«Si tratta di una conversione intellettuale.
Essa tocca, infatti, l'intelligenza che, dopo aver vagato attraverso opinioni e punti di vista confusi, diversi, contraddittori, finalmente trova un principio per il quale riesce a decidersi e a operare, non sotto l'influenza dell'ambiente o del parere degli altri, bensì per una illuminazione chiara e profonda.
Mi preme sottolineare che la conversione intellettuale è parte del cammino cristiano, pur se sono poche le persone che vi arrivano perché è certamente più comodo, più facile accontentarsi di ciò che si dice, di ciò che si legge, di come la pensano i più, dell'influenza dell'ambiente anche buono.
Tuttavia, il cristiano maturo ha assoluto bisogno di acquisire convinzioni personali, interiori per essere un evangelizzatore serio in un mondo pluralistico e segnato da bufere di opinioni contrastanti. In altre parole, la conversione intellettuale è propria di chi ha imparato a ragionare con la sua testa, a cogliere la ragionevolezza della fede grazie a un cammino, forse faticoso, che lo rende capace di illuminare altri.
L'opera di Luca - Vangelo e Atti - rappresenta quello stadio dell'itinerario cristiano in cui una persona, dopo la decisione religiosa di esser tutta del Dio di Gesù Cristo, dopo 


Un uomo può camminare tanto,

apparentemente senza una meta,
ma in realtà,
guardando le cose dall'alto
e dopo un po' di tempo...

http://www.spottynews.com/2014/02/21/neve.html

 

Se la Chiesa ascolta il mondo
di Enzo Bianchi
In vista del sinodo dei vescovi, papa Francesco ha voluto inaugurare una nuova modalità nella preparazione del confronto che avverrà in Vaticano il prossimo autunno: affinché si viva davvero un evento sinodale coinvolgente tutta la Chiesa è stato inviato un questionario alle singole diocesi in modo che in ogni Chiesa locale, parrocchia o comunità fosse possibile per i cristiani manifestare il proprio pensiero su temi e problemi morali che devono essere affrontati con urgenza e sui quali va pronunciata una parola profondamente cristiana.
Questa iniziativa - che non è piaciuta ad alcuni i quali, senza contestarla apertamente, non hanno assunto alcuna iniziativa né avviato la discussione... - risponde a un bisogno già manifestato negli Anni Cinquanta da Pio XII: l’emergere di un’opinione pubblica nella Chiesa, di un confronto che, invece di tacitare i conflitti o ignorare i nuovi problemi, li affronti e cerchi di risolverli con il discernimento ecclesiale. Soprattutto sui temi inerenti alla famiglia e alla sessualità era diventato necessario ascoltare quanti vivono la realtà del matrimonio cristiano o della vita di coppia e dare voce anche a quelli che si sentono in situazione di difficoltà o di contraddizione rispetto al magistero tradizionale della Chiesa.
Ascoltare!
Operazione non solo necessaria in tutte le relazioni umane, ma anche profondamente cristiana, essenziale per vivere la comunità dei credenti, cioè la Chiesa. Ebbene, da questo lungo e intenso confronto preparatorio, il questionario ha ricevuto una gran quantità di risposte, mostrando quanto le comunità siano vivaci e capaci di esprimere in modo motivato le loro considerazioni, anche nel coinvolgimento dei mutamenti culturali e di costume avvenuti in questi ultimi decenni soprattutto nelle Chiese di antica tradizione cristiana occidentale. Per due anni ci sarà un cammino veramente sinodale di tutta la Chiesa su questi temi così urgenti.
Contemporaneamente - e non poteva essere altrimenti - aziende e organismi internazionali operavano sondaggi per conoscere le differenti posizioni delle popolazioni dei vari Paesi. In questi giorni appaiono sui media i dati, in verità non così sorprendenti per chi conosce le valutazioni etiche e morali di cui è capace la gente comune. Certo, appare evidente in Italia - l’Italia considerata cattolica, «zoccolo duro del cattolicesimo» come amano definirla alcuni ecclesiastici - un disaccordo rispetto alle posizioni della Chiesa più marcato che non in altri Paesi.
Questo ci interpella? Forse il disaccordo dipende dal fatto che in Italia l’etica non è così determinante come in altri Paesi? Gli italiani pensano che il divorzio



