Una Chiesa indietro di 200 (e più) anni. Per fare un po' di penitenza, ho ascoltato in questi giorni dei consacrati (vescovi, preti, frati, suore...) mainstream. Confermo:
- dicono cose incredibili in un modo incomprensibile, mentre dicono di seguire un Dio che vuole rivelarsi;
- vivono "fuori da questo mondo", mentre annunciano di credere in un Dio incarnato;
- sono autocentrati, mentre affermano che Dio è un Altro, non loro stessi;
- sono rimasti nella polvere di almeno un secolo fa, mentre corrono dietro ai like;
- fanno credere di sapere tante cose e non fanno mai riferimento alle Sacre Scritture.
E mi domando: tutti sanno che le cose stanno così... allora perché ne scrivo? Perché anch'io faccio parte di quella famiglia... e mi spiace tanto.
Mc 240503

Fu il 17 aprile 1915 che il padre fondatore dei Celtic, fratello Walfrid, morì all'età di 74 anni.
Una statua del sacerdote marista si trova fuori dal Celtic Park, un riconoscimento del suo ruolo fondamentale nella formazione del Celtic Football Club e un ricordo permanente alle future generazioni di sostenitori sia del suo importante posto nella storia del club, sia delle radici caritatevoli del club.
Tra la povertà, l'incuria e l'intolleranza di Glasgow vittoriana, un uomo aveva un sogno. Il suo sogno è fiorito e ora innumerevoli migliaia condividono la sua visione di una squadra di calcio che apre le porte a tutti.
Nacque Andrew Kerins a Ballymote, Contea di Sligo il 18 maggio 1840, e si avventura sulla via divina facendo giuramento della Fratellanza Marista.
E mentre migliaia di irlandesi fuggirono dalla privazione della loro terra natia navigando verso Glasgow, fratello Walfrid fu assegnato alla Sacred Heart School nell'East End della città per soddisfare i loro bisogni spirituali ed educativi.
Aveva già insegnato presso la vicina St Mary prima di trasferirsi al Sacred Heart nel 1874, ma quando si era trasferito a Spitalfields di Londra nel 1892, i primi germogli della sua visione avevano iniziato a svolgersi.
Gli immigrati irlandesi si sono presto resi conto che le strade di Glasgow non erano lastricate d'oro e non per la prima volta nella storia scozzese l'orco che è intolleranza religiosa ha alzato la sua brutta testa.
Walfrid aveva quindi due obiettivi principali: nutrire i nuovi arrivati che trovavano un lavoro difficile da raggiungere e integrarli nel mainstream della vita scozzese, dove due religioni erano sempre più alle prese tra loro.
Dare da mangiare ai poveri è stato un problema con una risposta relativamente semplice: una guida di beneficenza. Abbattere i muri dell'intolleranza religiosa, tuttavia, era una questione un po' più spinosa e quella di presentare insidie su entrambi i lati del divide.
La sua idea di raccogliere fondi era di entrare nel mondo embrionale del calcio formando un club che avrebbe attirato clienti paganti e, per caso o per design, il nuovo club è stato utilizzato per alleviare l'altro dilemma.
Anche se formato per raccogliere fondi per i bisognosi dell'East End che erano principalmente cattolici e irlandesi, il nuovo club non sarebbe né esclusivamente cattolico né irlandese.
Molti club irlandesi erano emersi negli anni 1880 e i loro nomi significavano istantaneamente la loro origine - Hibernian, Shamrock, Emmett, Harp, Erin, Emerald - ma Walfrid era desideroso di costruire un ponte ecumenico e culturale tra Irlanda e Scozia, quindi il nome più probabile, Hibernian, venne abbandonato.
In precedenza aveva fondato una squadra di calcio minore chiamata Columba ed era intenzionato a usare qualcosa di simile significativo sia per scozzesi che per irlandesi.
Così, il Celtic Football Club è nato calciando e urlando in un ambiente incerto sia nel senso del calcio che culturale.
Il nome Celtic era intrinseco ai valori e agli obiettivi del club nello stabilire un legame in quantificabile tra gli scozzesi indigeni e i nuovi arrivati i cui discendenti sarebbero nati scozzesi.
Da allora il club ha sempre aperto le porte a tutti, indipendentemente dalla fede, dal colore, dal credo o dalla razza. È sempre stato così sin dalla sua fondazione e continuerà ad essere così.
La visione di un uomo e un incontro alla St Mary's Hall in Abercromby Street il 6 novembre 1887 crescevano ben oltre le strade acciottolate del Calton e quel sogno vive nei cuori dei sostenitori celtici di ogni fede e colore, credo e razza in ogni angolo della globo.

