Richiesta di asilo


di Massimo Gramellini


Da quando ho saputo che la Lega vuol trattare gli immigrati come gli automobilisti, assegnando permessi di soggiorno a punti, sono un po' preoccupato. Non tanto per gli immigrati, ma per me. Nella proposta si parte da un gruzzolo di 10 punti, concedibile a chi abbia manifestato un buon livello di integrazione sociale e una discreta conoscenza della lingua italiana. Ogni violazione di legge determinerà poi una riduzione dei punti, fino all'azzeramento e alla revoca del permesso.

Ora, mettiamo che questa patente esistenziale si faccia, e che funzioni. Non vorrei che qualcuno decidesse di estenderla agli italiani, inventandosi una cittadinanza a punti subordinata agli stessi requisiti. Il mio livello di integrazione sociale è pessimo, come quello della maggioranza, e peggiora di giorno in giorno: ci guardiamo in cagnesco ai semafori, sui pianerottoli e negli uffici. La discreta conoscenza della lingua italiana rappresenta un altro problema: tuttora perdo minuti preziosi a chiedermi se si dice «avrebbe dovuto» o «sarebbe dovuto» e nel dubbio opto per un salomonico «dovrebbe», cambiando tempo agli altri verbi. Ma come farà a difendere i suoi punti il funzionario ministeriale che sul sito della Pubblica Istruzione (!) ha scritto per tre volte «qual'è» con l'apostrofo? Rimangono le violazioni di legge e lì mettiamoci tutti una mano sulla coscienza e l'altra davanti agli occhi: ciascuno ha il suo elenco, più o meno innocuo. So soltanto che, se passasse la cittadinanza a punti, in breve ci sarebbero sessanta milioni di apolidi e una penisola deserta.


La vera bellezza

Per avere labbra attraenti, pronuncia parole gentili.

Per avere uno sguardo amorevole, cerca il lato buono delle persone.

Per avere un aspetto magro, condividi il tuo cibo con l'affamato.

Per avere capelli bellissimi, lascia che un bimbo li attraversi con le proprie dita una volta al giorno.

Ricorda, se mai avrai bisogno di una mano, le troverai alla fine di entrambe le tue braccia.

Quando diventerai anziana, scoprirai di avere due mani, una per aiutare te stessa, la seconda per aiutare gli altri.

La bellezza di una donna aumenta con il passare degli anni.

La bellezza di una donna non risiede nell'estetica, ma la vera bellezza in una donna è riflessa nella propria anima. E' la preoccupazione di donare con amore, la passione che essa mostra.


Audrey Hepburn

Lo studio dell'Accademia Italiana della Cucina

Il pranzo della domenica? Un rito per 8 milioni di italiani

Solo il 5% degli italiani preferisce il ristorante, mentre l'imperativo è: tutti a casa in famiglia


Per otto milioni di famiglie il pranzo della domenica è un rito intramontabile: lo sostiene uno studio dell'Accademia Italiana della Cucina, presentato a Milano, che ha toccato tutte le regioni d'Italia, coinvolgendo le 280 delegazioni dell'Aic e producendo ben 1.834 questionari. Sembra, infatti, che tutte le domeniche il 52% delle famiglie italiane si sieda a tavola per gustare un menu che è lo stesso di 50 anni fa: antipasto di salumi misti, pasta asciutta o ripiena, arrosto, patate e torta di mele. Almeno per un giorno trionfa il tipico e il territorio, dicendo no ai piatti pronti e a quelli surgelati. Solo il 5% degli italiani preferisce il ristorante, mentre l'imperativo è: tutti a casa in famiglia.

Nouvelle cuisine, happy hour, finger food, fast food e cucina molecolare. Quindi vent'anni di sperimentazioni e mode alimentari non sono riusciti a intaccare il rito, tradizionalissimo, del pranzo della domenica. «Sono ben felice - afferma Giovanni Ballarini, presidente dell'Accademia Italiana della Cucina - che la ricerca confermi che il pranzo della domenica è un cerimoniale amato e diffuso. Che non solo resiste alle nuove tendenze alimentari ma rappresenta il più solido presidio della tradizione gastronomica italiana, il baluardo più autentico contro i fast food e il rito attraverso il quale recuperare l'antica tradizione del desco familiare». Ed è il Sud il presidio del pranzo della domenica. Un appuntamento che per i cittadini del meridione rappresenta il momento della condivisione familiare (73%) in misura maggiore rispetto a quelli del Centro (61%) e del Nord (56%). Ma non solo. Al sud il pranzo della domenica rappresenta un appuntamento costante: 6 italiani su 10 lo effettuano ogni settimana contro il 50% dei cittadini del Centro e il 45% di quelli del Nord. Al di là del significativo valore gastronomico le famiglie si incontrano per riaffermare il valore della famiglia e lo spirito di convivialità (63%). Quanto alle ricette, l'82% degli italiani ama gustare piatti strettamente locali, preparati con ingredienti freschi: il 65% non fa uso di surgelati e l'85% ha abolito i piatti pronti. I piatti più consumati? Tra gli antipasti trionfano gli affettati (28%), a seguire crostini (15%) e antipasti di mare (5%). Tra i primi vittoria al fotofinish di pastasciutta (17%) e dei tortellini (16,5%), poi lasagne (12%) e risotto (11%). È il classico arrosto, invece, a dominare tra i secondi (24%). Tra i contorni più presenti le patate (30%), seguite dall'insalata (26%). Ma un pranzo della domenica che si rispetti si conclude con un dolce. Il preferito dagli italiani è la torta (15%) seguita dalla crostata (12%), dalla piccola pasticceria (8%) e dal gelato (7%).
È finita con un pareggio, 1-1 in amichevole con la Giordania, la prima partita in casa della nazionale palestinese, a Gerusalemme, finora costretta a giocare solo in trasferta per colpa della tensione a Gaza e Cisgiordania. Per 48 minuti la Palestina è stata in vantaggio, entusiasmando i 6.500 spettatori allo stadio e gli altri piazzati sui tetti delle auto o sui balconi delle case. (nella foto Afp, la preghiera prima del calcio d'inizio).

Gli strofinacci della signora Gina

di mons. Mario Delpini

Avvenire - Milano 7- 02.03.08


«Bisognerebbe farle un monumento», diceva spesso il don Luigi. Da vent'anni la signora Gina tiene in ordine la chiesa, si cura delle pulizie, toglie i fiori appassiti. Sempre disponibile, la signora Gina. La signora Gina, però, è anche un po' bisbetica e, mentre spolvera panche e balaustre, borbotta di quelle che parlano e parlano, «ma se provi a chiedere loro un aiuto, allora si ricordano di essere proprio di fretta!». La signora Gina è anche un po' fissata: ha i suoi orari, ha i suoi metodi, ha i suoi strofinacci ben sistemati, tra detersivi e smacchiatori, scope e palette. Don Luigi azzarda una proposta: «Signora Gina, lei merita un monumento! Però adesso possiamo cercare chi l'aiuta e possa un domani sostituirla». «Ti dico io - confida tutta offesa la Gina alla sua amica - se dopo tanti anni mi deve trattare così. Cosa sono? Un ferrovecchio?». Gli strofinacci della signora Gina dicono che anche un servizio può diventare un potere, e chi è generoso può finire per pretendere di essere inamovibile. Che si tratti di strofinacci o dell'organo, della segreteria dell'oratorio o del comitato della festa. Disponibili a tutto, non però a collaborare o a farsi da parte.
La nostra tv si fonda sul sadismo

Ricetta per sconfiggerlo: portare gli spettacoli di seconda serata in prima, anche correndo il rischio della noia

di Aldo Grasso


Domenica, verso le 19.20, mentre Pippo Baudo come e più di un commesso viaggiatore tentava di piazzare l'ultimo film dell'ultima figlia di Tognazzi (ma le colpe dei figli ricadono sul padre?), sulla prima rete della tv svizzera, Michele Fazioli intervistava Umberto Eco (Controluce, TSI1). L'occasione era l'assegnazione del Premio Manzoni, a Lecco. Eco naturalmente ha parlato di Manzoni (l'analista di linguaggi, il regista cinematografico ante litteram, lo psicologo sociale...), di tecniche narrative, di ipotiposi (figura retorica che consiste nel rappresentare una scena con la parola ma in modo così vivido da offrirne l'immagine visiva), del triangolo più o meno amoroso che si instaura tra autore, testo e lettore, di Proust e del suo amore per le canzonette, di tante altre cose. Coi baffi e senza barba, Eco sembra un'altra persona, così il suo interlocutore ha osato ancora stuzzicarlo sulla famosa fenomenologia di Mike Bongiorno.

Eco se l'è cavata con quella che dovrebbe essere la premessa di ogni critica tv: si parla del personaggio non della persona. Ma poi non ha resistito ad alcune considerazioni sulla nostra tv, il cui modello dominante sarebbe La corrida. Il dilettante allo sbaraglio (e per esteso il non famoso, lo sconosciuto che accede alla ribalta, l'anonimo mediocre...) e le peripezie dell'inferiore mettono a nudo il nostro sadismo. La nostra tv si fonda sul sadismo. Per sconfiggere il quale basterebbe una piccola inversione in stile Bbc: portare gli spettacoli di seconda serata in prima, anche a rischio di noia. L'intervista è stata molto interessante anche perché Eco non aveva alcun libro da promuovere. Per questo, come corollario all'avanzamento della seconda serata, vorrei proporre una moratoria: per almeno sei mesi, a tutti gli ospiti che vanno in tv è fatto divieto di promuovere una loro opera, di qualsiasi genere. Senza promozioni, la Vanna Marchi che alberga in tanti presentatori verrebbe infine umiliata.


Il giusto, come il legno di sandalo, profuma la scure che lo colpisce.



detto orientale

postato 1 novembre 2007

E' uscito in Italia il nuovo libro-intervista


al card. Carlo Maria Martini



Commento di don Matteo Panzeri su Radio Marconi

“Prima di tutto: il vangelo del giorno”.

Lunedì 27 Ottobre: Lc 10, 13-17

In quel tempo, Gesù stava insegnando in una sinagoga il giorno di sabato. C'era là una donna che aveva da diciotto anni uno spirito che la teneva inferma; era curva e non poteva drizzarsi in nessun modo. Gesù la vide, la chiamò a sé e le disse: “Donna, sei libera dalla tua infermità”, e le impose le mani. Subito quella si raddrizzò e glorificava Dio. Ma il capo della sinagoga, sdegnato perché Gesù aveva operato quella guarigione di sabato, rivolgendosi alla folla disse: “Ci sono sei giorni in cui si deve lavorare; in quelli dunque venite a farvi curare e non in giorno di sabato”. Il Signore replicò: “Ipocriti, non scioglie forse, di sabato, ciascuno di voi il bue o l'asino dalla mangiatoia, per condurlo ad abbeverarsi? E questa figlia di Abramo, che satana ha tenuto legata diciott'anni, non doveva essere sciolta da questo legame in giorno di sabato?”. Quando egli diceva queste cose, tutti i suoi avversari si vergognavano, mentre la folla intera esultava per tutte le meraviglie da lui compiute.



Come avremmo reagito noi di fronte a questa scena? Gesù ha appena sciolto le giunture di una donna immobilizzata da diciotto anni.

Luca ha molta cura nel farci intravvedere il lungo e travagliato calvario di questa donna: ci dice infatti che la sua malattia ha 18 anni; che era inferma; che era curva, cioè ferita nella sua stessa dignità, quella che fa stare a testa alta, costretta nel suo stesso corpo ad una posa innaturale; inoltre, il Vangelo ci dice che proprio “in nessun modo” poteva drizzarsi, quasi a suggerire una definitività formidabile di questo male che la tiene prigioniera .

Gesù si è appena mostrato come via di salvezza per questa donna. Il capo della sinagoga invece sembra non percepire nemmeno ciò che è appena accaduto. E' strano perché fa quasi compassione la sua formidabile meschinità; ci viene da dire: “poveretto, ma di fronte a questo straordinario evento, lui non sa far altro che lamentarsi per una prescrizione formale trasgredita?”.

E' il cuore gretto di quest'uomo il vero oggetto della compassione di Gesù, manifestata così mirabilmente nei confronti di questa donna. Potremmo quasi cogliere un parallelo: come il corpo di questa donna era bloccato in una posa innaturale, e in nessun modo poteva essere restituito alla sanità così il cuore di un uomo tanto misero non può che rimanere bloccato nella sua piccineria, nella sua visione limitata, gretta e incapace di rendersi conto delle grandi meraviglie che Dio opera.

