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«L'opportunità di riscoprire che la chiesa, più che essere costretta alla debolezza, è invece umile.
Né forte, dunque, di quella forza imperiosa e soffocante rispetto a cui il postmoderno è giustamente critico;
né debole, di quella debolezza che la vedrebbe costretta a rinunciare a ogni prospettiva veritativa e a ogni proposta di fede radicale e totalizzante, come alcune riflessioni postmoderne propongono ma, appunto, umile.
Una chiesa umile, perché pienamente consapevole di ciò che essa è, ovvero un soggetto collettivo che è in relazione e dalla relazione, e che non ha da imporre una verità totalizzante, ma vuole proporre una verità che garantisca la libertà, mentre addirittura la richiede».
Roberto Repole, L'umiltà della chiesa, 7
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Enzo Jannacci
La Disperazione Della Pietà
Album: "Vengo Anch'Io. No, Tu No" (1968)
Signore abbiate pietà di quelli che vanno in tram
e nel lungo tragitto sognano automobili, appartamenti,
ma abbiate anche pietà di quelli che guidano l'automobile,
sfidando la città gremita, semovente di sonnambuli.
Abbiate molta pietà del ragazzo mingherlino e poeta,
che di suo ha solo le costole e l'innamorata bassina,
ma, ma abbiate maggior pietà dello sportivo colosso impavido e forte
e che si avvia lottando, remando nuotando alla morte.
Signore abbiate pietà, pietà, pietà, pietà, Signore.
Abbiate immensa pietà dei musicanti da caffé
che sono i virtuosi della loro tristezza e solitudine,
ma abbiatene ancor più di quelli che cercano il silenzio
e subito cade su loro la romanza della Tosca.
Nella vostra pietà non dimenticate i poveri che arricchirono
e per i quali il suicidio è ancora la soluzione più dolce,
ma, ma abbiate vera pietà dei ricchi che impoverirono
e diventano eroi e alla santa pietà danno un'aria grande.
Signore abbiate pietà, pietà, pietà, pietà, Signore.
Abbiate pietà dei barbieri in genere e dei parrucchieri,
effeminati dal mestiere ma umili nelle carezze
ma abbiate maggior pietà di quelli che si tagliano i capelli,
che attesa, che angoscia, che cosa avvilente mio Dio.
Abbiate pietà degli uomini utili dei dentisti
che soffrono di utilità e vivono per far soffrire,
ma abbiate gran pietà dei veterinari e dei farmacisti
che molto bramerebbero esser medici, o Signore.
Signore abbiate pietà, pietà, pietà, pietà, Signore.
Abbiate pietà delle donne separate legalmente,
e in esse misteriosamente si riforma la verginità,
ma abbiate ancor più pietà delle donne cosiddette sposate
che si sacrificano e semplificano per niente.
Abbiate immensa pietà degli uomini pubblici, specialmente dei politici
per la loquela facile, l'occhio, lucido, la sicurezza del gesto,
ma, ma abbiate ancor più pietà dei loro servi, umili e parenti,
fate signore che d'essi non nascano altri fonometri.
Signore abbiate pietà, pietà, pietà, pietà, Signore.
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«E forse per questo [Gesù Cristo] è triste:
perché dopo la caduta di Adamo,
era necessario che noi lasciassimo questo mondo con un passaggio così doloroso [la morte],
dovendo morire ineluttabilmente.
Infatti "Dio non creò la morte e non gode per la distruzione dei viventi" (Sap 1,13),
e per questo prova ripugnanza per una cosa che non ha creato.
sant'Ambrogio, Esposizione del vangelo secondo Luca, SAEMO 12, 439
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"Come si può tradire Gesù e la Chiesa? Anzitutto in forme clamorose, cambiando cavallo, mutando ideali in maniera totale, lasciandosi irretire dalla mondanità, dal denaro, dall'ambizione, dall'invidia, dalla sensualità. Penso a tutti coloro che, avendo fatto una promessa solenne di vita e di permanenza nel ministero, se ne sono andati, o sbattendo la porta o silenziosamente. (...)
Non pochi preti hanno sbagliato discernimento e allora bisogna aiutarli con grande compassione e con molto amore. Non pochi hanno commesso errori dei quali si sono magari pentiti, ma dai quali però derivano conseguenze irreparabili, e anch'essi vanno aiutati. Altri rinnegano, sbagliando discernimento, una vocazione vera e autentica e, prima o poi, si renderanno conto dell'errore, ritrovando un posto nella Chiesa e nella comunità. (...) Occorre comunque distinguere sempre tra un discernimento sbagliato, che poi è stato corretto, e un errore di prospettiva che indica qualche sbaglio globale nell'impostazione dell'esistenza, pur se, col tempo, potrà venire anch'esso corretto dalla misericordia di Dio. (...)
