«Grazie a Dio non ho nessuna Chiesa, seguo Cristo. Non ho fondato niente. Dal punto di vista dello stile non sono cambiato da come ero a Buenos Aires. Sì, forse qualcosina, perché si deve, ma cambiare alla mia età sarebbe stato ridicolo. Sul programma, invece, seguo quello che i cardinali hanno chiesto durante le congregazioni generali prima del conclave. Vado in quella direzione. Il Consiglio degli otto cardinali, un organismo esterno, nasce da lì. Era stato chiesto perché aiutasse a riformare la curia. Cosa peraltro non facile perché si fa un passo, ma poi emerge che bisogna fare questo o quello, e se prima c'era un dicastero poi diventano quattro. Le mie decisioni sono il frutto delle riunioni pre conclave. Nessuna cosa l'ho fatta da solo».
papa Francesco, intervista al Messaggero, 29.06.2014
qui trovi il testo dell'intera intervista

«Non ho paura di dire ciò che penso;
mi fa paura la gente che tace
e va dove tira il vento».
M. Ghesini
 

Ringrazio la signorina allo sportello.
Lei mi risponde: «Prego».
Poi si ferma un istante, guarda bene la camicia da prete
e mi dice: «Prego... in tutti i sensi!».
don Chisciotte Mc
 

Gesù disse:
«Ti rendo lode, Padre, Signore del cielo e della terra,
perché hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti
e le hai rivelate ai piccoli».
Mt 11,25

"Abituati al deserto che è di nessuno,
dove si sta tra terra e cielo
senza l'ombra di un muro, di un recinto.
Abituati al bivacco, impara la distanza che protegge dagli uomini.
Non è esilio il deserto, è il tuo luogo di nascita".
Erri de Luca , da “ In nome della madre”
Certo che è proprio brutto
non poter parlare
in quella che dovrebbe essere "casa propria".
don Chisciotte Mc
 

Dicono certe cose (in buona fede?!),
in realtà agiscono in altro modo.

La solitudine e la miseria di chi si crede potente.
E non mi riferisco a politica o società, purtroppo...


don Chisciotte Mc

 

 

 

Obiezione di coscienza alle mormorazioni 
di Enzo Bianchi 
Chi guarda alla vita della chiesa trova sovente scandalo quando vengono denunciati gravi immoralità soprattutto in materia sessuale o in quella economica e finanziaria. Ed è vero che simili comportamenti da parte di uomini di chiesa contraddicono gravemente il Vangelo e la dignità umana rendono possibile quanto denunciava il profeta: “il Nome di Dio è bestemmiato tra le genti!” (Rm 2,24; cf. Ez 36,20-22). 
Ma chi conosce la vita della chiesa dall’interno discerne anche un altro peccato, molto più esteso, molto più quotidiano anche se meno appariscente: il peccato della mormorazione. Papa Francesco più volte ha denunciato questo peccato e, tra le tante, bastino queste sue parole rivolte alla Curia il 21 dicembre scorso: “Alle chiacchiere occorre contrapporre l’obiezione di coscienza. Noi giustamente insistiamo molto sul valore dell’obiezione di coscienza, ma forse dobbiamo esercitarla anche per difenderci da una legge non scritta dei nostri ambienti che purtroppo è quella delle chiacchiere. Allora facciamo tutti obiezione di coscienza ... Le chiacchiere danneggiano la qualità delle persone, del lavoro e dell’ambiente”. Il papa denuncia questo vizio antico, molto esteso, assai praticato nel quotidiano in ambienti ecclesiali, curie, comunità religiose. Un vizio che la Bibbia accosta all’uccisione del fratello e che quindi richiede di essere contrastato dall’obiezione di coscienza: non si ricevano mormorazioni e chiacchiere, non le si accolga né le si ascolti, si opponga loro un fermo rifiuto anche al semplice prestarvi orecchio. Soprattutto non le si divulghi, affinché la scintilla non diventi un incendio. 
C’è un salmo che è la preghiera della guida del popolo di Dio, un proponimento nato significativamente dall’osservazione di una corte, di una “curia”. L’orante dice al Signore: “Odio il comportamento del traditore senza esserne sedotto, stia lontano da me il cuore tortuoso, non voglio conoscere il perverso... Chi denigra in segreto il suo prossimo lo riduco al silenzio; l’occhio sprezzante e il cuore orgoglioso non li voglio tollerare” (Sal 101,3-5). Un bel programma per un papa, un vescovo, un abate, una superiora : per chiunque presieda una comunità! 
Eppure quanta mormorazione nella chiesa, quanti discorsi ostili che esprimono riprovazione e malumore ma non sono fatti ad alta voce, bensì di nascosto, con sussurri e allusioni. Così si danno giudizi malevoli e non frutto di discernimento, si enfatizzano fatti avvenuti, li si manipola sottraendosi al confronto con chi avrebbe il diritto di spiegare gli eventi e di difendersi. Con le chiacchiere e la mormorazione si fa opposizione sorda all’autorità, oppure, in base ai propri interessi, si colpisce qualcuno presentandolo come in grado di nuocere alla chiesa
Negli ultimi decenni, nelle nostre chiese, soprattutto in Italia, ci si è nutriti di chiacchiere, menzogne e calunnie, fino a 


