«Qui si fa come dico io»
di Roberto Beretta | 30 maggio 2016 
Sono sommamente stupito (...) della mentalità «padronale» che tuttora tanti, troppi preti italiani manifestano nella gestione della Chiesa. Nonostante il vuoto crescente nelle loro assemblee; malgrado la crisi delle vocazioni; pur nell'avanzata inesorabile del secolarismo: non c'è niente da fare, loro continuano a sentirsi e a comportarsi da «padroni». Solo nelle ultime settimane e da fonti diverse ho raccolto le seguenti piccole (ma vere) storie: (...) Forse i preti sottovalutano l'amarezza e la delusione che in tanti laici, spesso i più convinti e i migliori (non certo gli appartenenti al «cerchio magico» di coloro che dicono sempre di sì), genera il loro modo autoritario e talvolta arrogante di comandare nelle cose ecclesiali. «Qui si fa come dico io» è il sottotitolo muto ma ben visibile che scorre sotto un comportamento ancora frequentissimo presso i campanili e nei conventi, almeno in Italia; un sistema che umilia e allontana moltissimi credenti.
«Non capisco e compatisco» è infatti in questi casi la migliore delle reazioni di gente buona e fedele, persone di comprovate capacità in vari campi della vita e che in chiesa (o in sacrestia) si ritrovano invece trattati come bambini. Altri s'inalberano e tentano di ribellarsi, ma scontrandosi contro un muro di gomma; i più preferiscono cercare altrove spazi più liberi per esprimere il meglio di sé; e bisognerebbe chiedersi quanto di un'involontaria ma fruttifera «Chiesa in uscita» sia dovuto a una fuga dall'arroganza clericale. (...)

«Gli autori dei libri di storia dedicano troppa attenzione ai cosiddetti "momenti forti" e troppo poca ai momenti di silenzio. Si tratta di una mancanza di intuizione: di quell'infallibile intuizione comune a ogni madre appena si accorge che dalla camera del suo bambino non proviene alcun rumore. La madre sa che quel silenzio non significa niente di buono, che nasconde qualcosa. Corre a intervenire perché sente il male aleggiare nell'aria. Questa medesima funzione, il silenzio la svolge nella storia e nella politica. Il silenzio è un segnale di disgrazia e non di rado di un crimine. E' uno strumento politico, esattamente come il fragore delle armi o i discorsi di un comizio. Uno strumento di cui hanno bisogno i tiranni e gli occupanti che vigilano affinché la loro opera sia accompagnata dal silenzio. Pensiamo a come i vari colonialismi tutelassero il silenzio. Con quanta discrezione lavorasse la Santa Inquisizione. Con quanta cura Leónidas Trujillo evitasse ogni pubblicità.
Quale silenzio emana dai paesi che traboccano di prigioni! Lo stato di Anastasio Somoza: silenzio. Lo stato di Francois Duvalier: silenzio. Che grande impegno mette ognuno di questi dittatori nel mantenere quell'ideale stato di silenzio che qualcuno cerca continuamente di turbare! Quante vittime per questo motivo, e quali costi!
Il silenzio ha le sue leggi e le sue esigenze. Il silenzio esige che i campi di concentramento sorgano in luoghi appartati. Il silenzio necessita di un enorme apparato poliziesco e di un esercito di delatori. Il silenzio esige che i nemici del silenzio spariscano all'improvviso e senza lasciare traccia. Il silenzio vorrebbe che nessuna voce - di lamento, di protesta, di indignazione - disturbasse la sua pace. Ovunque risuoni una voce del genere, il silenzio colpisce con tutte le forze e ristabilisce lo stato precedente, ossia lo stato di silenzio.
Il silenzio possiede la facoltà di espandersi, ragion per cui adoperiamo espressioni quali: il silenzio "regnava all'intorno", o "avvolgeva ogni cosa". Il silenzio ha anche la capacità di aumentare di peso: non per niente si parla di un "silenzio pesante", allo stesso modo in cui si parla del peso dei corpi solidi o liquidi. La parola "silenzio" appare quasi sempre associata a termini quali "cimitero" (un silenzio di tomba), "campo di battaglia" (il silenzio dopo la battaglia), o "sotterranei" (i sotterranei immersi nel silenzio). Non si tratta di associazioni casuali.
Oggi si parla molto della lotta contro il rumore, mentre è molto più importante combattere il silenzio. Nella lotta al rumore è in gioco la pace dei nervi, nella lotta al silenzio la vita umana. Nessuno giustifica né difende chi fa molto rumore, mentre chi impone il silenzio nel proprio stato viene sempre protetto da un apparato repressivo».
Ryszard Kapuscinski, Cristo con il fucile in spalla, 100-101
È il nostro cuore il primo straniero che incontriamo 
di Massimo Recalcati 
È un’evidenza assoluta: se il cuore si ferma la vita muore. Ma il cuore che ciascuno di noi porta al centro del proprio petto e dal quale dipende la sua vita, batte senza che la nostra ragione o la nostra volontà possano comandarne il ritmo. È un paradosso elementare che si iscrive al centro della vita: il cuore che la mantiene viva, è il nostro cuore, ma è, al tempo stesso, una pompa che agisce a prescindere da ogni istanza di controllo. La vita del cuore trascende la nostra vita pur essendo al centro della nostra vita. Non dovremmo allora vedere nel carattere autonomo di questo battito un primo volto — il più prossimo — dello straniero? La vita del cuore non è un’esperienza perturbante, come direbbe Freud, dove la familiarità più intima e l’estraneità più radicale si intersecano? La potenza autonoma della vita, la sua eccedenza, non è forse sempre in parte straniera a se stessa?
Prendiamo una vignetta clinica a titolo esemplificativo: un paziente ha la sua prima crisi di panico quando si sofferma ad ascoltare il battito del proprio cuore. Steso nel suo letto ad un certo punto lo coglie il rumore insistente del proprio cuore. È qualcosa al quale solitamente nessuno presta attenzione. La condizione perché la vita sia “naturalmente” viva è, in fondo, sempre quella di dimenticarsi parzialmente di se stessa. È la definizione che il celebre 