Anche oggi noi ci imbattiamo spessissimo in persone dal cuore così misero e così limitato che nonostante ci facciano del male noi quasi abbiamo compassione di loro perché capiamo che se sono capaci di essere così velenosi è perché il loro cuore è talmente bloccato, avvelenato, da farli diventare veri e propri serpenti con gli altri.

Intuiamo, in qualche modo, che la malvagità che intride i loro atti e le loro parole deriva dalla miseria interiore, dalla paura che blocca, svuota e poi essicca il loro cuore.

Come dunque la malattia della donna è un simbolo efficace della malattia di questo capo della sinagoga, così la guarigione della donna è segno eloquente di quanto Gesù è in grado di fare anche nei cuori più meschini.

Come suoi discepoli dunque, siamo chiamati anzitutto a non disperare: anche i cuori più meschini, anche le anime più inguaribili possono essere sanate dallo Spirito che Gesù dona a tutti. E così sarà. (...)
Si sono svolti i funerali di don Gian Paolo Gastaldi.

Lo ricordiamo con questo articolo

Il coraggio di don Gianpaolo: «Noi andiamo avanti»


L'11 luglio 2003 l'auto del parroco della Comasina, parcheggiata nel cortile della chiesa di San Bernardo, venne incendiata da alcuni sconosciuti. Un grave gesto intimidatorio (poi ripetutosi nel gennaio 2006) perpetrato da chi, evidentemente, si sentiva infastidito dalle attività della parrocchia. Riproponiamo l'articolo pubblicato sul settimanale “Il nostro tempo di Milano” del 20 luglio 2003



«Mentalità mafiosa» e «desolazione civile». Per don Gian Paolo Gastaldi sono questi due gli ingredienti all'origine della miscela esplosiva che ha portato all'attentato incendiario nelle prime ore di venerdì 11 luglio, quando, nel cortile della parrocchia, sconosciuti hanno dato fuoco all'auto di don Gian Paolo, di quella di sua sorella e di quella del viceparroco. Don Gian Paolo è alla Comasina da circa 20 anni ed è parroco di San Bernardo da una decina. Conosce bene dunque la storia e le persone di questo quartiere a nord ovest di Milano. Un quartiere che è stato spesso al centro di tante cronache dei giornali, per gli scontri fra clan malavitosi, per lo spaccio di droga, per la banda Vallanzasca (anche se in realtà il bandito Vallanzasca alla Comasina aveva solo la fidanzata). Come spesso accade, la realtà di un quartiere è molto più complessa, la vita va ben oltre la cronaca nera. E quindi la sinistra fama della Comasina non fa giustizia a chi per tanti anni ha combattuto perché un quartiere di periferia fosse più vivibile. E una di queste realtà è la parrocchia, con decine di genitori, giovani e anziani che si impegnano in una miriade di iniziative di carattere sociale ed educativo a servizio di tutto il quartiere. Rimane però il fatto che qualcuno ha voluto punire i preti e la parrocchia con un attentato. Ed è quindi importante cercare di capire come ciò sia potuto accadere. Forse è il campanello d'allarme che segnala problemi più gravi e ampi.

A distanza di alcuni giorni dall'attentato, quale idea si è fatto delle cause che possono esserne state all'origine? Si è parlato di proteste di alcuni cittadini per il rumore causato dai bambini dell'oratorio feriale, oppure del fatto che abbiate dato fastidio a qualche spacciatore di droga...

Di una cosa sono certo. Il gesto nasce da una cultura mafiosa, ma non perché chi l'ha compiuto è mafioso, ma perché ha una mentalità mafiosa. Quindi dietro questo attentato c'è probabilmente una questione che è diversa dai riferimenti che alcuni hanno fatto alla criminalità organizzata della Comasina.

Si spieghi meglio...

Il problema che sta dietro questo fatto è grave. Questa cultura che potremmo definire violento-mafiosa spinge a compiere gesti con conseguenze più gravi di quanto siano le ragioni che li fanno scaturire. Quindi se uno mi deve dei soldi e non me li dà, lo uccido. Un altro mi offende e io lo accoltello. Ragioni futili, insomma, portano però a gesti gravi. Così penso sia accaduto nel nostro caso. L'oratorio e la parrocchia mi danno fastidio, o perché fanno troppo rumore o per altri motivi, e io brucio le auto dei preti. Il danno che provoco, però, è maggiore rispetto a quello che poteva essere la mia pretesa di giustizia. E questa cultura è alimentata anche dall'assenza delle istituzioni. C'è una completa paralisi delle forze dell'ordine e della giustizia, innanzitutto. È un fatto evidente e ha le sue gravi conseguenze, specialmente sulla microcriminalità. La gente non va neanche più a denunciare danni e furti che subisce. Sia ben chiaro, non sto criticando gli uomini delle forze dell'ordine, che anche qui in quartiere ogni giorno cercano con ogni mezzo di far fronte alle emergenze. Ma il problema è che non vengono dotati degli strumenti necessari e sono sempre troppo pochi rispetto alle esigenze. Ci troviamo in una situazione in cui mancano a livello territoriale le istituzioni: dalle forze dell'ordine, alla scuola, agli uffici comunali o sanitari. In quartiere non è possibile fare un certificato, bisogna andare in Bovisa, ma poi alla Bovisa, come è capitato a me, si trovano gli uffici chiusi per ferie e allora bisogna andare in altri distaccamenti del Comune in altri quartieri. Quel poco che c'era anni fa è stato man mano smantellato. Anche in campo sanitario: in quartiere si possono fare solo prelievi del sangue. E la popolazione del quartiere sta invecchiando. Ma come si fa a pretendere che gli anziani per qualsiasi cosa debbano prendere l'autobus e recarsi in altre parti della città?

E secondo lei questo può spiegare un attentato incendiario alle auto dei sacerdoti?

È il contesto in cui possono maturare gesti così. Di fronte alla mancanza di prevenzione, di fronte al senso di impunità, di fronte alla frustrazione che si prova quando ci si rivolge alle istituzioni per avere giustizia o un servizio quale un banale certificato, la gente è indotta a risolvere i problemi con altri mezzi. Viviamo in un contesto di desolazione civile, che è il terreno ideale in cui possono attecchire una mentalità violenta e mafiosa.

Si è parlato anche del vostro impegno contro la droga...

Il nostro lavoro è di tipo preventivo. Ed è un lavoro quotidiano, attraverso le varie iniziative educative della parrocchia, attraverso l'attenzione verso gli adolescenti. Non abbiamo fatto crociate, ma proponiamo ai giovani un progetto educativo chiaro e fermo, nel quale la droga non ha spazio. È evidente che è un lavoro che può dare fastidio, perché sottraiamo clienti potenziali agli spacciatori. Comunque noi andremo avanti, serenamente come sempre abbiamo fatto.

Tra il risotto di Attilio e il brasato di Maria...


di mons. Mario Delpini

Avvenire - Milano 7 - 13 luglio 2008


Il risotto dell'Attilio è famoso ed è un piatto tradizionale per la festa patronale. Chi incontra l'Attilio per strada non risparmia elogi. E a lui basta per sentirsi ricompensato di giorni di frenesia e di fatica. La polenta e brasato della Maria è una squisitezza, non può mancare per la festa patronale. Anche per lei abbondano complimenti e gratitudine. Due piatti famosi e due cuochi apprezzati: che cosa si può desiderare di meglio? Eppure, chi sa perché, quando si avvia la macchina dei preparativi si comincia a percepire una tensione: quali fornelli toccano a me? Che cosa si serve per primo? Dove si preparano gli ingredienti? Succede che cuochi e collaboratori si schierano, talora le parole diventano aspre. Il parroco stenta a convincere che si può fare tutto per bene e in pace, che importante è stare insieme, che non è il caso di minacciare dimissioni perché manca un pentolino. Se gli capita di sbagliare una parola o di uscire con una battuta infelice, rischia di scatenare una guerra. Finita la festa, lavati i piatti, ringraziati cuochi e camerieri, il parroco, pregando compieta, si domanda se tra tante discussioni il patrono sia stato contento della festa patronale.
Non lo conoscevo e non so nulla di lui oltre a quello che dice questo articolo.

Ma riporto questa morte come "portavoce" di tante altre simili,

che lasciano senza voce.

don Chisciotte





L'azzurro era ancora in campo domenica scorsa. Poi un malore

Una carriera di successo, e il coinvolgimento nelle scommesse truccate

Tennis, morto Federico Luzzi, 28 anni, leucemia fulminante

Il mondo del tennis è sotto choc per la scomparsa improvvisa di Federico Luzzi: a soli 28 anni, l'ex azzurro della racchetta è stato stroncato da una leucemia fulminante. Solo domenica scorsa, a Olbia, era sceso in campo, nonostante un mal di testa insistente, per regalare un punto buono alla sua squadra, quella del Tc Parioli. Ricoverato in ospedale, gli era stata diagnosticata in un primo tempo una polmonite: giovedì, però, controlli più approfonditi avevano dato un responso più grave. Prime cure, poi il coma, da cui Luzzi non si è più svegliato.

Era stato il giovane più promettente del vivaio italiano, illuminato prima dalla ribalta della Davis con la scalata della classifica Atp fino al 92esimo posto, macchiato poi dalla squalifica per lo scandalo delle scommesse.

Nato ad Arezzo il 3 gennaio 1980, inizia a giocare a 3 anni e a 10 comincia la carriera juniores. E' campione del mondo under 14 ed europeo under 16, ma colleziona anche diversi titoli italiani. Passa al professionismo nel '99 e nel 2000 ottiene il suo primo risultato di rilievo nel torneo Atp di Kitzbuhel, qualificandosi agli ottavi battendo Guillermo Coria e Fernando Vicente, allora 34/o al mondo. (...)

Meno di una settimana fa era in campo in Sardegna nonostante le condizioni di salute avessero già dato segnali preoccupanti. Eppure Luzzi aveva detto ai compagni che se ci fosse stato bisogno avrebbe stretto i denti dando una mano nel doppio. E solo martedì aveva mandato al capitano della squadra del Parioli una foto di lui a letto con la flebo, ma con un messaggio confortante: "Sto guarendo e se ce la faccio torno in campo presto", aveva scritto. La leucemia invece non gli ha dato scampo, e dopo due giorni di coma l'ex azzurro se n'è andato. (...)
"Il Signore dice: Chi di voi vuole essere il primo e il più grande, sia l'ultimo di tutti e il servo di tutti (cfr Mc 9,35). Chi accetta questo criterio deve servire gratuitamente, sottomettersi a tutti e dare le sue prestazioni come il debitore che restituisce un prestito ad alto tasso. Coloro poi che esercitano una autorità hanno un onere ancor maggiore degli altri. Il loro servizio è più impegnativo di quello dei sudditi. Devono dare l'esempio di saper servire umilmente gli altri, considerando i fratelli come un deposito loro affidato da Dio.


san Gregorio di Nissa, La vita cristiana, PG 46,295ss

postato il 22 ottobre 2007

La luce degli schermi blocca la sintesi di melatonina: il 45 per cento dei teen dorme male

Ci sono anche i casi di privazione volontaria del sonno. Gli esperti: seguire il proprio ritmo

Aumenta l'insonnia tra i ragazzi: colpa di computer, cellulari e tv


Il rapporto tra giovani e tecnologia è forse il più più interessante fenomeno sociologico del nuovo millennio, meltin' pot tra i misteri dell'adolescenza e le infinite possibilità del web. Ma anche i rapporti più oliati nascondono insidie, e in questo caso la spina nel fianco si chiama insonnia. Secondo studi recenti a decurtare le sette ore di sonno consigliate da ogni medico sono pc, tv, telefonini e play station, che interferiscono con la secrezione endogena di melatonina, l'ormone che regolarizza il sonno. "In Italia circa il 45% dei ragazzi al di sotto dei 20 anni dorme in media 4 o 5 ore a notte, il 25% ne dorme appena 6 e solo il 10% riposa abbastanza e con regolarità", spiega il neurologo Luigi Ferini Strambi, docente psicologia generale presso l'università "Vita e salute" del San Raffaele di Milano.