Ci sono persone che non riescono a tenere per sé nemmeno una piccola notizia riservata...
Per lo più sono persone insicure che in questo modo cercano delle scintille di attenzione da parte di chi dedica loro (per curiosità o per pietà) un secondo del proprio tempo.
Poi ci sono quelli vanitosi e che pensano davvero di essere importanti perché rivelano cose di sé o di altri.
Infine ci sono quelli che lo fanno di proposito, per gettare scompiglio e confusione. Questi sono cattivi.
don Chisciotte Mc
 


O pover'uomo,
i casi sono due:
1. o stai dicendo la verità e allora non puoi che darmi ragione... anche quando ti critico;
2. oppure stai mentendo... spesso sapendo che menti. In questo caso sei ancora più un poverino.
Detto questo,
proprio perché sei un "poverino",
cerco di amarti, come mi comanda Gesù.
don Chisciotte Mc
“E ora basta omertà il Papa chiude l’epoca della Chiesa ambigua” 
intervista a Luigi Ciotti, a cura di Paolo Rodari 
 
Don Luigi Ciotti, due mesi fa il Papa l’ha incontrata assieme alla sua fondazione Libera nella veglia di preghiera nella ricorrenza della XIX Giornata in ricordo delle vittime innocenti delle mafie. Allora disse ai mafiosi: «Convertitevi per non finire all’inferno». Ieri, nella messa celebrata sulla piana di Sibari, ha invece alzato la voce dicendo a braccio: «I mafiosi sono scomunicati!». 
«Sono contento di queste parole. I mafiosi non hanno nulla di cristiano. Sono in antitesi col Vangelo. Ma direi non soltanto i mafiosi, ma anche coloro che fanno affari coi mafiosi. Il Papa ha ribadito che certi comportamenti non possono che mettere fuori dalla comunione con la Chiesa». 
 
Più volte Papa Bergoglio ha tuonato contro i cristiani ipocriti, che parlano del Vangelo senza viverlo… 
«Infatti, ascoltando Francesco in Calabria mi sono subito venute in mente le parole di don Tonino Bello, quando diceva che la Chiesa — e i cristiani con essa — non può dimenticare che la Parola non si annuncia con le parole, ma con la vita, con gesti e fatti». 
 
L’annuncio è anzitutto testimonianza? 
«L’evangelizzazione non avviene soltanto per ciò che si dice, ma anche per quello che si fa. I gesti, le azioni, sono importanti. Lo stesso Francesco ieri ha messo in pratica questa verità. Ha parlato ed è andato anche a trovare la gente fin nelle sue sofferenze. È stato coi carcerati e i poveri. E quando ha parlato della mafia ha ricordato che esistono delle responsabilità che riguardano tutti, a cominciare dai politici che troppe volte si sono mostrati conniventi». 
 
Come si fa a dire se una persona è scomunicata perché mafiosa? 
«La domanda è giusta. Non sempre i comportamenti individuali sono evidenti. Ma spesso le cose si sanno. Anzi, in questo senso è proprio il richiamo del Papa a suonare come sprone per la stessa Chiesa affinché non sia tiepida bensì coraggiosa. Beninteso, non bisogna mai dimenticare le tante cose belle e positive che tanti cristiani hanno fatto nei territori più difficili, nei luoghi dove la mafia ha in mano tutto, dove è più potente. Nessuno deve dimenticare il comportamento anche eroico di tanta gente di Chiesa. Ma, insieme, occorre riconoscere che ci sono state, e ci sono, anche tante fragilità, zone d’ombra». «Alcune volte, purtroppo, la Chiesa è rimasta alla finestra rispetto a certi comportamenti lavandosene le mani. Altre volte, invece, è stata addirittura complice. Sono ambiguità non al servizio della verità. E ciò è sempre un male, perché sono comportamenti che tarpano le ali alle energie migliori, a coloro che, invece, vorrebbero mettere le proprie energie al servizio della positività». 
 