Non ci indurre in tentazione ma liberaci dalla cioccolata 
di Massimiliano Panarari 
L’uomo è ciò che mangia, diceva un po’ di tempo fa Ludwig Feuerbach, sulla scorta del chimico e fisiologo Jacob Moleschott; e ce lo confermano oggi Masterchef, Eataly e il dilagare di una passione irresistibile per la cucina. Ma la considerazione si applica anche allo scrupolo con il quale le religioni hanno esteso i loro precetti alla tavola, come racconta un libro curioso e ben documentato appena uscito. 
In La cioccolata cattolica (Edizioni Dehoniane, pp. 96, € 8,50) il biblista Claudio Balzaretti ci ricorda quanto il cibo ricorra nella liturgia, nei riti e nella dottrina della Chiesa apostolica romana, già a partire dalla «scena originaria» (la mela mangiata nel giardino dell’Eden) fino all’eucaristia, dall’Ultima cena alle virtù dell’astinenza e del digiuno in taluni periodi dell’anno, retaggio dello «scontro di civiltà» gastronomiche tra l’abbuffata prediletta dall’aristocrazia cavalleresca e militare (direttamente discendente dal «modello carnivoro» dei barbari) e gli ordini monastici che predicavano la temperanza (debitori del «paradigma del pane e dell’olio» della cultura mediterranea greco-romana). Ma, soprattutto, il libro di Balzaretti ripercorre una vicenda, quella dell’arrivo della cioccolata sul desco degli europei, nella quale si compendiano molte di queste relazioni speciali tra la teologia e l’alimentazione, e che, pur non avendo rappresentato una vivanda tabù, suscitò una notevole serie di grattacapi dal punto di vista religioso.
Il digiuno ecclesiastico (quello normato con estrema precisione dalle gerarchie cattoliche) prevedeva il principio per cui liquidum non frangit: la bevanda (per così dire) non valeva, e non andava dunque considerata come una sua interruzione o trasgressione. Tra la fine del Cinquecento e il debutto del Seicento esplose


“Semina un pensiero e raccoglierai un'azione, 
semina un'azione e raccoglierai un'abitudine, 
semina un'abitudine e raccoglierai un carattere, 
semina un carattere e raccoglierai un destino”.
“Una nave nel porto è al sicuro,
ma non è per questo che le navi sono state costruite".
 
John Augustus Shedd, Salt from My Attic, 1928

Carissima,
siamo insieme da un anno.
Abbiamo fatto tanta strada insieme: più di 22.000 km!
Sei silenziosa, comoda, docile,
calda d'inverno e fresca d'estate.
Non sei esigente: solo 4 litri per fare 100 km.
Grazie, Toyota Auris Hybrid!!
don Chisciotte

«Dio parla solo a colui che tace. Può aprirgli l'udito, ma non può chiudergli la bocca. L'onnipotenza sa precludersi l'interferenza, lasciando l'uomo a rimasticare le ciance e le bestemmie. Che sia lui a zittirsi: a quel confine dove Giobbe smette Dio comincia.
C'è un silenzio dell'uomo che consente di liberare, sulla pagina o dentro di sé, la voce dell'immenso. Quando il corpo, il pianto, il pensiero stesso sono sbarramenti, il silenzio scalza la corteccia, sgombera il campo al vuoto, vestibolo di Dio. Ogni santo lo ha appreso: a Dio occorre che l'uomo si ritragga. Allora la sua voce investe il mistico, lo solleva assorto, come il flauto suscita il serpente avvolto nell'ipnosi. Ballo di code, spine dorsali come canne al vento: il santo sorge dal silenzio, il rettile dal cesto.
Giobbe tace: allora scende su di lui dal turbine dei cieli la voce che lo istruisce, che gli porta scampo».
Erri De Luca, Una nuvola come tappeto, 99

