2017_10_ottobre
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Se predicare è generare
di Marco Ronconi
Predicare male non è un peccato veniale ma mortale, così afferma la tradizione della Chiesa cattolica. (...) Gregorio Magno afferma che «con grande impegno i pastori d’anime devono far in modo non solo di non proclamare mai degli errori, ma anche di non esporre la verità in modo prolisso e disordinato, perché spesso l’efficacia della parola sfuma quando è indebolita presso il cuore degli ascoltatori da una verbosità inopportuna e incauta». (...). Il fine della parola del pastore d’anime è lo stesso del seme: concepire. Il gioco di parole è con il termine conceptus che in latino significa «concepito, generato», ma anche «concetto, idea». «Come dunque chi è affetto da flusso di seme è ritenuto immondo, così è chi si abbandona al multiloquio: contamina se stesso con ciò da cui – se ordinatamente emesso – avrebbe potuto dar vita alla prole del retto pensiero nel cuore degli ascoltatori». Non solo manca al suo ruolo di padre, ma si sbrodola in modo imbarazzante, verrebbe da dire. (...). Una predica «prolissa e disordinata», quindi caratterizzata da una «verbosità inopportuna e incauta» costituisce un peccato grave (...). Gregorio considerava anche l’ipotesi che predicare male fosse una malattia da cui era possibile guarire con le adeguate cure, tuttavia il discorso si farebbe troppo lungo. È interessante invece aggiungere che anche il suo attuale successore ha dedicato all’omelia una lunga sezione di Evangelii gaudium (nn. 110-175): pure Francesco sa che ogni domenica è a rischio non solo la pazienza del popolo, ma soprattutto la salvezza dei pastori. In un passo molto bello avverte che caratteristico dell’omelia è un particolare tipo di linguaggio, da cui dipende la «fecondità»: esso «si deve favorire e coltivare mediante la vicinanza cordiale del predicatore, il calore del suo tono di voce, la mansuetudine dello stile delle sue frasi, la gioia dei suoi gesti. Anche nei casi in cui l’omelia risulti un po’ noiosa, se si percepisce questo spirito materno-ecclesiale, sarà sempre feconda, come i noiosi consigli di una madre danno frutto col tempo nel cuore dei figli».
Jesus, ottobre 2017
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Gesù disse: «In verità, in verità io vi dico: chi crede in me, anch’egli compirà le opere che io compio e ne compirà di più grandi di queste, perché io vado al Padre» (Gv 14,12).
Solitamente viene spontaneo dire (o pensare!): "Io riesco meglio di te in questa faccenda!".
Abbiamo paura che qualcuno ci superi, appaia migliore di noi, guadagni punti agli occhi di chi ci sta vicino.
A chi si può dire: "Tu farai cose più grandi di me?".
Solo a una persona di cui non si ha paura;
solo ad una persona a cui si vuole augurare solo il meglio;
ad una persona che si ama, più della propria realizzazione personale.
don Chisciotte Mc
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«Quale discepolo di Gesù devo interrogarmi e non restare tranquillo, come se la fede fosse un dato acquisito una volta per sempre. Il cammino della fede si rivela in realtà faticoso, difficile, pieno di tentazioni, ed è per questo che la fede va custodita, esercitata e soprattutto costantemente rinnovata perché non venga meno. Affinché la nostra fede resti viva, occorre non solo vigilanza ma anche preghiera, invocazione al Signore perché ci renda saldi nelle avversità e nelle tentazioni. Ognuno di noi deve sentire rivolte anche a sé le parole di Gesù: “Ho pregato per te, perché la tua fede non venga meno” (Lc 22,32)».
Enzo Bianchi
Qui tutto l'articolo:
http://www.monasterodibose.it/fondatore/articoli/articoli-su-riviste/11873-ho-fiducia-nel-signore
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Lo stupore. Il dono di un mondo sempre diverso
di Nunzio Galantino
«Non bastano bei panorami. Bisogna anche saper guardare. Oltre la bellezza, è necessario lo stupore» (D. Pirri).
Al sostantivo “Stuporem” (acc. di stupor -oris) e al verbo latino “stupere” (“star fermo, immobile”) rimanda la parola “Stupore”. La terminazione “orem” è propria dei sostantivi verbali che indicano uno stato d’animo. Nel nostro caso, lo “star fermo” (di “stupere”) non ha un significato fisico; si riferisce piuttosto al crearsi di una condizione interiore tale da bloccare e togliere quasi la capacità di parlare e di agire.