«Io non voglio e non posso credere che il male per gli uomini sia la normalità.
Purtroppo loro non fanno che ridere di questa mia fede, ma come posso non crederci?
Io ho visto la Verità, non me la sono inventata, l’ho vista, l’ho vista, e la sua immagine vivente ha colmato la mia anima per sempre».
Fëdor Dostoevskij, da "Il sogno di un uomo ridicolo"
«Carissimi fratelli, l’espressione me l’ha suggerita don Vincenzo, un prete mio amico che lavora tra gli zingari, e mi è parsa tutt’altro che banale. Venne a trovarmi una sera nel mio studio e mi chiese che cosa stessi scrivendo. Gli dissi che ero in difficoltà perché volevo spiegare alla gente (ma in modo semplice, così che tutti capissero) un particolare del mistero della Santissima Trinità: e cioè che le tre Persone divine sono, come dicono i teologi con una frase difficile, tre relazioni sussistenti.
Don Vincenzo sorrise, come per compatire la mia pretesa e comunque, per dirmi che mi cacciavo in una foresta inestricabile di problemi teologici. Io, però, aggiunsi che mi sembrava molto importante far capire queste cose ai poveri, perché, se il Signore ci ha insegnato che, stringi stringi, il nucleo di ogni Persona divina consiste in una relazione, qualcosa ci deve essere sotto.
E questo qualcosa è che anche ognuno di noi, in quanto persona, stringi stringi, deve essere essenzialmente una relazione. Un io che si rapporta con un tu. Un incontro con l’altro. Al punto che, se dovesse venir meno questa apertura verso l’altro, non ci sarebbe neppure la persona. Un volto, cioè, che non sia rivolto verso qualcuno non è disegnabile…
Colsi l’occasione per leggere al mio amico la paginetta che avevo scritto. Quando terminai, mi disse che con tutte quelle parole, la gente forse non avrebbe capito nulla. Poi aggiunse: “Io ai miei zingari sai come spiego il mistero di un solo Dio in tre Persone? Non parlo di uno più uno più uno: perché così fanno tre. Parlo di uno per uno per uno: e così fa sempre uno. In Dio, cioè, non c’è una Persona che si aggiunge all’altra e poi all’altra ancora. In Dio ogni Persona vive per l’altra.
E sai come concludo? Dicendo che questo è uno specie di marchio di famiglia. Una forma di ‘carattere ereditario’ così dominante in ‘casa Trinità’ che, anche quando è sceso sulla terra, il Figlio si è manifestato come l’uomo per gli altri”.
Quando don Vincenzo ebbe finito di parlare, di fronte a così disarmante semplicità, ho lacerato i miei appunti.
Peccato: perché, tra l’altro, avevo scritto delle cose interessanti. Per esempio: che l’uomo è icona della Trinità (“facciamo l’uomo a nostra immagine e somiglianza”) e che pertanto, per quel che riguarda l’amore, è chiamato a riprodurre la sorgività pura del Padre, l’accoglienza radicale del Figlio, la libertà diffusiva dello Spirito.
Ero ricorso anche a ingegnose immagini, come quella del pozzo di campagna la cui acqua sorgiva viene accolta in una grande vasca di pietra e di qui, in mille rigagnoli, va a irrigare le zolle.
Ma forse don Vincenzo aveva ragione: avrei dovuto spiegare molte cose. Sicché ho preferito trattenere questa sola idea: che, come le tre Persone divine, anche ogni persona umana è un essere per, un rapporto o, se è più chiaro, una realtà dialogica. Più che interessante, cioè, deve essere inter-essente».
mons. Tonino Bello, “Spiegare” la Trinità nella catechesi - 12 aprile 1987
«Cari fratelli, lo so che la Trinità è molto più che una formula esemplare per noi, e che non è lecito comprimerne la ricchezza alla semplice funzione di analogia. Ma se oggi c’è un insegnamento che dobbiamo apprendere con urgenza da questo mistero, è proprio quello della revisione dei nostri rapporti interpersonali.
Altro che “relazioni”. L’acidità ci inquina. Stiamo diventando corazze. Più che luoghi d’incontro, siamo spesso piccoli centri di scomunica reciproca. Tendiamo a chiuderci. La trincea ci affascina più del crocicchio. L’isola sperduta, più dell’arcipelago. Il ripiegamento nel guscio, più della esposizione al sole della comunione e al vento della solidarietà. Sperimentiamo la persona più come solitario auto-possesso, che come momento di apertura al prossimo. E l’altro, lo vediamo più come limite del nostro essere, che come soglia dove cominciamo a esistere veramente. Coraggio!».
don Tonino Bello - 12 aprile 1987