Caso e necessità? Oppure amore e libertà?
di Enzo Bianchi 
“Da dove veniamo? Dove andiamo? Chi siamo?”: queste sono le domande che abitano il cuore di ogni umano, in ogni tempo e in ogni cultura. Sono le domande più vere che non possono essere tacitate da noi uomini e donne, capaci di pensare, nella volontà di essere consapevoli, coscienti. E oggi come tentiamo di rispondere a queste domande, le più radicali nella nostra ricerca di senso? 
Il nostro modo di guardare il mondo e di collocarci in esso è molto diverso da quello dei secoli passati. Ci sentiamo infatti come perduti in un universo sempre in espansione, oscuro ed enigmatico, in cui regnano il caso e la necessità. Questa consapevolezza aumenta le domande. 
Perché c’è questo universo? Non lo sappiamo. Perché siamo sulla terra? Non lo sappiamo. Gli scienziati ci dicono che il caso e la necessità di leggi cosmiche hanno voluto un addensarsi della materia e una sua esplosione in miliardi di frammenti: ecco l’universo con i suoi corpi celesti, il suo sistema solare, le galassie, i buchi neri… In questo “spazio” impensabile, su una palla di materia ruotante


"Cos'è che rende un uomo grande, ammirato dal creato, gradevole agli occhi di Dio?
Cos'è che rende un uomo forte, più forte del mondo intero;
cos'è che lo rende debole, più debole di un bambino?
Cos'è che rende un uomo saldo, più saldo della roccia;
cos'è che lo rende molle, più molle della cera?
È l'amore!
Cos'è che è più vecchio di tutto?
È l'amore.
Cos'è che sopravvive a tutto?
È l'amore.
Cos'è che non può essere tolto, ma toglie lui stesso tutto?
È l'amore.
Cos'è che non può essere dato, ma dà lui stesso tutto?
È l'amore.
Cos'è che sussiste, quando tutto frana?
È l'amore.
Cos'è che consola, quando ogni consolazione viene meno?
È l'amore.
Cos'è che dura, quando tutto subisce una trasformazione?
È l'amore.
Cos'è che rimane, quando viene abolito l'imperfetto?
È l'amore.
Cos'è che testimonia, quando tace la profezia?
È l'amore.
Cos'è che non scompare, quando cessa la visione?
È l'amore.
Cos'è che chiarisce, quando ha fine il discorso oscuro?
È l'amore.
Cos'è che dà benedizione all'abbondanza del dono?
È l'amore.
Cos'è che dà energia al discorso degli angeli?
È l'amore.
Cos'è che fa abbondante l'offerta della vedova?
È l'amore.
Cos'è che rende saggio il discorso del semplice?
È l'amore.
Cos'è che non muta mai, anche se tutto muta?
È l'amore,
e amore è solo quello che mai si muta in qualcos'altro".
Søren Kierkegaard
di Paolo Lambruschi

Doveva sparire nell’inferno del Sinai perché era diventato un testimone scomodo dei traffici di armi e uomini gestiti da alti ufficiali sudanesi ed eritrei nella terra di nessuno al confine tra i due stati, a Kassala. Invece Assalom, nome di fantasia per non creare guai alla famiglia, eritreo di 37 anni, è miracolosamente tornato dalle rotte della morte un mese fa. 
 
Lo hanno liberato durante un blitz dell’esercito cairota che negli ultimi mesi ha distrutto molti covi togliendo le catene a 144 prigionieri subsahariani. Assolom si è consegnato alla polizia ed è stato imprigionato come irregolare. Poi l’ong Gandhi guidata da Alganesh Fessaha, premiata con l’Ambrogino d’oro della solidarietà del comune di Milano per aver salvato centinaia di rifugiati, ha posto fine alla sua odissea e l’ha portato in Etiopia. Raggiunto al telefono, ci ha raccontato gli orrori visti nel deserto della Bibbia, trasformato da bande di spietati predoni beduini in un supermarket di organi umani. 
 
