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Pochi, forse, pur tra i battezzati, sono giunti alla conoscenza del Dio vivo, così come ce la presenta la Scrittura e come ce la presenta Gesù. Un Dio che non è fatto come lo penso io, che non dipende da quanto io attendo da lui, che può dunque sconvolgere le mie attese, proprio perché è vivo. La riprova che non sempre abbiamo la giusta idea di Dio è che talvolta siamo delusi: «Mi aspettavo questo, mi immaginavo che Dio si comportasse così, e invece mi sono sbagliato». In tal modo ripercorriamo il sentiero dell'idolatria, volendo che il Signore agisca secondo l'immagine che ci siamo fatta di lui.
"Signore, noi ti conosciamo poco, e tu infatti hai detto che nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui a cui il Figlio lo voglia rivelare".
è soltanto nella rivelazione della Scrittura, che ha il suo culmine in Gesù, che noi possiamo conoscere il Dio vivo, Colui che né la carne né il sangue ci rivelano, né i ragionamenti, né le abitudini, né le deduzioni della nostra mente. Certo, noi possiamo giungere a dire che c'è qualcuno al di là di noi, al di là di tutto, ma non lo riteniamo mai così superiore a noi da poterci «deludere» e sorprendere.Istintivamente lo riduciamo alla nostra misura, mentre l'adorazione del Dio vivo, l'adorazione dello zelo forte, instancabile, ardente fino alla crudeltà, di Elia è per il Dio a cui nessuno più dire nulla, che è la di là di ogni immagine e pensiero nostro, che si rivela per amore e con amore sconvolge sempre e ancora una volta le idee umane.
Tutto il vangelo è una manifestazione della fatica compiuta dagli uomini per accettare il Dio di Gesù, a cominciare dagli apostoli, perché lo attendevano diverso. E quando il Dio di Gesù annuncia che si rivelerà nella croce, si scandalizzano accorgendosi che non è il Dio che pensavano.
Serviamo davvero il Dio vivo?
"Rivelati, Signore, a me, rivelati sconvolgendo i miei pensieri, rivelati distruggendo le mie idee prefabbricate su di te, distruggendo gli idoli, le false immagini di te che occupano il mio cuore". (continua - fai il download)
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Chi è per me Dio? Fin da ragazzo mi è sempre piaciuta l'invocazione, che mi pare sia di San Francesco d'Assisi, «mio Dio é mio tutto». Mi piaceva perché con Dio intendevo in qualche modo una totalità, una realtà in cui tutto si riassume e tutto trova ragione di essere. Cercavo così di esprimere il mistero ineffabile, a cui nulla si sottrae. Ma vedevo anche Dio più concretamente come il Padre di Gesù Cristo, quel Dio che si rende vicino a noi in Gesù nell'eucarestia. Dunque c'era una serie di immagini che in qualche maniera si accavallavano o si sostituivano l'una con l'altra: l'una più misteriosa, attinente a colui che è l'inconoscibile, l'altra più precisa e concreta, che passava per la figura di Gesù. Mi sono reso conto ben presto che parlare di Dio voleva dire affrontare una duplicità, come una contraddizione quasi insuperabile. Quella cioè di pensare a una Realtà sacra inaccessibile, a un Essere profondamente distante, di cui non si può dire il nome, di cui non si sa quasi nulla: e tutto ciò nella certezza che questo Essere è vicino a noi, ci ama, ci cerca, ci vuole, si rivolge a noi con amore compassionevole e perdonante. Tenere insieme queste due cose sembra un po' impossibile, come del resto tenere insieme la giustizia rigorosa e la misericordia infinita di Dio. Noi non scegliamo tra l'una e l'altra, viviamo in bilico (...). Come dice il catechismo della Chiesa cattolica, la dichiarazione «io credo in Dio» è la più importante, la fonte di tutte le altre verità sull'uomo, sul mondo e di tutta la vita di ogni credente in lui. D'altra parte il fatto stesso che si parli di «credere » e non di riconoscere semplicemente la sua esistenza, significa che si tratta concretamente di un atto che non è di semplice conoscenza deduttiva, ma che coinvolge tutto l'uomo in una dedizione personale. (..) Ci poniamo il problema dell'ateismo o meglio dell'ignoranza su Dio. Nessuno di noi è lontano da tale esperienza: c'è in noi un ateo potenziale che grida e sussurra ogni giorno le sue difficoltà a credere. Su questo principio si fondava l'iniziativa della «Cattedra dei non credenti» che voleva di per sé «porre i non credenti in cattedra» e «ascoltare quanto essi hanno da dirci della loro non conoscenza di Dio». (continua - fai il download dell'intero testo)
