontà, vorrei che ciascuno conservasse nel cuore questa domanda e da questa si lasciasse inquietare e convertire: io cosa posso fare?

Il pensiero che alcune famiglie in parrocchia, un vicino di casa, si possano trovare a vivere queste feste con il timore di perdere il proprio posto di lavoro non può non interrogare ciascuno di noi. C'è uno stile di vita costruito sul consumismo che tutti siamo invitati a cambiare per tornare a una santa sobrietà, segno di giustizia prima ancora che di virtù. C'è una solidarietà umana da ritrovare nei nostri paesi e nelle nostre città per uscire dall'anonimato e dall'isolamento, perché chi vive momenti di difficoltà non si senta abbandonato. C'è una nuova primavera sociale fatta di volontariato, mutuo soccorso, cooperazione da far fiorire perché insieme
Il nostro corpo presepe vivente,

nei luoghi dove siamo chiamati a vivere e lavorare.

Le nostre gambe come quelle degli animali

che hanno visitato la grotta "quella notte".

Il nostro ventre come quello di Maria

che ha accolto e fatto crescere Gesù.

Le nostre braccia come quelle di Giuseppe

che l'hanno cullato, sollevato, abbracciato e lavorato per lui.

La nostra voce come quella degli angeli

per lodare il Verbo che si è fatto carne.

I nostri occhi come quelli stupiti di tutti coloro

che la Notte Santa l'hanno visto nella mangiatoia.

Le nostre orecchie come quelle dei pastori

che hanno ascoltato attoniti il canto divino proveniente dal cielo.

La nostra intelligenza come quella dei Magi

che hanno seguito la stella fino alla Sua casa

Il nostro cuore come la mangiatoia

che ha accolto l'Eterno

che si è fatto piccolo e povero come uno di noi.



grazie a R.C.
I cattolici non hanno bisogno di spaccarsi:

sono già divisi... quasi su tutto.

Prima di parlare,

ricordarsi di connettere la bocca al cervello

(e al Vangelo, se possibile!).



Nei presepi allestiti a Genova e Venezia tra i pastorelli è apparsa una moschea che ha provocato discussioni e polemiche. I musulmani: è un segno di pace

La moschea dentro il presepe: insorge la Lega, cattolici divisi

Se nel presepe spunta la moschea, come succede a Genova e a Venezia, le città si dividono, si spacca il mondo cattolico, e insorge la Lega che apre una nuova crociata al grido di "Via la moschea dal presepe!".

"È un'assurdità, una cosa che non ha senso", tuona Don Gianni Baget Bozzo. "Nessun problema e nessuna contrarietà, per me va bene", replica Abdel Hamid Shari, presidente dell'istituto culturale islamico della moschea milanese di viale Jenner. Più cauto il Patriarca di Venezia Angelo Scola: "Nella realizzazione del presepe non ci dovrebbe essere spazio per il sincretismo, ma non ci sono regole rigide per la sua costruzione".

Sono in una parrocchia di Genova e in una scuola di Venezia i casi che fanno gridare allo scandalo. Nella prima, la parrocchia di Nostra Signora della Provvidenza, è stato il parroco, Don Prospero Bonzani, ad avere l'idea, dopo un pellegrinaggio in Palestina in cui ha visto "come stanno veramente le cose", spiega, che cioè "i palestinesi sono stati confinati dagli israeliani in tante prigioni larghe quanto un paese". Di qui l'iniziativa di inserire nel presepe una moschea e un minareto "per indicare l'intenzione di intraprendere il difficile dialogo con il mondo islamico".

Durissime le proteste della Lega. "Un gesto di pura imbecillità e di ossequio vile e strisciante all'invasione islamica", lo definisce l'eurodeputato Mario Borghezio. "Manca solo il kamikaze che cerca di far saltare la capanna col tritolo", incalza il segretario del Carroccio genovese Edoardo Rixi.

A Venezia invece la moschea è sorta nel presepe di una scuola cattolica, l'istituto professionale del Centro italiano femminile, per iniziativa di una bidella bosniaca, Suada Kechman, condivisa dalla direttrice del centro, Valentina Pontini: "Il 40 per cento degli alunni è straniero, è un'utile apertura culturale". Il direttore della Caritas, Monsignor Dino Pistolato, condivide: "È una novità che non mi disturba. Anzi, trovo che sia un bel segno. Cristo viene in terra per tutti, indistintamente". Apprezza anche Padre Alberto Ambrosio, della comunità dei domenicani di Istanbul: "Un'iniziativa molto bella". Inorridisce invece Padre Konrad Friedrich Ferdinand, cappellano della chiesa di san Simeon Piccolo, dove celebra la messa in latino: "È profondamente sbagliato, un intervento che stona. I musulmani non hanno lo stesso concetto di Gesù. Per noi è Dio, per loro no". "Un'esterofilia insulsa", attacca il leghista Alberto Mazzonetto.

Anche Don Gianni Baget Bozzo è più che perplesso sull'iniziativa della moschea nel presepe. E non solo per motivi storici, dal momento che quando Gesù è venuto al mondo, l'Islam non c'era ancora. Ma soprattutto perché, spiega, "è profondamente sbagliato accogliere tutti, e a tutti i costi, nel nome della carità. A volte la carità può diventare violenta - aggiunge - Infatti credo che la cosa non possa far piacere neanche ai musulmani, perché vedersi inseriti nel nostro presepe può significare venire assorbiti da un'altra religione. E siccome la moschea è il simbolo della loro religione, metterla nel presepe potrebbe essere vista come una dissacrazione".

Non sembra turbato invece l'Imam di Milano Hamid Shari: "Ognuno interpreta le cose sacre come vuole. Certo, è vero che la moschea arriva un po' più in là della nascita di Gesù, che anche per noi è una figura sacra, ma se il senso dell'iniziativa è quello di offrire un elemento di convivenza, di pace e di riflessione, allora mi sta bene". "No, non credo che sia un motivo di confusione tra le fedi - aggiunge - ognuno conosce bene la propria, ed è giusto che abbia il massimo rispetto per quella degli altri. Quindi ogni polemica mi sembra fuori luogo. Chi le fa cerca solo di distinguersi e magari spera in questo modo di guadagnare qualche voto".


"Grazie alla tenerezza e misericordia del nostro Dio, ci visiterà un sole che sorge dall'alto, per risplendere su quelli che stanno nelle tenebre e nell'ombra di morte, e dirigere i nostri passi sulla via della pace" (dal cap. 1 del vangelo di Luca).

Le scosse di terremoto di ieri mi hanno ricordato i giorni natalizi del 2004 con le immagini dello tsunami. Stamattina si celebrerà il funerale di una giovane mamma di Varese. E non sarà l'unico della giornata. Giorni deputati a fare memoria di una nascita saranno segnati per sempre dalla tonalità di eventi tristi.

Mors et vita duello, conflixere mirando: "Ho visto la morte e la vita duellare".

"Veniva nel mondo la luce vera, quella che illumina ogni uomo" (dal cap. 1 del vangelo di Giovanni).

Vieni, Luce!

don Chisciotte


Ci fu il "Cogito, ergo sum", cioé "Penso, quindi sono";

passò anche "Mi sento, quindi sono";

mi intriga "Io Ipod, quindi sono"!

La promozione del cine-panettone

Perché la tv pubblica deve azzerbinarsi a tal punto da mettere a disposizione di "Natale a Rio" ore e ore?


di Aldo Grasso

Non ho nulla contro i cine-panettoni. Li rispetto ma non li vado a vedere; aspetto che arrivino in tv. Magari fra dieci anni. Tanto, fra dieci anni, ci sarà sempre un Marco Giusti che li classificherà come stracult. Basta aspettare. Basta assuefarsi.

Una cosa però non capisco: dove sta scritto che la tv italiana deve azzerbinarsi a tal punto nei confronti del cine-panettone da mettere a disposizione di Natale a Rio ore e ore di promozione? Pippo Baudo ha dedicato ben due domeniche al lancio del film di Neri Parenti. In cambio ha avuto come ospiti i protagonisti del film, da Christian De Sica a Michelle Hunziker (come dire, da George Clooney a Nicole Kidman). Enrico Mentana gli ha dedicato addirittura una puntata di Matrix ma non c'è programma di intrattenimento o tg che non si sia sentito in dovere di favorire il lancio del film. Solo il libro di Bruno Vespa ha ricevuto più promozioni del cine-panettone. Che è già un bel segnale per capire i tempi che corrono.

La giustificazione è sempre la stessa: il cine-panettone usa le tv per promuovere se stesso e le varie trasmissioni usano il cine-panettone per alzare gli ascolti. O, quanto meno, per non perdere audience. Insomma, c'è in atto una sorta di scambio di prigionieri (leggi: spettatori) senza giro di fatture ma, almeno nel servizio pubblico, dovrebbe valere una maggiore prudenza. La tv pubblica che sostiene il cinema commerciale, è il massimo. Non lamentiamoci poi se la Rai, persa una linea editoriale, appiattitasi su modelli commerciali, sta diventando una tv residuale. (...)
«Promessa sposa», cioè fidanzata! Noi sappiamo che la parola fidanzata viene vissuta da ogni donna come un preludio di tenerezze misteriose, di attese. Fidanzata è colei che attende. Anche Maria ha atteso; era in attesa, in ascolto: ma di chi? Di lui, di Giuseppe! Era in ascolto del frusciare dei suoi sandali sulla polvere, la sera, quando lui, profumato di vernice e di resina dei legni che trattava con le mani, andava da lei e le parlava dei suoi sogni.

Maria viene presentata come la donna che attende. Fidanzata, cioè. Solo dopo ci viene detto il suo nome. L'attesa è la prima pennellata con cui san Luca dipinge Maria, ma è anche l'ultima. E infatti sempre san Luca il pittore che, negli Atti degli apostoli, dipinge l'ultimo tratto con cui Maria si congeda dalla Scrittura. Anche qui Maria è in attesa, al piano superiore, insieme con gli apostoli; in attesa dello Spirito (At 1, 13-14); anche qui è in ascolto di lui, in attesa del suo frusciare: prima dei sandali di Giuseppe, adesso dell'ala dello Spirito Santo, profumato di santità e di sogni. Attendeva che sarebbe sceso sugli apostoli, sulla chiesa nascente per indicarle il tracciato della sua missione.