Assalom è uno dei tanti sottufficiali delle forze della Difesa eritrea fuggiti dalla coscrizione a vita imposta dal regime di Isaias Afewerki e condannata il 5 febbraio scorso a Ginevra dall’Onu. I disertori normalmente fuggono in

Angelo Branduardi
"Il violinista di Dooney"
Album: Branduardi Canta Yeats (1986)
 
Come le onde del mare, come le onde del mare 
balla la gente quando suono il mio violino. 
Mio cugino è prete a Kilvarnet, 
mio fratello è prete a Mocharabuiee. 
Ma io ho fatto più di mio fratello e mio cugino: 

«[Durante l'incontro con l'angelo nella annunciazione] Maria ascolta, si scuote, interroga, si domanda. È un atteggiamento dialogico, semplice, istintivo e insieme delicato, attento, perfettamente proporzionato alla situazione che pure è nuova, imprevista, inedita.
Se noi ci fossimo trovati al suo posto, probabilmente saremmo passati dalla paura alla rigidità, alla pretesa di prove: saremmo stati presi o dal timore o da un'esultanza eccessiva che ci avrebbe fatti smarrire.
"O Maria, noi ti contempliamo qui semplice, delicata, discreta, forte, non servile; desiderosa di conoscere, di vederci chiaro e insieme desiderosa di amare e di volere la verità". (...)
Contempliamo brevemente il racconto del vangelo secondo Giovanni là dove ci viene detto che Maria era alle nozze di Cana. Cosa fa Maria? Partecipa alla festa e quindi serve, aiuta, mangia, beve, conversa ma insieme osserva, con un qualche distacco, le cose e ne coglie il senso globale. Il suo distacco attento e discreto le permette di vedere ciò che nessuno di fatto vede e cioè che il vino è terminato. Maria è attenta al momento umano dell'esistenza, è attenta alle situazioni, alle persone e alle cose. (...)
Possiamo ora fare un momento di riflessione sull'atteggiamento che ho chiamato «attenzione» e che è il modo di essere di Maria, sia davanti al mistero divino, sia davanti alle semplici realtà della vita.
Attenzione è un atteggiamento vigilante dell'io sugli altri, è una trasparenza di sguardo, una prontezza a notare segni di sofferenza intorno a sé, a donarsi.
Disattenzione, invece, è la mancanza di vigilanza, è l'essere rattrappiti, chiusi in se stessi; disattenzione è parlare con un malato raccontandogli le nostre cose, senza accorgersi che sta sudando, che ha bisogno di un bicchier d'acqua.
Disattenzione è uscire con un'osservazione pungente, non pensando che qualcuno intorno a noi ne sarà ferito; disattenzione è non accorgersi di ciò che capita agli altri.
Attenzione è un trasalire trepido del cuore ogni volta che viene violata la delicatezza, il rispetto, il riguardo dovuto alle persone. Attenzione è, per esempio, - quando si è in auto o in moto - fermarsi prima delle strisce mentre un pedone deve attraversare e non volteggiargli attorno quasi fosse un birillo.
Attenzione è evitare di fumare quando ciò dà fastidio ad altri. E saper prendere la giusta distanza da sé e dagli eventi per capire ciò che obiettivamente avviene.
Attenzione è, dunque, amore vero, delicato, disinteressato, preveniente.
Ancora: attenzione è ciò che prova una madre verso la creatura che si sta formando in lei; è l'atteggiamento di un padre verso un bambino che gioca nel cortile accanto; è l'attitudine di un ospite cortese, premuroso ma non invadente.
L'attenzione è una qualità umana necessaria e previa al cammino spirituale.
Essa confronta l'attenzione con la volontà: mentre la volontà, la voglia di fare e di riuscire, tende a irrigidire, l'attenzione è, al più alto grado, preghiera, fede, amore».
Carlo Maria Martini, La donna della riconciliazione, 10-11
La chiesa come una tavola fraterna a cui tutti sono chiamati 
di Enzo Bianchi 
 