Queste percentuali sono lo specchio di una situazione diffusa in tutto il mondo. Paesi come la Francia stanno già affrontando il problema: l'Unione nazionale delle associazioni familiari e l'Accademia di Parigi hanno diffuso gratuitamente a famiglie, insegnanti e personale della sanità un dvd interattivo che mostra come la luce dello schermo blocchi la secrezione di malatonina. Circa il 14% degli adolescenti francesi ha difficoltà ad addormentarsi oppure si sveglia in piena notte, mentre negli Usa la percentuale sale al 25%. Un dato da mettere in relazione con la capacità di apprendimento: proprio qualche mese fa la National sleep foundation americana ha diffuso una ricerca che dimostra come il rendimento scolastico dei ragazzi che dormono almeno 7 ore a notte sia di gran lunga superiore a quello di coloro che ne dormono 5.

"Spesso i ragazzi mi chiedono farmaci per stare svegli più a lungo di notte e studiare - continua Ferini Strambi - ma il sonno consolida la memoria e consente di trattenere le informazioni, quindi il modo migliore per affrontare un'interrogazione è fare una bella dormita".

Altro grosso problema, sottolinea il neurologo, è la privazione del sonno volontaria. Stare svegli fino alle due di notte a caccia di curiosità su internet o in chat è un tentazione che fa scorrere le ore davanti al pc a velocità sorprendente. "In quel 45% dobbiamo considerare anche quei ragazzi che, al di là degli stravolgimenti biologici interni, non dormono perché non ce la fanno a staccarsi dal computer prima che sia notte fonda", conclude l'esperto.

L'albero della new technology nel giro di pochi anni ha prodotto frutti straordinari ma anche tossici. Malattie come la Iad (Internet addiction disorder) o "l'insonnia da pc" fanno ormai parte della letteratura psichiatrica e colpiscono fin dalla tenera età. "Se si includono anche i problemi transitori - spiega il neurologo Raffaele Manni, responsabile dell'unità di medicina del sonno dell'IRCCS "Fondazione C. Mondino" di Pavia - si calcola che ormai circa il 30% della popolazione italiana non riesca a dormire bene. Tra gli adulti la percentuale di insonnia persistente si aggira intorno al 10-13%".

Esistono comunque vai tipi di disturbi, dalla narcolessia (consiste in un eccesso di sonno) alla sleep apnea ostruttiva, della quale soffrono circa il 5% degli uomini e il 2% delle donne. Si tratta di una patologia della mezza età che spesso colpisce anche gli adolescenti, specie se in sovrappeso e con ipertrofia adeno-tonsillare. "Spesso i ragazzi soffrono di sonnambulismo - continua Manni - che si manifesta nella prima infanzia e poi passa con la crescita. Tutti questi problemi comunque regrediscono tornando a uno stile di vita più regolare, senza bisogno di farmaci".

Ottima cosa sarebbe dunque spegnere il pc alle 23 e non lasciare acceso il telefonino di notte, rientrare a casa prima e ridurre il consumo di alcol e fumo. Insomma evitare di sballare completamente il famoso "gene clock", ovvero l'orologio biologico (sfasatura che porta alla cosiddetta "sindrome della posticipazione di fase"). Vero è, come ogni medico riconosce, che tutti abbiamo un "cronotipo", vale a dire un rapporto col sonno basato sulle nostre personali attitudini, che ci distingue universalmente tra "gufi" e "allodole". (...)
E' tutto vero...

ma - per decenza - non cito il sito.


La scelta delle referenze da inserire nella proposta XXX risponde a rigorosi parametri, quali la provenienza, la certificazione, la naturalità, il controllo degli ingredienti e delle lavorazioni, al fine di garantire alla propria Clientela, prodotti di assoluta affidabilità e qualità.

NUTRIRE E CURARE UN ANIMALE E' COME NUTRIRE E CURARE UN BAMBINO, NEL SENSO CHE NON E' LUI CHE SCEGLIE, MA DIPENDE DA NOI PRENDERE LE GIUSTE DECISIONI.

XXX si avvale di consulenze a livello universitario, di esperti di grande preparazione in tema di nutrizione animale e collabora con Aziende italiane certificate ISO 9001, veterinari che adottano l'HACCP (Hazard Analysis Critical Control Point), il piano per la prevenzione delle contaminazioni microbiologiche, chimiche e particellari, che consente di garantire l'aspetto igienico-sanitario degli alimenti.

Alimenti BIO

La Linea BIO di alimenti secchi ed umidi, è realizzata esclusivamente con ingredienti provenienti da agricoltura biologica e certificati C.C.P.B., il Consorzio per il Controllo dei Prodotti Biologici

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Privi di OGM ed esenti da qualsasi elemento che possa nuocere all'uomo, agli animali ed all'ambiente. Senza conservanti, senza BHT, BHA nè Etossichina, stabilizzati con antiossidante naturale a base di estratto di rosmarino e vitamina E, integrati con coadiuvanti specifici XXX in base all'età ed allo stile di vita.

Mangimi prodotti utilizzando carni provenienti esclusivamente da prodotti di macellazione riconosciuti idonei per l'alimentazione umana dopo la visita ante e post mortem dei veterinari ufficiali U.L.S.S.

Gli integratori, i coadiuvanti ed i rimedi fitoterapici, sono realizzati esclusivamente con erbe officinali e prodotti naturali.

Nelle pagine del sito sono riportate le informazioni utili per una corretta scelta dei prodotti e degli alimenti più indicati per il Vostro piccolo, grande amico.
Se anch'io avessi fatto 6

di Massimo Gramellini

Se vincessi cento milioni di euro al Superenalotto come quel fortunello di Catania, giuro che non saprei cosa farne. Ho desideri che costano meno. Così mi sono rivolto a un amico per chiedere consigli, nell'eventualità. Lui mi ha risposto quanto segue: «Cinquanta milioni li dai subito in beneficenza: una catena di ospedali in Kenya a tuo nome e ti sei ripulito la coscienza per l'eternità. Te ne restano comunque altri cinquanta per sporcartela con vizi e stravizi. Siamo un Paese cattolico, no? Sempre in bilico fra senso di colpa e voglia di peccare. Nei sondaggi della coscienza facciamo i veltroniani, ansiosi di cultura e valori immateriali, ma nella realtà della pratica c'è un piccolo premier ingordo in ciascuno di noi. Villoni, macchinoni, donnoni. E non pensare di nascondere la tua ricchezza: impazziresti. Perché in Italia non conta avere, ma far sapere agli altri di avere. Non sentirti orribile, se li vincesse un altro farebbe di peggio. Chi sputerebbe sul tavolo del capufficio un attimo prima di licenziarsi. Chi si comprerebbe l'azienda per il solo gusto di licenziare il capufficio. E chi guarderebbe negli occhi il coniuge sopportato da secoli per mancanza di vie d'uscita: "Sai che c'è, cocco (cocca)? È fi-ni-ta". Il denaro è un moltiplicatore del tuo ego. Ne esalta pregi e difetti. E poiché i difetti sono sempre più numerosi, con cento milioni di euro diventeresti quasi sicuramente un tizio arrogante e insopportabile. La libertà dal bisogno si tradurrebbe soprattutto nella libertà dal bisogno di piacere agli altri, che ti ha indotto fin qui a frenare gli istinti peggiori».

«Insomma», ha concluso il mio amico, «vincere cento milioni di euro è abbastanza una meraviglia, cioè uno schifo. Fortuna che non li hai vinti tu e che in ogni caso ci sono poi le banche a mostrarti il modo migliore per perderli tutti, il più in fretta possibile».

L' idea di una Chiesa aperta che non si imponga dall' alto Quei dialoghi notturni in attesa dell' alba


«La parte più importante sono le domande dei ragazzi. Sono ancora interessati, oggi, a criticare la Chiesa, noi, chi governa, l' establishment? Oppure si allontanano in silenzio? Io sono convinto che là dove esistono conflitti arde la fiamma, lo Spirito Santo è all' opera...». Da un po' di tempo il cardinale Carlo Maria Martini si sofferma con urgenza crescente sul tema della morte, «pregherei Gesù di inviarmi angeli, santi o amici che mi tengano la mano e mi aiutino a superare la mia paura», ma le "Conversazioni notturne a Gerusalemme" (in uscita il 28 da Mondadori) non hanno nulla di crepuscolare e rappresentano piuttosto le considerazioni inattuali del grande biblista, un dialogo con i giovani che tende all' alba, al futuro, «ci siamo avvicinati ai sogni». Essenziale è il contesto. Figurarsi il cardinale conversare notte dopo notte con Padre Georg Sporschill, amico e confratello gesuita che aiuta i bimbi di strada in Romania e in Moldavia. Gesù e la «radicalità» del Vangelo, la giustizia «attributo fondamentale di Dio» e l' «inferno sulla terra», l' «opzione a favore dei poveri» e la speranza di «un nuovo rinnovamento della Chiesa». Al centro, i ragazzi. Il libro è scandito dalle domande che i giovani volontari impegnati con padre Georg gli hanno affidato. Così Martini li ascolta: la Chiesa «ha bisogno dei giovani» perché «ha sempre bisogno di riforme», e specie «nella vecchia Europa» è necessaria «una ventata d' aria fresca». In questo senso il cardinale nota preoccupato «l' indubbia tendenza a prendere le distanze dal Concilio» e dice che Lutero «fu un grande riformatore», salvo aggiungere: «Trovo problematico il punto in cui, da riforme necessarie e ideali, crea un sistema a sé». La «forza riformatrice» della Chiesa «deve venire dal suo interno», Martini invoca una Chiesa «capace di ammettere i propri errori» come «dopo l' ingiusta condanna di Galilei o Darwin» («per i temi che riguardano la vita e l' amore non possiamo attendere tanto»), soprattutto «una Chiesa aperta». Attenzione, però: non intende una Chiesa che s' affanni a inseguire la modernità, disposta a concessioni per recuperare un po' di consenso. L' apertura è alle domande di chi vive nella modernità: è restare accanto alle persone, prendere sul serio i loro dubbi, aiutarle a crescere e diventare «collaboratori di Dio». Questione di metodo, «i percorsi non possono essere imposti dall' alto, dalle scrivanie o dalle cattedre». Agitare il ditino alzato non serve. Serve aprirsi alle persone concrete, «rendere testimonianza come Gesù» perché il Vangelo è aperto a tutti, «il samaritano vede il prossimo che il sacerdote non ha visto». Per dire: il sesso prima del matrimonio è un dato di fatto, «illusioni e divieti non portano a nulla». Non significa che il cardinale approvi. Però «nella Chiesa nessuno è nostro oggetto, un caso o un paziente da curare». Con sant' Agostino dice: «Ai giovani non possiamo insegnare nulla, possiamo solo aiutarli a trovare il loro maestro interiore». Si tratta di dare fiducia, «renderli indipendenti» («anche i vescovi hanno bisogno di un interlocutore forte e consapevole») e accompagnarli nel loro sviluppo spirituale. Un bellissimo capitolo è dedicato agli esercizi spirituali di Sant' Ignazio di Loyola, «le guide sono amici nel senso evangelico: accompagnano, fanno domande, sostengono, ma non si mettono mai tra il singolo e Gesù, anzi promuovono questo dialogo». Martini offre risposte aperte e mette in gioco se stesso. Perché c'è il dolore? «Se osservo il male del mondo, esso mi toglie il respiro. Capisco chi ne deduce che non esista alcun Dio». Non ci sono risposte facili, bisogna mettersi in cammino: «Qual è la mia parte, e come posso io cambiare la situazione?». Il rischio è l'indifferenza. «Mi angustiano le persone che non pensano, che sono in balia degli eventi. Vorrei individui pensanti. Solo allora si porrà la questione se siano credenti o non credenti». Per questo il fondamento dell'educazione cristiana è la Bibbia: «Non pensare in modo biblico ci rende limitati, ci impone dei paraocchi». Non si coglie «l' ampiezza della visione di Dio». Perché «l'uomo, e anche la Chiesa, corre sempre il rischio di porsi come un assoluto. Dobbiamo imparare a vivere la vastità dell' "essere cattolico"». Sapendo che «non puoi rendere Dio cattolico». Gesù tratterebbe la Chiesa attuale come i farisei? «Sì», risponde il cardinale: erano i suoi «amici» e Gesù «li amava». C' è chi nasce postumo, diceva Nietzsche. Di quello che Martini definisce «un piccolo libro» si parlerà per anni. L' importante è capire come la parola «critica», qui, non abbia un senso «politico», negativo: ha il valore essenziale che le può attribuire uno studioso di «critica» testuale delle Scritture. Quando padre Sporschill gli ricorda la storiella ricorrente del Martini «antipapa», lui sorride: «Sono, semmai, un ante-papa, un precursore e preparatore per il Santo Padre».