Comportamenti mafiosi sono anche di coloro che pur sapendo non fanno nulla? 
«Il problema non è soltanto ascrivibile a chi fa il male, a chi si rende colpevole di crimini. Ma esiste anche un problema enorme di chi guarda il male compiersi e lascia fare. In troppi osservano da fuori ma non si spendono per il bene. Anche questa omertà in fondo è mafia». 
 
in “la Repubblica” del 22 giugno 2014

 

 

«Se una foresta è in fiamme
e tu hai solo un secchio d'acqua,
sii contento di salvare almeno un albero».
Paolo Conte

Ci sono giorni in cui fatico ad essere contento di questo.
don Chisciotte
 

 

Chissà perché fatico a sopportare
di farmi prendere per il naso...

don Chisciotte Mc


«Chiunque può arrabbiarsi: questo è facile.
Ma arrabbiarsi con la persona giusta, e nel grado giusto, ed al momento giusto, e per lo scopo giusto, e nel modo giusto:
questo non è nelle possibilità di chiunque e non è facile».
Aristotele
 

Il padrino "don" Mariano Arena si rivolge al capitano Bellodi:
«Io ho una certa pratica del mondo;
e quella che diciamo l’umanità, e ci riempiamo la bocca a dire umanità, bella parola piena di vento,
la divido in cinque categorie: gli uomini, i mezz’uomini, gli ominicchi, i (con rispetto parlando) pigliainculo e i quaquaraquà…
Pochissimi gli uomini; i mezz’uomini pochi, ché mi contenterei l’umanità si fermasse ai mezz’uomini…
E invece no, scende ancor più giù, agli ominicchi: che sono come i bambini che si credono grandi, scimmie che fanno le stesse mosse dei grandi…
E ancora più giù: i pigliainculo, che vanno diventando un esercito…
E infine i quaquaraquà: che dovrebbero vivere come le anatre nelle pozzanghere, ché la loro vita non ha più senso e più espressione di quella delle anatre…
Lei, anche se mi inchioderà su queste carte come un Cristo, lei è un uomo… »
Leonardo Sciascia, Il giorno della civetta


"Il cuore del Dio che si comunica è trinitario; la assoluta dimensione del divino è una costellazione trinitaria. Già da sempre la vita divina è la storia delle Tre persone che si comunicano completamente tra loro: si rivelano e si manifestano pienamente l’una all’altra, si donano e si accolgono pienamente tra loro. La vita divina si caratterizza per la perfetta reciprocità della comunione e della intesa delle Tre Persone: il segno autentico del divino viene allora a essere l’assoluta loro reciprocità, la completa loro in-tesa (si comprendono e si amano): le Tre persone si «com-prendono» perfettamente, come comprensione cognitiva e come comprensione amorosa. Gli antichi termini per esprimere questo dinamismo intratrinitario sono ancora validi: pericòresis, circum-in-cessio: le divine Persone stanno l’una dentro l’altra, l’una attorno all’altra, l’una tesa all’altra. E proprio qui sta la ragione ultima della possibilità e della realtà dell’alleanza di Dio con gli uomini. Il Dio trino, che già al suo interno è aperta relazione d’amore, si apre all’alleanza con l’uomo. Egli spalanca se stesso e la propria vita all’uomo; si manifesta a lui e gli dà accesso alla sua vita d’amore. La natura stessa di Dio è «apertura di alleanza», è disponibilità al dono totale; su questa «base», Dio si apre alla creazione dell’universo e dell’umanità facendo loro spazio".
G. Mazzanti, I sacramenti, 112

Colui che davvero ama si raffigura continuamente il volto della persona amata
e lo guarda con tale gioia nel pensiero
che neppure il sonno è capace di distoglierlo da quell’oggetto
e il suo affetto glielo fa vedere in sogno.
Nelle realtà corporali avviene lo stesso che in quelle incorporee".
 
Giovanni Climaco, La Scala del Paradiso V, 54
 

"E' triste un pianeta abitato da giovani
le cui dita sfiorano più cellulari che volti".
 