Sono molte le immagini della chiesa create già dagli autori delle sante Scritture (tempio, corpo, arca, gregge, ecc.), ma quando cerco di pensare alla chiesa e di raffigurarmela, prevale in me l’immagine della chiesa come tavola: una tavola pronta e imbandita per tutta l’umanità, per tutte le genti e in tutte le epoche della storia. D’altronde, anche la descrizione della chiesa nascente negli Atti degli apostoli allude a una tavola alla quale i cristiani sono assidui, per nutrirsi della Parola e dell’Eucaristia (cf. At 2,42). Ma già secondo i padri della chiesa d’oriente e d’occidente questa tavola, proprio perché tavola della Parola e del Pane, era anche tavola di fraternità e di comunione.
Il Concilio ha ripreso questa immagine della tavola, l’ha resa fortemente eloquente, e ormai tutti i cattolici non riescono a pensare alla messa senza vedervi la partecipazione a un banchetto in cui sono nutriti dalla Parola, dal Pane e dal Vino, Corpo e Sangue del Signore, e sono rigenerati in fraternità. Cerchiamo dunque di approfondire questa triplice immagine della tavola che è la chiesa.
Innanzitutto i cristiani sono dei chiamati dalla Parola di Dio. Certo, sono uomini e donne in ricerca, ma la Parola di Dio li precede, li attira e li sorprende, seducendoli e ispirando loro un “sì”, un “amen”. La loro fede, infatti, nasce dall’ascolto (cf. Rm 10,17). Questa Parola che li ha chiamati diventa per loro un cibo di cui hanno assolutamente bisogno per vivere come discepoli di Gesù. La Parola di Dio, infatti, è una realtà viva (cf. Eb 4,12), che dà la vita, non fornisce informazioni e conoscenza intellettuale ma vivifica, trasforma, converte, crea. Senza questa Parola nessun cristiano può vivere! Partecipare dunque alla tavola della Parola, almeno ogni domenica, significa rinnovare l’alleanza con Dio, conoscere i pensieri di Dio ed essere abilitati ad ascoltare la Parola di Dio presente nella storia, nei fratelli e nelle sorelle, nella propria coscienza, dove essa parla come “un silenzio trattenuto” (1Re 19,12), ma parla… Guai a pensare che la Parola di Dio sia soltanto lettera e scrittura, sia atemporale, sia un manuale di etica.
Proprio nel suo essere tavola della Parola, la chiesa sa essere anche tavola dell’Eucaristia, tavola della risposta a Dio nel rendimento di grazie, tavola che dal Signore è presieduta, tavola da cui parte l’invito: “Beati gli invitati alla tavola del Signore!” (cf. Ap 19,9). C’è un banchetto per mangiare e bere, per fare festa e sentirci tutti figli del Padre, figli nel Figlio, membra del suo corpo vivente.
Per parteciparvi, dobbiamo solo essere pronti a lavarci i piedi gli uni gli altri (cf. Gv 13,14), impegnati ad amarci reciprocamente. Non ci possiamo unire al Cristo Signore separandoci tra di noi, vivendo

"Ho bisogno di credere
che qualcosa di straordinario
sia possibile".
cit. da "A Beautiful Mind", film 2001
India, bambini che rischiano ogni giorno la vita
estraendo il minerale "mica",
usato per rossetti, smalti e dentifrici

«Spentosi ormai il giorno e giunti sulla riva della notte,
ti offriamo, Signore, l'incenso della nostra preghiera.
Ciò che è coperto dalla caligine dei peccati
venga illuminato dallo splendore della tua luce,
e il nostro cuore, che il maligno spesso raffredda,
ritrovi in te il suo abituale calore.
Anche se dormiamo con gli occhi del corpo,
fa' che la nostra mente si diriga a te
attendendo la venuta del prossimo giorno.
Tu che vivi e regni nei secoli dei secoli. Amen».
 
Preghiera vespertina dell'antico Rito Celtico (sec. IX)

Chi può dire di avere il corpo perfetto?!
 