Non tutti concordano, ma
"Il fine non giustifica i mezzi".
Non tutti colgono che
"i mezzi buoni non giustificano fini sbagliati".
don Chisciotte Mc

A Lione, il cardinal Barbarin dà spiegazioni ai suoi preti 
di Céline Hoyeau e Bénévent Tosseri 
Davanti a 220 preti riuniti a porte chiuse, lunedì l'arcivescovo di Lione ha riconosciuto di aver commesso “errori nella gestione e nomina di certi preti”. Alcuni lo hanno direttamente e vivacemente interpellato sul modo in cui antichi casi di pedofilia sono stati gestiti nella diocesi, altri hanno invitato a restare uniti.
La rivelazione in successione, in queste ultime settimane, di casi antichi e spesso molto disparati, sugli abusi sessuali commessi da preti della diocesi di Lione aveva appesantito il clima e reso indispensabile questo appuntamento. L'incontro tra il cardinale Philippe Barbarin e il suo clero si è svolto lunedì pomeriggio a porte chiuse, per tre ore, al centro Valpré, a Ecully, in un clima “fraterno ma senza compiacenze”, secondo alcuni dei partecipanti.
“Non mi aspettavo granché da questo incontro, invece ne è sorto un movimento di verità. C'è stato dibattito”, esprime con una certa soddisfazione uno dei 220 preti presenti (i tre quarti dei preti in attività) sui 400 che conta la diocesi. “Il cardinale ha cominciato da ciò che ci aspettavamo tutti, afferma un altro. Ha riconosciuto personalmente i suoi errori e le sue responsabilità, parlando in prima persona: «Non ho agito come avrei dovuto, avrei dovuto informarmi di più su certi preti, e non l'ho fatto»”.
Interrogato durante una conferenza stampa lunedì sera, su eventuali inviti alle dimissioni dell'arcivescovo, protagonista di due inchieste per mancata denuncia di aggressioni sessuali, padre Yves Baumgarten, vicario generale moderatore della diocesi, ha risposto che alcuni preti erano per la scelta del ritiro, per il periodo delle inchieste giudiziarie, ma che la grande maggioranza di loro era favorevole al proseguimento della sua missione. “Nessuno ha chiesto le dimissioni del cardinale, sarebbe stato 