Dal punto di vista medico lo stupore è una forma di plasticità mentale, è una reazione o, meglio, una preliminare non-reazione del nostro corpo di fronte a un’emozione improvvisa o a una situazione imprevista. Il nostro cervello registra l’evento improvviso e inatteso inizialmente per proteggersi e difendersi. Per questo attiva amigdala e sistema limbico, che entrano in gioco quando, appunto, ci si rende vulnerabili di fronte a un potenziale pericolo. L’amigdala e il sistema limbico, successivamente, trasformano l’emozione improvvisa in stimolo per conoscere, trasformando la paura in curiosità e il pericolo in scoperta. Si attivano quindi funzioni cognitive superiori capaci di stabilire nessi tra la cosa sorprendente e quanto già si conosce. Il risultato è lo stupore. Dopo essere “rimasti di sasso” o “a bocca aperta”, si apprende qualcosa, in fretta e
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«Gelosie, invidie, inimicizie, spaccature: il risentimento non è cristiano». Caino e Abele e la parola fratello. Per la prima volta nella Bibbia si usa questa parola. «Una fratellanza che doveva crescere, essere bella e finisce distrutta», commenta papa Francesco, perché comincia con «una piccola gelosia». «Caino preferì l’istinto, preferì cucinare dentro di sé questo sentimento, ingrandirlo, lasciarlo crescere», spiega papa Francesco. «Questo peccato che farà dopo, che è accovacciato dietro il sentimento. E cresce. Cresce. Così crescono le inimicizie fra di noi: cominciano con una piccola cosa, una gelosia, un’invidia e poi questo cresce e noi vediamo la vita soltanto da quel punto e quella pagliuzza diventa per noi una trave, ma la trave l’abbiamo noi, ma è là. E la nostra vita gira intorno a quello e quello distrugge il legame di fratellanza, distrugge la fraternità».
Si finisce per essere «ossessionari» dal male della gelosia. ««E così cresce, cresce l’inimicizia e finisce male. Sempre. Io mi distacco da mio fratello, questo non è mio fratello, questo è un nemico, questo dev’essere distrutto, cacciato via … e così si distrugge la gente, così le inimicizie distruggono famiglie, popoli, tutto! Quel rodersi il fegato, sempre ossessionato con quello. Questo è accaduto a Caino, e alla fine ha fatto fuori il fratello. No: non c’è fratello. Sono io soltanto. Non c’è fratellanza. Sono io soltanto. Questo che è successo all’inizio, accade a tutti noi, la possibilità; ma questo processo dev’essere fermato subito, all’inizio, alla prima amarezza, fermare. L’amarezza non è cristiana. Il dolore sì, l’amarezza no. Il risentimento non è cristiano. Il dolore sì, il risentimento no. Quante inimicizie, quante spaccature».
«Anche nei nostri presbiteri, nei nostri
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« (Apostoli,) cercate di descriverci l'esperienza che si è mossa dentro di voi! penso che insisterebbero sull'esperienza dell'andare un po' fuori di sé, un po' fuori di senno, spiegandola come un innamorarsi di qualcuno, un essere irresistibilmente attratti da qualcuno. Prima avevamo una certa stima di Gesù ed eravamo anche un po' curiosi; adesso siamo con lui, dalla sua parte, sentimo di volergli bene, sentiamo che il nostro cuore è stato preso».
Carlo Maria Martini, La gioia del vangelo, 82-83
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"Oggi devo fermami a casa tua" - meditazione 2:
files/CP_GGPII/Adulti/CPGGPII_adulti_in_cammino_171019_meditazione2.pdf
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"Quando si diventa forti?”, chiesi.
Ed ella con un delicato sorriso rispose:
“Quando imparerai a non fare del male a nessuno".
Alejandro Jodorowsky
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«Due tipi di intelligenza. La prima trova alimento nel ragionamento. Va dalle cause agli effetti, da una cosa alla sua conseguenza, da un inizio a una fine. La conseguenza, l’effetto, la fine, sono per essa dei luoghi di riposo. Ecco da dove sono partito ed ecco dove passero` la notte. Faccio 2 + 2 e mi addormento sul 4. Cerco, poi trovo e in cio` che trovo non c’e` niente di piu` ne´ di meno che quello che cercavo.