Michelangelo Da Pisa

I falliti si dividono in due categorie:
coloro che hanno agito senza pensare
e coloro che hanno pensato senza agire.
John Charles Salak
 

"C’è una bellezza del corpo e c’è una bellezza dell’Anima.
La bellezza del corpo è ordinaria e transitoria: oggi c’è, domani forse no.
E la bellezza del corpo è più negli occhi di chi guarda che nell'oggetto in sé: la stessa persona può apparire bella a qualcuno e brutta a qualcun altro.
Ma la bellezza dell’Anima è qualcosa d’interiore, non è negli occhi dell’osservatore, perché non può essere vista, può solo essere sentita.
Non è una bellezza che può essere distrutta, nemmeno la morte può toccarla, è eterna."
Osho Rajneesh
 

«Signore, aiutami a capire
qual è il mio vangelo, quali sono stati i miei vangeli.
Aiutami a richiamare, attraverso la memoria, i tuoi grandi benefici,
a richiamare i momenti portanti della mia esperienza spirituale.
A me sembra, Signore, di non aver nessun vangelo:
fammi capire di quale vangelo ho bisogno.
Signore, non so pregare, donami di comprendere
che è lo Spirito santo che mi dà la grazia di pregare.
È forse questo il mio vangelo, la buona notizia di cui ho bisogno:
che lo Spirito prega in me?
E mi dà forza nella mia debolezza, nella mia incapacità di pregare.
Grazie, Signore,
perché ti manifesti a me con la forza misericordiosa e salvifica del tuo vangelo!».
Carlo Maria Martini, Perché Gesù parlava in parabole?, 35-36

Parigi, 1963 - Un gruppo di bambini sta seguendo uno spettacolo di burattini.
E arriva il momento della uccisione del drago da parte del cavaliere!
Un insieme di emozioni contrastanti, inenarrabili...
come quelle di questi giorni.
don Chisciotte Mc
 
 

Pentecoste!
Che bello sarebbe se riuscissimo davvero a capirci bene
pur nella differenza.
don Chisciotte Mc
Churchbook e il fattore tempo
di Diego Andreatta
Il 20% dei preti diocesani e dei religiosi italiani - e quasi il 60% dei seminaristi - hanno dunque un profilo su Facebook, anche se lo usano con frequenza e modalità molto diverse. Nell'indagine "Churchbook. Tra Social Network e pastorale" - presentata giovedì dopo tre anni di lavoro dal Cremit dell'Università Cattolica di Milano e dal dipartimento Scienze Politiche dell'Università di Perugia per conto di WeCa (i webmaster cattolici italiani) - ci sono anche molti elementi qualitativi che indicano come i social media siano abitati con crescente entusiasmo (non solo dai preti giovani) e sia maturata in molti di loro la comprensione delle peculiarità di Facebook: dall'iniziale "dovere di esserci" e replicare la bacheca parrocchiale ad una presentazione più cauta e prudente, una valorizzazione della dimensione comunitaria in modo circoscritto e un rinvio alle occasioni d'incontro reale perché "essere sempre on line non significa necessariamente anche incontrare l'altro".
La presentazione dell'indagine a Milano (disponibile su www.youtube.com/watch?v=sdhh_0rOnYA) in vista della Giornata delle comunicazioni sociali ha anche individuato quattro funzioni ricorrenti - quella dei "confessori", degli "attivisti", degli "esegeti" e dei "predicatori" - assunte da preti, religiosi e seminaristi, mentre le religiose appaiono particolarmente predisposte ad una modalità di accompagnamento spirituale, utilizzando "una comunicazione materno-affettiva".
In questa fase di maturità dell'"abitare" i social emergono provvidenzialmente anche alcune tentazioni. In primo luogo, l'accentramento narcisista che esalta lo schema clericale "uno verso tutti" piuttosto che una circolarità ricercata per favorire la comunione e lo sviluppo di reti in cui anche altri confratelli e i laici figurino come nodi credibili.
Ma "il problema dei problemi" - dentro la stressante quotidianità dei presbiteri italiani - è il fattore tempo. In un recente dibattito sulle relazioni nel Web 2.0 un pluriparroco ammetteva di aver riscoperto nuove fasce orarie nella sua giornata - il primo pomeriggio per messaggiare con i suoi studenti pendolari o la sera tardi per rispondere con calma alle richieste di alcuni parrocchiani - e la difficoltà di rispettare gli orari: "Ma se arrivo qualche minuto dopo - aggiungeva - immagino che la mia gente capisca ormai anche il motivo del mio ritardo". E a tanti confratelli che giudicano "smanettoni" o "impallinati" i preti troppo presenti nella rete, risponde indirettamente l'esperto padovano don Marco Sanavio: "Anche se ne conosce le differenze, considero il tempo utilizzato nella relazione nei social come quello dedicato al dialogo interpersonale - ha detto in una recente intervista - D'altra parte è successo all'epoca anche per lo strumento del telefono. Ma chi oggi sosterrebbe che telefonare è una perdita di tempo e non può servire per coltivare relazioni e dialoghi anche per l'evangelizzazione?".
Ma forse è "soltanto" un problema di equilibrio, non lasciarsi prendere dalla smania dell'onnipresenza virtuale e non arroccarsi in un distacco "duro e puro" che impedisce d'incrociare le persone nelle piazze più frequentate dei giorni nostri. Sul tema lo scambio di esperienze potrebbe essere utilissimo, se è vero - come dice la sociologa dei social media Nicoletta Vittadini - che "condividere significa prendersi cura".
 