... CAMPIONI DI SCOZIA!!

https://www.facebook.com/CelticFC/?fref=ts



Una parola di libertà 
di Lidia Maggi
Quando Israele fu strappato dalla terra d’Egitto, si chiese: come farò a camminare lontano dalle trappole della schiavitù? Come farò a parlare la lingua sconosciuta della libertà? Dio, allora, fece un dono al suo popolo: la Torà, una grammatica di libertà. Quando i discepoli ricevettero l’annuncio che le catene della morte erano state definitivamente spezzate, si chiesero: come faremo a proclamare al mondo questo messaggio di liberazione? Dio, allora, fece un dono: lingue di fuoco, voce divina discesa dal cielo.
Eppure la Pentecoste, che celebra la nascita della Chiesa, è una festa meno sentita rispetto al Natale e alla Pasqua. Per quale motivo? Forse, la Chiesa è così umile da aver scelto di festeggiare sottotono l’evento sorgivo; oppure, quel fuoco originario, che l’ha costituita, è stato presto riposto sotto al secchio. Celebrare oggi questo evento, per la Chiesa, significa, dunque, riscoprire la propria vocazione missionaria, ma soprattutto interrogarsi sul modo di viverla. (...) Il Dio di Mosè e di Gesù non è latitante, comunica parlando una lingua divina che non è esattamente la nostra: è la lingua di Pentecoste. Una lingua che non ha bisogno di traduzioni, affinché tutti la possano comprendere. La Chiesa è chiamata a parlare questa lingua appassionata, di fuoco, per l’appunto, capace di narrare le meraviglie di Dio ai lontani, ai diversi in sintonia con le loro attese e preoccupazioni.
Se fatichiamo a fare missione, nonostante i mezzi mediatici a nostra disposizione, è forse anche perché le chiese parlano oggi una lingua che pochi comprendono. Pretendono di annunciare la salvezza con un linguaggio interno, un dialetto sconosciuto alla maggior parte. Discorsi autoreferenziali che poco hanno del divino... E soprattutto, sembrano lontane dalle problematiche della vita concreta degli interlocutori. La chiesa tende ad annunciare se stessa al mondo, prima del Risorto.
Forse, perché non sa ascoltare. È più preoccupata di farsi ascoltare che di ascoltare le domande di senso che si muovono nei cuori in ricerca. E chi la ascolta lo intuisce a fior di pelle! Il miracolo della comunicazione di Pentecoste si gioca proprio nell’arte di comunicare in una lingua che non appartiene a chi annuncia. Riscoprire la Pentecoste, allora, significa ritrovare quel linguaggio altro, presenza di Dio tra noi, che è fuoco, parola appassionata che cambia le nostre vite, prima ancora di pretendere di cambiare le vite degli altri.
Abbiamo bisogno di apprendere la lingua della Pentecoste, l’unica che non ha bisogno di essere tradotta; quella lingua che fa sentire accolti e riconosciuti nella propria singolarità.
La lingua di Pentecoste è anche parola di libertà: non ci appartiene; come il vento, soffia dove vuole e non puoi reclamare su di lei il copyright. È voce ecumenica, che dovrebbe echeggiare nella Chiesa universale. Non genera invidia, quando l’altra confessione la riscopre o ne impara il vocabolario; piuttosto, produce frutti di stupore, gioia e gratitudine. (...)
Il credente, a Pentecoste, impara che è essenziale conoscere la Parola attestata nelle Scritture; e nello stesso tempo, che questo non basta perché la Parola diventi voce che ci parla... Pentecoste rimette al centro la Parola che, senza lo Spirito, è morta e lo Spirito che, senza la Parola, è afono. La Scrittura offre lo spartito; lo Spirito ispira l’esecuzione della sinfonia. E la Chiesa è l’orchestra chiamata a eseguire il concerto di Dio, per questo nostro tempo. (...)
in “Riforma” del 13 maggio 2016
 