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Gesù dice: «Voi siete coloro che avete perseverato» (Lc 22,28). In greco, più semplicemente, «siete rimasti», cioè siete coloro che non se ne sono andati. E' una parola di lode: "Avete sofferto così tanto che avreste potuto andarvene, e non l'avete fatto".Viene alla mente l'episodio di Gv 6,67-68: «Volete andarvene anche voi?», e Pietro che risponde: «Signore, da chi andremo?». Gesù verifica che fino all'ultimo istante gli apostoli sono rimasti, hanno perseverato, non l'hanno abbandonato.Il concetto di perseveranza lo si trova spesso nella Scrittura, con espressioni diverse. Ad esempio, «custodire la parola» indica la pazienza perdurante e resistente: «Il seme caduto sulla terra buona sono coloro che, dopo aver ascoltato la Parola con cuore buono e perfetto, la custodiscono e producono frutto con la loro perseveranza» (Lc 8,15). L'uomo fa fronte alla situazione di prova con la perseveranza, la perduranza, la resistenza, la custodia della Parola.Mentre la prova tende a far tornare indietro, induce a perdersi d'animo, l'atteggiamento direttamente contrastante non è necessariamente quello della vittoria immediata ma del resistere, del rimanere fermo, saldo. L'evangelista Giovanni usa un verbo molto semplice: méneìn, che indica qualcosa di simile. «Se rimanete in me - dice Gesù - e le mie parole rimangono in voi, chiedete quel che volete e vi sarà dato» (Gv 15,7). Il "rimanere in Gesù" è il modo per opporsi alla prova.Molte delle prove di noi credenti vengono dalle situazioni concrete della realtà storica e sociale nella quale ci riconosciamo, ossia la Chiesa cattolica con i suoi problemi, le sue fatiche, le sue pene e difficoltà. Queste sono le prove di Gesù capo del popolo messianico.
Tutto questo ci pesa, talora ci irrita, ci inquieta perché vaglia la nostra fede, la nostra speranza, la nostra carità, la nostra pazienza, la nostra sopportazione, il nostro senso del limite. Ma sono proprio queste le prove di cui Gesù dice «mie».
Poi, naturalmente, ciascuno vive quelle delle persone che gli sono affidate: la gente della parrocchia, i giovani, coloro verso i quali abbiamo doveri pastorali specifici. Ciascuno è in qualche modo sommerso dalle sofferenze della propria gente, dei propri confratelli, di quanti amiamo.
Sono tutte le prove di Gesù Messia, Figlio dell'uomo, capo del popolo messianico, dell'umanità e ad esse partecipiamo di fatto, non soltanto con la fantasia, e vi partecipiamo intimamente.
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(...) Sono cinque doni che S. Paolo enumera come costruttivi della comunità cristiana per l'edificazione del Corpo di Cristo. Sappiamo che non sono gli unici doni perché, in altre lettere di Paolo, troviamo indicati altri carismi; in questo versetto della lettera agli Efesi, l'Apostolo pensa però specificamente alla costruzione della Chiesa.
L'apostolo è colui che pone il fondamento iniziale di una comunità e la sorregge, il profeta interpreta i disegni di Dio per il momento attuale della comunità, l'evangelista proclama il kérygma, la buona notizia, e quindi aggrega alla comunità nuovi fedeli che sono attratti dalla parola di salvezza, il pastore custodisce e porta avanti il gregge che si è creato, il dottore approfondisce, attraverso la catechesi, la dottrina e la teologia, tutto ciò che forma il corpo della comunità.