(...) "L’escalation in corso – dall’Ucraina a Gaza – ha portato a livelli record la spesa militare: 2.240 miliardi di dollari nel 2022, l’ultimo con rilevazioni ufficiali - i profitti dei colossi delle armi. Per la prima volta, gli investimenti europei hanno superato quelli dei tempi della Guerra fredda. Le 15 maggiori aziende mondiali per la difesa hanno visto schizzare il proprio portafoglio ordini a quota 777 miliardi di dollari, oltre 76 in più rispetto a due anni prima. E in due anni, d'altronde, sono stati investiti quasi mille miliardi di dollari in armamenti, per gli ordigni è stato impiegato il 2,2% del Pil mondiale. Con un aereo F35 che costa come 3.244 letti in terapia intensiva, un sottomarino come 9.180 ambulanze (e sono in alternativa). Ancor più della corruzione, i conflitti sono capaci di concentrare i benefici in un’esigua minoranza e di ripartire i costi sul resto della società". (...)
"Agire appunto. Non subire. Troppo spesso il rifiuto delle armi è associato all’inerzia o, peggio, alla resa. Al contrario, ci vuole impegno, ostinazione, coraggio per rifiutare di ridurre l’altro a corpo da soggiogare o eliminare. Ci vorrebbe coraggio da parte del mondo finanziario per rifiutare i profitti dell’industria delle armi. Ci vorrebbe coraggio da parte della politica internazionale per dare seguito alla proposta fatta da Francesco in “Fratelli tutti” di impiegare il denaro delle spese militari per costituire un Fondo mondiale per lo sviluppo dei Paesi più poveri. La pace è una scelta. Incompatibile con il business delle armi".
di Lucia Capuzzi, 29.02.2024
https://www.avvenire.it/attualita/pagine/il-profitto-delle-guerre-editoriale

Nessuno merita questo.

Io chiamo presso di me: un amico, un idraulico, un rider, un medico, un cane, una pianta... o anche un oggetto.
Io lo faccio arrivare fino alla porta di casa.
Io decido di lasciarlo fuori, senza giustificazioni.
Io lo lascio al suo destino, se vuole, se può.
Io non ne rispondo a nessuno.
Io non c'entro.
Sarò semplificante, ma non trovo che sia un mio diritto costituzionale.
Mc 240304

*Dio non si è stancato di noi*. Accogliamo la Quaresima come il tempo forte in cui la sua Parola ci viene nuovamente rivolta: «Io sono il Signore, tuo Dio, che ti ho fatto uscire dalla terra d’Egitto, dalla condizione servile» (Es 20,2). È tempo di conversione, tempo di libertà. Gesù stesso, come ricordiamo ogni anno la prima domenica di Quaresima, è stato spinto dallo Spirito nel deserto per essere provato nella libertà. Per quaranta giorni Egli sarà davanti a noi e con noi: è il Figlio incarnato. A differenza del Faraone, *Dio non vuole sudditi, ma figli*. Il deserto è lo spazio in cui *la nostra libertà può maturare in una personale decisione* di non ricadere schiava. Nella Quaresima troviamo nuovi criteri di giudizio e una comunità con cui inoltrarci su una strada mai percorsa.
Questo comporta una *lotta*: ce lo raccontano chiaramente il libro dell’Esodo e le tentazioni di Gesù nel deserto. Alla voce di Dio, che dice: «Tu sei il Figlio mio, l’amato» (Mc 1,11) e «Non avrai altri dèi di fronte a me» (Es 20,3), si oppongono infatti le *menzogne* del nemico. Più temibili del Faraone sono gli *idoli*: potremmo considerarli come la sua voce in noi. Potere tutto, essere riconosciuti da tutti, avere la meglio su tutti: ogni essere umano avverte la seduzione di questa menzogna dentro di sé. È una vecchia strada. *Possiamo attaccarci così al denaro, a certi progetti, idee, obiettivi, alla nostra posizione, a una tradizione, persino ad alcune persone. Invece di muoverci, ci paralizzeranno. Invece di farci incontrare, ci contrapporranno*. Esiste però una nuova umanità, il popolo dei piccoli e degli umili che non hanno ceduto al fascino della menzogna. Mentre *gli idoli rendono muti, ciechi, sordi, immobili* quelli che li servono (cfr Sal 114,4), i poveri di spirito sono subito aperti e pronti: una silenziosa forza di bene che cura e sostiene il mondo.
dal messaggio di papa Francesco per la quaresima 2024: *Attraverso il deserto Dio ci guida alla libertà*