Vecchi Gian Guido




Anticipiamo un brano delle riflessioni di Carlo Maria Martini

in libreria il 28 ottobre
I ragazzi sono i nostri profeti La vita, la fede, la morte: escono le «Conversazioni» del cardinale


Possiamo aprirci ai giovani solo prendendo spunto proprio da loro. Di cosa si interessano? Dove vivono? Come vivono le loro relazioni? Cosa criticano e quale impegno pretendono da noi? (...) Certamente il metodo giusto non è predicare alla gioventù come deve vivere per poi giudicarla con l' intenzione di cercare di conquistare coloro che rispettano le nostre regole e le nostre idee. La comunicazione deve cominciare in assoluta libertà, in caso contrario non è comunicazione. E, soprattutto, in questo modo non si conquista nessuno, caso mai lo si opprime. L' essere umano che incontro è fin dal principio un collaboratore e un soggetto. Dialogando insieme giungiamo a nuove idee e a nuovi passi condivisi. La questione che più tocca la sensibilità dei giovani è se li prendiamo sul serio come collaboratori a pieno titolo o se vogliamo farli ravvedere come se fossero stupidi o in errore. Crediamo che tutti gli esseri umani siano creature di Dio e abbiano uguale dignità. Questo è il presupposto fondamentale di ogni comunicazione cui prendiamo parte. (...) Esistono senza dubbio diverse situazioni ed età della vita, come le descrive la moderna psicologia dell' età evolutiva. Anche la Bibbia dispone di questa conoscenza nel Nuovo Testamento e, prima ancora, nell' Antico Testamento. Nella predica di Pentecoste, Pietro riprende infatti le parole del profeta Gioele del IV secolo a.C. e racconta l' opera dello Spirito Santo in tre fasi della vita, ognuna differente: «I vostri figli e le vostre figlie profeteranno, i vostri giovani avranno visioni e i vostri anziani faranno sogni». I «figli e le figlie» saranno profeti significa che essi devono essere critici. La generazione più giovane verrebbe meno al suo dovere se con la sua spigliatezza e con il suo idealismo indomito non sfidasse e criticasse i governanti, i responsabili e gli insegnanti. In tal modo fa progredire noi e soprattutto la Chiesa. (...) Il contributo «dei figli e delle figlie» è fondamentale. Essi sono ancora interessati oggi a criticare noi, la Chiesa, i governanti, oppure si ritirano in silenzio? Dove esistono ancora conflitti arde la fiamma, lo Spirito Santo è all' opera. Nella ricerca di collaboratori e vocazioni religiose dovremmo forse prestare attenzione innanzitutto a coloro che sono scomodi e domandarci se proprio questi critici non abbiano in sé la stoffa per diventare un giorno responsabili e alla fine sognatori. Responsabili che guidino la Chiesa e la società in un futuro più giusto e «sognatori» che ci mantengano aperti alle sorprese dello Spirito Santo, infondendo coraggio e inducendoci a credere nella pace là dove i fronti si sono irrigiditi.


Martini Carlo Maria
Padre Nostro

di Massimo Gramellini

Segnala un orripilato lettore che ieri sera il concorrente del quiz di Gerry Scotti non sapeva rispondere alla domanda: chi ha recitato per primo il Padre Nostro? Dunque, Monica Bellucci direi di no: non sa recitare. Anche Berlusconi mi sento di escluderlo: il Padre Nostro pensa di essere lui. Forse il Padre Nostro è una favola sul padre dei fratelli Grimm. La accendiamo?

Accendiamoci di vergogna, anche se non lo fa più nessuno: chi osa dire che la tv dovrebbe stimolare l'apprendimento anziché vellicare gli istinti al ribasso viene accusato di non sapersi sintonizzare con l'umore popolare. È probabile che in tenera età il concorrente abbia letto il brano del Vangelo nel quale la preghiera è recitata per la prima volta dal suo autore, un tale Gesù. Poi è successo qualcosa: gli impegni assillanti, la difficoltà di trattenere troppe nozioni dentro una testa già intasata dalla classifica di serie A. Sta di fatto che ha dimenticato il Padre Nostro e tante altre cosette che oggi magari gli sarebbero utili per viaggiare attraverso la vita come un turista sveglio, invece che come una valigia a cui tutti possono dare impunemente un calcio.

Sono sicuro che servirebbe anche a me ritornare periodicamente a scuola: un weekend al mese dietro i banchi, sotto le grinfie dei maestri licenziati dalla Gelmini. E forse la Chiesa, così attenta alle questioni etiche, farebbe meglio a occuparsi della ragione sociale della ditta, che oggi troppo spesso galleggia dentro omelie più noiose di un film iraniano coi sottotitoli in siamese.
Si racconta un aneddoto a proposito del cardinale Consalvi, segretario di Stato di Pio VII, riguardo un teso quanto breve incontro con Napoleone Bonaparte. L'imperatore gli disse: "Distruggerò la vostra Chiesa!". Il cardinale gli rispose: "Non ci riuscirà; neppure noi ecclesiastici siamo riusciti a distruggerla in tutti questi secoli».



L'entomologo Christopher Tipping del college della citta' americana di Delaver, in Pennsylvania, e' giunto alla conclusione che gli scarafaggi sono in grado di sopravvivere diverse settimane privi della testa.

Taluni umani anche molto di più... quasi tutta la vita!


postato sul blog il 19 ottobre 2007

Avvocati e raccomandate per il dente rotto di Matteo

di mons. Mario Delpini

Avvenire - 1 giugno 2008


Per non offendere, si dice che Matteo è un ragazzo vivace. In realtà è una peste incontenibile. Si dice che sua mamma, Santippe, è una signora determinata. In realtà è una bisbetica insopportabile. Un pomeriggio d'oratorio per sfuggire a Luca, esasperato dai dispetti, Matteo è caduto. Si è rotto un dente. La signora Santippe arriva come una furia. I tentativi di don Andrea di spiegare le cose e riportare l'incidente nelle sue giuste proporzioni servono solo per capire che la signora Santippe ha già sentito gli avvocati. Sdottora infatti di omissioni in vigilando, di imprudenza in eligendo, di danni permanenti biologici e morali, di denunce e di risarcimenti. Difficile credere che cerchi giustizia. Più fondato è il sospetto che voglia alzare il prezzo. Gli avvocati non contribuiscono certo a una soluzione ragionevole. Tra raccomandate ed esposti, tra periti e convocazioni sono passati quattro anni. Tutti hanno perso tempo e soldi, la dedizione di don Andrea a curarsi dei figli degli altri, anche se sono un po' difficili, è stata mortificata, i rapporti sono diventati difficili. Il giudice ha dato torto alle richieste spropositate. Valeva la pena, signora Santippe?
Allarme alcol, tra gli adolescenti: beve uno su cinque

Sessantamila gli italiani in cura per abuso di bevande alcoliche

In Italia l'età del primo contatto con l'alcol risulta la più bassa d'Europa. È uno dei dati emersi dalla prima Conferenza Nazionale sull'Alcol, organizzata dal ministero del Welfare e della Salute. I dati più preoccupanti relativi al consumo di alcol in Italia riguardano la popolazione giovanile e in particolare la fascia di età tra gli 11 e i 15 anni. Ben il 19,5% dei giovani tra gli 11 e i 15 anni dichiara infatti di aver bevuto alcolici nel corso del 2005 nonostante sia in vigore il divieto, sancito dalla legge, di somministrazione di bevande alcoliche ai minori di 16 anni. Secondo i dati dell'indagine «Eurobarometro 2002» della Commissione Europea, l'Italia presenta l'età più bassa in Europa in relazione al primo contatto con le bevande alcoliche, con una media di 12,2 anni contro i 14,6 anni della media europea, immediatamente seguita da Irlanda e Austria, con 12,7 anni. Tra i giovani è molto diffuso il consumo di bevande alcoliche al di fuori dei pasti e questo rappresenta un importante indicatore di esposizione al rischio alcolcorrelato. I consumatori giornalieri sono poco diffusi tra i giovani e rappresentano nel 2005 il 2% della popolazione al di sotto dei 18 anni. I giovani tra i 20 e i 24 anni sono la classe di età più interessata dal consumo settimanale di alcolici fuori pasto, immediatamente seguiti da quelli tra i 25 e i 29 anni, ma il fenomeno riguarda in maniera rilevante anche i giovani tra i 18 e i 19 anni, i cui valori sono già superiori a quelli rilevati nel complesso della popolazione generale.

Fra i giovanissimi di età compresa fra 14 e 17 anni la percentuale di bevitori fuori pasto risulta praticamente raddoppiata tra il 1994 e il 2006, passando dal 13,4% al 24,2% tra i maschi e dal 8,0% al 16,8 % tra le femmine. «Molto diffusi risultano tra i giovani maschi i comportamenti di ubriacatura con tutte le conseguenze derivanti per la salute e la sicurezza propria e altrui - sottolinea il ministero -. Secondo l'ISTAT ammette di essersi ubriacato nel 2005 almeno una volta quasi il 50% dei giovani maschi di età compresa tra i 20 e i 29 anni ed il 14,6% di quelli fra i 18 e 19 anni. Meno interessate a questo fenomeno sono le ragazze (il picco più alto, 3,2 %, si raggiunge nella classe di età 18-19 anni)». Ammette di essersi ubriacato almeno una volta anche il 3,2% dei giovani maschi di età inferiore a quella legale per la somministrazione di bevande alcoliche (16 anni). In Italia la mortalità per incidente stradale viene stimata come correlata all'uso di alcol per una quota compresa tra il 30% e il 50% del totale degli incidenti.

Dalla Conferenza emerge anche un'alta percentuale di consumatori giornalieri (31%) tra i maschi delle classi di età medie e anziane, e, tra questi, alta percentuale di consumatori giornalieri eccedentari (16% della classe di età 65-74 anni); l'aumento, nei ricoveri ospedalieri, della percentuale di ricoveri femminili rispetto a quelli maschili e di ricoveri delle fasce di età più giovani rispetto a quelle più anziane; l'aumento percentuale delle diagnosi di cirrosi epatica alcolica nei ricoveri ospedalieri (+4,6% fra il 2000 e il 2004). Nel 2006 sono stati presi in carico presso i Servizi alcologici territoriali del Sistema sanitario nazionale 61.656 soggetti alcol dipendenti, in aumento del 9,6% rispetto a quelli del 2005. Il 75% riguarda persone tra i 30 e i 59 anni; il 15% giovani al di sotto dei 30 anni.
Anche oggi può essere utile un dizionario di qualità sulla propria amata lingua (anche per evitare strafalcioni, tutt'altro che rari!).

Consiglio quindi con piacere la consultazione (dopo registrazione) gratuita online dal sito di Garzanti Linguistica.

Grazie a R.B. per la segnalazione!

Se le motivazioni sono quelle addotte dalla Sala Stampa,

non concordo.

don Chisciotte






La Santa Sede: «Si tratta di un tema affrontano più volte in passato, ma non bisogna generalizzare: la gente del posto spesso non c'entra»


Nel corso della sua odierna visita al santuario campano di Pompei il Papa non ha affrontato il tema della camorra, nonostante la sua attualità, «perchè ne ha parlato altre volte» e perchè quello di oggi è piuttosto un «pellegrinaggio»: lo precisa il vicedirettore della sala stampa vaticana.

«La parola camorra è stata esclusa di proposito dai discorsi del Papa a Pompei perchè ne ha parlato altre volte, anche l'anno scorso a Napoli, e stavolta il viaggio ha il carattere particolare di un pellegrinaggio», afferma padre Ciro Benedettini. «Ma soprattutto - aggiunge - per una forma di rispetto per le persone per bene, che in Campania sono la maggior parte». Secondo il religioso, inoltre, «la Campania non è solo questo e il Papa ha inteso incoraggiare l'impegno delle persone per bene nella difesa dei valori e nella costruzione di una civiltà dell'amore, che rappresenta certamente anche un impegno anticamorra».


"Il bambino che gioca impegna nel suo gioco

molta più luce dei santi nelle loro preghiere

o degli angeli nei loro canti.

Il bambino che gioca è la consolazione di Dio".