«Siamo qui dinanzi a te, o Spirito Santo:
sentiamo il peso delle nostre debolezze,
ma siamo tutti riuniti nel tuo nome;
vieni a noi, assistici, scendi nei nostri cuori:
insegnaci tu ciò che dobbiamo fare,
mostraci tu il cammino da seguire,
compi tu stesso quanto da noi richiedi.
Sii tu solo a suggerire e guidare le nostre decisioni,
perché tu solo, con Dio Padre e con il Figlio suo,
hai un nome santo e glorioso.
Non permettere che sia lesa da noi la giustizia,
tu che ami l’ordine e la pace;
non ci faccia sviare l’ignoranza,
non ci renda parziali l’umana simpatia,
non ci influenzino cariche o persone.
Tienici stretti a te col dono della tua grazia,
perché siamo una sola cosa in te
e in nulla ci discostiamo dalla verità.
Fa’ che riuniti nel tuo santo nome,
sappiamo contemperare bontà e fermezza insieme
così da far tutto in armonia con te,
nell’attesa che, per il fedele compimento del dovere,
ci siano dati in futuro i premi eterni.
Amen».
Preghiera dell’Adsumus ("Siamo qui davanti a te"),
recitata all’inizio di ogni Sessione del Concilio Vaticano II

«Nella Chiesa non esistono solo moti che, per essere legittimi, devono essere permessi dall'istanza superiore, nell'ufficio gerarchico.
Esso non deve meravigliarsi e mostrarsi dispiaciuto se una vita dello Spirito si muove prima di essere stata pianificata nei ministeri della Chiesa.
E i sudditi non possono pensare di non avere nulla da fare prima che sia trasmesso dall'alto».
Karl Rahner, 1956

«Beati coloro che sono stati ritenuti degni di diventare figli di Dio, di rinascere nello Spirito Santo e di possedere in sé Cristo che li illumina e dona loro una vita nuova. Essi sono guidati in diversi modi dallo Spirito, vengono invisibilmente accompagnati dalla grazia e ricevono grande pace nella loro anima.Talvolta sono come immersi nella tristezza e nel pianto per il genere umano e, pregando incessantemente per tutti gli uomini, si sciolgono in lacrime in forza dell'ardente amore che nutrono verso l'umanità.Talvolta invece sono dallo Spirito Santo infiammati di tanta gioia e amore, che se fosse possibile porterebbero nel proprio cuore, senza distinzione alcuna, tutti, buoni e cattivi.Altra volta ancora, per la loro umiltà, si sentono al di sotto degli altri, stimandosi gli esseri più abietti e spregevoli.Talora sono tenuti dallo Spirito in un gaudio ineffabile. Qualche volta somigliano a un eroe che, rivestitosi di tutta l'armatura dello stesso re e uscito in battaglia, combatte da prode contro i nemici e li mette in fuga. L'uomo spirituale, infatti, prende le armi dello Spirito, si getta in combattimento contro i nemici, li abbatte e li calpesta. Spesso la sua anima riposa in un mistico silenzio, nella tranquillità e nella pace, gode ogni delizia spirituale e perfetta armonia. Riceve doni speciali di intelligenza, di sapienza ineffabile e di imperscrutabile cognizione dello Spirito. E così la grazia lo istruisce su cose che né si possono spiegare con la lingua, né esprimere a parole.Altre volte invece egli si comporta come un uomo qualunque.La grazia viene infusa in modi diversi e in modi pure diversi guida l'anima, formandola secondo la divina volontà. La esercita in varie maniere per presentarla dinanzi al Padre celeste, integra, irreprensibile e pura. Preghiamo il Signore e preghiamolo con amore e grande fiducia perché ci doni la grazia celeste dello Spirito. Lo stesso Spirito ci guidi e ci conduca a vivere secondo la divina volontà, e ci ristori nella pace.Questa guida, questa grazia, questa mozione spirituale, ci farà arrivare alla perfetta pienezza di Cristo, secondo quanto dice l'Apostolo: «Perché siate ricolmi di tutta la pienezza del Cristo» (Ef 3, 19)».
(Dalle «Omelie» di un Autore spirituale del secolo quarto - Om. 18, 7-11; PG 34, 639-642)