Vedete allora che Maria, nel Vangelo, si presenta come la Vergine dell'attesa e si congeda dalla Scrittura come la Madre dell'attesa: si presenta in attesa di Giuseppe, si congeda in attesa dello Spirito. Vergine in attesa, all'inizio. Madre in attesa, alla fine. E nell'arcata sorretta da queste due trepidazioni, una così umana e l'altra così divina, cento altre attese struggenti. L'attesa di lui, per nove lunghissimi mesi. L'attesa di adempimenti leali festeggiati con frustoli di povertà e gaudi di parentele. L'attesa del giorno, l'unico che lei avrebbe voluto di volta in volta rimandare, in cui suo figlio sarebbe uscito di casa senza farvi ritorno mai più. L'attesa dell'«ora»: l'unica per la quale non avrebbe saputo frenare l'impazienza e di cui, prima del tempo, avrebbe fatto traboccare il carico di grazia sulla mensa degli uomini. L'attesa dell'ultimo rantolo dell'Unigenito inchiodato sul legno. L'attesa del terzo giorno, vissuta in veglia solitaria, davanti alla roccia. Attendere: infinito del verbo amare. Anzi, nel vocabolario di Maria, amare all'infinito.


mons. Tonino Bello, Avvento-Natale. Oltre il futuro, 46-48.


postato sul blog il 19.12.07
Un articolo che non mi convince in tanti passaggi,

ma che ha una buona intuizione di fondo.



"Babbo Natale invece è sinistramente allegro; è persuaso e vuole persuadere gli altri che tutto va bene e andrà sempre meglio; che il nostro mondo, la nostra società, il nostro benessere, il nostro denaro, la nostra democrazia, il nostro teatro quotidiano siano i migliori e gli unici possibili, una crescita destinata ad accrescersi trionfalmente sempre più, una scorpacciata senza limiti garantita da pillole digestive sempre più efficaci, un progresso inarrestabile, uno stadio definitivo e un ordine immutabile, un oggi scambiato per l'eterno. Incubi di pranzi in cui l'obbligato ingozzarsi insinua nell'animo una pesantezza di morte, quintali di biglietti augurali e cassette di vini e di dolciumi che ingombrano la casa dei fortunati destinatari di omaggi con la violenza dell'invasione. Il Natale è la nascita di un bambino, di un salvatore che sarà crocifisso e conoscerà l'estremo abbattimento del Getsemani; la gioia che esso annuncia non è una truffa, perché non nasconde il dolore, il crollo del mondo".


tratto dall'articolo di C. Magris, Babbo Natale falso ottimista, Corriere 24 dicembre 2007
"Avevo una proprietà in Puglia, poi mi sono sposata a sedici anni, ho otto figlie, una di settantadue anni

 



Ecco uno scritto del 1992.

Immaginando di scrivere al profeta Samuele,

mons. Tonino Bello azzecca espressioni di sorprendente e sconcertante attualità.





Su questo sconfortante scenario di bassa pressione morale che va prendendo vigore il progetto della "Grande Riforma" e si affievolisce la fiducia nella tenuta degli antichi pilastri costituzionali che hanno finora sorretto la nostra democrazia.

È triste dirlo: ma tanta gente oggi in Italia invoca disperatamente un re che governi. Smania per delegargli gli ultimi spiccioli di un potere della cui valuta pregiata si è lasciato confiscare. Accarezza nostalgie di un capo che sia forte. Che mostri i muscoli. Che decida per tutti. Che abbia il pugno di ferro, insomma. E siccome a coltivare ideali scopertamente monarchici si può essere fraintesi, ecco allora il ripiego sulla repubblica presidenziale.

Intendiamoci, caro Samuele: io non ce l'ho né con i re, né con i titolari di un presidenzialismo sanguigno. Ma mi lascia scettico il pensiero che si voglia porre riparo al nostro malessere nazionale irrobustendo il capo e non, invece, aiutando la crescita della coscienza democratica.

Per arginare i processi degenerativi in atto occorrono, sì, riforme concrete, ma non tali da prosciugare i poteri della base, garantiti dalla Costituzione, e concentrarli al vertice per delirio di potenza.

È sulle nervature periferiche che bisogna investire i capitali del nostro bisogno di cambiamento. È ai capillari estremi del corpo sociale che occorre assicurare un'abbondante irrorazione vascolare, perché i tessuti siano preservati dalla cancrena e si eviti di mandare in circolo emboli funesti.

Più che scommettere sull'uomo del palazzo, perciò, bisogna scommettere sull'uomo della strada, promovendo un massiccio referendum abrogativo del suo vecchio modo di pensare.

Ogni altro espediente istituzionale, che privilegi sofisticate terapie d'urto sul capo e disattenda le cellule marginali dell'organismo popolare, è destinato al fallimento.

Ce l'ha insegnato la tua esperienza, Samuele.


mons. Tonino Bello, Ad Abramo e alla sua discendenza, 94-95




Attenti ai pronomi: tra "io" e "voi", meglio il "noi"

di mons. Mario Delpini

Avvenire - Milano 7 - 09.11.08


I pronomi sono paroline birichine. C'è il pronome "io". Se gli dai spazio non ti salvi più. Ci sono quelli che, di qualunque argomento si parli, hanno sempre da dire: «Anch'io ho visto... quando c'ero io .... Se fossi io... date retta a me: io ho studiato... se volete invitare un personaggio, io conosco ...». Al consiglio pastorale, alle riunione della Caritas, sul sagrato dopo la Messa e in ogni altra occasione, l'io invadente continua a proporsi. Forse uno crede di rendersi utile, di contribuire a rompere il ghiaccio, di mettere a disposizione competenza ed esperienza. Il risultato però è che uno rischia di ridurre tutto a sé e si rende insopportabile. Poi c'è il "voi". "Voi" si usa per dichiarare un'estraneità, un dissenso, talvolta addirittura un'ostilità. «Ma voi della curia...?»; «Voi preti...», «Fate presto voi dal pulpito...»; «Voi che abitate in centro che cosa ne sapete...»; «Voi ci avete abbandonato...». Quando uno dice "voi", per lo più, dà per scontato che le tue ragioni non le capisce. Forse anche dichiara che preferisce stare di fronte a protestare piuttosto che mettersi con te e cercare insieme: «Tanto voi che cosa capite?». Attenti ai pronomi. Io avrei più simpatia per il "noi".


 


Su mettiti comodo come in un condom, che scorrono momenti lenti più di un Vic20 Commodore, sulla tela la tua vita intera con un prologo: tua madre che apre le gambe dal ginecologo; poi le tasche deserte di un bimbo povero, ma ingordo di scoperte più di Colombo Cristoforo; il tuo primo rimprovero poco dopo, avevi appiccato un fuoco per gioco come un tedoforo. Da quel giorno la tua lingua é in sciopero, hai detto: "No, non coopero". Però io ti ricorderò che sei stato picchiato da quei balordi e sotto i colpi sordi ti sei detto: "Non discuto". Muto, un concorrente a tempo scaduto, abbattuto come un cane da tartufo che ha perduto fiuto; chiederti di raccontare l'accaduto sarebbe come per Cesare chiedere aiuto a Bruto.



Rit:PARLA, LA VERITÀ É LÀ, NON DEVI NEGARLA

PARLA, CHI TAPPA LA FALLA NON RESTA A GALLA

PARLA, DALLA TUA BOCCA LIBERA LA FAVELLA COME UN FARFALLA CHE SI LIBRA DALLA CALLA.

PARLA, I MUTISMI SONO INASCOLTABILI

PARLA, I TIMORI HANNO TIMONI DEBOLI

PARLA, URLA TERMINI INTERMINABILI

PARLA, PERCHÉ IL SILENZIO É DEI COLPEVOLI.




La riconosci quella? É la tua Panda dentro ci sei tu con la coscienza sporca ed un profumo che sa di lavanda; dillo alla fidanzata che ti guarda che c'é un altra che ha la quarta e pratica il tantra. Gli anni ‘90 vanno al rallentatore, un fotogramma infiamma ‘sto proiettore, tuo padre brama un figlio dottore e passi gli anni al Campus come un detenuto a San Vittore. Ammutolendoti credi di restare in piedi, ma non ti chiami Ercolino e quantomeno siedi. Spesso cerchi sieri che offuschino pensieri si, ma non ti eclissi, ti celi dietro veli. Come vedi stenti, ne sprechi di momenti, il silenzio é d'oro e tu lo svendi ai peggior offerenti. Parla fuori dai denti, non ti penti, parla nei parlamenti, mettili sugli attenti. RIT


Fine della proiezione, fatti un'opinione e finirai come i fatti di metadone, il tuo supporto vale molto più di un corto nella rassegna dove regna la rassegnazione. Chi tace soggiace alla volontà del loquace, si beve più cazzate come la guerra di pace, rischi di impazzire più di Aiace. Devi venir fuori dal tuo fondo tipo bronzo di Riace. Invece come una prece ti stai affossando, non favelli come Paggio Fernando distratto da occhi belli. Sembri la principessa Lisa, ma mi sa che non hai cigni per fratelli. Alza il culo e non fare il muto che non sei Charlie, “Stand up for your rights”, come canta Marley. Come il Mosé scateni in me strani tarli, sappi che... ti prendo a martellate se non parli...


Una parola sugli autori di questo manifesto:

- non è da uomini non firmare un proprio scritto;

- non è lo strumento adatto affidare il proprio messaggio a volantini appesi alle porte, quasi fossimo per strada o in una dittatura;

- suggerire che per noi insegnanti l'Eucarestia sia quello che è stato descritto in questo testo, significa non aver studiato la teologia che insegnamo nelle nostre aule;

- sarebbe molto debole la considerazione dei "valori della tradizione" se qualcuno li identificasse con pizzi, incensi e affini;

- non è misericordioso non concedere il perdono a chi può essere uscito fuori dalle righe e i processi di piazza non sono i più giusti;


- xxxxxxx (se vuoi sapere il perché di questa interruzione del testo, vai al post del 15 gennaio 2009)


- non è caritatevole trattare così (con sarcasmo, violenza, maldicenza) i propri fratelli di fede e i propri educatori.