Sono cinque grandi carismi formativi della comunità. Una comunità sana, ben fondata, è quella che sviluppa tutti questi carismi che, nella storia della Chiesa, si sono espressi in modi diversi: i fondatori di comunità, cioè gli apostoli e i profeti che interpretano per il proprio tempo la parola di salvezza, sono passati in seguito ad altri uffici, ad altri servizi ecclesiali e, oggi, è proprio dei Vescovi il portare avanti l'ufficio di sostegno per l'unità della comunità e l'impegno di interpretare per la comunità i disegni di Dio sul presente. è l'azione magisteriale e unificatrice del Vescovo.
I due carismi seguenti, evangelisti e pastori, pur essendo propri anche del Vescovo, si riferiscono in particolare a coloro che hanno la cura specifica di vari membri e situazioni della comunità. Concretamente e per buona parte la Chiesa, oggi, affida ai suoi presbìteri il doppio compito di evangelisti e di pastori; anzi, soprattutto il compito di evangelisti non è - come ci mostra il Nuovo Testamento - legato esclusivamente ai membri della gerarchia e può essere esteso, sotto la loro guida, ai laici, come oggi avviene. (continua - fai il download dell'intero testo)
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(...) Avrei quindi le credenziali per approfittare del recente Motu proprio e ritornare a celebrare la Messa con l'antico rito. Ma non lo farò, e questo per tre motivi.Primo, perché ritengo che con il Concilio Vaticano II si sia fatto un bel passo avanti per la comprensione della liturgia e della sua capacità di nutrirci con la Parola di Dio, offerta in misura molto più abbondante rispetto a prima. Vi saranno certamente stati alcuni abusi nell'esercizio pratico della liturgia rinnovata, ma non mi pare tanti presso di noi. Del resto, lo dirò per quelli che capiscono il latino, abusus non tollit usum. Di fatto bisogna riconoscere che per molta gente la liturgia rinnovata ha costituito una fonte di ringiovanimento interiore e di nutrimento spirituale.In secondo luogo non posso non risentire quel senso di chiuso, che emanava dal l'insieme di quel tipo di vita cristiana così come allora lo si viveva, dove il fedele con fatica trovava quel respiro di libertà e di responsabilità da vivere in prima persona di cui parla san Paolo ad esempio in Galati 5, 1-17. Sono assai grato al Concilio Vaticano II perché ha aperto porte e finestre per una vita cristiana più lieta e umanamente più vivibile. Certo, c'erano anche allora dei santi, e ne ho conosciuti. Ma l'insieme dell'esistenza cristiana mancava di quel piccolo granello di senapa che dà un sapore in più alla quotidianità, di cui si potrebbe fare anche a meno ma che dà più colore e vita alle cose.
In terzo luogo, pur ammirando l'immensa benevolenza del Papa che vuole permettere a ciascuno di lodare Dio con forme antiche e nuove, ho visto come vescovo l'importanza di una comunione anche nelle forme di preghiera liturgica che esprima in un solo linguaggio l'adesione di tutti al mistero altissimo. E qui confido nel tradizionale buon senso della nostra gente, che comprenderà come il vescovo fa già fatica a provvedere a tutti l'Eucaristia e non può facilmente moltiplicare le celebrazioni né suscitare dal nulla ministri ordinati capaci di venire incontro a tutte le esigenze dei singoli.
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(...) Strettamente connessa con la prudenza - prosegue san Tommaso - è la eubolia, la rectitudo consilii, cioè la capacità di ben consigliare.
Non esiste decisione saggia, prudente, se precedentemente non c'è stato un processo di consiglio. Questo processo implica due cose: la capacità di ben consigliare in coloro che sono chiamati a dare consiglio, e la docilità in coloro che devono rendersi disponibili a quanto viene consigliato.
L'Aquinate sottolinea l'importanza di questa docilità che è pure parte integrante della prudenza, per chi ha delle responsabilità. Nessuno, infatti, è in grado di avere sempre la conoscenza sufficiente e globale della situazione su cui deve decidere e per questo ha bisogno della collaborazione di persone sperimentate e prudenti che lo aiutino.