Ogni guerra è guerra contro il proprio fratello

Si può dire basta, senza se e senza ma, alla guerra, a tutte le guerre e non passare per “anime belle”? Come facciamo a sopportare questo dolore dell’umano? Puoi immaginare di sederti, a cena, davanti la tv e mangiare e bere vino davanti a questo spettacolo di distruzione? Tu mangi, loro patiscono la fame, tu bevi vino, loro non hanno acqua. E i cani, i gatti, perfino gli uccellini chiusi nella loro gabbia che fine faranno?

Corpi distesi nella strada come un mucchio di cenci, cadaveri sotto le macerie, bambini che urlano a ogni scoppio di bombe. E i Grandi della Terra, con le loro cravatte e i colletti inamidati, che dissertano su come stanno andando le cose. Quali cose? Le morti; dovrebbero parlare dei morti; perché sono morti? Di quali colpe si sono macchiati per meritare questa sorte? Hanno combattuto contro fratelli e hanno ucciso i fratelli, le loro mogli e i loro bambini. Non avrebbero voluto farlo; ce li hanno costretti i loro mandanti assassini, chiusi nelle loro case dorate, al caldo; vanno a dormire con pigiami di seta. Magari hanno paura di prendere il raffreddore; la mattina si alzano e chiedono quanti sono stati i morti nella notte e fanno macabri bilanci: quanti armi servono ancora? Quanti altri morti ci vorranno per finire questa disgraziata guerra? Profitti che, a ogni morto, salgono per i distruttori di pace.

Alla fine qualcuno griderà: Abbiamo vinto! Vinto che cosa? Lo diciamo ai morti che sono rimasti sul campo? Quale vittoria e contro chi? E coloro che perderanno avranno per anni da pensare ai loro morti, morti per niente, per i capricci dei loro governanti e dei fabbricanti di armi.

Si chiama guerra, oppure mantenimento dell’ordine liberale mondiale; nessuno vince e tutti perdono. No, mi sbaglio, qualcuno vince, magari fa soldi con i cadaveri dei morti, con la vendita di armi; i nostri costruttori di armi e i loro complici governanti.

Muovono le persone come fossero birilli pronti a cadere: Andate e combattete per la Patria, è il grido. La Patria di chi? La loro Patria non la nostra, quella dei poveri, dei miserabili, di coloro che erano già stati scartati dal mondo. Bisognerebbe disubbidire agli ordini dei nostri governanti, non prendere il fucile davanti il proprio fratello; semmai guardarlo negli occhi e scorgervi la nostra paura. Paura giusta, questa sì, perché la guerra è solo distruzione, sovvertimento del senso comune, libertà di uccidere il fratello senza provare senso di colpa alcuno.

E dei morti che ne facciamo? Cosa diciamo loro? Possiamo solo ringraziarli per essere a loro sopravvissuti, noi al loro posto. Non potremo neppure piangere sulle loro tombe, forse non ne avranno, sono solo dispersi in qualche pozzanghera, sotto qualche carro, in terre non loro, come è sempre successo ai soldati. Faremo manifestazioni per la pace, diranno che siamo anime belle, che non capiamo, che non abbiamo mai capito niente; noi, il popolo, carne da macello, inviato al fronte per difendere i nostri governanti e per ingrassare i venditori di armi.