Mi preme qui ricordare piuttosto i tradimenti di un prete che si esprimono anche senza gesti clamorosi, quando ci si mantiene formalmente sul cavallo buono e però si delude una comunità, lasciandola denutrita e triste: essa cerca fuoco e riceve invece un po' di luce al neon; aspetta un nutrimento sostanzioso e riceve panini di plastica; desidera un esempio di vita coraggioso e vede correttezza formale che magari nasconde compromessi; chiede il Vangelo e riceve analisi, orari di gite, programmi; va in cerca di consolazione, incoraggiamento, motivazioni profetiche e riceve lamentele, rimproveri, scatti di cattivo umore. Ha bisogno di compassione e trova distanza, freddezza, funzionarismo; ma la logica del buon funzionario che si attiene al "politically correct" non basta!
Anche senza la portata tragica del tradimento di Giuda, sono molti i modi di tradire la propria comunità che ci saranno in qualche maniera rimproverati nell'ultimo giorno. E dobbiamo esaminarci continuamente, perché il bene di oggi non dura necessariamente anche domani, l'entusiasmo di oggi non è destinato a perseverare di natura sua e va sempre ripreso, col nutrimento quotidiano della Parola e del Pane del Signore».
Carlo Maria Martini, Le tenebre e la luce, 119-12
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Padre nostro, la tua voce ci ha chiamati, hai messo il tuo nome sulle nostre labbra e la tua opera nelle nostre mani.
Siamo la tua Chiesa, il tuo popolo il cammino, ti chiediamo di aprire per noi un nuovo avvenire: facci poveri e semplici per capire meglio il tuo Vangelo e seguire Gesù.
Chiediamo perdono per le nostre colpe passate, per l'orgoglio che spesso ha spinto la tua Chiesa a prendere il potere. Perdona la tua Chiesa se qualche volta non é stata degna della tua fiducia.
Non diamo la tua pace a questo mondo né la tua salvezza agli uomini divisi ed afflitti, perche noi stessi siamo disuniti.
Fa' che, anche se spesso divisi, possiamo tutti essere consci di tanta follia e ricercare sempre l'unità.
Dal libro di preghiere per le vocazioni dei seminari della Chiesa cattolica di Spagna, 1985
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Signore, quando ritornerai nella tua gloria, non ricordarti solo degli uomini di buona volontà.
Ricordati anche degli uomini di cattiva volontà.
Ma, allora, non ricordarti delle loro sevizie e violenze.
Ricordati piuttosto dei frutti che noi abbiamo prodotto a causa di quello che esse ci hanno fatto.
Ricordati della pazienza degli uni, del coraggio degli altri, dell'umiltà;
ricordati della grandezza d'animo, della fedeltà che essi hanno risvegliato in noi.
E fà, Signore, che questi frutti da noi prodotti siano, un giorno, la loro redenzione.
Preghiera ebraica
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E' nell'azione dello Spirito che gli ricorda l'amore di Cristo per lui, che il peccatore trova la forza per cambiare.
Solo se beve il vino dell'amore, che è lo Spirito di Gesù, il peccatore inizia a respirare l'aria della risurrezione sin da quaggiù e abbandona i vizi che prima rallegravano il suo cuore: «È questo vino che hanno bevuto i dissoluti e sono diventati casti; e i peccatori, e hanno rigettato le vie delle offese; e gli ubriaconi, e sono diventati digiunatori; e i ricchi, e hanno desiderato la povertà; e i deboli, e sono diventati forti; e i semplici, e sono diventati sapienti».
Isacco il Siro, Collezione I, 41
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«In memoria del vescovo Romero
In nome di Dio vi prego, vi scongiuro,
vi ordino: non uccidete!
Soldati, gettate le armi...
Chi ti ricorda ancora,
fratello Romero?
Ucciso infinite volte
dal loro piombo e dal nostro silenzio.
Ucciso per tutti gli uccisi;
neppure uomo,
sacerdozio che tutte le vittime
riassumi e consacri.
Ucciso perché fatto popolo:
ucciso perché facevi
cascare le braccia
ai poveri armati,
più poveri degli stessi uccisi:
per questo ancora e sempre ucciso.
Romero, tu sarai sempre ucciso,
e mai ci sarà un Etiope
che supplichi qualcuno
ad avere pietà.
Non ci sarà un potente, mai,
che abbia pietà
di queste turbe, Signore?
nessuno che non venga ucciso?
Sarà sempre così, Signore?».
David Maria Turoldo
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Diversi siti si dicevano "super-obbedienti" al magistero papale...