Per rilanciare: non può ancora essere presbitero chi - con azioni come queste - dimostra che non sta camminando nella via dell'amore fraterno, nella forma della capacità di condurre nell'unità il popolo di Dio.


don Chisciotte






Con l'analisi del fenomeno ci siamo;

la "terapia" è un po' deboluccia.

don Chisciotte

 


Natale, che stress

Non per tutti le festività sono un momento di gioia. Per alcuni la pausa dal lavoro porta con sé una riflessione sulle aspettative deluse, le ansie e le frustrazioni, la solitudine. Ma bisogna razionalizzare per riprendersi e affrontare con positività il nuovo anno

Strade addobbate e atmosfera di festa. Ed è subito Natale. Ma non per tutti è un momento di gioia, anzi per molti l'attesa festività è accompagnata da una vena di malinconia e tristezza. La depressione natalizia esiste ed è fatta di un senso di vuoto, di pessimismo e causa disturbi dell'umore che coincidono con quelli tipici della depressione clinica.

“Ogni momento di pausa dal lavoro e dalla quotidianità conduce a un momento di riflessione

"XXX è un asilo a tutti gli effetti, il primo a Milano, con tanto di educatori professionisti, zona pappa, zona nanna, area giochi, area relax per i massaggi e servizio happening per il compleanno di Fido. Perché con i ritmi frenetici e lo stile di vita moderno dei loro padroni, anche gli amici a quattro zampe soffrono di solitudine, noia e stress. (...) Da XXX i cani vengono trattati come ospiti di tutto rispetto dai sei educatori cinofili che lavorano nella struttura. Vengono accolti in uno spazio di circa 200 metri quadrati, disponibile per massimo 15 o 20 animali e prima del loro primo giorno di scuola, fanno l'inserimento. Non si accettano cani aggressivi o ingestibili, né con problemi sanitari. La giornata dei clienti di questo club esclusivo comincia alle 8, con i giochi di attivazione mentale e attività fisica. Ogni due ore vengono portati fuori per la passeggiata, mentre i pasti sono serviti secondo le indicazioni del padrone (tipologia, marca, quantità e orari). Se hanno sonno possono rilassarsi nell'area riposo, attrezzata con lettini.

Servizi aggiuntivi per gli ospiti

- Presa e consegna: bus dog o taxi dog

- Educazione di Base: metodologia gentile

- Massaggi e reiki: con esperti nel settore

- Attivazione mentale: sviluppa le capacità cognitive del tuo cane ed allenare le sue abilità nel risolvere problemi di crescente difficoltà

- Fotografie e ritratti: fotografi e pittori per un ritratto del tuo cane

- Comportamentalista: se il tuo cane manifesta un problema di comportamento".


grazie a L.M. per la segnalazione


Nel nuovo lezionario ambrosiano, ieri è stato letto il Vangelo secondo Luca 1, 1-17; oggi si prosegue con il cap. 1, i versetti dal 19 al 25.

E' stato dimenticato il v. 18: "Zaccaria disse all'angelo: «Come posso conoscere questo? Io sono vecchio e mia moglie è avanzata negli anni»".

Una dimenticanza che non fa capire come mai, nella lettura di oggi, l'angelo contesti a Zaccaria di non aver creduto all'annuncio della fecondità del grembo di sua moglie.

 


Il "castigo-segno" per questa incredulità è - per Zaccaria - il mutismo.

Credo che l'attuale difficoltà della Chiesa a comunicare

(paragonabile ad un muto gesticolare senza parole)

sia interpretabile come dovuto alla stessa dinamica.

don Chisciotte
I chirurghi: «Per Natale non regalate interventi estetici alle figlie»

Un fenomeno in crescita in tutta Europa: «Ma prima dei 20 anni almeno il seno non va mai ritoccato». Gli specialisti della Società Italiana di Chirurgia Plastica Ricostruttiva ed Estetica hanno pubblicato un appello contro l'abitudine, che si sta diffondendo, di regalare interventi estetici correttivi alle figlie adolescenti.

Niente chirurgia al seno come «regalo di Natale». L'appello a non cedere alle richieste di adolescenti insoddisfatte del proprio aspetto arriva dai chirurghi estetici della Sicpre (Società Italiana di Chirurgia Plastica Ricostruttiva ed Estetica).

Da qualche anno - sottolinea una nota diffusa dalla Sicpre- sempre più ragazze di età inferiore ai 18-20 anni chiedono ai genitori, come regalo di Natale di compleanno, di promozione un intervento di chirurgia estetica.

Il fenomeno riguarda molti Paesi europei - in Germania 100 mila casi nel 2007 - e anche l'Italia, sebbene non ci siano dati precisi, è coinvolta dal problema. In occasione del periodo natalizio gli specialisti hanno voluto intervenire sul fenomeno sottolineando alcuni aspetti da tenere presente.

«Va fatta una distinzione- precisa la nota- fra inestetismi stabili già durante l'adolescenza e che non possono modificarsi da soli (per esempio orecchie a ventola o naso non bello) e caratteristiche che semplicemente non corrispondono ai canoni di moda, che fra l'altro sono suscettibili ancora di trasformazioni oltre i vent'anni, fra cui il volume del seno e la distribuzione del grasso corporeo. Di conseguenza, è evidente che mentre un intervento estetico come la rinoplastica (correzione del naso) può essere ammissibile e utile anche a 16 anni, per il seno o per le liposuzioni il discorso è molto diverso».

«In particolare, -ricordano i chirurghi- sotto i 20 anni l'aumento di seno non va mai praticato: fino a quell'età sono possibili modificazioni spontanee del suo volume dovute alle variazioni dell'assetto ormonale. Anche la riduzione del seno è sconsigliata nella maggior parte dei casi e può essere ammissibile solo in situazioni estreme. Stessi criteri per la liposuzione. Anche la distribuzione e il volume del grasso sono infatti influenzati dall'assetto ormonale. Intervenire chirurgicamente è giustificato solo in casi gravi».

«La chirurgia», chiarisce il professor Carlo D'Aniello, Presidente della Sicpre, «anche quella estetica, è un atto traumatico e mai privo di rischi, per quanto minimi. Quindi, nel dubbio che un inestetismo possa attenuarsi o addirittura sparire, è saggio aspettare. Tanto più che l'adolescenza è un'età di trasformazioni anche psicologiche, e ciò che appare insopportabile a 15 anni può diventare gradevole a 18 o 19. Inversamente, c'è anche il rischio che una correzione chirurgica eseguita troppo presto diventi sgradita col passare degli anni. Insomma, la chirurgia estetica richiede maturità sia fisica sia psichica». In Germania è in discussione da qualche mese la proposta (della Cdu) di vincolare gli interventi al parere favorevole di due diversi chirurghi plastici, mentre altri dicono che basterebbe obbligare a un periodo di riflessione di 6 settimane tra visita e intervento. La Sicpre non entra nel merito né si augura l'introduzione di norme di legge rigide sull'argomento. Però chiede a tutti i genitori e a tutti i chirurghi italiani di tenere conto responsabilmente di queste raccomandazioni. (...)


Nostalgia canaglia

di Massimo Gramellini

Avete fatto caso a quanti telefonini adottano la suoneria dei telefononi che strillavano nei tinelli della seconda metà del Novecento? È l'ultimo segnale di un fenomeno che si acuisce in tempi di crisi: la nostalgia. Per gli stipendi che consentivano a un impiegato di comprarsi la casa senza fare mutui. Per i comici che facevano ridere senza usare parolacce. Per la persona che non sposammo o che sposammo ma non le assomiglia più. Per le fatiche di una vita in salita che era comunque meno stressante di una in discesa verso l'ignoto. Nei sondaggi i tedeschi dell'Est difendono la memoria della Ddr, in realtà la loro giovinezza trascorsa sotto quel regime. Da noi chi vota Veltroni (pochi, ultimamente) rimpiange Berlinguer. Gli altri hanno già rivalutato la Dc e qualcuno anche i socialisti. Ogni aspetto della vita è pervaso da una polvere che deforma i ricordi, ripulendoli dalle scorie per restituirceli nella magia dell'incanto che non furono. Persino il tifo calcistico è una forma di nostalgia: per il te stesso bambino, ancora capace di provare emozioni assolute.

Adesso dalla Gran Bretagna giunge l'immancabile studio scientifico a certificare quel che in fondo sapevamo già: rimpiangere il passato aiuta ad affrontare meglio il presente. Costretti a nuotare in mare aperto, ci appigliamo allo scoglio dei ricordi per trovare un punto di riferimento e il coraggio di dare un senso al panorama. È un piacevole inganno che da generazioni aiuta gli uomini a vivere. Sembra impossibile, ma fra vent'anni i giovani fan di Di Pietro rimpiangeranno Berlusconi (sempre che non sia ancora lì).





Manca solo di citare la nostalgia in ambito ecclesiale...

c'è la nostalgia classica, quella che ha sempre fatto dire ad alcuni: "Prima era meglio... tutto";

c'è quella più costruttiva: "Poco tempo fa avevamo dei padri... che rimpiangiamo".

don Chisciotte

La vita è fatta di scelte. Con criteri.

La scelta delle due letture del nuovo Lezionario ambrosiano per la Messa di oggi

ha dei "criteri" che non sono certo quelli della comprensione

e della partecipazione del popolo di Dio.

Questi i versetti della seconda lettura:

Inizia la lettura del libro di Ester 1, 1a-1r. 1-5. 10a. 11-12; 2, 1-2. 15-18.



Dalla lettera a Giacobbe

Sì, anche noi, come te, stiamo vivendo un momento decisivo.

Quella notte tu lasciavi per sempre la tua terra antica e ti addentravi rischiosamente nel territorio controllato dal fratello-nemico. Stavi facendo, cioè, il passo più drammatico della tua vita: entrare in un continente sconosciuto. Passavi il tuo Rubicone, insomma.

Ed ecco densificarsi, proprio sulla frontiera segnata dal fiume, il cumulo delle incertezze simbolizzato dalla tua lotta con Dio. Che, in fondo, fu una lotta per il nome.