Basta con le guerre, almeno digiuniamo per un giorno come ha chiesto il papa, appendiamo le nostre bandiere arcobaleno ai balconi di casa, per sentirci più vicini a loro che patiscono la fame e altri tormenti, dimostriamo noi di essere i più forti, senza armi, indifesi ma convinti che ogni guerra è guerra civile, guerra contro il proprio fratello.

di Enzo Scandurra

in “L’Osservatore Romano” del 2 marzo 2022

Dal vangelo di oggi, Matteo 5
"Se uno ti dà uno schiaffo sulla guancia destra, tu pórgigli anche l’altra, e a chi vuole portarti in tribunale e toglierti la tunica, tu lascia anche il mantello. E se uno ti costringerà ad accompagnarlo per un miglio, tu con lui fanne due. Da’ a chi ti chiede, e a chi desidera da te un prestito non voltare le spalle. Avete inteso che fu detto: “Amerai il tuo prossimo e odierai il tuo nemico”. Ma io vi dico: amate i vostri nemici e pregate per quelli che vi perseguitano, affinché siate figli del Padre vostro che è nei cieli; egli fa sorgere il suo sole sui cattivi e sui buoni, e fa piovere sui giusti e sugli ingiusti".

Dalla seconda lettura della messa di domenica scorsa, lettera di san Paolo apostolo agli Efesini 4,1-7:

"Fratelli, io, prigioniero a motivo del Signore, vi esorto: comportatevi in maniera degna della chiamata che avete ricevuto, con ogni umiltà, dolcezza e magnanimità, sopportandovi a vicenda nell’amore, avendo a cuore di conservare l’unità dello spirito per mezzo del vincolo della pace".

Anche quest'anno, in moto durante i "giorni della merla". Ma a 11 gradi, purtroppo!

"E si meravigliava della loro incredulità" (vangelo di Marco 6,6)
Mc

"All'angelo della Chiesa che è a [...] scrivi:
"Conosco le tue opere: tu non sei né freddo né caldo. Magari tu fossi freddo o caldo! Ma poiché sei tiepido, non sei cioè né freddo né caldo, sto per vomitarti dalla mia bocca" (Apocalisse 3,14-16).
Mc

«La pazzia del Vangelo non vince i poteri di questo mondo». È uno dei tanti passaggi significativi di questo testo che ho potuto leggere con gusto, in giorni tremendi per la Terrasanta, lacerata ancora una volta da un conflitto tra i più duri degli ultimi tempi. Purtroppo, sembra non essere cambiato molto in questa Terra dal tempo in cui la visitò il Poverello di Assisi: «So che in Terrasanta, dov’è nato, vissuto e morto il Principe della pace, questa non c’è, è ferita da tutti...». È così ancora oggi: la pace, di cui tutti parliamo, sembra essere la grande estranea di questo tempo. E avremmo bisogno anche oggi di un pazzo che, come il Poverello di Assisi, voglia «andare laggiù a predicarla e, se possibile, incontrare il sultano d’Egitto per annunciargli il Vangelo... e annunciare la pace anche qui». (continua a leggere:)
https://www.avvenire.it/agora/pagine/pizzaballa-il-vangelo-e-incontrarsi-parlando-di-pace?fbclid=IwAR3rLi6rREFDXAolh_ukQckhNUaYL2gsFY3Db7bjv9njf-oqjdjfooBGnKc

Nel giorno in cui veniva reso noto da Banca d’Italia che *il 5% più ricco delle famiglie italiane detiene il 46% della ricchezza netta complessiva del Paese* a fine 2022, e che *il 50% più povero delle famiglie italiane possiede solo l’8% della ricchezza*, la FIOPSD (Federazione Italiana Organismi per le Persone Senza Fissa Dimora) ha ricordato i *393 clochard morti nel 2022, cifra aumentata nel 2023 quando si è toccato il numero di 410*. Senza scordare che nei primi otto giorni dell’anno sono già stati 12 i morti. Una strage silenziosa (perché non vista e non raccontata), più di un morto al giorno con un macabro trend in ascesa (nel 2021 i deceduti furono "solo" 210).

