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Erri De Luca, Alzaia, 67
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Mir zainen do ("Noi siamo qui"): è un canto yiddish dei partigiani del ghetto di Vilna, in Lituania. Noi siamo qui: ci sono momenti in cui le fibre sfilacciate di un popolo si rianimano e nasce nella resistenza all'oppressione una nuova consistenza. Essa comincia sempre con una specie di "eccoci".
Abramo pronuncia il suo, quando Dio lo chiama per mandarlo a sacrificare suo figlio Isacco sul monte Moria. A Dio che lo chiama, risponde: hinnèni, eccomi. Ridice ancora la sua ardita parola al figlio che gli rivolge la terribile domanda: "Dov'è l'agnello per l'olocausto?". L'ultimo degli eccomi lo dirà a fiato corto quando l'angelo per due volte chiamerà il suo nome, per fermargli la mano armata sulla gola del figlio. Non aveva mai detto questa parola prima della prova di obbedienza richiesta da Dio e non la dirà più.
E buono a sapersi che anche Iod/Dio può dire il suo hinnèni alla creatura che lo chiama. Ce lo annuncia Isaia (58, 9): "Allora chiamerai e Iod risponderà. Strillerai e dirà: 'eccomi'". Eccomi è voce dei momenti di verità, quando si è chiamati a rispondere di sé. È il passo avanti, lo scatto che fa uscire dai ranghi e porta a uno sbaraglio. È la più bella parola che si possa pronunciare in quei momenti, un dichiararsi pronti, anche se non lo sì è affatto. Prima di usarla bisognerebbe allenarsi a pensarla più spesso.
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«Talvolta un pensiero mi annebbia l'Io: sono pazzi gli altri, o sono pazzo io?»
Albert Einstein
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Voi che vivete sicuri
Considerate se questo è un uomo
Meditate che questo è stato:
Coricandovi alzandovi;
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Un anno fa cominciavo la convivenza con la mia "Lady". "First" non di fatto, ma di diritto.
Dopo "Vagabonda", ma nel cuore da sempre.
Ecco come la trovai:
La prima trasferta, per presentarla ai miei:
Le ho costruito una tettoia apposita,
e le ho fatto conoscere alcuni amici:
In dodici mesi abbiamo fatto 10.000 km, nella massima fedeltà reciproca:
grazie, First Lady!
Ma perché lasciarla sola e non pensare ad una sorellina?!
Ecco un "piccolo" sogno:
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La devozione è possibile in ogni vocazione e professione.
Nella creazione Dio comandò alle piante di produrre i loro frutti, ognuna “secondo la propria specie” (Gn 1, 11). Lo stesso comando rivolge ai cristiani, che sono le piante vive della sua Chiesa, perché producano frutti di devozione, ognuno secondo il suo stato e la sua condizione. La devozione deve essere praticata in modo diverso dal gentiluomo, dall'artigiano, dal domestico, dal principe, dalla vedova, dalla donna non sposata e da quella coniugata. Ciò non basta, bisogna anche accordare la pratica della devozione alle forze, agli impegni e ai doveri di ogni persona. Dimmi, Filotea, sarebbe conveniente se il vescovo volesse vivere in una solitudine simile a quella dei certosini? E se le donne sposate non volessero possedere nulla come i cappuccini? Se l'artigiano passasse tutto il giorno in chiesa come il religioso, e il religioso si esponesse a qualsiasi incontro per servire il prossimo come è dovere del vescovo? Questa devozione non sarebbe ridicola, disordinata e inammissibile? Questo errore si verifica tuttavia molto spesso. No, Filotea, la devozione non distrugge nulla quando è sincera, ma anzi perfeziona tutto e, quando contrasta con gli impegni di qualcuno, è senza dubbio falsa.