Tu chiedesti il nome tutta la notte al tuo rivale misterioso, dicendogli ogni volta che l'atterravi: Come ti chiami? Ma lui sgusciava alla presa delle mani viscide e, prendendo il sopravvento, ti ripeteva: Perché mi chiedi il nome? La nostra storia, caro Giacobbe, ti rassomiglia tanto. Anche noi stiamo sperimentando l'oscurità del trapasso.

Giunti a una frontiera decisiva della storia, affrontiamo il guado che ci introduce nel terzo millennio e, come te, viviamo il dramma del nome. Le antiche categorie si rimescolano. I vecchi vocaboli non ci bastano più per indicare gli scenari nuovi sulle cui sponde stiamo per approdare. Lo scontro più vero oggi è con l'ineffabile.

Gli schemi concettuali che avevano finora sorretto la nostra comprensione dell'universo si stanno sfaldando, minacciati come sono dall'onda lunga di una realtà inedita. Sensazioni impreviste straripano da tutte le parti, e le parole di un tempo non le contengono più. Le dighe lessicali cedono sotto l'urto di emergenze che irrompono con la furia di un tornado. E noi, a ogni realtà che pure tocchiamo ma che ed slitta dalle mani, continuiamo a chiedere, sotto lo spasimo della lotta, come facesti tu: Qual è il tuo nome?

È proprio vero: la nostra è un'agonia di nomi. È una crisi di vocabolario. I termini non aderiscono più alle cose e scivolano sulla loro pelle.


mons. Tonino bello, Ad Abramo e alla sua discendenza, 36-37
L'irresistibile attrattiva di Gesù per il tempio fa da contrasto alla non comprensione dei genitori: «Senza che se ne accorgessero», in greco: «uk égnosan», non lo conobbero, non lo seppero. Siamo di fronte a un grande mistero. Non è poco quello che è accaduto a Maria: normalmente le mamme conoscono da che cosa i loro bambini sono attratti e sanno dove possono essere andati allorché, sfuggendo alla sorveglianza, sono scappati. È vero che un dodicenne, soprattutto nel mondo orientale, aveva una qualche autonomia, ma era, come sembra, la prima volta che andava a Gerusalemme e i genitori avrebbero dovuto essere attenti. Si direbbe - e provo una certa fatica nel dirlo - che Giuseppe e Maria abbiano perso il colpo d'occhio, l'insieme della situazione, si siano fatti sfuggire l'essenziale. Possibile - ci chiediamo - che non avessero compreso la forza di attrazione che il tempio esercitava su Gesù? Possibile che non abbiano colto l'irresistibile fascino che avrebbe come inchiodato Gesù nel tempio? (...)

Che cosa dice a noi l'atteggiamento dei due genitori? Capita a tutti noi di perdere il punto della situazione senza nostra colpa, proprio perché non ci viene in mente. Non riusciamo sempre a valutare la totalità degli eventi e viene il momento in cui ci battiamo il petto perché ci è sfuggito qualcosa che, a rigor di logica, non avremmo dovuto tralasciare: avevamo molto da fare in quel giorno e non siamo stati attenti a quella persona mentre sarebbe stato ovvio prestarvi attenzione, ecc. Maria partecipa alla nostra fragilità perché è passata per questo momento di smarrimento nel senso globale della situazione. Forse sarebbe bastata da parte sua un po' di riflessione: "Era così immobile Gesù nel tempio, non riuscivamo a tirarlo via, sarà certamente rimasto là!".

Se Maria ha vissuto un momento così duro di disagio, di umiliazione, di dolore, anche noi dobbiamo perdonarci, anche noi dobbiamo capire che la nostra natura povera non riesce spesso a cogliere, per quanto si sforzi, il vero centro della situazione. Maria ci dà la mano e ci insegna l'umiltà: l'umiltà e l'umiliazione che ci può venire dalla gente che critica il nostro sbaglio, la nostra scarsa capacità di intuizione, la nostra dimenticanza, la nostra non attenzione a quella persona in una circostanza importante. Forse la gente della carovana ha criticato Maria: «Ecco, è capitato anche a lei, non può andarle sempre bene...». Qui Maria è veramente nel suo popolo: vive, partecipa, soffre, è criticata, si sente smarrita, in qualche modo si mette in colpa: "Ma come ho fatto? Come è stato possibile?". (...)

«Ma essi non compresero le sue parole». Di fronte alla manifestazione così cruda del mistero e delle sue conseguenze, Maria e Giuseppe non comprendono, devono fare ancora del cammino. Quasi ci stupisce il candore di questa espressione dell'evangelista. «Essi non compresero» è la parola che Luca usa per l'incomprensione degli apostoli di fronte a Gesù che spiega loro come il Figlio dell'uomo dovrà soffrire: «Ma essi non compresero questo» (9, 45); «Ma non compresero nulla di tutto questo» (18, 34). Indica il nostro annaspare di fronte al mistero della morte e risurrezione di Gesù. Maria e Giuseppe, pur se in maniera sottomessa, umile, accogliente, hanno vissuto prima di noi questo brivido del non capire.


C. M. MARTINI, Il Vangelo di Maria, 43-62

lo puoi trovare tra i nostri Testi
E' vero che per i diversi disturbi mentali si danno percentuali di curabilità, con piena o soddisfacente remissione dei sintomi, che possono arrivare fino all'80-90%. Miracolo? Sì, certo: uno dei tanti della medicina moderna. Ho letto solo di recente lo splendido "Diceria dell'untore" di Gesualdo Bufalino, ispirato dalla reale degenza dell'autore in un sanatorio nel '46, e sono rimasta allibita nello scoprire che a quell'epoca appena dietro le nostre spalle fosse ancora scontato, normale aspettarsi di morire per tubercolosi (nel libro, forse nella vita, si salva solo il protagonista). Appena nel '46: quando oggi la Tbc, nell'immaginario collettivo, sopravvive come un ricordo remoto se non puramente letterario (il "mal sottile", la Traviata...).

Altro "miracolo" contro la polmonite. Anche qui posso offrirmi come testimone. Bambina di pochi anni, nel dopoguerra fui salvata in extremis dalla morte per polmonite grazie al fortunoso reperimento di una dose di penicillina, introdotta in Italia dai "liberatori" americani. Solo un anno o due prima e il verdetto sarebbe stato senza appello. Nel mio caso come in migliaia d'altri.

E non è un "miracolo" che il vaiolo, terrore secolare di popoli, sia letteralmente sparito grazie alle vaccinazioni (l'ultimo caso nel 1977) e che l'Organizzazione mondiale della sanità abbia potuto decretare l'annientamento dei residui ceppi del virus, conservati come un souvenir in due grandi freezer in America e in Russia? Fantascienza sarebbe sembrata solo trent'anni fa, quando il morbo era ancora endemico in 33 Paesi e catturava ogni anno 10-15 milioni di persone.

Infine, non è uno straordinario "miracolo" che in neanche cent'anni la lunghezza della vita sia praticamente raddoppiata -almeno nel nostro mondo, dove all'inizio del secolo la media era di 42 anni? Che le morti per parto siano oggi una rarità, così come la mortalità infantile quando appartiene ancora ai ricordi dei nonni la scomparsa di tanti fratelli o sorelline decimati in tenera età? Lo stesso è accaduto con la poliomielite, rischio pesante ancora nell'infanzia di quanti hanno oggi 50 anni.


Serena Zoli, Storie di ordinaria risurrezione (e non).

Fuori dalla depressione e altri "mali oscuri"
, 20
Dal vangelo di oggi (Mt 21,42-43)


E Gesù disse loro: «Non avete mai letto nelle Scritture: / “La pietra che i costruttori hanno scartato / è diventata la pietra d'angolo; / questo è stato fatto dal Signore / ed è una meraviglia ai nostri occhi”? / Perciò io vi dico: a voi sarà tolto il regno di Dio e sarà dato a un popolo che ne produca i frutti.




Inquietante e stimolante l'affermazione del Vangelo.

Senz'altro l'evangelista Matteo pensava alla comunità dei seguaci di Gesù come il nuovo popolo che avrebbe goduto delle particolari prerogative che Dio aveva regalato a Israele.

Ma io credo che il Signore stia ripetendo le stesse parole a coloro che adesso guidano la Chiesa: state attenti, perché anche voi, come le autorità del tempo di Gesù, state scartando Colui che è pietra d'angolo e che resterà il criterio fondamentale - col suo modo di agire, fare, pensare - per discernere ciò che è secondo la Rivelazione della Trinità.

E allora non sarete più in grado di guidare il popolo di Dio, e Lui sceglierà altri per portare i frutti della vita vera.


don Chisciotte

L'allarme degli specialisti: si muore di più per il secondo infarto, pericoli sottovalutati

Il cuore di lei si ammala per amore. Quello di lui invece per traffico e lavoro.

Ricerca presentata al congresso dei cardiologi italiani: per l'uomo e la dona lo stress ha origini diverse.


I nemici del cuore degli italiani hanno nome e cognome, ma sono diversi a seconda che la «vittima» sia uomo o donna. Ne sono convinti i cardiologi, secondo i quali le fonti maggiori di stress per il muscolo cardiaco sono per lui il luogo di lavoro e il traffico, mentre per lei la famiglia e i rapporti sentimentali. Lo rivela un sondaggio condotto a Roma al 69esimo Congresso della Societá italiana di cardiologia (Sic), e realizzato dalla Sic con il supporto di Datanalysis.

Lo stress eccessivo, ricordano gli specialisti, è un nemico della salute del cuore. E per i cardiologi intervistati non c'è dubbio: gli uomini si stressano soprattutto al lavoro (43,6%) e quando sono nel traffico (22,3%), mentre per le donne la tensione dannosa è più legata alla famiglia (40%) e ai rapporti sentimentali (23,7%).

Dal sondaggio, poi, emerge che più di un terzo dei cardiologi (35%) ritiene che oggi si muoia meno di un tempo per l'infarto, ma di più per il secondo infarto. Questo perchè si sottovalutano i pericoli, c'è trascuratezza da parte del paziente (29,8%) oppure una insufficienza dei servizi cardiologici (12,4%), o una valutazione del cuore in ambiente non cardiologico (10,5%). Secondo gli specialisti occorrerebbe garantire la presenza di un cardiologo nel Pronto soccorso (75%). La mancanza di questa figura deve essere ricondotta soprattutto a motivi economici (56,4%) e organizzativi (23%).