La risposta della Chiesa a una richiesta di sostegno

di don Alberto Cozzi, teologo della diocesi di Milano e membro della Commissione Teologica Internazionale
Avvenire, sabato 6 gennaio 2024
parte 2
(...) Ciò che è emerso dalle varie reazioni alla Dichiarazione è il fatto che proprio la “pastorale” è ormai un terreno conflittuale, non pacifico, anzi animato da molte tensioni e preoccupazioni. É qualcosa di complesso. C’è chi vede in questo il segno che la nozione di “pastorale” non è mai stata chiara, né in sé né tantomeno nel rapporto con la dottrina. Certo non si tratta di una pura e semplice applicazione della dottrina ai casi concreti. La logica deduttiva non funziona nella varietà delle vicende della vita. C’è chi invece sottolinea come la dimensione pastorale sia un pericoloso pretesto per relativizzare la disciplina o anche un alibi per pratiche arbitrarie e disorientanti. Ma forse alla radice del problema c’è semplicemente il fatto che l’appropriazione della fede oggi non si dà più in un contesto segnato da un costume condiviso e pacifico, nel quale si viene a sapere in modo chiaro e univoco cosa significhi amare, crescere, lavorare, soffrire, trovare la propria vocazione e quindi il senso da dare alla vita. Questa incertezza rende più tortuosi i cammini personali e più ansioso il compito di vivere, nella ricerca della propria strada. L’intenzionalità pastorale a cui richiama papa Francesco si assume la responsabilità di prendersi cura delle persone anche in queste situazioni incerte e confuse, dotandosi di strumenti per individuare il passo possibile in ordine a un’esperienza di fede, fosse anche in condizioni limitate o fragili o ambivalenti. Non è possibile che per tanta gente non ci possa essere una parola, un gesto o un’attenzione che facciano sentire la vicinanza del Dio di Gesù Cristo, un Dio che guarisce e sostiene la vita.
É significativo l’esempio di benedizione proposto dal Comunicato stampa. La scena immaginata è più mediterranea o latinoamericana che mitteleuropea. Colpisce la tenerezza e l’empatia che vi traspare. Tutto parte da una richiesta da cui ci si lascia interpellare. Si tratta di rispondere alla domanda di un sostegno, che non chiede approvazione o assoluzione, né pretende qualche grazia spirituale speciale. Chiede la vita e i suoi beni essenziali, anche materiali e chiede di sentire che in questi desideri non mancherà il sostegno del Creatore e Padre buono, che ai figli che chiedono pane non dà pietre (Mt 7,9). La benedizione non ha la forma della consacrazione di una situazione da legittimare. Ha piuttosto la forma dell’apertura di un pezzettino di cielo su una situazione difficile, che sembra chiudere l’orizzonte della speranza. Il gesto chiesto, ossia la benedizione, dice che non si tratta solo di donare un sorriso, un saluto, una stretta di mano o una pacca sulla spalla. Ciò che è chiesto è un gesto proprio dell’esperienza religiosa, di cui si intuisce ancora il carattere promettente. La risposta a questa richiesta interpella il “cuore di pastore” e cerca di ritrovare un’intenzionalità pastorale autentica, che non congeda con freddo distacco.
Vista dal versante mitteleuropeo, questa benedizione pastorale, spontanea e informale, funziona invece come contenimento di eccessive corse in avanti. Non si tratta di predisporre rituali per benedizioni liturgiche ufficiali. Su questo si fa chiarezza. Emerge in ciò la consapevolezza della differenza dei contesti pastorali e un sano invito alla riflessione pacata e alla prudenza, proprie di chi non cerca soluzioni facili e immediate, ma avvia processi di discernimento sul bene possibile. (segue)

"Ma c'è qualcosa che ti frena
Certo è il tuo orgoglio
Che, che ti frega
Corri e fottitene dell'orgoglio
Ne ha rovinati più lui che il petrolio
Ci fosse anche solo una probabilità
Prendila".
Vasco Rossi, Giocala.

"I farisei dicevano a Gesù: «Guarda! Perché fanno in giorno di sabato quello che non è lecito?». Ed egli rispose loro: «Non avete mai letto quello che fece Davide quando si trovò nel bisogno e lui e i suoi compagni ebbero fame? (...) Mangiò i pani dell’offerta, che non è lecito mangiare" (vangelo secondo Marco, cap. 2).