L'ape trae il miele dai fiori senza sciuparli, lasciandoli intatti e freschi come li ha trovati. La vera devozione fa ancora meglio, perché non solo non reca pregiudizio di alcun tipo di vocazione o di occupazione, ma al contrario vi aggiunge bellezza e prestigio.
Tutte le pietre preziose, gettate nel miele, diventano più splendenti, ognuna secondo il proprio colore, così ogni persona si perfeziona nella sua vocazione, se l'unisce alla devozione. La cura della famiglia è resa più leggera, l'amore fra marito e moglie più sincero, il servizio del principe più fedele, e tutte le altre occupazioni più soavi e amabili. E' un errore, anzi un'eresia, voler escludere l'esercizio della devozione dall'ambiente militare, dalla bottega degli artigiani, dalla corte dei principi, dalle case dei coniugati. E' vero, Filotea, che la devozione puramente contemplativa, monastica e religiosa, può essere vissuta solo in questi stati, ma oltre a questi tre tipi di devozione, ve ne sono molti altri capaci di rendere perfetti coloro che vivono in condizioni secolari. Perciò dovunque ci troviamo, possiamo e dobbiamo aspirare alla vita perfetta.
SAN FRANCESCO DI SALES, Introduzione alla vita devota, parte 1, cap. 3.
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come bimbo svezzato in braccio a sua madre,
come un bimbo svezzato è l'anima mia".
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Ventiseimila bimbi morti al giorno. E la metà dei decessi è per fame
ROMA - Ventiseimila ogni giorno, una strage continua: è questo il numero dei bambini che muoiono nel mondo prima di arrivare ai cinque anni d'età. E le cause sono facilmente prevenibili, dalle malattie infettive alla diarrea, dalla fame alle scarse condizioni igieniche. La fotografia illustrata oggi nell'ultimo rapporto dell'Unicef sulla condizione dell'infanzia presenta zone d'ombra soprattutto nell'Africa subsahariana e nell'Asia meridionale, dove si verificano l'80 per cento dei decessi infantili: percentuale lontana anni luce dalla condizione dei paesi occidentali. Il rapporto dell'agenzia Onu per i bambini è dedicato quest'anno al diritto alla salute, per "nascere e crescere sani" e traccia un quadro che lascia ancora molto a desiderare rispetto al quarto obiettivo di sviluppo del millennio, che prevede la riduzione di due terzi della mortalità infantile nel mondo entro il 2015. Passi avanti ne sono stati fatti, ricorda l'agenzia: nel 2006 per la prima volta le morti sono scese sotto quota 10 milioni, mentre nel 1960 erano bel il doppo, 20 milioni. Ma ancora 9.7 milioni di piccoli non sopravvivono a causa delle guerre, dei disastri naturali, dell'Aids, o ancora per le condizioni di miseria in cui sono costretti a vivere e per la mancanza di strutture medico-sanitarie adeguate. Un bambino su quattro nel mondo è sottopeso; percentuale che nei paesi meno sviluppati arriva ad uno ogni tre; cinque milioni di bambini sotto i cinque anni d'età muoiono di malnutrizione o fame. L'allarme dell'Unicef non risparmia poi le madri, la cui condizione non è certo incoraggante: mezzo milione di donne ogni anno muoiono per complicazioni di parto o di gravidanza. E il rischio aumenta per le più giovani: le ragazze sotto i 15 anni di età hanno cinque volte più possibilità di morire rispetto alle ventenni durante il parto. La maglia nera, sotto questo aspetto, tocca al Niger, dove le donne hanno una possibilità su sette di morire dando alla luce il proprio bambino; seguono Sierra Leone e Afghanistan (una su otto), mentre all'altro estremo della classifica ci sono l'Argentina (una possibilità su 530), la Tunisia (una su 500) e la Giordania (una su 450).