Tra le ciofeche dei calendari, a volte si trova qualcosa di bello e di buono!

Guarda!

A causa di qualche problema tecnico,


sabato e Domenica abbiamo potuto pubblicare i post solo sul nostro blog ospitato su Blogger,


identico a quello presente qui sul nostro sito. Li riportiamo qui di seguito.


sabato 13 dicembre


Inchiostro simpatico

di Massimo Gramellini

Fino all'altra sera avevo il sospetto che l'Italia fosse nelle mani di una classe dirigente superficiale e furbastra, simpaticamente ispirata alla famiglia Cesaroni. Ma poi ho visto la puntata di «Report» in cui Colaninno, messo all'angolo da quella judoka della notizia che è Milena Gabanelli, cercava fra i papiri del suo ufficio la clausola statutaria che dovrebbe impedirgli di vendere entro cinque anni l'Alitalia. Cercava e non trovava, lo Steward Maximo, ma ci rideva sopra. Si sa come sono le clausole, specie quelle cresciute nel microclima peninsulare: animaletti infingardi che si nutrono di inchiostro simpatico e il mercoledì si intrufolano fra le pieghe di una legge per amore dei manager («Tanzi, io ti salverò!») e la domenica scappano a gambe levate dagli statuti delle compagnie aeree. Sempre all'insaputa dei legittimi proprietari, naturalmente. E confidando nel disinteresse ostentato dell'opposizione, che non ha tempo per inseguire le clausole, dovendo occuparsi di cose molto più importanti, delle quali ci verrà fornito un elenco appena possibile, cioè mai.

Sì, fino all'altra sera avevo il sospetto che l'Italia fosse nelle mani ecc. ecc., ma adesso non l'ho più, perché il sospetto è diventato certezza. Viviamo momenti in cui uno guarda gli esempi che gli arrivano dall'alto e, per quanto si sforzi di imitarli, non riesce a essere altrettanto approssimativo e cialtrone.


Domenica 14 dicembre


IL NATALE DI UN TEMPO OSCURO


Carlo Maria Martini S.I.

cardinale, arcivescovo emerito di Milano


POPOLI Editoriale - dicembre 2008


Forse, per comprendere meglio il mistero del Natale, dovremmo fare astrazione, almeno per un certo periodo, da quelle immagini con cui la fantasia ha ammobiliato la nostra mente e che ricorrono quasi necessariamente quando pronunciamo questo nome. Si tratta per lo più di immagini prese dal racconto del Vangelo secondo Luca. Esso ci lascia un'impressione di luminosità e di serenità: una grande luce compare sulla terra (Lc 2,9), si ode il cantico di pace di una moltitudine dell'esercito celeste (Lc 2, 13-14), mentre con i pastori andiamo ad adorare il bambino che è nato (Lc 2, 15) e incontriamo Maria e Giuseppe che contemplano il loro primogenito (Lc 2, 16).

Tutto questo è vero e fa parte del mistero del Natale. Ma è importante anche ricordare il contesto oscuro in cui tutto ciò avviene. Un viaggio faticoso da Nazaret a Gerusalemme per soddisfare la vanità di un imperatore, le pesanti ripulse ricevute da Giuseppe che cerca un posto dove possa nascere il bambino, il freddo della notte, il disinteresse con cui il mondo accoglie il figlio di Dio che nasce. E su tutto questo grava una pesante cappa di grigiore, di incredulità, di superficialità e di scetticismo, evidenziata nelle gravissime ingiustizie presenti allora nel mondo. Non si può dire che il contesto del primo Natale fosse un contesto di luce e di serenità, ma piuttosto di oscurità, di dolore e anche di disperazione.

IL MISTERO DEL PECCATO


Anche oggi, come allora, possiamo lamentarci di vivere in un periodo particolarmente oscuro e difficile. Basta pensare alla pesante crisi economica che mette tante famiglie in difficoltà, all'ingiustizia globale, alla crescente intolleranza verso gli stranieri e i poveri. Si aggiungano le tensioni religiose, gli smarrimenti delle giovani generazioni. Non sappiamo dire se il nostro contesto sia più oscuro e pesante di quello del primo Natale. D'altra parte è difficile che si possa trovare nella storia dell'umanità un contesto veramente favorevole all'uomo e alla sua dignità. Questo fa parte del mistero del peccato, che è un mistero di assurdità e di irrazionalità.

In tale quadro possiamo chiederci: come opera il mistero del Natale? Come affronta un contesto ostile o indifferente? Che cosa sa dire per il vero bene e la dignità dell'uomo?

In primo luogo appare chiaro che il mistero del Natale è un mistero di modestia e di piccolezza. Non ha la pretesa di introdurre modifiche di grande livello, che mutino il contesto in tempi brevi. E tuttavia il mistero del Natale introduce nel cammino storico dell'uomo quegli atteggiamenti quasi impercettibili, ma che permettono di cogliere la verità dei rapporti e di modificarli nel senso di un rispetto dell'altro, di una riverenza e di un'accettazione tali da poter influire anche su contesti più ampi.

TRE SEGNALI DI SPERANZA


Alcuni di questi atteggiamenti riguardano ogni tempo e situazione. Altri sono più specifici del nostro tempo e ad essi vorrei invitare a dare uno sguardo privilegiato. Ne segnalo tre.



Anzitutto un crescente amore e desiderio della Parola di Dio, specialmente di quella contenuta nella Bibbia. Essa si è manifestata sia nel recente Sinodo universale dei vescovi sia, in Italia, nella Bibbia letta notte e giorno, senza interruzione, per una settimana. Quest'ultima iniziativa, quasi una sorta di maratona biblica, non mancava di qualche ambiguità. Ma il comportamento dei lettori e dei fedeli e l'accoglienza silenziosa e riverente del pubblico hanno mitigato i timori della vigilia. Soprattutto vorrei ricordare, in questo amore alla Parola di Dio, la crescente capacità dei laici di leggere le Scritture e di pregare a partire da esse. Se si giungerà così a compiere finalmente il voto del Concilio Vaticano II (cfr Dei Verbum, n. 26), avremo un segnale di speranza che non deluderà.



Vorrei ricordare, come secondo segnale, il crescente desiderio di apertura ecumenica e interreligiosa, che vuole contrastare efficacemente le chiusure etniche e confessionali.



Ma soprattutto vorrei menzionare una serie di gesti che ho conosciuto in Israele che, non nascendo da un terreno propriamente biblico o cristiano, mi sono sembrati fiori purissimi germinati per opera dello Spirito Santo, che mostra la sua presenza anche nelle pieghe più difficili del mondo di oggi. Si tratta di famiglie ebraiche e palestinesi, che hanno subito ciascuna un lutto grave a causa della violenza (per esempio una ragazza uccisa in un attentato terroristico o un giovane ucciso in operazioni di guerra). Ora, invece di crogiolarsi nel desiderio di vendetta, queste persone si sono chieste: ma se io soffro tanto a causa di questa violenza ingiusta, quale sarà la sofferenza dell'altra parte per una violenza analoga? Così queste persone si sono cercate, hanno parlato e pianto insieme, e hanno elaborato insieme iniziative di pace e di riconciliazione coinvolgendo anche altri. Questo fiore del Vangelo nato in un terreno non religioso mi è sembrato un segnale importantissimo della presenza di Dio in ogni cuore e mi dà motivo di speranza anche in un contesto oscuro e difficile come il nostro.

"A Messa si arriva in orario". E il ritardatario si offende.

di mons. Mario Delpini

Avvneire - 7 giugno 2008


Non ho mai capito come si spieghi il ritardo dei treni: si sa la distanza, si sa la velocità, che ci vuole a fare un orario? Più incomprensibile dei ritardi del treno è il ritardatario alla Messa della domenica. È un cristiano convinto: la Messa è il centro della vita. Sa l'orario: è sempre lo stesso da 20 anni. È domenica: c'è una ragionevole possibilità di organizzarsi. Eppure il ritardatario arriva in ritardo. Al suo arrivo qualcuno gli dedica un cenno di saluto e così ha già perso il filo delle letture. Mentre si siede, la sedia si sposta e anche la lettrice si distrae: salta alla riga successiva. Il prete che celebra osserva e si indispettisce, tanto che neppure s'accorge che la lettrice s'è confusa. Il ritardatario si accomoda, ma, prima di ascoltare, si guarda intorno e s'incuriosisce: come mai la statua della Madonna a fianco dell'altare? La spiegazione è stata data all'inizio, ma il ritardatario era in ritardo. Più o meno verso la predica, il ritardatario riesce a concentrarsi. Il prete parla del radunarsi dell'assemblea e dei riti di introduzione e quindi dice dell'importanza di arrivare per tempo in chiesa. Il ritardatario si indispettisce: ce l'ha con me? Come si permette?

 

il Vangelo di oggi secondo Matteo 21, 23-27



Il Signore Gesù entrò nel tempio e, mentre insegnava, gli si avvicinarono i capi dei sacerdoti e gli anziani del popolo e dissero: «Con quale autorità fai queste cose? E chi ti ha dato questa autorità?». Gesù rispose loro: «Anch'io vi farò una sola domanda. Se mi rispondete, anch'io vi dirò con quale autorità faccio questo. Il battesimo di Giovanni da dove veniva? Dal cielo o dagli uomini?». Essi discutevano fra loro dicendo: «Se diciamo: “Dal cielo”, ci risponderà: “Perché allora non gli avete creduto?”. Se diciamo: “Dagli uomini”, abbiamo paura della folla, perché tutti considerano Giovanni un profeta». Rispondendo a Gesù dissero: «Non lo sappiamo». Allora anch'egli disse loro: «Neanch'io vi dico con quale autorità faccio queste cose».



Anche oggi ho avuto modo di notare che circostanze ed opportunità chiudono la bocca rispetto a risposte doverose, note, risapute. E spesso chiudono anche le orecchie di fronte a domande doverose, note e risapute.

Meno male che Gesù, da gran signore, si sottrae a questo giochetto, lasciando a bocca asciutta gli esperti dell'equilibrismo, che si destreggiano ad essere contemporaneamente da una parte e dall'altra, pur di salvarsi la faccia, portare a casa il loro scopo, non perdere quell'appoggio o quell'altro... i famosi sostenitori del "sic et non" (cioè del "così e non così"... sullo stesso argomento), che lasciano altri nella difficoltà di dover prendere una decisione, senza averne gli elementi.

don Chisciotte


... hanno un solo chiodo fisso!