E poiché, sempre secondo san Tommaso, la prudenza e la capacità di consigliare sono proprie di tutti i cristiani, anche i nostri Consigli fanno appello a tale capacità di consigliare, per il bene della comunità. (continua - fai il download dell'intero testo)
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è certamente un segreto di gioia che la potrebbe riempire di letizia, tuttavia è anche imbarazzante e doloroso. Il Vangelo di Matteo ci fa capire il peso di questo annuncio: come spiegare a Giuseppe, suo sposo, ciò che è avvenuto, come renderlo credibile, come far capire il mistero di Dio che si è manifestato in lei?
Maria si trova nella situazione di chi, avendo qualcosa di grande dentro di sé, che gli dà gioia e insieme peso, vorrebbe comunicarlo, vorrebbe farsi capire e non sa né a chi dirlo né come. In questa solitudine, pensosa e dolorosa, percorre la strada verso la Giudea per andare ad aiutare Elisabetta.
Capita tante volte anche a noi di avere qualcosa dentro e non riuscire a trovare nessuno con cui comunicare davvero; non abbiamo fiducia che qualcuno possa capire e ascoltare ciò che di gioioso o di doloroso sentiamo.
Maria si avvia verso la montagna di Giuda e, entrando nella casa di Zaccaria, saluta Elisabetta. «Appena Elisabetta ebbe udito il saluto di Maria, il bambino le sussultò nel grembo. Elisabetta fu piena di Spirito Santo ed esclamò a gran voce: "Benedetta tu fra le donne, e benedetto il frutto del tuo grembo!"».
Improvvisamente, senza bisogno di parole, Maria si sente capita, sente che il suo segreto è stato colto da chi poteva intuirlo nello Spirito Santo, sente che ciò che è avvenuto in lei, il mistero di Dio, è ormai inteso da altri, ed è inteso con amore, con benevolenza, con fiducia. Si sente accolta e capita fino in fondo e può dare sfogo a tutta la pienezza dei sentimenti che fino a quell’istante erano rimasti come compressi. Ora che un’altra persona ha potuto intuire il suo segreto, Maria si sente liberata interiormente e può esclamare a gran voce ciò che ha dentro; può esprimersi, attraverso un’amicizia discreta e attenta, attraverso un cuore capace di comprenderla. Ed ecco erompere, tutto d’un pezzo, il suo canto che proclama ciò che aveva meditato per lungo tempo, durante il viaggio.
Quanto è importante il valore di un’amicizia che ci capisca e che ci aiuti a sbloccarci, che ci permetta di mettere fuori ciò che abbiamo dentro, di bello o forse di brutto, purché sia espresso, purché sia detto! Maria sì esprime cantando ed esultando perché il suo animo è pieno di gioia.
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Il Sinodo di una nuova Pentecoste
Se la Prima Assemblea Speciale per l’Africa del Sinodo dei Vescovi fu chiamata “sinodo della risurrezione e della speranza” (EIA, 13), i Padri sinodali, in comunione con il Santo padre il papa Benedetto XVI, vedono questa Seconda Assemblea Speciale come il sinodo di una “nuova Pentecoste”.
Grati a Dio, ringraziano il Santo Padre per la provvidenziale decisione di convocare questo sinodo.
I Padri sinodali perciò sono contenti di testimoniare il carattere universale di un’assemblea sinodale alla presenza del Santo Padre, come suoi più stretti collaboratori e rappresentanti della Chiesa dagli altri continenti.
Pregano che lo Spirito della Pentecoste rinnovi la nostra apostolica dedizione ad operare perché la riconciliazione, la giustizia e la pace e l’umanità in generale prevalgano in Africa e nel resto del mondo, mentre non avvenga che gli immensi problemi che gravano sull’Africa ci travolgano, e perché diventiamo “sale della terra” e “luce del mondo”.