Fra i paesi in via di sviluppo le condizioni dei bambini, invece, sono nettamente migliorate a Cuba (sette morti ogni mille nati vivi), in Sri Lanka (13) e Siria (14). Va male invece in Sierra Leone (270), Angola (260) e Afghanistan (257), lontanissime dall'Occidente, in cui svettano Svezia e Singapore, al 189esimo posto nella classifica mondiale per la mortalità infantile che vede l'Italia al 175esimo posto. Ma di cosa muoiono i bambini? Complicazioni neo-natali (36 per cento), polmonite (19 per cento), diarrea (17 per cento), malaria (8 per cento), morbillo (4 per cento), Aids (3 per cento). La situazione non è identica fra i paesi in via di sviluppo: dove sono stati fatti interventi, i risultati si sono avuti. Paesi poveri con enormi difficoltà come Mozambico, Malawi, Eritrea ed Etiopia sono infatti riusciti a ridurre la mortalità dei più piccoli del 40 per cento dal 1990 ad oggi. E a fare la differenza sono spesso le piccole cose: misure salvavita semplici ed economicamente sostenibili come l'allattamento al seno esclusivo e le vaccinazioni, l'uso di zanzariere con insetticidi, gli integratori di vitamina A. Tutti questi accorgimenti hanno contribuito negli ultimi anni a ridurre il tasso dei decessi, sottolinea il direttore generale dell'Unicef, Ann M. Veneman. Con qualche investimento in più, di modesta entità, si potrebbe migliorare di molto: l'agenzia stima che un pacchetto minimo per l'Africa subsahariana porterebbe ad un calo del 30 per cento dei decessi fra i più piccoli, e del 15 per cento per le madri, con un costo di 2-3 dollari in più a persona rispetto ai programmi già adottati. Percentuali che salirebbero al 60 per cento per mamma e bambino con un investimento ulteriore di 12-15 dollari pro capite.
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Erri De Luca, Alzaia, 33
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sono venuto a conoscenza di questa efficace presentazione delle spese alimentari medie per famiglia, secondo le diverse zone del mondo.
Complimenti chi ha posto in essere questa idea così semplice e chiara!
http://www.fixingtheplanet.com/one-weeks-worth-food-around-our-planet
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Questa foto è considerata tra le più belle dell'anno.
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Carissimi fratelli e sorelle, possiamo dire che appartiene alla grande opera della redenzione dell'uomo anche il lavoro umano, qualunque esso sia. Ed è a questo titolo che parlo. Perché io non sono né imprenditore né sindacalista. Sono stato operaio, operaio per molti anni della mia vita, e porto nel cuore una grande stima per ogni lavoro umano, e soprattutto per il lavoro più umile, così come era umile quello di Gesù. Porto questo come iscritto nel mio cuore, nella mia “biografia”, ma se vi parlo vi parlo in nome di Gesù. È a questo titolo vero che io parlo. Gesù ha compiuto l'opera della redenzione dell'uomo, di tutti gli uomini, attraverso la croce, sì, ma anche attraverso il lavoro. E così il lavoro umano, il vostro lavoro, il lavoro con tutti i suoi problemi appartiene a questa grande, divina opera della redenzione. (...)
Saluto ancora tutti. Il Papa è venuto per tutti, per ciascuno di voi senza distinzioni".
dal saluto di Giovanni Paolo II
a Porto Marghera, 17 giugno 1985
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E speriamo che Cuffaro non dica che gli è capitato tutto ciò
perché è cattolico...
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per dire parole sapienti circa gli eventi di questi giorni:
Non sono venuto per chiamare i giusti, ma i peccatori" (Mc 2, 16-17)
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(18 gennaio 2008)
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Tanto per non dimenticare chi è che getta benzina sul fuoco
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CARAGNA NO (Maghini)
caragna no, càr el me fioeu /so ben che 'sto mond làder
l'è no el dipint d'on quader
perciò, ti, caragna no
caragna no, càr el me fioeu / t'el disi anmò: caragna no
so ben che in 'sto mond nègher
gh'è poc de sta su allégher / perciò, ti, caragna no
gh'è no lavorà, ma se g'hoo de faa?
foo domà quel che pòdi, / son't minga el Berlusconi
perciò, ti, caragna no
riconossi che in quel moment chi /
gh'è propi nient de riid
ma quand te penset che gh'è in gir / chi sta semper pèg de ti
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Sic et non - da Wikipedia, l'enciclopedia libera.