In realtà seguivano papa Benedetto solo perché diceva ciò che piaceva a loro.
Andate a vedere cosa scrivono adesso,
visto che papa Francesco non fa quello che vogliono loro.
Altro che "obbedienza":
sono opportunisti,
violentemente opportunisti,
volgarmente opportunisti,
cinicamente opportunisti,
solamente opportunisti.
don Chisciotte
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Schiave da marciapiede l'odissea delle nigeriane
di Raffaele Nespoli Napoli
Quando sono partita non sapevo neanche dove fosse precisamente l'Italia. Ero giovane, mi promisero che avrei avuto un lavoro come parrucchiera o cameriera. Mi stava bene, anzi era un sogno. Avrei lasciato la miseria di Benin, con il tempo avrei potuto aiutare la mia famiglia». Parla in un italiano misto al dialetto, Gioya. Lei, come molte altre delle ragazze che di notte sono costrette a vendersi in strada, arriva da Benin City, città povera e malfamata nel Sud della Nigeria. È da lì che partono le giovani donne africane in cerca di una via d'uscita, che coltivano il sogno di una vita migliore. Nessuna di loro lo sa, ma alla fine le speranze si infrangeranno contro una realtà fatta di violenza e soprusi. Ciascuna di loro finirà su un marciapiede, riscaldata a malapena dal fuoco improvvisato di qualche pezzo di legno da bruciare in un bidone di latta. Mentre pensano ad una vita libera dalla miseria e ripetono i nomi di città lontane, come Roma o Milano, il loro destino è già scritto. Così com'è già stabilita la meta: destinazione Castel Volturno. Per la maggior parte di queste ragazze il viaggio finirà in un piccolo comune in provincia di Caserta. Un viaggio costoso: i boss a Benin City chiedono circa cinquemila euro per organizzare tutto. Una parte del denaro la mette la famiglia della ragazza, il resto lo anticipano le «matrone». Così da queste parti chiamano le sfruttatrici: donne nigeriane che dall'Italia ordinano il prezioso «carico». E a loro che le ragazze dovranno ripagare il debito, naturalmente con tanto di interessi. Due i canali principali per varcare i confini del Bel Paese. Alcune nigeriane in Italia ci arrivano con un visto turistico che consente loro di restare tre mesi, senza lavorare, e poi rientrare in Nigeria. Nessuna farà ritorno a casa, e una volta a Castel Volturno le cose saranno messe in chiaro. Peggio, molto peggio, va al novanta per cento delle donne che da Benin City arriva in Italia. Quasi tutte, infatti, non riescono ad avere un visto turistico. Per loro il viaggio prevede una tappa in Libia. In questo caso c'è da pagare il doppio, diecimila euro. Cinquemila per la prima parte del viaggio e altri cinquemila per arrivare a Lampedusa. Ed è in Libia che il destino di queste giovanissime nigeriane si rivela per quello che sarà. Parcheggiate per un paio di mesi in alberghi dei sobborghi o in appartamenti privati, le giovani di Benin City vengono picchiate e violentate, «svezzate», per usare le loro stesse parole. Devono capire che il progetto è cambiato, iniziare ad abituarsi al mestiere che le aspetta. Ribellarsi? In molte ci provano, ma se ne pentono molto presto. Quelle che resistono, che tentano di resistere, vengono piegate dalle percosse e dalla tortura. A Castel Volturno sono in molte a portare sul corpo i segni delle sevizie ricevute in Libia. Molte altre quei segni li portano negli occhi, ormai spenti e senza vita. «Una delle ragazze che ho assistito spiega Alfredo Marotta, avvocato penalista che da tempo si occupa di immigrazione mi mostrò l'impronta di un ferro da stiro sul petto. A metà del suo viaggio fu segregata in un appartamento e lì fu picchiata e costretta a prostituirsi per più di un mese. Doveva guadagnare i soldi per concludere il suo viaggio. Era una ragazza forte e molto religiosa, si ribellò con decisione. Per questo fu torturata e marchiata a fuoco. Arrivata in Italia non aveva neanche più la forza di piangere». Secondo una ricerca commissionata dall'Onu, il mercato della prostituzione coinvolge circa seimila donne nigeriane ogni anno in tutta Europa, un giro d'affari di oltre 228 milioni di dollari. Per capire veramente cosa si nasconda dietro questo business non basta però guardare ai numeri, alle statistiche, ai blitz della polizia. È girando tra le strade desolate di Castel Volturno, tra le villette anonime, che si riesce a intravedere il baratro. Solo parlando con queste ragazzine diventate donne troppo presto si può comprendere quale disperazione abbiano dentro. «Perché lo faccio? Perché se mi ribello mi ammazzano la famiglia, oppure mi uccidono con il voodoo» dice Blessing (così la chiamano le altre). Già, il voodoo. Che ci