«Un perfetto sconosciuto se non addirittura “un prigioniero di lusso”: ecco cos’è lo Spirito Santo per i molti cristiani ignari che è lui a “muovere la Chiesa”, portandoci a Gesù, e a renderci “reali” e “non virtuali”. (…) La maggioranza dei cristiani” sa poco o nulla sullo Spirito Santo, tanto da poter fare propria la risposta dei discepoli di Efeso a Paolo: “Non abbiamo sentito dire che esista uno Spirito Santo”. […] Noi, nella nostra vita, abbiamo nel nostro cuore lo Spirito Santo come un "prigioniero di lusso": non lasciamo che ci spinga, non lasciamo che ci muova. Eppure fa tutto, sa tutto, sa ricordarci cosa ha detto Gesù, sa spiegarci le cose di Gesù. C’è soltanto una cosa che lo Spirito Santo non sa fare: cristiani da salotto. Questo non lo sa fare! Non sa fare ‘cristiani virtuali’, non virtuosi. (...) Fa cristiani reali: lui prende la vita reale così com’è, con la profezia del leggere i segni dei tempi, e ci porta avanti così».
papa Francesco, Omelia a Santa Marta, pubblicata su L'Osservatore Romano, 10/05/2016

«Spirito santo, Dio, noi ci rimettiamo spiritualmente nella Sala del Cenacolo.
Attendiamo la Tua discesa su di noi.
Sappiamo che Tu sei sempre presente nella Chiesa e quindi pronto a donarti, perché sei dono.
Ti ringraziamo per i doni grandi con cui ci hai sostenuto in tutta la nostra vita e Ti chiediamo di espanderti su tutta l'umanità.
Tu sei il principio di ogni riflessione, di ogni azione, Tu sei l'origine di tutto l'amore.
Fa' che riconosciamo questa origine dell'amore in noi e che la sappiamo esprimere nella nostra quotidianità».
Carlo Maria Martini, Le ali della libertà, 69

«Vieni, Spirito santo!
Senza di te,
Dio è lontano,
il Cristo resta nel passato,
il Vangelo una lettera morta,
la Chiesa una semplice organizzazione,
l'autorità un potere,
la missione una propaganda,
il culto un arcaismo,
l'agire morale un agire da schiavi.
Con te,
il cosmo è nobilitato,
il Cristo risorto si fa presente,
il Vangelo si fa potenza e vita,
la Chiesa diventa una comunione,
l'autorità si trasforma in servizio,
la liturgia è memoriale vivo,
l'agire umano un paese di libertà».
Atenagoras, patriarca ecumenico di Costantinopoli dal 1948 al 1972

«Signore, donaci il tuo Spirito perché possiamo conoscere la via per la quale camminare.
Noi tutti abbiamo bisogno di te, Spirito santo, perché il nostro cuore sia aperto, inondato dalla tua consolazione al di là delle parole e dei concetti che ascoltiamo.
Concedici di cogliere la tua presenza nella Chiesa, in ciascuno di noi, tu che sei l'ospite permanente che continuamente modella in noi la figura e la forma di Gesù.
Fa' che possiamo intuire la tua azione nella storia dell'umanità, nei suoi cammini incerti verso la conoscenza della verità.
Tu che costruisci il corpo di Cristo nella storia, che promuovi la testimonianza di fede, riempici di fiducia e di pace anche in mezzo alle tribolazioni e alle difficoltà».
Carlo Maria Martini, Le confessioni di Pietro, 69