«Qui ti interrompi,
mi spieghi che il viaggio è la vita,
che la nave sei tu,
una nave che non ha mai gettato l'ancora,
che non la getterà mai,
né l'ancora degli affetti,
né l'ancora dei desideri,
né l'ancora di un meritato riposo.
Perchè non ti rassegnerai mai,
non ti stancherai mai di inseguire il sogno.
E se ti chiedessi che sogno non sapresti rispondermi:
oggi è un sogno cui dai nome libertà,
domani potrebb'essere un sogno cui dare nome verità;
non conta che siano o non siano obiettivi reali,
conta rincorrerne il miraggio, la luce».
 
Oriana Fallaci - Un uomo

«Nel libro del Cantico dei Cantici non si deve cercare di sostituire Dio all'amante o pensare che il partner maschile sia divinizzato; ciò che è divino, nel Cantico, è ciò che intercorre fra gli amanti, e la loro relazione.
E in quel fuoco in cui si situano gli amanti che abita il Dio che è un fuoco divorante (cf. Dt 4,24).
E ciò che degli amanti ci è presentato nel Cantico è il corpo e la parola. Il corpo appare il luogo dell'alleanza e la parola, che dice il corpo, che canta e proclama la bellezza del corpo della persona amata, fa sì che la donna sia il luogo in cui il mondo prende forma per l'uomo e l'uomo per la donna.
Nel Cantico il corpo dell'amata è un microcosmo in cui si concentrano tutte le bellezze della natura (colombe, pendici del Galaad, spicchio di melagrana, cerbiatti, gigli...) e della cultura (monili, opera di mani di artista, torre d'avorio...) (cf. 4,1-5).
Nell'esperienza dell'amore si esperisce il tutto nel frammento. Attraverso il corpo dell'amata, l'amante riceve il mondo e viceversa. Nell'esperienza dell'amore il corpo diviene rivelazione del mondo. Nel Cantico vi è quella totale mutualità, reciprocità, che attraverso il linguaggio anche più sensuale ed erotico, dice la donazione dell'uno all'altra e viceversa: "Il mio amato è mio e io sono sua" (2,16; 6,3).
E colpisce che nel Cantico sia la donna che parla più del suo compagno: vi è una dimensione accentuata di femminilità che sembra far emergere la donna come vera protagonista. E se è vero che il Cantico conosce la di¬mensione sessuale dell'incontro fra gli amanti (si pensi, fra gli altri passi, a un testo come 5,4-5), è vero anche che il Cantico fa abitare la parola nella differenza sessuale degli amanti.
La sessualità umana è parlata: senza parola non vi è sessualità e neppure desiderio. Ora, il Cantico presenta sia l'incontro dei corpi che lo scambio delle parole, e la bocca che dona baci è la stessa che pronuncia parole.
L'"io" e il "tu" del Cantico sono traversati dalla differenza sessuale che diviene differenza di pronomi personali maschili e femminili nel testo ebraico. Il Cantico diviene così un dialogo che si offre al lettore come "paradigma del discorso differenziato".
Questo dialogo, suscitato dall'amore e che sostiene l'amore, diviene il santuario della libertà e della creatività. Il linguaggio degli amanti crea metafore inedite, porta la lingua su sentieri prima ignoti, si concentra sul corpo come sul luogo dello scambio fra uomo e mondo, fra universalità del mondo e singolarità delle persone. Come è proprio di tutti gli innamorati, anche gli amanti del Cantico creano metafore, creano un linguaggio condiviso e da loro compreso, un linguaggio attraverso il quale possono riconoscersi reciprocamente: l'amore, infatti, è intelligente e creativo.
Con queste metafore, con queste espressioni simboliche, il desiderio degli amanti diviene parola scambiata e il loro incontro, incontro di libertà dialoganti».
Luciano Manicardi, Il corpo, 37-40


"Cerco nei libri la lettera, anche solo la frase che è stata scritta per me
e che perciò sottolineo, ricopio, estraggo e porto via.
Non mi basta che il libro sia avvincente, celebrato, né che sia un classico:
se non sono anch’io un pezzo dell’idiota di Dostoevskij, la mia lettura è vana.
Perché il libro, anche il sacro, appartiene a chi lo legge
e non per il diritto ottenuto con l’acquisto.
Perché ogni lettore pretende
che in un rotolo di libro ci sia qualcosa scritto su di lui…".
Erri de Luca, da "Alzaia"

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Buona lettura!