si creda o no, a tenere incatenate queste ragazze c'è anche la magia nera. Una cosa molto seria nella piccola Benin City che si è ormai creata in provincia di Caserta. «Le donne sono terrorizzate da quello che potrebbe accadere se scappassero continua Marotta -. Non è una semplice suggestione, per loro il voodoo è qualcosa di molto concreto e pericoloso. È anche peggio di essere uccisi, perché con la magia nera si è dannati per sempre. Per quanto a noi possa apparire illogico o assurdo, questa minaccia basta da sola a far sparire qualsiasi pensiero di fuga. Negli ultimi anni le cose stanno un po' cambiando perché i missionari riescono a convincere le ragazze che al di là del mare il voodoo non può avere effetto. Ma sono in poche a fidarsi». E così ogni notte sono costrette a prostituirsi. La maggior parte di loro si vende per 25 euro; le auto arrivano e ripartono con una continuità impressionante. In poche ore ciascuna ragazza accoglie anche 10 clienti, agli habitué si lascia il numero di cellulare. Una telefonata: «Sì amore, sono libera. Vediamoci stasera». In questo caso l'appuntamento non è in auto, ma in una delle villette grigie dal tetto a spiovente. Solitamente ci vivono in tre, massimo in quattro. Serve privacy per gli incontri. A fittare l'appartamento ci pensa chi ha il permesso di soggiorno. Solitamente uno degli uomini che con il prezioso documento in tasca ha potuto avviare un business in proprio. Ogni ragazza paga circa 200 euro al mese per una stanza. Quasi tutte le donne di Benin City imparano alla svelta cosa è meglio fare. Non centra essere buoni o cattivi, è solo una questione di sopravvivenza. Molte di loro si danno da fare per trovare tra i clienti qualcosa che possa somigliare ad un fidanzato, qualcuno che possa dar loro una mano, fare dei regali. Quello che i «fidanzati» e in generale i clienti non sanno è che la maggior parte delle ragazze ha contratto l'Hiv. Più del voodoo e delle percosse dei loro sfruttatori, le donne arrivate da Benin City muoiono dopo anni trascorsi in strada a causa dell'Aids. Le altre, quelle che riescono ad evitare le malattie, cercano invece di tornare ad una vita normale. La loro schiavitù, per una questione evidente, non dura mai più di sei o sette anni. Sono utili in strada solo finché sono giovani e belle. Iniziano a venti e i ventidue anni poi, alla soglia dei trenta, vengono abbandonate al loro destino. Alcune provano a tornare in Africa, altre continuano a prostituirsi. Altre ancora diventano delle «matrone» e, come chi le ha precedute, si procurano contatti e agganci per far arrivare a Castel Volturno nuove ragazze, nuove schiave. La logica è stringente: in Italia c'è la domanda, a Benin City c'è l'offerta. Il resto non ha alcun valore. Tutto si ripete nel tempo in una spirale infinita di povertà, dolore e violenza. Alla fine, dell'Italia, di quel sogno che le ha spinte a partire, non resta che un ricordo sbiadito. E in fin dei conti è meglio così, meglio dimenticare. Per sopravvivere serve cinismo e concretezza. Un'altra macchina si ferma, la commedia riprende: «Ciao amore, vieni con me. Ci divertiamo, solo 25 euro». Reclutate a Benin City arrivano a Castel Volturno Sfruttate, picchiate, seviziate, vengono iniziate in Libia. E quasi tutte sono malate di Aids
L'Unità, 2 gennaio 2013, p. 18
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"Il desiderio ritrova le sue radici profonde nella reciprocità. Noi desideriamo essere desiderati e assaporiamo il desiderio degli altri per noi. Proviamo piacere quando l'altro trova piacere in noi. Per questo corriamo il rischio immenso di lasciare che l'altro ci veda in tutta la nostra vulnerabilità, consegnandoci nelle sue mani. Rowan Williams l'ha espresso in modo mirabile:
«In modo cruciale nella relazione sessuale io non sono più affidato a me stesso. Ogni esperienza autentica del desiderio mi mette all'incirca in questa situazione: non posso soddisfare da solo il mio desiderio senza snaturarlo o degradarlo. Questo manifesta in modo eminente che l'io non può cavarsela da solo. Perché il mio corpo sia una sorgente di gioia, mi permetta di stare in pace con me stesso, deve essere riconosciuto, accettato, valorizzato da qualcun altro. Questo significa: dipendere dalla creazione della gioia nell'altro, perché solo quando è orientato al godimento e alla felicità dell'altro il mio corpo può essere amato senza riserve. Desiderare la mia gioia è desiderare la gioia di quell'altro che io desidero. Quando cerco il godimento nel corpo dell'altro io tendo a far sì che il mio corpo sia fonte di godimento. Noi proviamo piacere quando doniamo piacere».