Christian Bobin, Il distacco dal mondo, 17
«Vi sono diversità di 'diaconie' ('ministeri'), ma uno solo è il Signore» (1Cor 12,5). Il fil rouge che più di tutti lega i compiti del Nuovo Testamento tra di loro, da quello di Gesù a quello dei dodici, dagli apostoli ai 'sette' di Gerusalemme, dai compiti di evangelizzazione e guida attestati nelle comunità paoline alle mansioni stabili presenti nelle Chiese post-apostoliche è dunque la diaconia. (p. 298)



Non solo l'apostolato, che si ricollega direttamente all'opera di Cristo-servo, ma anche i ministeri contemporanei o successivi a quello apostolico, emanando a loro volta da esso, ne ricevono l'impronta 'diaconale': la missione di servo che Cristo ha ricevuto dal Padre e trasmette agli apostoli e questi a collaboratori e successori per l'edificazione ecclesiale è il dato primordiale da cui risulta che vi sono particolari compiti di uno per altri. Il 'potere' di Cristo è per il 'servizio': ed ogni potere che Cristo ha trasmesso alla Chiesa è dentro alla medesima logica diaconale.

Resta perciò esclusa, nel Nuovo Testamento, ogni gerarchia di rango, ogni superiorità del ministro sugli altri fedeli: i ministeri non sono 'dignità' che rivestano chi li detiene di una superiorità rispetto agli altri battezzati, ma veri e propri 'servizi' in favore degli altri battezzati. (p. 301)

Erio Castellucci, Il ministero ordinato

Le porte delle chiese benedicono chi entra

di mons. Mario Delpini

Avvenire - Milano 7 - 17.02.08


Alcuni si sono abituati a pensare che le porte delle chiese sono per impedire l'ingresso a ladri e vandali: porte imponenti, serrature rinforzate, sbarre e catenacci. Dicono: «Ladri, andate via!». Alcuni forse pensano che servano per esporre opere d'arte, sculture preziose, originali narrazioni di Vangelo. Dicono: «Guardateci, come siamo belle e istruttive!». La verità è che le porte delle chiese sono per dire alla gente: «Entrate! Siete attesi! Questa è la vostra casa!». E, dunque, che si deve pensare se le porte delle chiese sono spesso chiuse? Si deve pensare che ladri e vandali siano più numerosi della gente che vuole passare in chiesa per una preghiera, prima o dopo il lavoro. Si deve pensare che tocchi al parroco, oltre a tutto il resto, di aprire e chiudere la chiesa e, quindi, tutto dipende dai suoi orari. Le porte delle chiese mi confidano d'essere ancora commosse quando accolgono la nonna che accompagna il nipotino a dire una preghiera alla Madonna e quando il ragioniere, tornando dal lavoro, si inginocchia e lascia quietare stanchezza e nervosismo per andare a casa sorridente. Lo salutano quando entra e quando esce e gli dicono: «Dio ti benedica!».
La signora Bach (e suo marito)

di Massimo Gramellini

Un direttore d'orchestra australiano ha scoperto che alcune musiche attribuite a Johann Sebastian Bach furono composte in realtà dalla seconda moglie Magdalena. I melomani troveranno la notizia straordinaria, e lo è. Ma ancor più straordinario mi sembra ciò di cui la signora Bach riusciva a occuparsi nel tempo libero: tutto, compresa la gestione di undici figli, di una casa e degli abiti, strumenti e spartiti del marito, il classico esemplare di maschio ossessivo che sa fare benissimo una cosa sola e delega il resto alla sua trafelata metà.

Poiché la storia è scritta dai vincitori e per qualche millennio i vincitori siamo stati noi, sui libri di musica Bach è un genio immortale e la moglie una perfetta sconosciuta. Adesso dovremmo fare finta di sorprenderci che il genio fosse in coabitazione e che l'osmosi in cui vivono le coppie meglio assortite abbia partorito, oltre a una nidiata di infanti, anche le arie più amate dall'umanità. Ebbene, non sono sorpreso. Come non ho mai creduto alla frase: dietro ogni grande uomo c'è una grande donna, Non dietro: dentro. Soltanto quando diventano una cosa sola l'uomo e la donna riescono a creare, nella carne come nell'arte. Anche se i meriti, almeno nell'arte, se li prende poi uno, e finora quell'uno è stato quasi sempre il maschio. Se i biografi di Bach volessero davvero sorprendermi, dovrebbero scoprire che lui ogni tanto le preparava da mangiare.


Mi dicevo: “Non penserò più a lui, non parlerò più in suo nome! ”.

Ma nel mio cuore c'era come un fuoco ardente, chiuso nelle mie ossa;

mi sforzavo di contenerlo, ma non potevo” (Geremia 20,9).



Pensavo anch'io di non farlo più quest'anno;


forse qualche benpensante ribadirebbe che non si deve;

ma non ce la faccio

Vale lo stesso (ma con conseguenze ben più gravi)

quando questo stile è assunto da un vescovo...




Quando anime devote creano nuovi dogmi

di mons. mario Delpini Avvenire - 22 giugno 2008


La nostra santa religione ha pochi dogmi essenziali: custodiscono la verità cristiana contro ogni tentativo di semplificare, di inseguire le mode, di trasformare la fede in ideologia. Ma talora in alcune comunità si creano dogmi nuovi, più indiscutibili, più numerosi e più incomprensibili. Capita per esempio che un parroco carismatico o un missionario di passaggio convinca qualche anima devota che il pane per l'eucaristia deve avere la forma e la dimensione di una pagnotta azzima, oppure per un funerale degno dopo la comunione è necessario quel tal canto, oppure che sul bollettino parrocchiale è obbligatorio citare un certo autore. Allora quello che forse per una volta era opportuno diventa una tradizione intoccabile. Se qualcuno si azzarda a suggerire che «per sé le norme liturgiche... », oppure insinua che potrebbero esistere anche altri autori interessanti, si sente rivolgere uno sguardo di compatimento. Così il gruppo delle anime devote, costituito per un servizio di animazione, finisce per divenire intransigente difensore di un dogma in memoria forse di qualcuno che coltivava la modesta persuasione di capire le cose meglio dell'intero episcopato.
La brutta televisione che spiega la vita. I reality danno l'idea della forza della tv

di Aldo Grasso

Se i grandi telefilm nutrono lo spirito, i reality danno l'idea della forza della tv, svelano curiosi effetti di realtà, specie quando saltano tutte le mediazioni. Domenica pomeriggio, la sempre malvestita Paola Perego rende omaggio a Gianfranco Funari («Questa domenica», Canale 5, ore 16.30). Appena superato lo smarrimento per tanta dichiarata affinità (il trash di Funari era disordine creativo, qui siamo nel sottoscala dell'intrattenimento di massa), parte subito il collegamento con la «Talpa», secondo l'esempio di Simona Ventura (ecco qui ci siamo, con le affinità). Dal Sudafrica, una certa Karina frigna sconsolata perché è stata spedita in esilio in una capanna Zulu. In studio si commentano le lacrime: la sorella spiega che la ragazza, da piccola, ha subito molestie dal padre alcolizzato. Gelo fra gli «opinionisti». Per fortuna c'è l'eclettico Alessandro Meluzzi, indossatore d'idee, guardarobiere di ideologie, vista la facilità con cui le cambia. Meluzzi è anche psichiatra e un colpo di fortuna così (vero o falso che sia, non ha importanza) non capita tutte le domeniche. Può darci la sua spiegazione. Nessuno fra i presenti ricorda però che Meluzzi è anche portavoce di don Gelmini, ridotto nel frattempo allo stato laicale dal Papa, per difendersi meglio nell'inchiesta della procura di Terni: che coincidenza, anche lui è accusato di molestie. Non toccava a Raffaello Tonon (tempo fa ha dichiarato di essere guarito dalla depressione grazie alla tv) né a Selvaggia Lucarelli (si è sposata grazie alla tv ma adesso è già divisa) sollevare il problema ma Roberto Poletti che ci stava a fare in studio? Ma è lo stesso Poletti di «Aria pulita», di «Carta straccia », il Poletti che su Telelombardia doveva prendere il testimone da Funari? Sì, la serialità si rivolge all'anima, ma la brutta tv spiega tante cose della vita.


Trent'anni fa l'elezione di Giovanni Paolo II.

Un video ricorda l'evento.

Deo Gratias!



Non dovrebbe formarsi assolutamente l'opinione che nella storia passata della Chiesa lo Spirito Santo abbia detto tutto ciò che vi è di “essenziale”, sicché nel futuro non ci sarebbe da attendersi più nulla di rilevante da lui e tutto il lavoro del teologo si esaurirebbe nel ripetere quel che è già stato detto, magari nel tono della vecchia governante che vuole cacciare in testa agli stupidi bambini quanto tornano - sempre - a dimenticare.



H.U. von Balthasar, Homo creatus est, 350

postato il 16 ottobre 2007

Il microfono in chiesa è molto utile, a meno che...

di mons. Mario Delpini

Avvenire - Milano 7 - 24.02.08


Il microfono è molto utile durante le celebrazioni liturgiche, perché tutti possano sentire bene le parole che vengono annunciate e pregate. Il microfono è molto utile, a meno che sia spento. Il microfono è molto utile, a meno che trasmetta fischi, fruscii e interferenze. Il microfono è molto utile, a meno che sia spostato a destra, mentre il lettore legge rivolto a sinistra, o sia all'altezza di un metro e ottanta, mentre il lettore è alto uno e sessanta. Il microfono è molto utile, se il lettore legge bene. Se invece commette errori grossolani, l'amplificazione fa sì che la gente, invece che essere mossa a conversione dalla Parola di Dio, sia mossa al riso dagli strafalcioni del lettore. Il microfono è molto utile, a meno che la catechista si ostini a far leggere un cresimato che non sa leggere e la gente, invece che capire per che cosa pregare, capisca che i risultati dell'istruzione sono piuttosto scadenti. Il microfono è molto utile, a meno che il filo attraversi tutto il luogo della celebrazione e un chierichetto vi inciampi fracassando le ampolline con l'acqua e il vino. Così anche il microfono può dire qualche cosa su come siano curate le celebrazioni.
Da Pew Internet Research uno studio sui lavoratori in rete

Impiegati digitali: connessi e sotto stress

La tecnologia in ufficio implica maggiore produttività, ma porta crescita della mole di lavoro e della stanchezza

Si intitola «Networked Workers» ed è l'ultimo studio realizzato dall'istituto di ricerca Pew sugli effetti dell'adozione e uso delle tecnologie. In particolare questa volta l'analisi si è focalizzata sui lavoratori che utilizzano la Rete per la loro professione, che negli Stati Uniti corrispondono al 60% degli impiegati.

Tramite questa indagine - condotta nei mesi di marzo e aprile di quest'anno su un campione di oltre 2 mila cittadini americani adulti - Pew ha osservato le modalità di utilizzo dell'internet e delle tecnologie mobili sul posto di lavoro e a casa. I dati raccolti hanno messo in luce che i lavoratori sono sempre più flessibili, poiché il tempo dedicato al proprio impiego non si esaurisce nelle ore d'ufficio, ma si estende sempre più spesso all'ambito domestico, anche quando in teoria ci si dovrebbe dedicare alla propria vita privata.

I cosiddetti networked workers sono infatti sempre connessi, che sia via telefono o palmare o via computer: il 93% di loro possiede infatti un cellulare, l'85% un desktop Pc, il 61% un portatile e il 27% un Blackberry. Insomma, la tecnologia ha maggiore presa su di loro di quanto ne abbia sugli altri colletti bianchi del Paese. Il tutto con risvolti positivi dal punto di vista della produttività e della condivisione dei progetti con colleghi e superiori, ma negativi se si ragiona in termini di stress. Basti pensare che il 49% degli impiegati in Rete ha sottolineato che "grazie" alle tecnologie in questione viene loro richiesto di svolgere una mole di lavoro superiore alla norma, e che spesso questo fa sì che non sia possibile staccare la spina nemmeno durante fine settimana e vacanze.

Certo nessuno li costringe a guardare il famigerato smartphone ogni due minuti per controllare la posta elettronica, sempre e ovunque, e probabilmente molti di loro lo butterebbero via molto volentieri, se non fosse che il fatto di essere sempre rintracciabili e aggiornati sugli avvenimenti «rende più competitivi all'interno di un'azienda», come spiegato dal general manager di una società di advertising di Philadelphia, Joe Soto, che ha ammesso di non aver spento il suo Blackberry nemmeno durante una vacanza nel deserto del Sahara.

Sigurd Bergmann: "La teologia del compostaggio"


A livello concreto cosa possono fare le singole comunità per sensibilizzare i propri membri di chiesa?