*La risposta della Chiesa a una richiesta di sostegno*
di don Alberto Cozzi, teologo della diocesi di Milano
Avvenire, sabato 6 gennaio 2024
parte 1
"Leggendo il comunicato stampa del Dicastero per la dottrina della fede in ordine alla ricezione della *Dichiarazione Fiducia supplicans*, colpisce la quantità di volte in cui ricorre *il termine “pastorale”*. Vi si auspica un «periodo più lungo di riflessione pastorale»; si richiama la «proposta di brevi e semplici benedizioni pastorali» o ancora di «benedizioni spontanee e pastorali»; si chiede di «arricchire la prassi pastorale». La dimensione pastorale della missione della Chiesa, *dalle intuizioni iniziali di papa Giovanni XXIII attraverso il Vaticano II*, ha acquisito sempre maggior importanza e rivendica un suo spazio originale e una sua intenzionalità propria.
Tale ricorrenza quasi ossessiva potrebbe essere interpretata come una strategia per ridimensionare la portata della Dichiarazione o un segno di incertezza riguardo al senso del documento. Ma è più probabile che si tratti di un richiamo all’*intenzionalità che animava la Dichiarazione e che riprende una preoccupazione più volte ribadita da papa Francesco*: la sfida dell’ *evangelizzazione*, oggi, non consiste nel riaffermare la dottrina tradizionale, peraltro nota e indiscussa; ma neppure nel modificarla, aggiornandola alle mode del tempo. *La sfida “pastorale” chiede il coraggio di assumere le situazioni a volte confuse, intricate, incerte in cui si trovano tante persone, cercando di valorizzare il passo possibile*, lo spiraglio di cielo che si può aprire nel desiderio implicito o nell’invocazione appena sussurrata di un gesto di sostegno e benevolenza. (segue)

"Prendi con te il bambino e sua madre e fuggi" (Mt 2,13).

Un ebreo dice ad un amico: "Ti ricordi di mio figlio? Tu sai che l'ho sempre educato nel rispetto della religione ebraica. E' successa una cosa strana: l'ho mandato in Israele perché cresca da vero ebreo, e lui... e' tornato cristiano".
" Strano, gli dice l'amico, anch'io ho educato mio figlio nel rispetto della religione, ma quando l'ho mandato in Israele, e' tornato cristiano anche lui".
"Questo e' molto strano, parliamone al rabbino: "I nostri figli che abbiamo educato da veri ebrei sono andati in Israele e sono tornati a casa cristiani".
"Questo e' molto strano perché anche mio figlio e' andato in Israele e, malgrado sia stato allevato da vero ebreo, e' tornato a casa cristiano".
Allora cosa possiamo fare?.
E il rabbino:"Chiediamo al Signore: Signore di Israele, Dio di Abramo, Isacco e di Giacobbe, ascoltaci, vogliamo chiederTi un consiglio: i nostri figli, tutti degli ottimi ebrei, sono andati in Israele e sono tornati a casa cristiani, che cosa possiamo fare? ".
E Dio: "Questo e' molto strano, perché anche Mio figlio... ".

Michael Hodges, su FB il 24.12.2023
Durante il tempo intenso, il bisonte si gira e affronta la tempesta. Si dice che siano gli unici animali conosciuti a farlo perché dirigersi verso la tempesta accorcia la lunghezza della tempesta in quegli immensi spazi aperti.
In questo film si vede che è vero.
Tutti abbiamo tempeste nella nostra vita, alcuni più di altri. Tutti abbiamo delle cose che dobbiamo superare. In questa scena, là fuori con questo magnifico e leggendario animale a Yellowstone Park, la mia lente si è congelata dal ghiaccio e le dita punte dal freddo. Il vento ha quasi fatto cadere il mio treppiede e sapevo di avere solo così tanto tempo per farlo bene.
Tra i venti ululati e la neve laterale, ho seguito la guida del bisonte e anch'io, mi sono girato e ho affrontato la tempesta. E mi sono reso conto, in questa bufera di neve solo con me e il bisonte, che bisogna sempre seguire l'esempio del bisonte, per prendere a testa quello che la vita ti dà.
Perché il bisonte sa come accorciare la tempesta. E poi va verso la luce.
https://www.facebook.com/MichaelHodgesAuthor/videos/1046938589877054

Presepe in una delle chiese di Betlemme:

«Sai che i farisei, a sentire questa parola, si sono scandalizzati?». E Gesù rispose: «Ogni pianta, che non è stata piantata dal Padre mio celeste, verrà sradicata. Lasciateli stare! Sono ciechi e guide di ciechi. E quando un cieco guida un altro cieco, tutti e due cadranno in un fosso!» (vangelo secondo Matteo, cap. 15).