L'Ultima Cena è un invito a condividere l'immensa vulnerabilità di Gesù quando egli si consegna nelle mani dei discepoli. Questa vulnerabilità rimane per sempre. Quando Gesù risorge dai morti mostra le ferite delle sue mani e del costato: egli sarà ormai per sempre il Cristo ferito e risuscitato. Abbiamo il coraggio di imparare a essere così vulnerabili all'altro? Il coraggio di rischiare di essere feriti da quelli che amiamo?".
Timothy Radcliffe, Amare nella libertà, 65-66
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La celebrazione che si svolgerà oggi in San Pietro
non si chiamerà più "Intronizzazione del Sommo Pontefice",
bensì "Messa di inizio del ministero petrino del vescovo di Roma":
stupendo!
Eppure ancora pochi minuti fa un monsignore (molto dotto)
usava espressioni tipo "Sommo Pastore della Chiesa universale"...
Quanto fatichiamo a cambiare,
accorgendoci delle differenze.
don Chisciotte
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"Servo è la parola che traduce il termine greco che significa anche 'schiavo'.
Indica qui non tanto uno che non è libero, piuttosto uno che sa chi è il suo padrone, perché appartenere significa avere una identità, quella del padrone. Appartenere al Signore è una dignità, perché il lavorare per Lui ci fa fare il suo stesso lavoro: Lui seminatore ci fa arare, Lui pastore ci fa pascolare, Lui servo, ci fa servire, Lui risorto ci fa risorgere.
Dal desiderio di essere simile al Signore proviene il fondamento della vita cristiana e della vita religiosa strutturata sui voti: l'obbedienza è il servizio di un servo chiamato ad essere simile al suo Signore obbediente e glorioso.
Il superiore è un servo che ha cura della vigna del Signore, simbolo del popolo eletto, ha cura dei fratelli pascolando la comunità.
Quale merito può vantare questo servo per un simile servizio? Quale ricompensa può desiderare? Non gli appartengono né la vigna, né i fratelli. Tutto è del Padre che associa il Figlio alla sua volontà di salvezza, e chiama gli uomini ad entrare nella logica dell'amore che salva.
Si può così capire meglio il significato di "servo inutile". La parola greca suggerisce un senso più complesso di quello che evoca l'italiano. In greco 'inutile' significa 'senza utile', cioè senza profitto, senza guadagno. Il significato teologico che emerge è ricco: chi va a servizio nella vigna del Signore avendo cura dei propri fratelli non va in cerca di nessun guadagno".
Michelina Tenace, Custodi della sapienza. Il servizio dei superiori, 131
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«"Chinare il capo". L'immagine fa riferimento al momento della nascita, nel quale il bambino viene al mondo proprio attraverso questo movimento. Nel momento del parto si prepara, si mette in posizione, con la testa in giù, "china il capo", lo flette per incanalarsi e solo così nasce, facendo ad un tempo esperienza di resistenza, sforzo, abbandono...
Questa immagine che caratterizza la nascita si ripresenta poi sotto differenti aspetti nell'arco di tutta la vita in cui molte situazioni ci fanno sperimentare la durezza della realtà, la sua "resistenza" che segnala il nostro limite e ci sollecita a prendere posizione, a riconoscere la nostra misura in relazione ad esso.
Impariamo a vivere affrontando la realtà alternando "resistenza e resa" fino all'ultimo atto, quello del morire, che più di ogni altro ha la sembianza del "chinare il capo"».
A. Gaino, Chinare il capo, in Esperienza e Teologia, 17 (2003), p. 5
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Negli ultimi trenta giorni,
due papi sono riusciti a stupirmi
due volte.
Un bel record!
don Chisciotte
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«Quando Gesù ebbe terminato questi discorsi,
le folle erano stupite del suo insegnamento:
egli infatti insegnava loro come uno che ha autorità, e non come i loro scribi».
Mt 7,29
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«Fratelli e sorelle, buonasera!
Voi sapete che il dovere del Conclave era di dare un Vescovo a Roma. Sembra che i miei fratelli Cardinali siano andati a prenderlo quasi alla fine del mondo
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Saul, che prima si è lasciato prendere dalla paura, dopo aver cercato di far desistere Davide dall'impresa [contro Golia], si arrende senza capire che il giovane confida in Dio. Calcola tutto secondo una misura umana, lo ricopre dell'armatura del guerriero e probabilmente non capisce perché Davide se ne sbarazzi e parta solo col bastone e con la fionda.