Sic et non ("Sì e no") è un opera minore di Pietro Abelardo (1079-1142), in cui il filosofo rilevava coraggiosamente che la Sacra Scrittura e l'insegnamento dei Padri della Chiesa contenevano in più punti affermazioni contraddittorie, che venivano messe a confronto.
Il libello, scritto dopo il concilio di Soissons (aprile 1121), è diviso in tre parti: nella prima ("Prologo") vengono enunciati i criteri che permettono di conciliare tra loro le apparenti contraddizioni rilevate (perlopiù ciò viene imputato ai molteplici significati di una stessa parola); nella seconda (il cuore dell'opera, più volte rimaneggiato e citato da Abelardo stesso) sono raccolte le citazioni dalle Sacre Scritture e dai detti dei padri della Chiesa; nella terza invece vi sono citazioni dalle Retractationes di Sant'Agostino.
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Sono tormentato dal dubbio che non sempre i superiori abbiano meditato questa parabola (dei "due figli", Mt 21, 28-32) e ne abbiano quindi tratto le rigorose conclusioni. Così rischiano di prendere qualche abbaglio allorché si tratta di scoprire quali siano i figli veramente obbedienti.
Cortigiano non vuol dire collaboratore.
Adulare non è sinonimo di amare.
Dire «sì» non equivale a «fare».
Chi «si fa avanti» precipitosamente, quasi sempre scantona poi, non appena si trova fuori portata dalla vista del superiore.
Chi ha il «sì facile» sovente ha «l'impegno difficile».
Il sorriso cerimonioso si accompagna inevitabilmente al mugugno.
Gli specialisti dell'inchino - colonna vertebrale ad angolo retto - trovano una insormontabile difficoltà a piegare la schiena quando si tratta di afferrare la zappa e lavorare sul serio.
Quelli che si trovano immancabilmente in prima fila nelle parate ufficiali, finiscono volentieri nelle retrovie (pantofole e poltrona) quando il calendario segna i grigi giorni feriali.
Certi «ribelli» sono i figli più appassionati della Casa. Il loro, sovente, è un amore deluso. Se sono
Certe «teste calde» hanno il solo torto di non saper adoperare la parola come turibolo. In realtà, un superiore intelligente sa di poter contare su di loro. A occhi chiusi.
Possono avere qualche «parola sbagliata». Ma le azioni sono quelle giuste.
A.Pronzato, Vangeli scomodi, 353-354
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A proposito dell'atteggiamento di alcuni cristiani
nella questione delle critiche alla visita del Papa a "La Sapienza".
Dal cap. 9 (versetti 51-56) del Vangelo secondo Luca:
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Racconta ancora Gonçalves che, una volta attribuita la missione, Ignazio poteva anche firmare in bianco fogli che sarebbero serviti a compiere bene un mandato, fidandosi totalmente della libertà e della creatività del religioso in missione. (...)
II modo di governare di Ignazio, "gentile e autorevole" insieme, ha un segreto: prima di tutto, Ignazio dedicava tempo e attenzione alla cosa in questione prima di decidere; secondo, pregava molto a questo proposito e riceveva luce da Dio; terzo, non decideva nulla di preciso prima di aver ascoltato il parere di chi se ne intendeva, interrogando ognuno su molte cose, tranne su quelle di cui lui stesso aveva piena conoscenza.