 
Non nominare troppo Dio 
di Enzo Bianchi 
Annota il Vangelo secondo Matteo: «Gesù parlava di molte cose in parabole» (Mt 13,3). Sì, parlava di molte cose e in parabole. «Di molte cose» significa che Gesù non consegnava formule, verità codificate, ma parlava della realtà, di ciò che è quotidiano, di ciò che accade nella vita di uomini e donne. Mai nei Vangeli sinottici Gesù consegna agli altri delle formule su Dio, anzi di Dio parla poco... Ne parla solo perché emerga un'immagine diversa da quella preconfezionata trasmessa dai dottori della legge: un'immagine che si potesse decifrare nella sua vita umanissima e quotidiana, mai straordinaria, mai volta a incantare o a sedurre.
Gesù parlava di Dio «in parabole» senza nominarlo. Non aveva in bocca la parola «Dio», non aveva l'ansia di nominarlo a tutti i costi, parlando di Dio alla terza persona. Nelle parabole, possiamo dire, si trova una parola «non religiosa», una parola che indicava alla mente degli ascoltatori cose ed eventi umanissimi, terrestri: un fico che mette i germogli in primavera, del lievito che fa lievitare la pasta, un padre che attende e perdona il figlio perduto, un pastore che perde e ritrova una pecora, una donna che ritrova la moneta perduta, un agricoltore che semina il grano, un uomo che pianta una vigna, un altro che assume lavoratori nella sua vigna... Racconti, narrazioni in cui Dio non è il protagonista né uno dei personaggi, ma che, una volta ascoltati con gli orecchi e meditati nel cuore potevano comunque far capire qualcosa dei sentimenti, delle attese, delle azioni di Dio, di quelle che Gesù chiamava il Regno di Dio.
A volte venivano rivolte a Gesù delle domande su Dio, eppure egli non consegnava in risposta delle formule, ma rimandava all'esperienza umana alla microstoria in cui gli uomini e le donne sono coinvolti. Non c'era mai in Gesù l'ansia di fornire risposte catechetiche, di annunciare dogmi, di indicare leggi morali ferree: parlava in parabole, parlava di molte cose... «Non parlava come gli scribi», annotano i Vangeli, ma «parlava con autorità» (cfr. Mc 1,22 e par.), non come gli incaricati della religione, istituiti e muniti di potere, ma con l'autorevolezza che gli veniva dalla sua coerenza tra il dire e il fare. Tra le cause dell'opposizione a Gesù di scribi e sacerdoti va annoverato anche questo suo linguaggio umanissimo che sconcertava in bocca a un predicatore, perché egli non diceva quello che tutti dicevano e non ripeteva quello che era stato detto e che veniva chiamato tradizione.
Mai in Gesù un ricorso al «sovraumano»! Egli chiedeva invece di ripensare l'idea che quasi tutti avevano di Dio, mostrava di non disprezzare mai ciò che è umano e tanto meno gli uomini, a qualunque cultura o religione appartenessero. Gesù non parlava di un Dio onnipotente, vittorioso e che sa imporsi sugli uomini, lo accolgano o meno: parlava di un Padre che chiamava Abinu, «Padre nostro», o più confidenzialmente Abba (Mc 14,36), «Papà»; un Dio che conosce solo l'onnipotenza dell'amore, che desidera dare amore a chi non lo merita, che vuole salvare chi è perduto e si sente tale.
Proprio per questo Gesù «si è perduto», è stato annoverato tra i malfattori, giudicato amico di peccatori pubblicamente riconosciuti, impuro perché non ossessionato dalla purità e dall'ansia immunitaria. La sua carne era parola umana. Anziché parlare di Dio alla terza persona, Gesù preferisce nella sua preghiera, sovente solitaria, dargli del tu, invocarlo, lodarlo, ringraziarlo. Voleva che noi comprendessimo che la sua vita era narrazione in mezzo a noi uomini del Dio invisibile. E nel suo avvicinarsi e prendersi cura di chi era nel bisogno, Gesù "parlava" di Dio e lo faceva conoscere: non faceva discorsi su Dio, ma lo rivelava nella sua pratica di umanità. Sicché si poté dire: «Hai visto Gesù? Hai visto un vero uomo, hai visto Dio!».
in “Jesus” del maggio 2014