“Ho capito, Signore. La pace non me la può dare nessuno. È inutile che speri. I governi, gli stati, i continenti hanno bisogno di pace anche loro e non ne sono capaci. E camminano tutti su strade sbagliate. Essi pensano che la pace si possa ottenere con le armi, incutendo paura agli altri stati e agli altri continenti. E intanto si armano, e studiano sistemi sempre più potenti e micidiali.

Tutti vogliono essere forti. Dicono: solo un forte può imporre il rispetto e la pace. Come se la pace fosse un fatto di imposizione e non d’amore. Io non ho mai visto che ci sia pace per queste strade. Questo è uno squilibrio di terrore: un’altra maniera per essere schiavi; una maniera apparentemente civile. Invece è barbarie come tutte le altre barbarie. Infatti il più forte dice al più debole: guai se ti muovi! E non ha importanza che magari la situazione del debole sia insostenibile, ingiusta, umiliante. Non ha importanza che sia, ad esempio, la fame o la mia condizione di uomo di colore a spingermi a gesti assurdi.

Ma verrà, uomini, verrà — e non è lontano: io per questo prego e spero — quel giorno che l’oceano nero di miseria e di dolore si metterà in moto, uscirà dai suoi confini con il boato della disperazione. Quell’oceano della collera dei poveri, degli oppressi, dei delusi! Un oceano misteriosamente ancora calmo. Ma fino a quando? Perché non può durare così. Ora la coscienza sta maturando in profondità e in silenzio; ma poi eromperà e allora sarà più notte della notte.(…)

Allora l’oceano dei poveri strariperà come se la terra fosse capovolta, scossa dalle fondamenta. Va bene: i potenti ci ammazzeranno in molti. Ma pure molti di loro saranno ammazzati. No, per queste strade della sopraffazione e del terrore non ci può essere pace”.

in “L’Osservatore Romano” del 18 marzo 2022 - Nel 1967 padre David MariaTuroldo partecipò, insieme a Giuseppe Lazzati, a una tavola rotonda organizzata dall’Ufficio cultura del Comitato provinciale della Democrazia cristiana di Milano. Riproponiamo stralci del suo intervento che venne pubblicato nel libro «David Maria Turoldo. La sfida della pace», a cura di Elena Gandolfi (Bellavite Editore, 2003).

La lettera di Elena Cecchettin: «I "mostri" non sono malati, sono figli sani del patriarcato»
di Elena Cecchettin
"Turetta viene spesso definito come mostro, invece mostro non è. Un mostro è un’eccezione, una persona esterna alla società, una persona della quale la società non deve prendersi la responsabilità. E invece la responsabilità c’è. I «mostri» non sono malati, sono figli sani del patriarcato, della cultura dello stupro.
La cultura dello stupro è ciò che legittima ogni comportamento che va a ledere la figura della donna, a partire dalle cose a cui talvolta non viene nemmeno data importanza, ma che di importanza ne hanno eccome, come il controllo, la possessività, il catcalling. Ogni uomo viene privilegiato da questa cultura.
Viene spesso detto: «Non tutti gli uomini». Tutti gli uomini no, ma sono sempre uomini. Nessun uomo è buono se non fa nulla per smantellare la società che li privilegia tanto. È responsabilità degli uomini in questa società patriarcale dato il loro privilegio e il loro potere, educare e richiamare amici e colleghi non appena sentano il minimo accenno di violenza sessista. Ditelo a quell’amico che controlla la propria ragazza; ditelo a quel collega che fa catcalling alle passanti; rendetevi ostili a comportamenti del genere accettati dalla società, che non sono altro che il preludio del femminicidio.
Il femminicidio è un omicidio di Stato, perché lo Stato non ci tutela, perché non ci protegge.
Il femminicidio non è un delitto passionale, è un delitto di potere. Serve un’educazione sessuale e affettiva capillare, serve insegnare che l’ amore non è possesso. Bisogna finanziare i centri antiviolenza e bisogna dare la possibilità di chiedere aiuto a chi ne ha bisogno.
Per Giulia non fate un minuto di silenzio, per Giulia bruciate tutto".
https://corrieredelveneto.corriere.it/notizie/venezia-mestre/cronaca/23_novembre_20/lettera-elena-cecchettin-a165ccdc-5bd8-4db1-bdaf-963424ba0xlk.shtml