Questo esercizio di comunione ecclesiale e responsabilità collegiale ispiri altre strutture e forme di ministero di cooperazione nella Chiesa-Famiglia di Dio. (fai il download dell'intero testo)
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Smarrimento e angoscia che non ci coinvolgono solo sul terreno del lutto per i morti, delle lacrime per tutti i feriti, del lamento doloroso per i profughi, per i senza tetto, per coloro che vivono nell’angoscia dei bombardamenti giorno e notte.
Lo smarrimento e la divisione delle opinioni avvengono pure sul terreno delle riflessioni etico-politiche, che in questi giorni si succedono facendo balenare i più diversi giudizi.
Vorrei dire molto di più: lo smarrimento e l’angoscia toccano persino l’ambito della fede e della preghiera, che è quello che ci riunisce questa sera, perché siamo qui per vegliare, digiunare, intercedere, facendo nostre le intercessioni e le grida di tutti gli uomini e le donne, di tutti i bambini, di tutti i vecchi in qualche modo coinvolti nel conflitto del Golfo, di qualunque parte essi siano". (fai il download di tutta l'omelia)
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Mi preme sottolineare che la conversione intellettuale è parte del cammino cristiano, pur se sono poche le persone che vi arrivano perché è certamente più comodo, più facile accontentarsi di ciò che si dice, di ciò che si legge, di come la pensano i più, dell'influenza dell'ambiente anche buono. Tuttavia, il cristiano maturo ha assoluto bisogno di acquisire convinzioni personali, interiori per essere un evangelizzatore serio in un mondo pluralistico e segnato da bufere di opinioni contrastanti. In altre parole, la conversione intellettuale è propria di chi ha imparato a ragionare con la sua testa, a cogliere la ragionevolezza della fede grazie a un cammino, forse faticoso, che lo rende capace di illuminare altri. (fai il download dell'intero contributo)
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"Sarebbe facile redigere una raccolta di lamentele piena di cose che non vanno molto bene nella nostra Chiesa, ma questo significherebbe adottare una visione superficiale e deprimente, e non guardare con gli occhi della fede, che sono gli occhi dell'amore. Naturalmente non dobbiamo chiudere gli occhi sui problemi, dobbiamo tuttavia cercare anzitutto di comprendere il quadro generale nel quale essi si situano". (continua - fai il download dell'intero articolo)
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La vicenda di Eluana Englaro, la giovane in “stato vegetativo” da quattordici anni, mi colpisce come credente e cittadino, ma soprattutto mi interpella come Vescovo della terra in cui Eluana abita. In questi giorni sono stati davvero numerosi i sentimenti, le riflessioni e gli interrogativi che sono cresciuti nel mio cuore. Desidero ora confidarne alcuni a quanti il Signore ha affidato alle mie cure pastorali. Vorrei essere discreto, entrando in punta di piedi in una storia umana quanto mai delicata, nella quale il mistero della vita si fa più denso, quasi inaccessibile alla luce della sola ragione, e lancia una sfida formidabile per la libertà di ciascuno di noi. (continua)
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FRATELLI LONTANI, PERDONATECI
All'inizio della Missione (Milano, 1957) per gli adulti, il cardinale Montini rivolge un invito ai lontani
Uno scopo principale ha la Missione: quello di far ascoltare un'autentica parola religiosa ai fratelli lontani. I lontani sono legione: quelli che non vengono in Chiesa; quelli che non pregano più e che non credono più; quelli che hanno la coscienza triste per qualche peccato, o insensibile per le troppe faccende profane; quelli che disprezzano la Chiesa e che bestemmiano Dio; quelli che si credono bravi e sicuri, perché non pensano più alla religione, al paradiso e all'inferno.
Quanti! Quali vuoti nella comunità dei fratelli! Quale solitudine, talvolta, nella casa di Dio. Quanta pena, quanta attesa per chi ama i lontani come figli lontani.
Se una voce si potesse far loro pervenire la prima sarebbe quella di chiedere loro amichevolmente perdono. Sì, noi a loro; prima che loro a Dio.