Il campo forse più proficuo è quello pedagogico. Con i bambini si possono fare tantissime cose: il giardinaggio per esempio è molto amato. Le chiese si possono anche interrogare su come utilizzare l'energia o su come riciclare i rifiuti; gli spunti biblici e pastorali in merito non mancano. In campo più propriamente liturgico ci si può chiedere che tipo di pane utilizzare per la Santa Cena. Accertarsi della provenienza della farina con cui è stato fatto, ovviamente lo stesso vale per il vino. Anche allo stesso battesimo ci si può accostare in modo ecologico: quale acqua usare? Ho lavorato anche con gli operatori cimiteriali ed è stata molto apprezzata una mia lezione sulla teologia del compostaggio. Piccoli accorgimenti che possono incuriosire i membri di chiesa, aumentando la loro consapevolezza in materia di rispetto per l'ambiente.
Al verde

di Massimo Gramellini

E se i banchieri ingordi di Wall Street che ci stanno restringendo le tasche fossero in realtà degli ambientalisti, travestiti da truffatori per non dare nell'occhio? Hanno visto il film di Al Gore sull'effetto serra, magari anche «The day after tomorrow» sulla glaciazione di New York, e si sono detti: cosa possiamo fare per impedire tutto questo? E' bastata qualche riunione informale a bordo di uno yacht di sedici chilometri per mettere a punto un piano infallibile: mandare in vacca il capitalismo. Là dove avevano fallito Greenpeace, il protocollo di Kyoto e persino Pecoraro Scanio, sono riusciti i nostri cari manageroni coi bretelloni.

In virtù della recessione causata dalle loro ambizioni spericolate, il prossimo anno le compagnie aeree taglieranno quattrocentocinquantamila voli, i consumi di petrolio crolleranno, molte industrie ridurranno la produzione, una quantità minore di cibo e di merci circolerà sulle autostrade e quasi tutti i Suv resteranno in garage, dove verranno riciclati come fienili o depositi per le conserve. Non dico che nelle città respireremo l'aria del Monte Bianco o che l'acqua dei poli tornerà subito a ghiacciare come certe braciole di maiale dimenticate da mesi nel mio freezer. Ma certo è molto più facile fare i verdi quando si sta al verde.

Ci vuole un'arte anche per la bacheca

di mons. Mario Delpini

Avvneire - Milano 7 - 09.03.08


La bacheca della chiesa ti dà un'idea dell'aria che tira in parrocchia. C'è la bacheca deprimente: i fogli appesi ingialliscono, le puntine si staccano e i manifesti penzolano come vele ammainate. I preti novelli sembrano dispersi in guerra piuttosto che promesse per la missione. C'è la bacheca sequestrata: ti sembra di essere capitato in una parrocchia di nessuna diocesi. I manifesti di un gruppo, di un istituto religioso o di un movimento occupano tutto lo spazio: non c'è posto per il vescovo e la diocesi. C'è la bacheca batticassa: i debiti incombono, i lavori sono urgenti, i soldi mancano. Che sia Natale o Pasqua trovi esposti grafici e disegni, quadratini da riempire e scadenze da rispettare. C'è la bacheca «agenzia di viaggi»: non c'è momento in cui non sia proposto un pellegrinaggio, un'esperienza culturale, un'occasione da non perdere. C'è la bacheca invisibile: i fedeli ci passano davanti ogni domenica, ma gli avvisi restano ignorati. Il parroco talvolta si impazientisce per certe domande: «Ma se è un mese che ho esposto l'avviso...!». Ci vuole un'arte anche per la bacheca: tenere insieme tutto e dire l'essenziale perché risplenda la bellezza di una comunità, nella sua Chiesa.

"Occhio ai tuoi pensieri,

perché si trasformano in parole!

Occhio alle tue parole,

perché si trasformano in azioni!

Occhio alle tue azioni,

perché si trasformano in atteggiamenti!

Occhio ai tuoi atteggiamenti,

perché si trasformano in carattere!

Occhio al tuo carattere,

perché si trasforma in destino!"


F. Outlaw

dal post del 7.10.08
Aiuto, il capo è un cretino

Come difendersi dagli imbecilli di potere senza diventare come loro

di Bruno Ventavoli

Era ossessionato dai conigli selvatici che gli avevano distrutto il giardino, e le aveva pensate tutte per allontanarli. Le bestiole, però, riuscivano sempre a farla franca. Un giorno del 1952 monsieur Delille, farmacista, pensò finalmente di essere più furbo di loro. Si fece spedire una coltura di virus della mixomatosi, malattia che aveva fatto strage di conigli in Australia, catturò uno dei suoi piccoli nemici e gli inoculò il virus. In poche settimane il giardino fu liberato. Ma l'epidemia si estese a tutta la Francia, al Belgio, Olanda, Italia... Il piccolo lampo di genio di un babbeo devastò così mezza Europa. Naturalmente non tutte le sciocchezze producono gli stessi effetti. Ma possono fare i loro bravi danni, come spiega il libro «Cretini al potere. Come difendersi dalla stupidità di chi comanda» (Castelvecchi), pubblicato da Diego Armario, ex direttore della radio spagnola, ora scrittore e consulente di comunicazione.

Se per Cipolla, grande economista eterodosso, il cretino era «una persona che causa un danno a un'altra persona o gruppo di persone senza nel contempo realizzare alcun vantaggio per sé o addirittura subendo una perdita», per Armario gli imbecilli riescono invece a fare carriera perché con il loro opportunismo, la loro studiata simpatia, la loro straordinaria capacità di adulare i veri capi, sono funzionali al sistema: non rompono le scatole e riempiono i buchi del sistema. La regola dice: «I lavoratori meno efficienti vengono trasferiti sistematicamente in uffici dove possono fare meno danno e alla fine diventano dirigenti».

Una volta al potere, gli stupidi sono orgogliosi del loro posticino, e amano farsi chiamare con il titolo raggiunto, «consigliere», «ministro», «direttore»... Sono «tenaci, pazienti, imprevedibili, bugiardi, ruffiani, spavaldi, intolleranti, esageratamente ambiziosi, prevaricatori, diffidenti, vendicativi». Spesso sono anche felici, perché non si rendono conto di quel che sono e di quel che fanno. Dilagano ovunque, dal pubblico al privato, dalle fabbriche ai parlamenti, dalle banche (come si vede in questi giorni) ai supermercati. E si presentano sotto svariate forme. C'è il «cretino fifone» che, essendo egli stesso stupito del proprio successo, è sempre insicuro nelle decisioni da prendere. C'è il «cretino folle», con un carattere da manuale psichiatrico, che crea talmente tanta tensione nell'ambiente da portare alla disperazione anche collaboratori e sottoposti; spesso l'ebbrezza del potere gli stimola il sadismo, e così diventa pure crudele, mobbizza, spettegola, inventa fandonie per screditare tutti e spiccare nella sua nullità. Il «cretino mediatico» crede invece che il prestigio dipenda dalla notorietà, e fa di tutto per apparire ad ogni livello, dalla macchinetta del caffè alla tv.

Non bisogna dimenticare il frequente caso del «cretino che non sa di esserlo» e dà agli altri del cretino urlando e ringhiando. L'effetto è devastante. A quel punto tutti si domandano chi è il vero cretino. Quello che non sa di esserlo? O quello cui viene attribuita la patente del cretino e pur non essendolo ontologicamente lo diventa nel giudizio generale? È il delirio totale, è come essere finiti nel «paradosso del mentitore». Epimenide di Creta affermava che «tutti i cretesi sono mentitori»: essendo lui un cretese stava dicendo una cosa non vera? O una cosa vera che quindi smentiva l'assunto di partenza? Sostituite «cretese» con «cretino» e vi trovate nella vita quotidiana, in ufficio, per strada, al bar, dove piombano comandi d'ogni genere e non sapete a quale babbeo dare retta per non combinare danni.

C'è salvezza? Il compito è arduo perché, come dice un detto toscano, per i «bischeri non c'è medicina» (tradotto da Schiller «Contro la stupidità anche gli dei lottano invano»). Potete provare a fare i «finti tonti», ottima strategia per sopravvivere, finché non vi viene richiesto di impegnarvi e prendere a vostra volta una posizione cretina. Oppure potete rinunciare alla competizione, dedicarvi al vostro giardino mentre gli altri si scannano per il potere, leggere magari Seneca, Boezio, o Machiavelli


L'11 ottobre 1962 si apre il Concilio Vaticano II.

Espressamente voluto e preparato dal pontefice Giovanni XXIII;

dura fino al 1965 in diverse sessioni e viene concluso da papa Paolo VI .

Un video che ricorda l'evento.
Dalle «Omelie sui vangeli» di san Gregorio Magno, papa

(Om. 17, 3. 14; PL 76, 1139-1140. 1146)

La lingua dei predicatori

Sentiamo cosa dice il Signore nell'inviare i predicatori: «La messe è molta, ma gli operai sono pochi! Pregate dunque il padrone della messe, perché mandi operai per la sua messe!» (Mt 9, 37-38). Per una grande messe gli operai sono pochi; non possiamo parlare di questa scarsità senza profonda tristezza, poiché vi sono persone che ascolterebbero la buona parola, ma mancano i predicatori. Ecco, il mondo è pieno di sacerdoti, e tuttavia si trova di rado chi lavora nella messe del Signore; ci siamo assunti l'ufficio sacerdotale, ma non compiamo le opere che l'ufficio comporta.

Riflettete attentamente, fratelli carissimi, su quello che è scritto: «Pregate il padrone della messe, perché mandi operai per la sua messe». Pregate voi per noi, affinché siamo in grado di operare per voi come si conviene, perché la lingua non resti inceppata nell'esortare, e il nostro silenzio non condanni presso il giusto giudice noi, che abbiamo assunto l'ufficio di predicatori. Spesso infatti la lingua dei predicatori perde la sua scioltezza a causa delle loro colpe; spesso invece viene tolta la possibilità della predicazione a coloro che sono a capo per colpa dei fedeli.

La lingua dei predicatori viene impedita dalla loro nequizia, secondo quanto dice il salmista: «All'empio Dio dice: Perché vai ripetendo i miei decreti?» (Sal 49, 16).

Altre volte la voce dei predicatori è ostacolata colpevolmente dai fedeli, come il Signore dice a Ezechiele: «Ti farò aderire la lingua al palato e resterai muto. Così non sarai più per loro uno che li rimprovera, perché sono una genìa di ribelli» (Ez 3, 26). Come a dire: Ti viene tolta la parola della predicazione, perché il popolo non è degno di ascoltare l'esortazione della verità, quel popolo che nel suo agire mi è ribelle. Non è sempre facile però sapere per colpa di chi al predicatore venga tolta la parola. Ma si sa con tutta certezza che il silenzio del pastore nuoce talvolta a lui stesso, e sempre ai fedeli a lui soggetti.

Vi sono altre cose, fratelli carissimi, che mi rattristano profondamente sul modo di vivere dei pastori. E perché non sembri offensivo per qualcuno quello che sto per dire, accuso nel medesimo tempo anche me, quantunque mi trovi a questo posto non certo per mia libera scelta, ma piuttosto costretto dai tempi calamitosi in cui viviamo. Ci siamo ingolfati in affari terreni, e altro è ciò che abbiamo assunto con l'ufficio sacerdotale, altro ciò che mostriamo con i fatti. Noi abbandoniamo il ministero della predicazione e siamo chiamati vescovi, ma forse piuttosto a nostra condanna, dato che possediamo il titolo onorifico e non le qualità. Coloro che ci sono stati affidati abbandonano Dio e noi stiamo zitti. Giacciono nei loro peccati e noi non tendiamo loro la mano per correggerli. Ma come sarà possibile che noi emendiamo la vita degli altri, se trascuriamo la nostra? Tutti rivolti alle faccende terrene, diventiamo tanto più insensibili interiormente, quanto più sembriamo attenti agli affari esteriori. Ben per questo la santa Chiesa dice delle sue membra malate: «Mi hanno messo a guardiana delle vigne; la mia vigna, la mia, non l'ho custodita» (Ct 1, 6). Posti a custodi delle vigne, non custodiamo affatto la vigna, perché, implicati in azioni estranee, trascuriamo il ministero che dovremmo compiere.
Ci saranno senz'altro delle ragioni anche politiche,

ma il primato alle persone mi sembra da non trascurare.