«Resti al Papa la nomina del presidente Cei»
«I vescovi italiani intendono conservare al Santo Padre la libertà di nomina del loro presidente». Il segretario della Cei monsignor Nunzio Galantino ha spiegato ai giornalisti incontrati a Roma per illustrare le conclusioni del Consiglio permanente che «mentre prima in base allo Statuto loro non c'entravano niente con la nomina, se non per fare l'applauso dopo la decisione del Papa, adesso sono state individuate delle modalità per assicurarci che tale scelta non sia fatta sulla testa dei vescovi». 
In concreto il Consiglio permanente ha indicato «due possibili percorsi. Il primo prevedrebbe una consultazione riservata di tutti i singoli vescovi. Il secondo aggiungerebbe un ulteriore passaggio, ugualmente riservato: l'assemblea generale verrebbe chiamata a esprimere la propria preferenza su una quindicina di nomi dei candidati più segnalati. Nella scelta del presidente – ha detto ancora Galantino – non so cosa avesse in mente il Papa, di sicuro voleva un maggior coinvolgimento dei vescovi. Se il Papa poi dirà che non abbiamo capito, e ci chiederà: "Voglio che siate voi a fare il nome", allora noi lo faremo. Ma al momento ci è piaciuto questo conservare il legame con il Papa ma dando i nomi precisi dei possibili presidenti: alcuni sì e altri no».
continua:
 
Miei flash:
- L'episcopato italiano si mostra non particolarmente novatore: il papa propone una modifica che vada nel senso di una responsabilizzazione dei vescovi... e loro preferiscono che resti lui a nominare il presidente della CEI.
- Le espressione dell'attuale segretario sono pesanti ed esprimono un giudizio senza appello sul modo di fare finora vigente: i vescovi "non c'entravano niente con la nomina, se non per fare l'applauso dopo la decisione del Papa" e la «scelta non sia fatta sulla testa dei vescovi». Dovremmo domandarci di chi sia la responsabilità di tale modo di fare... I precedenti presidenti della CEI (e i segretari e i vescovi) sono consapevoli di aver agito in questo modo irresponsabile e deresponsabilizzante?
- C'è il fondato dubbio che i vescovi non abbiano capito bene la volontà di papa Francesco: «Se il Papa poi dirà che non abbiamo capito...».
- E' bene che alcuni vescovi ricevano un netto no: «alcuni sì e altri no».
- Temo che uno dei motivi di tale ri-appello alla nomina papale sia la paura che i vescovi soggiacciano a "pressioni" (interne ed esterne) di varia natura...
Che bel quadretto!
don Chisciotte

«Il rigo [l'ottavo comandamento: "Non dire falsa testimonianza"] stabiliva la responsabilità di uno nei confronti degli altri.
Una sua trasgressione li diminuiva tutti, una sua lealtà li rafforzava.
L'assemblea di Israele diventava organismo vivente, ognuno era cellula comunicante con le altre.
Col suo comportamento procurava la salute o la rovina di tutte.
Pure nelle dispersioni che scaraventeranno il loro insieme sopra i volti della terra, sapranno di appartenere all'assemblea del Sinai.
Dice un commento che il loro numero era 1.159.705, perché tante sono le lettere della scrittura sacra in ebraico. Se una ne manca, tutto il testo è invalido.
Caino nega di sapere dove sia il fratello. Non potrà essere consentita questa risposta a nessuno dell'assemblea riunita sotto il Sinai.
Ognuno dovrà sapere dov'è suo fratello e rispondere di lui».
Erri De Luca, E disse, 74