Una torre per la tv costruita negli anni '90 in mezzo alla campagna russa, nei pressi della foresta di Terema, alta 300 metri. E' abbandonata da tempo, ma rappresenta comunque una delle attrattive per i pochi turisti che si spingono nella zona. Uno di loro ci è salito sopra e ha documentato la sua impresa con queste immagini. Nella foto si vede il primo pezzo della salita, ancora sgombro dal ghiaccio e dove la visibilià è ancora buona (Victorprofessor)

Qualche anno dopo

Criminali part-time

"Eravamo nervosi"

di Massimo Gramellini


Nel traffico di ieri mattina ho visto due donne giovani ed eleganti scendere dai rispettivi carri armati per insultarsi sanguinosamente riguardo a non so quale diritto stradale o feudale di precedenza. Gli occhi, in particolare, erano uno spettacolo spaventoso: dilatati in un'espressione stravolta, tipica di chi ha abusato di sostanze psicotrope o ha perso la misura reale delle cose. Asserragliato nella mia vettura, ho dirottato lo sguardo sulla prima pagina del nostro giornale, dove uno dei ragazzi che nel fine settimana devastarono per puro sfizio la stazione di Avigliana confessava: «Eravamo nervosi. E allora?».

E allora ci si chiede da dove arrivi questo virus esistenziale che rende tutti così suscettibili di fronte a ogni minimo attentato all'amor proprio. Le cronache sono un rosario senza fine di delitti e baruffe, familiari e condominiali. Laddove esiste l'obbligo della convivenza o della vicinanza, l'essere umano esplode in reazioni sproporzionate. Ci si prende a pugni, e talvolta a pistolettate, per un cane che abbaia, una frase sgarbata, un'auto parcheggiata male. Ultime gocce di un bicchiere riempito ogni giorno, oltre che da troppo alcol, da un distillare di dispetti e rancori.

Futili motivi, si dice in questi casi. Ma è futile anche continuare ad attribuirne la colpa ai soliti sospetti: la noia, lo stress, l'aggressività, il consumo eccessivo di carne, l'inquinamento acustico e atmosferico. Tranne l'ultimo, questi demoni sono sempre esistiti. E non basta dire che un tempo venivano convogliati nella macelleria collettiva della guerra. Come non basta scaricarne il peso sul solito capro espiatorio: la società. Qui sono nervosi i ricchi e i poveri, anzi, i ricchi più dei poveri. Sono nervosi gli abitanti delle periferie anonime e quelli dei luoghi turistici. Sono nervosi gli assunti e i licenziati, i single e gli sposati, i creativi e i burocrati, i colti e gli ignoranti. La spiegazione sociologica diventa un alibi per espellere un problema che invece sta dentro di noi.

«Lei non sa chi sono io», è la classica frase dell'isterico in azione. Ma forse andrebbe cambiata in: «Io non so chi sono io». Questa rabbia senza passione, infatti, è la forma di rassicurazione di un ego sempre più debole e infelice. Un ego spaventato dal futuro e bisognoso di attestati, a cui le piazze sociali di Internet hanno fornito una sterminata passerella, che si pone al centro del mondo ed esalta il potere volatile delle emozioni, sostituendole ai sentimenti e a quella suprema affermazione di sé che consiste nel sapersi controllare sotto pressione. Un ego che, non essendo in grado di stimarsi da solo, ha perennemente bisogno di conferme, e non riuscendo ad averle, le cerca nella prevaricazione del prossimo. Per riuscire a sentirsi alto, deve per forza abbassare gli altri. E poiché non si rispetta, interpreta ogni gesto sfavorevole come una mancanza di rispetto nei suoi confronti.

La felicità, dice il saggio, consiste nel desiderare ciò che si ha. Mentre troppi desiderano ciò che non hanno e si sentono dei falliti o delle vittime se non riescono a raggiungerlo. Da qui il paradosso di persone che digeriscono senza fare una piega ingiustizie e drammi autentici, come la perdita del posto o lo sfascio di una famiglia, ma reagiscono in modo scomposto perché un passante in bicicletta ha osato sfiorare la punta dei loro mocassini.

C'è un altro paradosso: ormai gli scoppi d'ira avvengono più nel tempo libero che in quello lavorativo, in casa o per strada più che in ufficio. Come se solo gli ambienti di lavoro conservassero ancora quel minimo di regole gerarchiche che riescono a tenere a bada gli istinti primordiali. E come se persino i maschi avessero affidato al tempo libero, e non più al lavoro, il compito di misurare il loro valore.
Dall'esperienza in un negozio "La sindrone dello shopping"

Libro sui vizi dell'acquisto compulsivo

Sette anni da commessa ed ecco il romanzo-reality

E' laureata in Arti e Scienze dello spettacolo ma prima di diventare insegnante, per mantenersi agli studi ha lavorato per sette anni in un negozio di abbigliamento. Un'esperienza dettata dalla necessità che ha però acceso in Mariafrancesca Venturo una vera e propria passione: fotografare con i suoi occhi le patite dello shopping. E allora è stato subito naturale per la giovane commessa annotare nei dettagli le debolezze e le fragilità delle clienti. Appunti scrupolosi con tanto di elenco delle richieste stravaganti e dei quesiti curiosi quanto imprevedibili, frutto delle giornate di lavoro spese in stressanti maratone per assecondare donne sull'orlo di una crisi di nervi, pronte a tutto pur di portarsi a casa l'abbinamento giusto, quasi che da un azzeccato assortimento di colori possa dipendere la felicità su questa terra. Infine, i vizi delle patite dell'acquisto compulsivo e le virtù delle commesse sono stati raccolti in un romanzo-reality tra l'ironico e l'amaro (...). Il tema sviluppato da Mariafrancesca è solo apparentemente frivolo: che cosa si nasconde dietro a quel tormentone d'altri tempi che recita "il cliente ha sempre ragione", un credo per le venditrici e i venditori d'altri tempi, ma che oggi, nell'èra del turn over a tutti i costi e del precariato perenne, sembra svanito nel nulla? Signore "abbondanti" che pretendono di entrare a tutti i costi nella taglia 42 mentre quella consona sarebbe la 48; maniache dell'apparire che provano decine di pantaloni a caccia della perfezione impossibile, clienti incontentabili, intenzionate ad affidare a un abito il potere di poter cambiare vita... Tutto questo e molto di più Mariafrancesca Venturo aveva annotato nel suo blog. (...) "Più andavo avanti a scrivere ed ad appuntare le strampalate richieste delle clienti più mi rendevo conto che dietro quelle domande c'era un ansia di approvazione, una sottile richiesta di conferme che spesso andava oltre il trovare la gonnellina giusta. (...) Sindrome dello shopping, come difendersi? Qualche consiglio da chi è dall'altra parte.

"Penso che le prime a doversi difendere dalla sindrome dello shopping, siano le clienti stesse. Prima di tutto perché l'ansia per l'acquisto, che poi è spesso legata a un'ansia dell'apparire, ci svuota il portafogli con la stessa velocità di superman, il supereroe che riusciva a superare la velocità della luce, e poi perché quando il piacere per un capo nuovo si trasforma in mania o, ancor peggio, in ossessione, la serenità svanisce come un capello sulla brace e il sorriso si capovolge dando vita a sguardi sempre più imbronciati. Alle commesse dico: non smettete mai di sorridere. Spesso il sorriso e l'autoironia, il sapersi prendere in giro con leggerezza ma mai con superficialità, sono la miglior medicina anche per i piedi gonfi. (...)





 Tratto dal film "La tigre e la neve"

Su su.. svelti, veloci, piano, con calma...

Poi non v'affrettate, non scrivete subito poesie d'amore, che sono le più difficili, aspettate almeno almeno un'ottantina d'anni.

Scrivetele su un altro argomento... che ne so... sul mare, il vento, un termosifone, un tram in ritardo... che non esiste una cosa più poetica di un'altra!

Avete capito?

La poesia non è fuori, è dentro... Cos'è la poesia, non chiedermelo più, guardati nello specchio, la poesia sei tu...

..e vestitele bene le poesie, cercate bene le parole... dovete sceglierle!

A volte ci vogliono otto mesi per trovare una parola!

Sceglietele...che la bellezza è cominciata quando qualcuno ha cominciato a scegliere.

Da Adamo ed Eva... lo sapete Eva quanto c'ha messo prima di scegliere la foglia di fico giusta!!!

"Come mi sta questa, come mi sta questa, come mi sta questa.." ha spogliato tutti i fichi del paradiso terrestre!

Innamoratevi, se non vi innamorate è tutto morto... morto!

Vi dovete innamorare e tutto diventa vivo, si muove tutto... dilapidate la gioia, sperperate l'allegria e siate tristi e taciturni con esuberanza!

Fate soffiare in faccia alla gente la FELICITÀ! E come si fa? ...fammi vedere gli appunti che mi sono scordato... questo è quello che dovete fare...

non sono riuscito a leggerli!

Per trasmettere la felicità, bisogna essere FELICI e per trasmettere il dolore, bisogna essere FELICI.

Siate FELICI!!!

Dovete patire, stare male, soffrire.. non abbiate paura di soffrire, tutto il mondo soffre!

E se non avete i mezzi non vi preoccupate... tanto per fare poesie una sola cosa è necessaria... tutto.

Avete capito?

E non cercate la novità... la novità è la cosa più vecchia che ci sia...

E se il verso non vi viene, da questa posizione, né da questa, ne da così, buttatevi in terra! Mettetevi così!

Ecco... ohooo... è da distesi che si vede il cielo...

guarda che bellezza...perché non mi ci sono messo prima...

I poeti non guardano, vedono.

Fatevi obbedire dalle parole... Se la parola 'muro' non vi da retta, non usatela più...per otto anni, così impara! Che è questo, bhooo non lo so!

Questa è la bellezza, come quei versi là che voglio che rimangano scritti li per sempre...

forza, cancellate tutto che dobbiamo cominciare!

La lezione è finita.

Ciao ragazzi ci vediamo mercoledì o giovedì...