Questo contrasto tra coraggio teologico e prudenza politica continuamente ritorna anche nella vita della Chiesa. La prudenza politica ci conduce a essere sempre molto attenti alle circostanze, alle situazioni, a quello che gli altri possono dire, all'interpretazione che si darà delle nostre parole e dei nostri gesti.
Per certi versi è necessaria ma non fa, come tale, camminare la Chiesa, se non c'è Davide che prende coraggio e va al di là.
Dovremmo chiedere spesso a noi stessi: ciò che sto facendo è frutto di coraggio, con prudenza spirituale e teologica, oppure è frutto di prudenza politica che non vuole rischiare?
Le due posizioni non sono contrarie al punto da non potersi conciliare, ma se si ha solo, come ispirazione, la prudenza politica, la Chiesa resta ferma, si difende e non fa altro. Se non interveniva Davide, gli uomini di Saul sarebbero rimasti immobili per sempre di fronte alle forze dei nemici. E' Davide che rompe l'immobilità buttandosi al di là di ogni calcolo umano, disprezzando la paura irrazionale, sapendo che il Signore può tutto.
Egli non prende il posto di Saul, però Saul deve capirlo, se vuole uscire dalla immobilità.
Carlo Maria Martini, Davide peccatore e credente, 113-114
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"Qual è quindi il servizio possibile dei superiori? La comunione più profonda fra i membri, non limitando il servizio dell'autorità al 'mero compito di coordinare le iniziative dei membri', ma di 'costruire assieme ai fratelli e sorelle delle 'comunità fraterne nelle quali si cerchi Dio e lo si ami sopra ogni cosa' (Codice Diritto Canonico, can. 619)" [pag. 127].
"Il servizio del superiore è quindi la comunione fraterna, affinché la persona si realizzi ad immagine di Dio nella relazione con gli altri. In altre parole: il ruolo del superiore è 'consolidare la comunione fraterna'. L'autorità ha il compito primario di costruire assieme ai fratelli e alle sorelle delle 'comunità fraterne nelle quali si cerchi Dio e lo si ami sopra ogni cosa' [pag. 145]".
Michelina Tenace, Custodi della sapienza. Il servizio dei superiori, Lipa
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Si trovavano in passato, e oggi ancora si trovano, nei seminari e anche in altri settori della diocesi, persone di cui si diceva: «Studiano da vescovi». Si tratta di giovani un po' ambiziosi, che non perdono occasione per farsi notare sia dai Superiori locali come da quelli di Roma. Alcuni di loro riuscivano (allora e oggi) anche a diventare vescovi, ma non hanno per lo più un'esperienza pastorale sufficiente.
Di fatto, anche per pacificare il loro animo, va detto che giunti alla meta desiderata, essi coprono con gesti di oblio ogni cosa fatta per raggiungere il traguardo e sono capaci persino di riconoscere le false mire di altri. Non è detto che siano dei cattivi vescovi, perché questo dipende dal loro comportamento quotidiano e dalla loro capacità di sintonizzarsi costantemente con la Parola di Dio e la sua volontà.
Carlo Maria Martini, Il vescovo, 21
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Mi infastidisce il "toto-papa":
alto il rischio che la scelta del successore di Pietro
sia interpretata come il frutto di un gioco di interessi
(la storia è piena di questi episodi).
Ma ancor più profonda la tentazione
di scegliere "il più in gamba", il "super-uomo", il "piccolo-salvatore"
a cui affidare il percorso dei prossimi anni,
quasi che il bene di tanti sia ancora dovuto ad un singolo
(ancorché guidato dallo Spirito Santo),
che sappia cosa fare e dove andare.
Sarebbe bello se l'esito dei colloqui di questi giorni tra i cardinali
fosse l'indicazione di una serie di priorità per la Chiesa,
in base alle quali scegliere un uomo adeguato,
che sia disposto a lavorare con altri
per il raggiungimento di alcuni obiettivi,
necessari e urgenti.
Si tratterebbe di un cambio sostanziale di "stile".
don Chisciotte
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"Un giorno, è un giorno d'estate, facciamo il bagno nelle acque di Montaubry vicino a Le Creusot, nuotiamo uno a fianco dell'altra, e non posso fare a meno di parlarti anche nell'acqua, ho sempre mille cose da dirti, e mi viene in mente, nell'acqua, sotto il sole, questa definizione di te, sapendo che sfuggi ad ogni definizione, ti dico, vuoi sapere chi sei tu per me, e allora ecco: tu sei colei che mi impedisce di bastarmi.