«Spirito di Dio, vieni ad aprire sull'infinito le porte del nostro spirito e del nostro cuore.
Aprile definitivamente e non permettere che noi tentiamo di richiuderle.
Aprile al mistero di Dio e all'immensità dell'universo. 
Apri il nostro intelletto agli stupendi orizzonti della Divina Sapienza. 
Apri il nostro modo di pensare perché sia pronto ad accogliere i molteplici punti di vista diversi dai nostri. 
Apri la nostra simpatia alla diversità dei temperamenti e delle personalità che ci circondano. 
Apri il nostro affetto a tutti quelli che sono privi di amore, a quanti chiedono conforto. 
Apri la nostra carità ai problemi del mondo, a tutti i bisogni della umanità. 
Apri la nostra mente alla collaborazione con tutti coloro che si adoperano per un medesimo fine».
Jean Galot

«Signore Dio, Padre nostro,
che ti sei rivelato a noi in Gesù Cristo tuo Figlio,
donaci un'abbondante effusione dello Spirito di santità.
Noi ti lodiamo e ti benediciamo,
perché nei diversi doni uno solo è lo Spirito,
nei vari modi di servirti uno solo è il Signore,
nei molti tipi di attività uno solo sei tu, o Dio,
che operi tutto in tutti.
Fa' che le nostre comunità
possano crescere e camminare nel timore di te,
Padre della vita e dell'amore;
fa’ che le nostre comunità sperimentino la pienezza di consolazione,
pur in mezzo alle inevitabili sofferenze.
Donaci il tuo Spirito di pace e di gioia,
affinché possiamo percorrere le strade del mondo
diffondendo ovunque lo spirito del Vangelo
e tutti gli uomini sappiano riconoscere te, unico vero Dio,
e Colui che tu hai mandato, Cristo Gesù.
Infondi in noi, Signore la pienezza della carità,
quella carità per cui se un membro soffre tutte le membra soffrono insieme
e se un membro è onorato tutte le membra gioiscono con lui.
Quella carità che ci fa sentire corpo di Cristo e sue membra.
Manda in noi lo Spirito di amore, di accoglienza, di gratitudine,
lo spirito di pazienza e di pace.
Unisci i nostri cuori nella confessione e nel grido: Gesù è il Signore!,
quel grido che nessuno può dire se non è guidato dallo Spirito Santo.
Te lo chiediamo, Padre,
per lo stesso Gesù Cristo, tuo Figlio e nostro Signore».
Carlo Maria Martini, All’alba ti cercherò, 252

«“Integrazione e solidarietà per costruire la storia”, ha detto. Esattamente il contrario di ciò che sta facendo l’Europa sulla questione migranti, la più scottante. (...) “Sogno un Europa – ha detto ancora il Papa – in cui essere migrante non sia un delitto. Costruire Ponti e abbattere i muri". Le parole di Bergoglio, evidentemente, sono state costruite sulla realtà di questi giorni. Una realtà costruita dagli uomini che aveva di fronte e che sembravano sempre più piccoli e imbalsamati sulle loro sedie.
Il Papa non ha avuto riguardi, ha continuato imperterrito, e non solo sull’immigrazione. “L’Europa deve dare ai giovani un lavoro dignitoso e ben pagato, e deve distribuire la ricchezza senza accanirsi sui più deboli”».
Qui tutto l'articolo di Raffaele Masto: 
http://www.radiopopolare.it/2016/05/il-papa-schiaffeggia-leuropa/?#_=_

«Tutto quello che non vi hanno mai detto sull'immigrazione»
di Daniele Biella 
Basta opinioni, più informazioni. Questo il messaggio, chiaro e tondo, che Stefano Allievi, professore di sociologia e direttore del Master sull’Islam in Europa dell’università di Padova, e Gianpiero Dalla Zuanna, professore di Demografia presso la medesima sede universitaria, veicolano nel loro libro pubblicato di recente da Laterza editori, Tutto quello che non vi hanno mai detto sull’IMMIGRAZIONE. “E’ da almeno 25 anni che ci occupiamo a tutto campo del tema: serve fare chiarezza dire le cose come stanno, smetterla di essere presa di opinioni dilettantesche che passano anche in televisione”, sottolinea a Vita.it Allievi. “E’ un lavoro necessario, che va compiuto pezzo per pezzo, aspetto per aspetto”. Di seguito, l’abbiamo fatto, assieme allo stesso autore. Ecco, in brevi pillole, il cuore di tutto quello che non è mai stato detto sui fenomeni migratori, ampiamente spiegato nel libro, che nei primi giorni di vendita sta registrando un ottimo riscontro.
 