"Chi si fa la guerra pensa che l'altro sia "il cattivo". Considera sé stesso "il buono". Giustifica la necessità della guerra grazie a questa opposizione tra me "buono" e te, antagonista, "cattivo".
È proprio per questa logica assurda che tutto è permesso, contro il cattivo. È lecito il suo contenimento e addirittura la sua distruzione.
Se il mio nemico è il cattivo, il processo di deumanizzazione e già iniziato: posso ucciderlo, posso bombardare la sua casa, città, scuola, ospedale perché è il simbolo di tutto ciò che considero il male assoluto.
"Deumanizzazione" è una parola recente. Significa, in sintesi, togliere l'umano da una persona. Renderla, cioè, un oggetto, una cosa. In questo modo, togliere la vita a quella persona non sarà considerato da chi la uccide un atto terribile e senza ritorno. Sembrerà un gesto "giusto", come succede nei videogiochi, quando si uccide non una persona ma un personaggio sullo schermo.
Uccidere un bambino, una ragazza, una persona con un drone - cioè con un robot - avvicina sempre di più la realtà al videogioco. Non c'è sangue, c'è solo un'immagine sbiadita su uno schermo: il missile che viene lanciato cade su un edificio, oppure su una spiaggia. Tutto è in bianco e nero, come se fosse un'ecografia.
La deumanizzazione è un processo che richiede tempo, perché occorre innanzitutto cambiare il modo di pensare delle persone. Saranno poi quelle stesse persone a combattere e uccidere "il cattivo", cioè il nemico. Si comincia con strumenti differenti dalle armi: si comincia con le parole, usate per trasformare il nemico in "cattivo". Così cattivo da non essere più umano".
Paola Caridi, Pace e guerra, Feltrinelli Kids

 
(...) "Oggi si vedono tutti i limiti, segnalati da molti, del modello del parroco di più parrocchie: itinerante, oberato di lavoro e burocrazia, sempre ovunque e in nessun luogo, costantemente in fatica e senza riuscire a costruire legami significativi. Si chiede troppo all’uomo, si trasforma la teologia del presbitero-pastore e si mantengono una serie di strutture non più necessarie. Tutto questo in un contesto che vedrà, ben presto, un’ulteriore forte diminuzione del numero dei preti. Si può affrontare il problema in altro modo?
(...)".
https://www.vinonuovo.it/comunita/esperienze-di-chiesa/possiamo-mettere-un-vincolo-sui-preti/?fbclid=IwAR1WunRNdcBB62U_LyXm6OijNTU8pY4ZYgjYTSATj-mLm7xEwWrFl__wtkc

(...) "Sembra di risentire Carlo Maria Martini, che amava quei luoghi: «*Ci sarà la pace quando capiremo il dolore degli altri*». Questa storia risplende, come una piccola luce nel buio.
L’orrore avvolge la Terra Santa — terra insanguinata, violata, oltraggiata — e tutto lascia pensare che non finirà presto: poveri figli di Abramo. Settimane, mesi, anni, che vanno ad aggiungersi a tanti altri anni, a qualche illusione e infinite delusioni. *I protagonisti sembrano interessati a infliggere dolore, più che a comprenderlo*. (...)
La difficoltà di capire il dolore degli altri non riguarda solo chi si trova dentro il conflitto. *Riguarda tutti noi, ed è perfino più grave perché non ha neppure l’attenuante della disperazione*. (...)
Alla base, anche qui, c’è l’incapacità di capire il dolore degli altri.
In giornate come queste, se il cuore non aiuta, la mente si perde. Diventa difficile pensare, faticoso comprendere, impossibile giudicare. A quel punto ci si muove con il vento, che soffia da ogni direzione: basta un’opinione televisiva, un’immagine in rete, una notizia sui social e ci si lancia in accuse sballate e difese grottesche. *Sarebbe più onesto limitarsi a dire, come papa Francesco: "La guerra è una sconfitta per tutti"*.
Se ci abituiamo all’orrore, finiremo per non provarlo più. Il dolore non è dispiacere. È molto più serio, più grave, più istruttivo".
Beppe Severgnini, 2.11.2023