Ho una grande capacità di solitudine. Posso restare solo per giorni, per settimane, per mesi interi. Sonnolento, tranquillo. Sazio di me stesso come un neonato. È questa sonnolenza che sei venuta a interrompere. È questa capacità che hai rovesciato.
Come potrei mai ringraziarti? Possiamo dare molte cose a coloro che amiamo. Parole, riposo, piacere. Tu mi hai dato la cosa più preziosa di tutte: la mancanza. Mi era impossibile fare a meno di te, anche quando ti vedevo mi mancavi ancora. La mia casa interiore, la casa del mio cuore era chiusa a doppia mandata. Tu hai infranto i vetri e l'aria vi ha fatto irruzione, quella gelata, quella ardente, e ogni forma di luminosità.
Tu eri quella lì, Ghislaine, lo sei ancora oggi, quella attraverso la quale la mancanza, la frattura, la lacerazione entrano in me con mia somma gioia. È il tesoro che mi lasci: mancanza, frattura, lacerazione e gioia. Un tesoro così è inesauribile. Dovrebbe bastarmi per andare di «adesso» in «adesso» fino all'ora della mia morte".
Christian Bobin, Più viva che mai, 66-67
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«Non immaginavo minimamente di potere avere alcuna capacità di contatto con gli altri né di saper assumere importanti responsabilità o divenire addirittura per alcuni punto di riferimento.
Mi sentivo povero, intellettualmente molto modesto.
Il Signore invece nella sua bontà ha voluto prendere questa modestia e valorizzarla.
Perciò riconosco la bontà del Signore e di tutti coloro che mi sono venuti incontro e mi hanno aiutato e anche valorizzato».
Carlo Maria Martini, Meditazioni sulla morte
da Avvenire
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Strutture ecclesiastiche senza finestre,
così che lo Spirito possa correre senza intoppi,
vedendo bene l'Oltre!
don Chisciotte
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Preghiera dell'Adsumus ("Siamo qui davanti a te")
Recitata all'inizio di ogni Sessione del Concilio Vaticano IISiamo qui dinanzi a te, o Spirito Santo:
sentiamo il peso delle nostre debolezze,
ma siamo tutti riuniti nel tuo nome;
vieni a noi, assistici, scendi nei nostri cuori:
insegnaci tu ciò che dobbiamo fare,
mostraci tu il cammino da seguire,
compi tu stesso quanto da noi richiedi.
Sii tu solo a suggerire e guidare le nostre decisioni,
perché tu solo, con Dio Padre e con il Figlio suo,
hai un nome santo e glorioso.
Non permettere che sia lesa da noi la giustizia,
tu che ami l'ordine e la pace;
non ci faccia sviare l'ignoranza,
non ci renda parziali l'umana simpatia,
non ci influenzino cariche o persone.
Tienici stretti a te col dono della tua grazia,
perché siamo una sola cosa in te
e in nulla ci discostiamo dalla verità.
Fa' che riuniti nel tuo santo nome,
sappiamo contemperare bontà e fermezza insieme
così da far tutto in armonia con te,
nell'attesa che, per il fedele compimento del dovere,
ci siano dati in futuro i premi eterni. Amen.
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Il pericolo non viene da quello che non conosciamo,
ma da quello che crediamo sia vero e invece non lo è.
Mark Twain
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«A volte sembra possibile immaginare che non tutti stiamo vivendo nello stesso periodo storico.
Alcuni è come se stessero ancora vivendo nel tempo del Concilio di Trento, altri in quello del Concilio Vaticano Primo. Alcuni hanno bene assimilato il Concilio Vaticano Secondo, altri molto meno; altri ancora sono decisamente proiettati nel terzo millennio.
Non siamo tutti veri contemporanei, e questo ha sempre rappresentato un grande fardello per la Chiesa e richiede moltissima pazienza e discernimento».
Carlo Maria Martini, Quale cristianesimo nel mondo postmoderno.
Da "Avvenire" di domenica 27 luglio 2008. Testo originale in "America" di maggio del 2008, ricavato da una conferenza del 3 maggio 2007 al XIVL capitolo generale dell'Istituto dei Fratelli delle Scuole Cristiane di Roma.
Trovi tutto l'articolo tra i nostri Testi.
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"Mio padre aveva fatto servizio nelle ambulanze, come giovane medico, negli anni '80. Quattrocento morti l'anno. In zone dove si ammazzavano anche cinque persone al giorno.
Arrivava con l'autoambulanza, quando però il ferito era per terra e la polizia non ancora arrivata non si poteva caricarlo. Perché se la voce si spargeva, i killer tornavano indietro, inseguivano l'autoambulanza, la bloccavano, entravano nel veicolo e finivano di portare a termine il lavoro. Era capitato decine di volte, e sia i medici che gli infermieri sapevano di dover star fermi dinanzi a un ferito e attendere che i killer tornassero per finire l'operazione.