1. Demografia
I dati veri – non le proiezioni – li abbiamo già sottomano ma non ci siamo accorti della loro portata: da qui al 2050, l’Unione europea perderà 3milioni di lavoratori all’anno nella fascia 18-64 anni. Di questi, almeno 300mila all’anno in Italia. La domanda è: come vengono rimpiazzati, siamo sicuri che non serva la manodopera in arrivo dall’estero? Sì, serve. “Di fonderci insieme già l’ora suono”, recita, del resto, l’inno di Mameli. E se scegliessimo di non accettare questo nuovo innesto? Ci troveremmo di fronte a un grande rischio: guardiamo al Giappone, immigrazione zero ma un grosso punto di domanda sul futuro demografico del Paese.
 
2. Economia
Altro che portare via il lavoro agli italiani: una maggiore presenza di 

Io, donna isola. Lui, uomo porno
di Massimo Gramellini
Caro Massimo,
Sono sposata da quasi otto anni, amo mio marito, abbiamo un matrimonio «normale», per quanto poco mi piaccia questo termine, nel senso che ci sono giornate sì e giornate no come tutti, e come non tutti abbiamo il problema di un figlio che non ne vuole sapere di arrivare, ma questa è un’altra storia, lunga e dolorosa. Ecco, una cerca di essere positiva, di guardare avanti col sorriso sulle labbra (anche se a volte vorresti solo urlare). Poi ti accorgi che tuo marito ti guarda meno. È stanco, è in ritardo: tutte le scuse sono buone per non calcolarti. E un giorno, mentre prendi il tablet per giocare a Candy Crush, scopri che è un habitué di siti porno. Io non sono bacchettona, penso che una volta ogni tanto possa pure starci. Ma quasi ogni giorno? Non so che cosa fare, con chi parlarne, come affrontare con lui l’argomento. È umiliante sentirsi rifiutata: ti senti come un mendicante in cerca di una briciola d’amore. Sentirmi desiderata, amata: questo mi manca. Forse tu che sei un uomo potrai dirmi qualcosa.
 
L’unico aspetto della tua lettera a me ignoto è Candy Crush. Non ho mai frequentato un videogioco in vita mia e sicuramente mi sono perso qualcosa. Ma sempre meno di quello che si perdono le persone come tuo marito che a un certo punto della loro esistenza decidono di sostituire gli amplessi veri con quelli oftalmici.
Non ho nulla contro le 

“Nessuno lascia la casa a meno che la casa non sia la bocca di uno squalo / scappi al confine solo / quando vedi tutti gli altri scappare / i tuoi vicini corrono più veloci di te / il fiato insanguinato in gola / il ragazzo con cui sei andata a scuola / che ti baciava follemente dietro la fabbrica di lattine / tiene in mano una pistola più grande del suo corpo”…
Versi di Warsan Shire, arrivata nel Regno Unito da bambina, insieme ai genitori in fuga dalla guerra in Somalia. La sua Home è una casa dove non si può più stare, perché “qualsiasi altro posto è più sicuro di qua”. È la casa lasciata da milioni di profughi sparsi per il mondo, come quelli che bussano alle porte chiuse dell’Europa. 
Giuseppe Cederna, accompagnato dal violoncello di Giovanni Sollima, interpreta Home,  “canto in poesia e musica contro l’ingiustizia e la guerra”, e lo dedica "a tutti quelli che stanno scappando”. “Un grido necessario – scrive l'attore - perché il coraggio, il dolore, la rabbia e la disperazione dei migranti del Mediterraneo siano un po’ anche i nostri”.
Roma - 28 aprile 2016
 

«Nessuno lascia la casa a meno che
la casa non sia la bocca di uno squalo
scappi al confine solo
quando vedi tutti gli altri scappare
i tuoi vicini corrono più veloci di te
il fiato insanguinato in gola
il ragazzo con cui sei andata a scuola
che ti baciava follemente dietro la