Ciao arrivederci!




postato sul nostro blog il 30 novembre 2007

... la BMW GS 1150 Adventure è tornata dal tagliando!!


Il tempo delle «emozioni blande»

Il declino del conflitto

di Giuseppe De Rita

In un cupo soliloquio della Tosca, Scarpia esprime con volgare voluttà il concetto che «ha più forte sapore la conquista violenta che il mellifluo consenso».

È un concetto che gli amanti dell'opera lirica recitano spesso, anche se sempre più raramente lo mettono in opera. Ma è un concetto però cui restano affezionati i teorici e i militanti del conflitto sociale e politico, sempre convinti che la storia e il potere si conquistano facendo rivoluzioni o almeno esercitando la forza. E anche quando, com'è attualmente, la forza e le rivoluzioni sono solo mediatiche e virtuali, l'ispirazione resta la stessa: il conflitto innanzitutto.

Chi osservi invece le cose italiane di questi ultimi tempi scopre che di conflitto ce n'è poco: non ce n'è in fabbrica e nei campi come retoricamente si è spesso declamato; non ce n'è negli uffici pubblici, visto che neppure l'aggressività brunettiana è riuscita a far scattare rivolte anche minimali; non ce n'è in tutto il vasto settore dei servizi alle imprese e alle persone, ormai segnato da professioni (dal pubblicitario alla badante) che sono strutturalmente negate alla mobilitazione collettiva, figurarsi al conflitto. Può spiacere a qualcuno, ma l'attuale composizione sociale non presenta grandi componenti conflittuali.

Si potrà dire che l'affermazione è contraddetta dalle recenti agitazioni di piazza degli studenti e dai recenti scioperi del trasporto aereo; ma credo che un po' tutti abbiano avvertito la loro carica altamente corporativa e la loro incapacità di creare valenza generale e mobilitazione politica. Come potenziali minacce conflittuali sono stati «lasciati cadere»; e non solo dalle sedi del relativo potere decisionale, ma anche dalle sedi tradizionalmente di lotta e potenzialmente di alleanza (il sindacato, ad esempio). Tutto quindi è tornato nell'ordine.

Nell'ordine. Che significa oggi questo termine? In superficie sta a significare che abbiamo più voglia di istituzioni funzionanti che voglia di trasformarle, riformarle, rivoluzionarle. Vince il pragmatismo del quotidiano, non un'idea di futuro migliore; può esser triste ammetterlo, ma tutto ciò porta a una bassa popolarità anche del riformismo, del resto da sempre visto solo come alternativa pacata al conflitto, non come ideologia autonoma e autopropellente.

Resta allora il «mellifluo consenso». È probabile che alla parte più combattiva della nostra classe dirigente venga un attacco di bile di fronte a tale locuzione, magari nel sospetto che essa riveli una più o meno cosciente berlusconiana strategia di dittatura morbida. Ma nei fatti dobbiamo verificare che oggi il consenso si conquista facendo ricorso a emozioni blande e non violente; e anche quando si scende in piazza, le emozioni devono restare blande, come sono quelle dei megaraduni, dei tour elettorali, dei girotondi, delle false primarie, dove tutto è mellifluo, anche se a lungo andare falso, non affidabile.

Perché, come ha acutamente notato Natalino Irti, viviamo un tempo in cui non c'è più rappresentanza (di interessi, di bisogni, di opzioni collettive) ma «rappresentatività esistenziale», di messa in comune di emozioni e sentimenti individuali coltivati nella dimensione dell'esistenza, senza passioni e spessori di essenza. Non a caso, limitando la riflessione al puro campo politico, hanno oggi più successo le formazioni che si rifanno al disagio esistenziale (il leghismo, il dipietrismo) che quelle che devono (per necessitata ampia consistenza) far riferimento alla rappresentanza di interessi, bisogni e opzioni di carattere collettivo, più che ai turbamenti o ai rinserramenti esistenziali. (...)

Questo nuovo logo significa:

"Not in my name", "Non nel mio nome".





Sarà applicato su quelle notizie o realtà dalle quali è quasi impossibile "togliersi" (in quanto uomini o cittadini o credenti) ma che non mi rappresentano.

Non mi rappresentano perché non sono secondo un'antropologia integrale e un autentico spirito evangelico.

E quindi vorrei far sapere che non concordo per nulla e che non dovrebbero pensare di far conto sulla mia approvazione-collaborazione-complicità.

Mi sa un po' di "fuga";

e in alcuni casi sarebbe più onorevole un virile distanziamento.

Lo farei, se non fosse che lascerei spazio ancora una volta a coloro che non mi rappresentano, e anche di questo "lasciare un posto vacante" mi sentirei responsabile.

Per ora riesco a fare questo: dichiarare che la mia coscienza si ribella di fronte a certe cose.

Riguardo quelle persone che si sentissero coinvolte in questa mia presa di posizione, sappiano che possono riferirsi a me come preferiscono: voglio rendere ragione delle mie affermazioni.

Chissà che anche altri, invece, non condividano questa mia valutazione.

Sulla scuola due pesi e due misure

di Franco Garelli


E' difficile comprendere il recente affondo della Chiesa italiana contro il governo per i ventilati tagli alle scuole paritarie, tra cui quelle cattoliche hanno un peso rilevante. Lo sconcerto è diffuso più nell'opinione pubblica che nel mondo politico (sempre diplomatico nei rapporti con la gerarchia ecclesiale) e coinvolge non solo l'area laica ma anche non pochi ambienti cattolici.

Intendiamoci: la Chiesa può avere molte frecce nel suo arco nel rivendicare la parità di trattamento per le famiglie che scelgono la scuola privata rispetto a quella pubblica, nel ricordare che questo tipo di scuole hanno un peso piuma nel bilancio dell'istruzione (l'1%), nel denunciare che il decurtamento previsto dal governo di 1/3 dei fondi a suo tempo pattuiti dalla legge sulla parità scolastica può decretare la fine di questo importante servizio «pubblico»; ancora, nell'osservare che l'eventuale chiusura delle scuole «private» costringerebbe lo stato a prendersi a carico anche gli allievi di questi istituti, con un forte aumento della spesa pubblica per l'istruzione. Di qui la discesa in campo della Cei, che parla di «crisi profonda» della scuola paritaria e minaccia una mobilitazione in tutto il Paese degli istituti cattolici. Ciò che colpisce in questa dura reazione non è il merito di una questione da tempo controversa e sin qui senza una chiara (e auspicabile) soluzione, quanto i tempi e i modi in cui essa si è manifestata e il comportamento messo in atto al riguardo dagli attori coinvolti.

In un momento di forte deficit delle risorse pubbliche, in cui la crisi della finanza creativa sta affossando l'economia reale, in cui si prevedono tagli e amputazioni per tutti i settori della società, desta sorpresa che le scuole cattoliche pensino di sottrarsi alla cura da cavallo a cui è sottoposto il Paese. La rivendicazione della Cei avrà richiamato a molti la penosa situazione in cui versa la scuola pubblica, che di tanto in tanto produce morti e feriti tra i giovani che la frequentano, per la carenza di adeguate risorse per riqualificare gli spazi e renderli all'altezza di un Paese civile. Chi ha più voce in capitolo? Chi ha più diritto ad alzare la voce?

Altro punto controverso della vicenda è la pronta risposta del governo di fronte alla protesta dei vertici ecclesiali, che ha fruttato alle scuole paritarie l'immediato ripristino dei fondi decurtati (120 milioni per il 2009). Qui è emerso sia il «potere» della Chiesa nel far cambiare idea al governo nel giro di qualche ora; sia il diseguale trattamento che l'esecutivo riserva alle diverse parti sociali, pur in un tempo in cui si predicano sacrifici per tutti. Le opere della religione meritano certamente grande considerazione pubblica. Ma perché i partiti al governo sono stati così solleciti nel ripristinare i fondi per le scuole paritarie, mentre da mesi sono inflessibili nel confermare i pesanti tagli che attendono le università italiane e una ricerca scientifica sempre più ridotta al lumicino? È davvero sufficiente, come qualche «maligno» ha detto, che il Vaticano fischi perché Tremonti e Berlusconi obbediscano?

Singolare è anche la minaccia avanzata nella circostanza dalla Chiesa per costringere il governo a modificare un provvedimento che penalizzava le sue strutture. Se non ascoltate, le scuole cattoliche scenderanno in piazza, potranno organizzare sit-in e lezioni all'aperto, «occuperanno» i media, proprio come hanno fatto in questi mesi il personale dell'Alitalia, le famiglie che protestavano contro il maestro unico, i dipendenti di aziende travolte dalla crisi. Come a dire, che il linguaggio rivendicativo è ormai di casa anche negli ambienti ecclesiali, disposti a mostrare (magari con pudore) i muscoli per difendere i propri valori e «interessi» e meglio operare per il bene comune.

L'insieme della vicenda è comunque intricato. Anzitutto, quella del finanziamento della scuola privata (cattolica in particolare) è un'annosa questione che divide tutti i raggruppamenti politici, anche se i partiti del centro-destra sembrano i più sensibili e ossequienti ai richiami della Chiesa. Inoltre, la campagna della Chiesa per la scuola cattolica cade in un momento favorevole per l'istruzione privata, per la crescente domanda delle famiglie di ambienti più seri e omogenei per la formazione dei propri figli. Il trend rischia dunque di bloccarsi se lo Stato non interviene, se le famiglie in un periodo di crisi devono accollarsi per intero questo investimento formativo. Più in generale, la Chiesa italiana non si capacita del perché nella «cattolica» Italia non vi sia la parità di condizioni di scelta scolastica riscontrabile in molti altri Paesi europei, pur più distaccati dalla tradizione religiosa. Perché chi sceglie la scuola cattolica deve essere economicamente penalizzato in Italia, mentre ciò non succede nella laica Francia, dove gli istituti cattolici attraggono un numero di studenti tre volte superiore a quello delle omologhe scuole italiane? In sintesi, anche la crisi economica alimenta la battaglia sui temi della laicità dello Stato, coinvolgendo quel finanziamento alla scuola paritaria che da anni è oggetto di contesa pubblica.