Una volta mio padre però arrivò a Giugliano, un paesone tra il napoletano e il casertano, feudo dei Mallardo. Il ragazzo aveva diciotto anni, o forse meno. Gli avevano sparato al torace, ma una costola aveva deviato il colpo. L'autoambulanza arrivò subito. Era in zona. Il ragazzo rantolava, urlava, perdeva sangue. Mio padre lo caricò. Gli infermieri erano terrorizzati. Tentarono di dissuaderlo, era evidente che i killer avevano sparato senza mirare e erano stati messi in fuga da qualche pattuglia, ma sicuramente sarebbero ritornati. Gli infermieri provarono a rassicurare mio padre: «Aspettiamo. Vengono, finiscono il servizio e ce lo portiamo». Mio padre non ce la faceva. Insomma, anche la morte ha i suoi tempi. E diciotto anni non gli sembrava il tempo per morire, neanche per un soldato di camorra. Lo caricò, lo portò all'ospedale e fu salvato.
La notte, andarono a casa sua i killer che non avevano centrato il bersaglio come si doveva. A casa di mio padre. Io non c'ero, abitavo con mia madre. Ma mi fu raccontata talmente tante volte questa storia, troncata sempre nel medesimo punto, che io la ricordo come se a casa ci fossi stato anche io e avessi assistito a tutto. Mio padre, credo, fu picchiato a sangue, per almeno due mesi non si fece vedere in giro. Per i successivi quattro non riuscì a guardare in faccia nessuno.
Scegliere di salvare chi deve morire significa voler condividerne la sorte, perché qui con la volontà non si muta nulla. Non è una decisione che riesce a portarti via da un problema, non è una presa di coscienza, un pensiero, una scelta, che davvero riescono a darti la sensazione di star agendo nel migliore dei modi. Qualunque sia la cosa da fare, sarà quella sbagliata per qualche motivo. Questa è la vera solitudine".
Roberto Saviano, Gomorra, 189-190
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«Il Vangelo, oltre al resto, è il libro che trasmette la memoria delle persone che non contano, dei gesti "sbagliati" secondo la logica dei benpensanti, delle storie trascurabili, delle realtà disprezzate. Il Vangelo conserva ciò che pare non meriti attenzione, ciò che si vorrebbe andasse perduto. Oserei dire che il Vangelo è un libro messo insieme con le dimenticanze, con i dimenticati.
Allo stesso modo che le sue vie non sono le nostre vie, i nostri pensieri non sono i suoi pensieri, così la memoria di Dio non è la memoria degli uomini. Si direbbe che la memoria di Dio sono le dimenticanze degli uomini.
Anche noi, tutte le volte che compiamo un'azione come risposta all'amore di Cristo, diventiamo un frammento del vangelo di Dio.
«Ha compiuto una bella azione verso di me» (cfr Mc 14, 1-11). Salta così un'ultima contrapposizione: quella tra bello e buono. "Kalon ergon" si può tradurre sia con azione buona che azione bella. Sorge il sospetto che se i cristiani si preoccupassero maggiormente di fare "qualcosa di bello", nel mondo non mancherebbe mai "qualcosa di buono". Proprio come nei giorni della creazione».
Alessandro Pronzato, Le donne che hanno incontrato Gesù, 146
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"Ofelé fa' 'l to mesté",
cioé
"Pasticcere, fai il tuo mestiere".
Ovviamente non si parte in senso stretto di "lavoro" (che spesso non c'è):
questo proverbio significa che ciascuno ha un "mestiere" (ruolo, compito, posizione) da fare,
sulla base di caratteristiche, competenze, capacità proprie.
Quel ruolo deve compiere,
perché è un bene per tutti
ed è un bene per chi lo compie,
e per questo è fonte di soddisfazione per sé e per tanti.
In realtà noi vediamo
imprenditori che fanno i politici,
politici che fanno gli affaristi,
comici che fanno i predicatori,
predicatori che fanno gli strateghi,
preti che fanno gli amministratori di edifici,
attrici che fanno le opinioniste,
ragazzine che fanno le veline,
padri che fanno gli amici,
ecc. ecc.
Senza nulla togliere al diritto-dovere di ciascuno
di contribuire - come può e come sa - al bene di tutti,
preferisco continuare a non lanciarmi
nell'impresa di rubare il mestiere al "pasticcere",
ma a godere del dolce frutto della sua opera
(sperando che la faccia bella e buona!).
don Chisciotte