La seconda intelligenza ha bisogno dell’amore e non trova requie da nessuna parte. Non va da una cosa vecchia (la causa, l’inizio, il 2 + 2) a una cosa che avvizzisce non appena la si raggiunge (l’effetto, il termine, il 4). Va dall’eternamente nuovo all’eternamente nuovo, dallo sconosciuto che e` in noi allo sconosciuto che e` nell’altro. Per questa intelligenza non esiste nessuna sosta possibile, nessun risultato di cui inorgoglirsi e in cui guadagnare un meritato riposo. Non c’e` mai un risultato – ma un movimento continuo. L’amore nutre e sollecita questo movimento: piu si ama e piu` cio` che si ama e` da scoprire, cioe` da amare ancora, ancora, ancora».
Christian Bobin, Autoritratto al radiatore
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Oggi inizia il Percorso Verso il Matrimonio cristiano. Pensiamoci, con un sorriso (pieno di belle speranze).
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Tra capacità personali, gusto per il basket e per la musica, chiamata di Dio, servizio nelle strade... qual è il mix?!
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"Oggi devo fermami a casa tua" - meditazione 1:
https://www.seitreseiuno.it/files/CP_GGPII/Adulti/CPGGPII_adulti_in_cammino_171012_meditazione1.pdf
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«Non c’è costruttore di pace che alla fine dei conti non abbia compromesso la sua pace personale, assumendo i problemi degli altri: chi non lo fa non è un costruttore di pace, è un pigro, è un comodo. Non c’è costruttore di pace – ha ripetuto il Papa – che alla fine dei conti non abbia compromesso la sua pace personale, assumendo i problemi degli altri, perché il cristiano rischia, ha il coraggio di rischiare per portare il bene che Gesù ci ha regalato come un tesoro».
papa Francesco, udienza 11.10.2017
qui tutto l'articolo: http://www.lastampa.it/2017/10/11/vaticaninsider/ita/vaticano/assumere-i-problemi-altrui-a-costo-di-perdere-la-propria-pace-fwSXGiFfCj0kBx9WW2NlfO/pagina.html
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Collega. Insieme per obiettivo comune
di Nunzio Galantino
In modo appropriato e senza incertezze, si ricorre alla parola “collega” per indicare la persona che condivide assieme a noi il lavoro o una carica. Dal verbo latino colligere (riunire, mettere insieme), il lemma “collega” rimanda al legame che si instaura tra due o più persone per il raggiungimento di un obiettivo comune. La condivisione di una responsabilità o di un percorso o la semplice condivisione di azioni necessarie crea il legame. Un legame che genera (o può generare) la solidarietà fra “colleghi”, la voglia di dare consistenza al rapporto trasformandolo in amicizia o in piena condivisione. Con l’avvertenza che «Ritrovarsi insieme è un inizio, restare insieme è un progresso, ma riuscire a lavorare insieme è un successo» (Henry Ford). A proposito e senza voler assolutizzare, si dice che negli Stati Uniti il lavoro di gruppo sia orientato ad aumentare la produttività; mentre in Giappone, senza escludere il tema della produttività, si vede nell’attività di gruppo un modo sicuro per incrementare le abilità e le conoscenze delle persone. Questa diversità di orientamento fa emergere una differenza sostanziale nell’ “essere colleghi”. Se nel primo caso il collega agisce con gli altri per massimizzare il profitto, nel secondo, lo stare insieme tende a migliorare tutti e ciascuno. E così il tempo condiviso per il raggiungimento di un obiettivo può diventare tempo “vissuto” insieme, soprattutto se il lavoro fatto insieme diventa occasione per una relazione profonda che permane anche dopo l’esperienza lavorativa.
Ma, quante volte ci siamo sentiti dire che il collega non è l’amico? Il primo, a differenza
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... è solo perché già sono stato trovato e questo dono mi ha messo in cammino!
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«Ciò che trovo è mille volte più bello di ciò che cerco».
Christian Bobin, Autoritratto al radiatore
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«Accanto alla gratitudine, l'amicizia è una fonte del senso della vita, amicizia verso persone alle quali posso chiedere sempre, con cui posso parlare non solo dei successi, ma anche delle preoccupazioni. Gli amici si rivelano tali quando, diventato debole, posso confidarmi con loro. Del senso della vita fanno parte le persone che possono contare su di me e i compiti da svolgere. Il senso è come l’acqua in cui nuoto. Il senso evolve. Se ti fai forte per coloro che hanno bisogno di particolare protezione e ti cercano, se diventi per loro avvocato, pastore, amico, il senso si consolida nella tue e nella loro vita».
Carlo Maria Martini, Conversazioni notturne a Gerusalemme
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