I soldi della festa patronale: è possibile vedere i conti?

di mons. Mario Delpini

Avvenire - Milano 7 - 16.11.08


«La festa patronale è stata un successo», dicono quelli del comitato. Intendono dire che non c'è mai stata tanta gente in coda per divorare wurstel e patatine, che il bel tempo ha favorito interminabili serate di musica o di rumore, che si sentono ripagati di ore e ore di lavoro, quando raccolgono gli apprezzamenti: «Voi sì che vi date da fare, non come al mio paese...». Caricati di entusiasmo e di soddisfazione, quelli del comitato si presentano al nuovo parroco per godersi l'incoronazione finale: «Ecco, signor parroco, abbiamo una bella offerta per la parrocchia: la festa patronale è stata un successo!». Il parroco è contento, ringrazia, elogia, incoraggia. E dice anche: «Dovreste presentarmi anche un rendiconto, una specie di bilancio. È bene che la gente sappia di spese e ricavi... e anche per essere in regola con tutto». «Ma come? Non si fida di noi? Dopo vent'anni di ore piccole e di sudore tra le pentole!». Insomma quelli del comitato l'hanno presa male, come se fosse un'offesa, un sospetto, un insulto alla loro generosità. Ne è venuto uno strascico di mormorazione, di volti rabbuiati, di incontri evitati: «Se è così che ci tratta, allora...». Invece di tanto malumore, non sarebbe più semplice presentare un rendiconto?

Ieri sera a "TG2 Punto di vista" (ore 23) Antonio Socci ha aggredito il prof. Remo Cacitti, docente di Letteratura cristiana antica presso l'Università di Milano. Io non dico che il libro scritto da questo prof con Augias sia bello o condivisibile, ma il prof. Cacitti è senz'altro una persona pacata, intelligente, rispettosa. Magari non avrà tutte idee eccellenti. Ma Socci è del tutto incapace di ascoltare; incapace di dialogare; incapace di parlare; incapace di capire; incapace di carità cristiana. Eppure dice di verità, testimonianza, Cristo, storia. Ma un conto è far uscire dei suoni dalla bocca, altra cosa è ciò che si dice col resto della propria persona.

 In attesa di avere il filmato di quella trasmissione, per ora un esempio lampante delle incapacità di Socci (che in questo caso si misura sullo stesso piano con un altro mostro del pregiudizio e della non-comunicazione).


 





E' morto il patriarca russo Alessio II

Capo della Chiesa ortodossa russa, aveva 79 anni ed era malato da tempo. Ha guidato 135 milioni di ortodossi russi dal 1990.


Il contenuto dell'articolo è un po' edulcorato,

ma prendiamo quello che c'è!


Lo puoi trovare anche qui.

Quando si organizza il matrimonio del secolo

di mons. Mario Delpini

Avvenire - Milano 7 - 06.04.08


Il parroco comincia a preoccuparsi quando insieme ai fioristi arrivano gli architetti. Poi gli operatori per le riprese. Poi il direttore del coro. E tutti pretendono di spostare panche, posare fili e fari. Si sposa la figlia di Antonio, il riccone: non si bada a spese. La sposa arriverà su una carrozza tirata da quattro cavalli bianchi, si esibirà il coro dei madrigalisti rinascimentali. Sarà il matrimonio del secolo. Il parroco raccomanda, invano, un po' di buon senso e di curarsi più della grazia e responsabilità del sacramento che della qualità delle riprese. Per quanto infastidito dalle continue richieste e pretese, il parroco comincia a fantasticare sull'offerta per la chiesa: «Se mi dà tanto, potrei pagare questa fattura... se poi mi dà di più potrei fare anche quel lavoretto... a meno che Antonio non mi proponga di rifare a sue spese l'impianto di amplificazione, che ce ne sarebbe bisogno...». Quando poi arriverà la busta con un biglietto di ringraziamento e l'offerta di 50 euro, il parroco si conferma nella teoria di suo zio: «Sai perché i ricchi sono ricchi? Perché i loro soldi li tengono e li spendono per sé e la generosità non sanno dove abiti».

Trovo che sia un buon modo

di tradurre

la dinamica del riavvicinamento...

da entrambe le parti!

Guarda questo video!



"Non conosco nulla che possa eguagliare in gloria

il tuo viso quando ridi, amore mio.

Quella luce del tuo volto in me,

la morte non potrà prendersela come farà con tutto il resto.

Essa prenderà il resto perché l'avrà già tenuto tra le braccia nel corso della vita.

Questo viso, non riuscirà a prenderlo, e se si avvicinasse, si brucerebbe le dita"



Christian Bobin, Il distacco dal mondo, 27





4 dicembre 2007 - 4 dicembre 2008

Dal Vangelo della liturgia di oggi:

Riunita la folla, il Signore Gesù disse loro: «Ascoltate e comprendete bene! Non ciò che entra nella bocca rende impuro l'uomo; ciò che esce dalla bocca, questo rende impuro l'uomo!». Allora i discepoli si avvicinarono per dirgli: «Sai che i farisei, a sentire questa parola, si sono scandalizzati?». Ed egli rispose: «Ogni pianta, che non è stata piantata dal Padre mio celeste, verrà sradicata. Lasciateli stare! Sono ciechi e guide di ciechi. E quando un cieco guida un altro cieco, tutti e due cadranno in un fosso!» (Mt 15, 10-14).


Ho pregato per quando sono io guida cieca;

per quando sono guidato da ciechi;

per quando mi lascio guidare come un cieco,

pur sapendo di essere guidato da ciechi.

don Chisciotte

La triplice venuta di Cristo

dai Discorsi di san Bernardo


De Adventu Domini, sermo V,1-3. PL 183,50-51

Conosciamo una triplice venuta del Signore: nella prima egli venne nella debolezza della carne, in questa intermedia viene nella potenza dello Spirito, nell'ultima verrà nella maestà della gloria.

Questa venuta intermedia è la via attraverso la quale giungiamo dalla prima all'ultima: nella prima venuta Cristo fu nostra redenzione, nell'ultima si manifesterà come nostra vita, in questa e nostro riposo e nostra consolazione.

Ma perché ad alcuno non sembrino forse cose inventate quelle che stiamo dicendo di questa venuta intermedia, ascoltate ciò che dice Gesù stesso: "Se uno mi ama conserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui". Ma che cosa significa: "Se uno mi ama conserverà la mia parola"? Ho letto infatti altrove: "Chi teme Dio, opererà il bene". Ma di chi ama è detto qualcosa di più: che conserverà la parola di Dio.

Poiché sono beati coloro che custodiscono la parola di Dio, tu custodiscila in modo che scenda nel profondo della tua anima e si trasfonda nei tuoi affetti e nei tuoi costumi. Nutriti di questo bene e la tua anima ne trarrà delizia e forza. Non dimenticare di cibarti del tuo pane, perché il tuo cuore non diventi arido e la tua anima sia ben nutrita del cibo sostanzioso.

Se conserverai così la parola di Dio, non c'è dubbio che tu pure sarai conservato da essa. Verrà a te il Figlio con il Padre, verrà il grande Profeta che rinnoverà Gerusalemme e farà nuove tutte le cose.


E' triste pensare che un essere umano possa

(o debba) pensare di capirsi

solamente "misurandosi".

Mi auguro che nel profondo

sappiano che non è così.

don Chisciotte


«Per comprendere meglio se stessi»

Life 2.0, tutta la vita annotata sul Web

In Rete sempre più "self-tracker": trasformano ogni evento della vita in dati da inserire su Internet

In fondo, capire la vita è semplice. Basta ridurla a una serie di dati, prenderne nota con immensa precisione, e affidare il tutto a un computer. O meglio, a Internet. Di questo sono convinte un numero sempre maggiore di persone, nel mondo





Musica delicatissima, con immagini indimenticabili!

Ripenso alle parole di Gesù nel Vangelo della Liturgia di oggi:


«E voi, perché trasgredite il comandamento di Dio in nome della vostra tradizione? (...) Così avete annullato la parola di Dio con la vostra tradizione. / Ipocriti! Bene ha profetato di voi Isaia, dicendo: / “Questo popolo mi onora con le labbra, / ma il suo cuore è lontano da me. / Invano essi mi rendono culto, / insegnando dottrine che sono precetti di uomini”» (cfr Matteo 15, 1-9).


Le sento rivolte anzitutto a me;

ma mi sembra dicano una parola autorevole anche sui lavori

che hanno portato al nuovo Lezionario ambrosiano.

don Chisciotte


Nel quarantesimo anniversario del mio Battesimo,

un ricordo e un grazie a coloro che sono stati e sono per me

una piccola-grande porzione di Chiesa!

Mondo Auditel

di Massimo Gramellini

Siamo un milione, urla al tg uno studente romano. E non mi colpisce che usi il numero in maniera disinvolta (magari erano duecentomila), ma che lo urli come se essere tanti fosse l'unica cosa che conta. Di ogni manifestazione solo questo ormai rimane nella memoria. Il numero. Autentico, supposto, conteso o surreale come i due milioni e mezzo del Circo Massimo, che per starci tutti avrebbero dovuto essere magri come Fassino. La dittatura del numero è una regressione recente, ma assimilata così in fretta che a molti sembrerà incredibile sia esistito un tempo in cui il numero non contava nulla. Eppure la storia dell'umanità è stata per millenni una storia di minoranze decise: ad assaltare la Bastiglia o il Palazzo d'Inverno furono in pochi. Eppure il capitalismo degli anni d'oro si basava sull'assunto di Cuccia: «Le azioni si pesano, non si contano». Eppure i romanzi di Gadda diventarono dei classici avendo molto meno pubblico di un programma della Ventura. La quantità non era ancora sinonimo di qualità. Le maggioranze erano «silenziose» per antonomasia. E quando non lo erano diventavano pericolose. Oppure ottuse: quanti saranno stati in piazza Venezia nel giugno 1940 ad applaudire la dichiarazione di guerra? Un milione, forse due milioni e mezzo. Ma il numero non rende quell'ovazione più civile delle lacrime con cui l'avranno ascoltata alla radio i cenacoli ristretti dei dissidenti.

Sarà per questo che non mi sono mai piaciuti i cortei e le processioni. Per citare l'introverso Paolo Giordano, ai ragazzi che si adeguano alla retorica della massa preferisco la solitudine dei numeri primi.