Quando si avvicina un lontano, non si può non sentire un certo rimorso. Perché questo fratello è lontano? Perché non è stato abbastanza amato. Non è stato abbastanza curato, istruito, introdotto nella gioia della fede. Perché ha giudicato la fede dalle nostre persone, che la predicano e la rappresentano; e dai nostri difetti ha imparato forse ad aver a noia, a disprezzare, a odiare la religione. Perché ha ascoltato più rimproveri, che ammonimenti ed inviti. Perché ha intravisto, forse, qualche interesse inferiore nel nostro ministero, e ne ha patito scandalo.
I lontani, spesso, sono gente male impressionata di noi, ministri della religione; e ripudiano la religione, perché la religione coincide per essi con la nostra persona. Sono spesso più esigenti che cattivi. Talora il loro anticlericalismo nasconde uno sdegnato rispetto alle cose sacre, che credono in noi avvilite.
Ebbene se cosi è, fratelli lontani, perdonateci. (continua)
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Senza comunque negare le difficoltà e le sfide talvolta tremende del nostro mondo, vorremmo aiutarci a cogliere i molteplici aspetti positivi, i tanti segni di speranza, i fermenti di vero e di bene, le opportunità inedite e straordinarie di questo tempo che ci è donato da vivere. Il tempo – anche il nostro - è sempre “l’oggi di Dio”! (...) Questa Eucaristia che stiamo celebrando diventa allora il momento adatto per chiedere al Signore di aiutarci ad avere una visione unitaria, rasserenante e bella del periodo storico che stiamo vivendo. Doni a tutti noi di essere: stupiti per il dono, non schiacciati dai problemi; mossi dallo Spirito con la sua unzione potente ed efficace, non bloccati da timori e da fatiche; rimessi in moto dal dinamismo interiore della grazia, non confusi dalla nostra condizione che sembra impari alla complessità e alla problematicità della situazione in cui viviamo. Ma su quale “nuova” strada lo Spirito ci vuole condurre? (continua)
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" I fedeli laici non possono affatto abdicare alla partecipazione alla “politica”, ossia alla molteplice e varia azione economica, sociale, legislativa, amministrativa e culturale destinata a promuovere organicamente e istituzionalmente il bene comune", che comprende la promozione e la difesa di beni, quali l’ordine pubblico e la pace, la libertà e l’uguaglianza, il rispetto della vita umana e dell’ambiente, la giustizia, la solidarietà, ecc. (continua)
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Cari fratelli e sorelle!
1. Ogni anno, la Quaresima ci offre una provvidenziale occasione per approfondire il senso e il valore del nostro essere cristiani, e ci stimola a riscoprire la misericordia di Dio perché diventiamo, a nostra volta, più misericordiosi verso i fratelli. Nel tempo quaresimale la Chiesa si preoccupa di proporre alcuni specifici impegni che accompagnino concretamente i fedeli in questo processo di rinnovamento interiore: essi sono la preghiera, il digiuno e l’elemosina. Quest’anno, nel consueto Messaggio quaresimale, desidero soffermarmi a riflettere sulla pratica dell’elemosina, che rappresenta un modo concreto di venire in aiuto a chi è nel bisogno e, al tempo stesso, un esercizio ascetico per liberarsi dall’attaccamento ai beni terreni. (continua)
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Famiglia umana, comunità di pace
1. All’inizio di un nuovo anno desidero far pervenire il mio fervido augurio di pace, insieme con un caloroso messaggio di speranza agli uomini e alle donne di tutto il mondo. Lo faccio proponendo alla riflessione comune il tema con cui ho aperto questo messaggio, e che mi sta particolarmente a cuore: Famiglia umana, comunità di pace. Di fatto, la prima forma di comunione tra persone è quella che l’amore suscita tra un uomo e una donna decisi ad unirsi stabilmente per costruire insieme una nuova famiglia. Ma anche i popoli della terra sono chiamati ad instaurare tra loro rapporti di solidarietà e di collaborazione, quali s’addicono a membri dell’unica famiglia umana: «Tutti i popoli — ha sentenziato il Concilio Vaticano II — formano una sola comunità, hanno un’unica origine, perché Dio ha fatto abitare l’intero genere umano su tutta la faccia della terra (cfr At 17,26), ed hanno anche un solo fine ultimo, Dio». continua