Il superiore deve dare una reale attenzione ai suoi religiosi nel discernimento e avere fiducia in coloro che avranno libertà di iniziativa nella missione. Lo Spirito Santo parla attraverso le persone, gli eventi, i pensieri, i sentimenti, per cui rispettare l'originalità di uno, le idee di un altro, le tendenze di un altro non è accondiscendere, ma riconoscere l'azione dello Spirito Santo in loro e favorire il di più di un servizio, non il minus. Spirituale è quindi il governo dove il superiore è un "esperto" dello Spirito Santo di cui egli è come il "portavoce", o il contemplatore.
Non sorprende quindi che il principio del governo per sant'Ignazio sia la docilità allo Spirito Santo. Essa spiega insieme la sua esigenza e la sua capacità di rispettare i sudditi. Senza la prassi del discernimento degli spiriti, una tale esigenza e una tale larghezza rischierebbero di degenerare in autoritarismo o in lassismo. Il discernimento degli spiriti d'altronde non è possibile senza un'intensa vita di preghiera, di conoscenza della Parola di Dio. Il discernimento non è autentico senza la purificazione dell'ascesi che permette alla carità di risplendere. (...)
Il modo di comprendere il governo - e quindi l'obbedienza - è costitutivo del carisma e del cammino di formazione che una comunità propone ai suoi membri. Per questo è pericoloso prendere un aspetto di una tradizione spirituale e, sic et sempliciter, applicarlo ad un'altra.
Se i concetti di "governo", di superiore, di obbedienza vengono estrapolati dal contesto di una spiritualità complessa, si favoriscono le aberrazioni e gli abusi. Come l'abuso di chi ha l'autorità e richiama i suoi sudditi all'obbedienza cieca di sant'Ignazio senza averne il genio mistico e la carità, senza cioè assicurare una formazione adeguata che verifichi il grado di adesione a Cristo della persona, senza che sia garantita, insieme alla prassi dell'obbedienza, la preghiera personale, l'autentica pratica del discernimento, lo stesso zelo per la carità fraterna e l'aspirazione all'umiltà perfetta. Vi è una sottomissione che fa del religioso un mercenario o un fariseo, un ateo sterile.
L'obbedienza, invece, deve portare alla contemplazione di Dio.
Michelina Tenace, Custodi della sapienza. Il servizio dei superiori, 51-55
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La CASA della VECCHIA ZIA
Come immaginiamo, come presentiamo la Casa del Padre?
Il modello, sovente, è dato da certe case antiche, aristocratiche. Dentro, tutta roba di classe. Mobilio artistico. Tappeti persiani. Vasellame cinese. Quadri d'autore. Ritratti (tanti, troppi), cimeli, medaglie di antenati. Museo. Archivio. Vi si conservano, gelosamente, le glorie del passato.
In certe stanze è vietato rigorosamente l'ingresso. Da un'altra parte non si può andare perché è stata data la cera sul pavimento. Finestre chiuse. Imposte chiuse. Perché il sole potrebbe rovinare i delicati tendaggi. Aria che sa di muffa, di chiuso, di antichità. Non si respira. Pare di soffocare. Cartelli da tutte le parti: non toccare, non entrare, proibito far questo, vietato far quell'altro, attenti alle scarpe sporche
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LA CLINTON E TUTTI GLI ALTRI
Hillary e l'effetto lacrime in politica
Nel XXI secolo gli occhi lucidi sembrano essere diventati l'elemento fondante della nuova comunicazione politica
Piangere o non piangere: dopo la rimonta bagnata di lacrime di Hillary Clinton, è la questione più affascinante per gli uomini e le donne di potere anni Duemila. Che in questo momento, dagli Stati Uniti all'India all'Italia, si stanno interrogando se hanno pianto abbastanza nella loro vita pubblica e politica. Sì, perché quello che era stato bandito come un vizio da femminucce per tutto il Novecento, e che era stato poi sdoganato timidamente da qualche politico più fricchettone solo negli anni Novanta, sembra diventato elemento fondante della nuova comunicazione politica molto spettacolare del nostro tempo, in cui il leader deve mettere in gioco tutto se stesso, la sua immagine, il suo corpo, i sentimenti.