Al giorno d'oggi non vedo molti altri esempi,

né di uomini politici né di ecclesiastici,

disposti a capire che normalmente non siamo dei Superman

e che nella vita bisogna fare bene una cosa...

e già ne avanza per fare la nostra parte!

don Chisciotte

 




Il sindaco non correrà per il secondo mandato in primavera «per motivi di famiglia»

Bologna, Cofferati non si ricandida

Sergio Cofferati non si ricandida «per motivi di famiglia» al secondo mandato di sindaco a Bologna, dove si voterà in primavera. «La prima persona a cui l'ho comunicato è stato il segretario del Pd Walter Veltroni», ha reso noto l'ex segretario generale della Cgil. «È stata una scelta esclusivamente familiare. Nel fine settimana mio figlio e la mia compagna erano a Bologna. E 600 km in due giorni per un bambino di pochi mesi - la compagna e il figlio di Cofferati vivono infatti a Genova e non intendono trasferirsi - non si possono replicare in continuazione. Non si può pensare che un bambino cresca passando gran parte del suo tempo su un'autostrada». (...)




«In genere è la donna che rinuncia, spero che si inauguri un nuovo stile»

Raffaella: abbiamo deciso insieme. Ormai Sergio era part time su tutto

La compagna di Cofferati: sono felice e molto orgogliosa di lui

«Mi dispiace per Bologna, certo. Ma io sono contenta, anzi felice. Sarei ipocrita a dire il contrario».

Il vincitore di questa collisione tra pubblico e privato assolutamente inedita in Italia è lei, Raffaella Rocca (...) «Cercando il retroscena si finisce sempre per sporcare la realtà. A me sembra che quello di Sergio sia un bell'esempio. Metter su famiglia è una cosa seria». (...) Decisione condivisa? «L'abbiamo presa insieme. Ma è venuto tutto da lui. Sergio si è reso conto che l'organizzazione che avevamo studiato quando sono tornata al lavoro non funzionava».

Quando è successo?

«Domenica sera. Lui era venuto a prenderci, ci aveva portato a Bologna, era la festa di San Petronio e doveva esserci. Il bambino stava male, ha sofferto il viaggio. Siamo tornati a Genova dopo una giornata massacrante. Si è seduto sul divano e mi ha detto "così non va". Il resto lo sapete».

Non c'era altra soluzione?

«Nonostante gli sforzi, Sergio si sentiva un padre assente. E quando vedeva Edoardo soffriva perché si era allontanato da Bologna. Non vuole essere un padre part time, e non si può chiedere a Bologna di accontentarsi di un sindaco part time. Aveva raggiunto un punto in cui qualunque cosa facesse si sentiva in colpa».

Accontentarsi dei fine settimana?

«Per i parlamentari sono sacri. Quello del sindaco è un mestiere diverso. Devi esserci sempre, la tua presenza è una legittima esigenza dei cittadini».

E venire lei a Bologna?

«Come no. Se l'immagina i titoli del giorno dopo sul sindaco che "piazza" la sua compagna in qualche ufficio? E poi a Genova abbiamo una prospettiva di futuro più lunga. Quella di Sergio a Bologna prevedeva altri cinque anni durante i quali io e Edoardo avremmo dovuto fare avanti e indietro. I bambini sono sono pacchi postali».

Nel tempo che diamo ai figli conta più la qualità della quantità. Non è così?

«Una stupidata. Per i bambini la quantità conta molto. Ne hanno bisogno».

Abbia pietà.

«La "qualità" è una invenzione mirata a placare i sensi di colpa dei genitori». (...)

L'amore non è già fatto. Si fa.

Non è un vestito già confezionato, ma stoffa da tagliare, preparare e cucire.

Non è un appartamento chiavi in mano, ma una casa da concepire, costruire, conservare e, spesso, riparare.

Non è una vetta conquistata, ma scalate appassionanti e cadute dolorose.

Non è un solido ancoraggio nel porto della felicità, ma è un levar l'ancora, è un viaggio in pieno mare.

Non è un SI' trionfale che si segna fra i sorrisi e gli applausi, ma è una moltitudine di “sì” che punteggiano la vita, tra una moltitudine di “no” che si cancellano strada facendo.

Non è l'apparizione improvvisa di una nuova vita, perfetta fin dalla nascita, ma sgorgare di sorgente e lungo tragitto di fiume dai molteplici meandri, qualche volta in secca, altre volte traboccante, ma sempre in cammino verso il mare infinito.


Michel Quoist

Vajont è il nome del torrente che scorre nella valle di Erto e Casso per confluire nel Piave, davanti a Longarone e a Castellavazzo, in provincia di Belluno (Italia).

La storia di queste comunità venne sconvolta dalla costruzione della diga del Vajont, che determinò la frana del monte Toc nel lago artificiale. La sera del 9 ottobre 1963 si elevò un immane ondata, che seminò ovunque morte e desolazione.


La stima più attendibile è, a tutt'oggi, di 1910 vittime. Vittime dell'interesse economico.

www.vajont.net


Un breve filmato che ricostruisce l'evento.

La Parola umile e sapiente giudica le parole presuntuose ed insipienti


"Chi crede di stare in piedi, guardi di non cadere" (1Cor 10, 12)

"Ecco, tu confidi su questo sostegno di canna spezzata, che è l'Egitto, che penetra nella mano, forandola, a chi vi si appoggia; tale è il faraone re di Egitto per chiunque confida in lui" (2Re 18,21).

"L'uomo nella prosperità non comprende, è come gli animali che periscono. Questa è la sorte di chi confida in se stesso, l'avvenire di chi si compiace nelle sue parole" (Sal 49,14).

"Chi confida nella propria ricchezza cadrà" (Pr 11, 28).





Blitz in sala: «Se io qui, tutto sotto controllo»

Crisi: il Berlusconi-show al Bagaglino

«Abbiamo preso un provvedimento grazie al quale nessun italiano perderà un euro». Il pubblico applaude

di Fabrizio Roncone

(...) Mentre il sipario si chiude e tutti pensano di potersene andare al bar: e invece no, perché c'è lui, appunto, c'è Silvio Berlusconi che si alza di colpo e saluta con la mano, e lo vedono tutti che è raggiante. Applauso che sale, che cresce, qualche signora che grida eccitata. E lui lì, che fa segno di star giù, di smetterla, che chiede un po' di silenzio, «perché, signori e signori, ho qualcosa da dirvi...». (...) «Sono venuto per dirvi che stasera, a Palazzo Chigi, abbiamo preso un provvedimento grazie al quale in questa crisi nessun italiano... e ripeto: nessun italiano perderà neppure un euro». Seconda bordata di applausi. (...) «Ecco, sono venuto proprio per dimostrarvi che la situazione è sotto controllo». (...) «Vi confesso una cosa: io non dico di essere il migliore, ma davvero, se mi guardo intorno... non vedo nessuno migliore di me». Ride lui e ridono tutti. (...) E lui: «Posso darvi un consiglio? Bisogna tenere i titoli nel cassetto e aspettare. Lo faccio anche io, per capirci, con Mediaset. Il valore del titolo ce l'ho avuto prima su, intorno ai 20 euro, poi giù, sugli 11... oggi eravamo sui 3,90... ma io sono tranquillo... Ripeto: bisogna stare calmi. Non dovete farvi prendere dal panico...». Sta spiegando la crisi economica mondiale con toni e termini rassicuranti. Un comizio casalingo. (...) Il Cavaliere prosegue: «Vi dicevo del panico. Questa mattina, i direttori delle banche mi hanno fatto sapere che i loro clienti andavano agli sportelli disperati, tutti che volevano portar via i soldi per poi metterli, non so, sotto il materasso... Ecco, è per questo che sono venuto. Per rassicurarvi tutti... anche perché, ve lo giuro: noi, in Europa, siamo quelli che stanno meglio». Poi racconta un paio di barzellette. Quella in cui tutti si piegano dalla risate è questa: «Allora, c'è un tizio che entra in un ristorante e vede una bella signora. Si volta, e fa all'amico: oh, io me la farei. E l'amico: scusa, ma quella sarebbe mia moglie... E l'altro: beh, pagando, s'intende...». Intanto, la pattuglia di ragazze è riuscita a infilarsi nella mischia. Berlusconi le nota, le lascia avvicinare. Seguono complimenti, e non solo. Ad una, la più carina, Berlusconi dispensa infatti il solito vecchio consiglio: «Dammi retta... fatti sposare da uno ricco». Poi, di colpo, spruzza lì un po' di politica: «Ma vi sembro un dittatore? Quelli della sinistra non fanno che ripeterlo... dicono che c'è un regime... allora, vi sembro un dittatore? Mah, sono davvero dei pazzi... ». (...)




Dopo che certe barzellette divertenti ed edificanti le diffonde il Presidente del Consiglio della Repubblica Italiana al Bagaglino, consiglio che le insegni almeno anche al Presidente della Repubblica, della Camera, del Senato, al Ministro della Pubblica Istruzione, al Direttore della Sala Stampa Vaticana, ai nuovi Premi Nobel, a Dante Alighieri, all'Accademia della Crusca e, certamente, al Papa e al Dalai Lama!

Basta che poi non ci meravigliamo se le istituzioni non hanno più nessuna credibilità!

"Mail Goggles". Prima di inviare un'email si accerta che l'utente sia lucido. Con un test logico

"Non mandare quel messaggio": così Gmail ti protegge dalle gaffe


Si attiva nelle ore più a rischio di impulsi improvvisi, ovvero di notte nel weekend

E' capitato a tutti, almeno una volta: si clicca impulsivamente sul tastino "invio" per poi trovarsi a cosa fatta a rimuginare se non proprio a maledirsi, per aver mandato un'email azzardata, sbagliata, inoppurtuna. Dichiarazione d'amore al collega o improvvida comunicazione al capo poco importa: il danno è fatto. E, guardacaso, non succede quasi mai di martedì mattina. La gaffe è in agguato soprattutto nelle ore notturne del weekend, complici una birra o un cocktail di troppo.

Ora Google corre ai ripari: per gli utenti della sua popolarissima Gmail sta testando un apposito servizio contro i rimpianti del mattino dopo. Si chiama "Mail Goggles" e per ora è solo in fase sperimentale. Si attiva nelle ore piccole del weekend, e prima di permettere l'invio di un messaggio e-mail controlla che chi scrive sia in possesso delle sue facoltà logiche e mentali. Come? Sottoponendogli un semplice problemino matematico. Se in un tempo ragionevole si riesce a calcolare quanto fa 11 per 2 o 48 meno 38, Gmail deduce che l'utente è sobrio e quindi in grado di reggere tutte le conseguenze delle sue azioni - e missive - telematiche. Se, al contrario, non riesce neppure a fare cinque per due, il filtro entra in azione: e al mattino dopo l'utente potrà ringraziare papà Google per aver stoppato il messaggio prima del fatidico invio. (...)

"Non posso":

È una parola che pronunciamo con troppa leggerezza.

È una parola micidiale.

È una parola che spesso liquida i problemi senza lasciarceli neppure affrontare.

È una parola che molto spesso uccide la nostra carità.

Ho ricevuto una lettera da un lebbrosario.

È di una nostra sorella che vive tra i lebbrosi. Scriveva:

«Oggi ho avuto tanta forza da una scena che Dio mi ha messo sotto gli occhi:

ho visto un povero lebbroso che non cammina più,

un lebbroso che si trascina senza gambe,

l'ho visto aiutare un bambino poliomelitico a camminare.

Il piccolo era aggrappato alle sue spalle

e lui si trascinava carponi intorno alla capanna per farlo camminare.

La scena mi ha fatto piangere».

Ha commosso anche me

e ho chiesto perdono a Dio per tutte le volte che davanti ad una carità

ho detto: "Non posso".

Ci siamo tanto abituati a quelle due parole che le portiamo in noi costantemente.

È un cliché preparato dal nostro egoismo.

Quando è che in realtà «non possiamo»?

Se non possiamo fare noi possiamo almeno trovare chi farà per noi.

Se non possiamo fare oggi possiamo fare domani.

Se non possiamo fare tutto possiamo almeno fare qualcosa.

È tremendo dire: "Non posso".

È la ghigliottina della carità cristiana.

Bisogna bandire quelle parole.

Quando non posso veramente, posso almeno calarmi nel bisogno del fratello

e versare una lacrima con lui.