Attenzione, però, non si tratta della lagna mediatica, di avere il pianto in tasca pronto per ogni occasione: la questione del potere delle lacrime è molto più sofisticata e funziona a certe condizioni, come ha dimostrato Hillary Clinton che con le sue lacrime una tantum, ma umane, molto umane, ha ribaltato di colpo l'immagine di politica superefficiente ma fredda come una lama d'acciaio, gettando nello sconforto l'intero staff dello sfidante Obama, convinto che era molto più facile prima, quando si trattava di andare contro un robot e non contro una donna che
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Ammiriamo la dolce maestà dell'Arcangelo, rispetto all'inutile sforzo del nerboruto demonio.
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Esattamente ventiquattro anni fa, il 18 marzo 1976, vigilia della festa di San Giuseppe, fui prelevato dalla residenza coatta a Cay-vong per essere sottoposto a duro isolamento nella prigione di Phu-Khanh.
Ventiquattro anni fa non avrei mai immaginato che un giorno, proprio in quella data avrei concluso la predicazione degli Esercizi in Vaticano. Ventiquattro anni fa celebravo la S. Messa con tre gocce di vino nel palmo della mano, non mi sarei mai aspettato che il Santo Padre oggi mi offrisse un calice dorato. Ventiquattro anni fa non avrei mai pensato che oggi, festa di San Giuseppe del Duemila, il mio successore consacrasse proprio nel posto in cui sono vissuto in residenza coatta la più bella chiesa dedicata a San Giuseppe in Vietnam".
Abbiamo celebrato la nascita di Gesù: una sola è la cosa necessaria: scegliamo quella, soprattutto mostriamo che questa scelta è sincera e coerente.
Un giorno mentre stavo preparando il pranzo, sentii squillare il telefono delle mie guardie: "Forse questa telefonata è per me! E ' vero: oggi è il 21 novembre Festa della presentazione di Maria al tempio". Poco dopo una delle guardie viene da me e mi dice: "Dopo pranzo si vesta bene. Andrà a vedere il capo". In quel pomeriggio ho incontrato il Ministro degli Interni. "Lei ha un desiderio da esprimere?". "Sì, Signor Ministro, voglio la libertà". "Quando?". "Oggi". Il Ministro mi guardò sorpreso; gli spiego: "Sono stato troppo a lungo in prigione. Sotto tre pontefici: Paolo VI, Giovanni Paolo I, Giovanni Paolo II. E inoltre sono passati quattro segretari del partito comunista sovietico: Breznev, Andropov, Cernenko, Gorbaciov".
E voltandosi verso il suo segretario, il Ministro disse: "Forse è bene esaudire il suo desiderio".
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"Con Gesù Cristo la benedizione di Abramo si è estesa a tutti i popoli, alla Chiesa universale come nuovo Israele che accoglie nel suo seno l'intera umanità. Anche oggi, tuttavia, resta in molti sensi vero quanto diceva il profeta: "nebbia fitta avvolge le nazioni" e la nostra storia. Non si può dire infatti che la globalizzazione sia sinonimo di ordine mondiale, tutt'altro. I conflitti per la supremazia economica e l'accaparramento delle risorse energetiche, idriche e delle materie prime rendono difficile il lavoro di quanti, ad ogni livello, si sforzano di costruire un mondo giusto e solidale. C'è bisogno di una speranza più grande, che permetta di preferire il bene comune di tutti al lusso di pochi e alla miseria di molti. "Questa grande speranza può essere solo Dio
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"Il contrasto tra estate e inverno era più netto... così come quello tra la luce e il buio, tra il silenzio ed il rumore. La città moderna non conosce più il buio assoluto e il silenzio assoluto, l'effetto di un singolo lumicino o di una singola voce lontana".
J. Huizinga, L'autunno del medioevo