"Uomini e donne ai quali devo la vita, vi sento dietro di me, mentre scrivo. Tutte le vostre sagome sulla mia schiena, i vostri volti usciti dall'ombra! In piedi sulla prua della nave, sento dietro di me la vostra densa folla, da così tanto tempo sottoposta al silenzio della morte. La mia tenerezza, il mio interesse per voi vi risvegliano. Sento il vostro fervido ondeggiare oltre le mie spalle. Io, figlia di Anna e di Franz, nipote di Bernhardt e di Julia, di Franz e di Maria, nipote di Sally e di..., di Anna e di... Già il vento porta via i vostri nomi. Già la mia ignoranza non è più in grado di restituirveli. E tuttavia la vostra folla amorosa è là - calorosa, frusciarne, molteplice, sempre a due a due nella catena ininterrotta delle generazioni. Amanti, luminosi amanti, sposi, spose, oltre i disastri e le glorie della vita, oltre i naufragi e le lacerazioni, oltre tutto ciò che ha soffocato la lode
Il parroco: "Prima i cristiani dei cani!"

Il testo integrale della cartolina del parroco di Spinea (Ve), don Marco Scattolon

Caro cane,


mi sono ripercorso la Bibbia cercando appigli per parlare bene di te. Su 36 citazioni trovate, 32 erano di disprezzo, solo nel libro di Tobia si parla bene del cane oltre che nella creazione. Il cane è diventato, oggi, animale da compagnia; sappiamo che c'è la grande, triste, spietata solitudine dell'uomo ed il cane di qualsiasi tipo, razza, dimensione, colore e pedigree, la può dare rimpiazzando l'assenza dei parenti. Guai se a certe persone morisse il cane! I ragazzini al camposcuola, al memento dei defunti nella messa, intervengono: "Io ricordo, il nonno, io la nonna defunta,...io il mio cane". Ormai gli animali sono equiparati agli umani: si parla col cane, si chiedono informazioni ai giardini su dove l'altro compera i croccantini, liscia il pelo o lima le unghie del suo cane. A volte si stimano di più le persone che hanno un cane simile al proprio, perchè quelle persone a modo, educate e di buoni sentimenti più delle altre. Ormai è il cane che scandisce l'orario del padrone. Un amico mi raccontava: "Ieri sera, ho telefonato a mia mamma un po' più tardi e mi hanno rimproverato per l'ora perchè il cane già dormiva e non si poteva disturbare". Aumentano i negozi che abbinano veterinario al parrucchiere per cani. Basta guardarsi attorno "Qua la zampa! - Fido ti lavo - Collare di stelle - Barba, baffi e pelo lucido" sono negozi per estetica canina. E così giovinastri senza studi e specializzazioni hanno trovato l'America con i cani. "Ho smarrito cagnetta..." trovo scritto spesso sulla porta della Chiesa oppure "Vendo cuccioli di gran pregio...", c'è chi offre "Casa Pensione per cani (e gatti) aperto tutto l'anno, box riscaldati o con 5.000 mq di verde. Dire BAU, salutandosi, sembra diventare una prospettiva per il domani. Anche a casa nostra avevamo il cane, ma per difendere il pollaio e la casa, viveva all'aperto nella cuccia e mangiava le briciole della nostra sobria tavola. Ad un cane si può dare una carezza o un pizzicotto, ma... - c'è gente che spende più per il suo cane che per la sua carità cristiana; - c'è gente che fa più carezze al cane che al suo anziano; - c'è gente che appena sposata compra il cane e non "compra" un figlio; - c'è gente che si scandalizza se il consorzio dei nostri comuni non ci provvede di un bel canile accessoriato. Io spero che prima si provveda ad una casa di prima accoglienza per quei terzomondiali che dormono sulle panchine o dentro le case diroccate. Ne conosco più di uno. Prima i cristiani dei cani! Si troveranno i soldi per il canile zonale prima che per una casa per i fratelli terzomondiali? Se sì, giuro che suonerò campane a morto, per un buon tempo, perchè sarà morta la fraternità umana. Diceva Gesù: "Non date le cose sante ai cani, date loro le briciole". I telegiornali finiscono sempre con notizie su animali, mai notizie dall'Africa: sulla siccità o le epidemie, sugli acquedotti e le scuole inaugurate. Parlino delle belle iniziative delle Associazioni: Mato Grosso, Amnesty, Emergency o altre ancora che chiedono sostegni e realizzano progetti! E ai cani diamo gli avanzi dei nostri pasti, non le scatolette piene di sonniferi: un cane ama la libertà, la terra e le corse non il guinzaglio, il salotto e il passo lento come il nostro. Che "vita da cani" facciamo fare loro! Se hai un cane: trattalo bene, ma non sostituisca i poveri o l'affetto tra familiari. Saranno belle anche le sfilate dei cani, perchè sono affettuosi e gioiosi, ma sono animali...e io i sacramenti a loro non li posso dare. Ci sarà un perchè!

 




"San Francesco si è convertito per un lebbroso, non certo ad un cane"

Dopo il clamore provocato dal suo editoriale pubbblicato sul bollettino parrocchiale, Don Marco Scattolon, parroco di Spinea, ribadisce il suo punto di vista in un nuovo scritto: «Volevo solo diffondere un messaggio cristiano: le persone devono venire prima degli animali. Io scrivo per i cristiani, gli animalisti probabilmente danno priorità ad altre cose». Il parroco ha voluto anche dare risposta, in maniera netta, alle molte persone che hanno ricordato il rapporto speciale di San Francesco con gli animali: «San Francesco si è convertito dopo l'abbraccio a un lebbroso, non certo ad un cane. E finiamola con la storia del lupo di Gubbio: quello non era un animale, ma un proprietario terriero chiamato così per la sua ferocia». Don Marco risponde poi anche alle questioni locali che gli erano state avanzate, negando che a scatenare l'invettiva canina sia stata la marcia a sei zampe promossa dal Comune e dall'associazione Egriss: «Pura coincidenza. Mi riferivo, piuttosto, all'idea del consorzio dei comuni di creare un canile iper-accessoriato per il nostro comprensorio. Non è possibile, invece che pensare a costruire case di accoglienza per i fratelli del Terzo mondo pensiamo a proteggere i cani?». Il nuovo editoriale del parroco continua a essere particolarmente duro con chi lavora nel settore canino, in precedenza già definiti canino giovinastri senza studi e senza specializzazioni: «Non è una frase mia, l'ho ripresa da una rivista di sinistra. Ma lo penso veramente, non è possibile che i telegiornali dedichino interi servizi agli animali trascurando notizie importanti come il summit di Riccione di Emergency per i Paesi dell'Africa». E a quegli animalisti che, come forma di protesta, hanno minacciato di invadere la chiesa con i loro cani il parroco rispode con vecchio detto veneziano: «Star mal come un can in cièsa. Significa far soffrire una povera bestia costretta a subire qualcosa che non gli interessa. Se a loro va di far soffrire i loro cani, vorrà dire che sono più animalista io di loro...».

"A noi certe cose non succedono": così scriveva, dopo un paio di giorni dall'omicidio di Abdul Salam Guibre, un giornalista sulle colonne di un quotidiano di destra. La frase è terribile e tuttavia riassume il pensiero di molti cittadini milanesi, di quei tanti cittadini “normali” che sono maggioranza e che fanno la città. Non è solo la politica che nell'ultimo decennio ha definitivamente tracimato, divenendo spazzatura: è la cosiddetta società civile che non c'è più, è l'opinione pubblica che straparla, è lo spirito del tempo

"Non immaginavo minimamente di potere avere alcuna capacità di contatto con gli altri né di saper assumere importanti responsabilità o divenire addirittura per alcuni punto di riferimento. Mi sentivo povero, intellettualmente molto modesto. Il Signore invece nella sua bontà ha voluto prendere questa modestia e valorizzarla. Perciò riconosco la bontà del Signore e di tutti coloro che mi sono venuti incontro e mi hanno aiutato e anche valorizzato. Si può dire che in qualche modo da ragazzo io avevo paura della vita. Ero timido, molto chiuso. Poi la vita si è rivelata diversa. Le strade si sono aperte, molti mi hanno aiutato. Perciò ora non percepisco rimorsi, ma sento riconoscenza grandissima per tanti eventi che sono successi nella mia vita e che mai avrei immaginato".


Carlo Maria Martini


Nella sezione Testi trovi l'articolo completo


Sul sito della diocesi la voce del card. Martini


Siamo lieti di presentarvi in anteprima il primo volume della collana

Dossier teologici del Seminario di Milano:

"Liberaci dal Maligno".

Un modo serio, equilibrato, fondato

di affrontare un tema complesso e spesso travisato.

Se le parrocchie abbattono la foresta amazzonica

di mons. Mario Delpini

Avvenire - Milano 7 - 18.05.08


Non so se sia la foresta amazzonica o le pinete norvegesi a temere l'estinzione: certo il pericolo incombe. Documenti dei vescovi, circolari degli uffici, volantini dei gruppi, promemoria delle iniziative, pubblicità delle manifestazioni: tutti hanno bisogno di carta. Nuove tecnologie promettevano un risparmio consistente, invece di quintali di carta ecco impalpabili messaggi via e-mail. Ma il risparmio divenne uno sperpero: ogni testo si deve stampare. Moltiplicare, adattare con il taglia-incolla. Anche chi non sa né leggere né scrivere produce testi di poesia, gonfia bollettini, entra dappertutto con comunicati e inviti. Le caselle postali traboccano, cumuli di carta, riviste, fotocopie, si impolverano su scaffali e scrivanie. Chi ha tempo di leggere tutto quello che si scrive? E quale, fra tante, è la pagina che merita di essere letta? Uomini di buona volontà si impegnarono una volta in considerazioni e suggerimenti per ridurre il numero di documenti e pubblicazioni, a vantaggio delle foreste e a sollievo dei destinatari. Il risultato? Produssero un nuovo, voluminoso, importante documento. E chi l'ha letto? Impareremo l'arte dell'essenziale e troveremo il tempo per pensare.
Ieri sera alcuni TG hanno intervistato un cardinale,

che è apparso in camicia e cardigan blu.

Nel post del 25 settembre avevamo parlato con sospetto di "ordinarietà sobria";

qui ne abbiamo avuto un esempio autentico, senza falsità.

Io vedo poca televisione, ma non ricordo di aver mai visto un cardinale

lasciarsi intervistare con gli abiti consueti di un semplice ottantunenne.


Una piccola sentinella di silenzio veglia giorno e notte sul nostro cuore.

Le parole d'amore le portano di che nutrirsi.



Ch. Bobin, Il distacco dal mondo, 31
Il metodo De Filippi attraverso tre punti

di Aldo Grasso

«Il ballo delle debuttanti», il nuovo reality voluto da Maria De Filippi e condotto da Rita Dalla Chiesa è poco avvincente dal punto di vista spettacolare ma molto interessante da quello sociologico. I prodi osservatori di costume, delusi dalla politica, ribadiranno così che la De Filippi è un periscopio che esplora la superficie della collettività (Canale 5, domenica, ore 21.25). Seguendo la trasmissione, una specie di reality dove 12 ragazze di età compresa tra i 18 e i 23 anni «iniziano il loro percorso formativo per debuttare alla vita», ci sono infatti tre elementi che possono aiutarci a capire a che punto è l' identificazione fra tv e vita. Il primo. Come ha già osservato brillantemente Walter Siti, la tv generalista italiana è dominata da un universo omosessuale: l' estetica, rappresentata da balli, vestiti, buone maniere, è qualcosa che assomiglia molto a una nuova affermazione di identità legata al gender, e modellata su un immaginario queer (qui persino troppo caricaturale, di maniera). Il secondo. Molte trasmissioni sono una parodia della scuola: una strana istituzione dove vige un metodo d' insegnamento basato sulla lite continua: le ragazze chic contro le pop, gli insegnanti contro gli allievi, gli opinionisti (c' é persino Diaco con una sua giovane accompagnatrice) contro gli insegnanti. Al fondo, si immagina sempre una preside vestita di pelle nera con la frusta in mano. Si cresce litigando, si matura scambiandosi ingiurie, si coltiva la rabbia e l' invidia come molle dell' elevazione sociale, né chic né pop. Il terzo. Tutte le trasmissioni della De Filippi hanno uno strano fondo di pedagogia: il suo ideale di vita e di tv consiste nel traghettare la coatteria all'onor del mondo (da questo punto di vista il suo capolavoro è l' invenzione del tronista), di mascherare il greve (come una signorina deve leccare il gelato) con il galateo. Ancora una volta, il limite di ogni volgarità è solo una volgarità più grande.