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di Mina
Che bella l'estate. Bella perché finisce, prima o poi. L'altro giorno sembrava proprio che l'inverno avesse fatto un colpo di mano e si fosse insediato per rimanere. Veramente era notte e il vento, i fulmini e gli scrosci staccavano rami e alberi. Il rumore era sbalorditivo. Sembrava di essere a un concerto heavy metal con mille altoparlanti a manetta. Credevo che la casa venisse sradicata, come quella di Dorothy, nel mago di Oz. Il canetto di mia figlia, identico a quello del film, ha paura dei rumori e del vento. Quella notte mi stava francobollato mentre con tutta la forza cercavo di chiudere le finestre che il vento spingeva. È durata ore e io, sotto sotto, speravo che quel nubifragio di proporzioni colossali si fosse portato via la calura. Invece no. Il mattino dopo, a parte le strade in condizioni da day after, il sole picchiava come un maglio. Solito problema. Un rimedio contro il caldo. Ventagli, angurie ghiacciate, gelati
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W la solitudine (anche da morti)
di Mina
Ci ho pensato spesso, in questi ultimi settant'anni. E se dovessi descrivere il funerale ideale, lo sognerei vuoto di dolore e di addolorati. Converrebbe aver lasciato di sé una traccia di allegria così potente da controbilanciare l'assenza. Un segno di leggerezza da consumare anche postumo. Il funerale deserto andrebbe proprio bene. Non sono fra quelli che piagnucolano: «Ricordati di me». Dimènticati di me, piuttosto, ma, soprattutto non soffrire. Mi farebbe più male del morire. Ma come si fa? O muori così vecchio, ma così vecchio che le persone che ami si sentirebbero estenuate dal vederti ancora lì. Insomma, ne avrebbero avuto più che a sufficienza. Oppure, sempre nel desiderio di non lasciare dolore dietro di sé, tramutarsi, se non lo si è già, in un essere detestabile e malvagio. Così perfido da far tirare un sospiro di sollievo a chi resta. E poi ho poca voglia che l'uomo continui a concedere alla morte la di lei capricciosa, ostinata supremazia.
E che magnifichi se stessa in consessi preficanti dall'organizzazione paramilitaresca. Se proprio fosse necessario, lascerei sfilare dietro il feretro i volontari dell'addio a tutti i costi. Il ricordo del beneamato dovrebbe essere sparpagliato il più possibile e senza le dimensioni strette e obbligatorie di una cerimonia con corteo semiordinato. Incrocio di sguardi interrogativi e rumorino di suole che strascicano ghiaietta e pensieri a caso. Ma la convenzione vuole che alla morte si debba rispetto e al morto onore e saluti. Così, oggi, appare molto sconveniente una preghiera funebre univocale del celebrante. Si è stabilito che sia sempre preferibile un rito con ondulazione corale, abbastanza nera. Un rito composto, religioso comunque. La parola deve essere multipla. Le strampalate regole tramandate della pietas sembrano avvertirci che il de cuius, solo dopo la morte, non debba essere solo. Strana pietas. Da morto, dicevo, qualcuno deve pure piangerlo. Vanno bene legionari smaniosi di macabri eroismi così come prezzolati professionisti del piagnisteo. Don Marcello Colcelli, della parrocchia di Sant'Egidio all'Orciolaia, si è stancato dei funerali deserti. E ha deciso di varare la «compagnia dei defunti». Invita uomini e donne alla supplenza, nel caso non ci fosse nessuno a soffrire intorno ad una bara. Il vantaggio della solitudine non deve essere concesso mai. Allegra oggi, vero? Ridanciana, direi.
Queste considerazioni meritano una riflessione. Non sono del tutto da me condivise, ma certo hanno uno spessore interessante.
Qualcuno ci starà a commentarle qui sotto?
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Sarà mica possibile che nel 2010, all'inizio del mese di settembre, ci siano parrocchie bloccate nello stendere il calendario parrocchiale (e la relativa organizzazione) perché il parroco non ha ancora detto loro in che data ci sarà la Festa dell'Oratorio (ultima domenica di settembre)?! Decenni o secoli fa dovevamo capire che il parroco non ha nessuna competenza per decidere queste cose; che gli organi decisionali delle comunità cristiane dovrebbero svegliarsi e muoversi autonomamente; che comunque non può essere preparato nulla di buono a quattro settimane di distanza e senza alcuna progettualità. Povera Chiesa, ancora con questi preti, senza nessuno che fraternamente li corregga e li argini!
don Chisciotte
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di Agostino Gramigna
Hanno 50 anni ma si vestono e si comportano come se ne avessero 30 E ne pagano le conseguenze
Christian De Sica è nato nel 1951. Ha 59 anni. Un'età che per molti significa «un passo dalla pensione». A vederlo in tv non sembra. Costretto dagli impegni di lavoro, l'attore veste come un giovane. Un giorno, non tanto tempo fa, s'è lasciato andare: «Per l'età che ho, vorrei vestirmi come mio padre. Classico, serio. Purtroppo mi tocca fare il giovanile». Il «finto giovane» o l'eterno giovane. Nei manuali di sociologia una definizione di questo tipo non è contemplata. Non ancora. Anche se trovare la categoria del finto giovane nella realtà non è difficile. Basterebbe fare un sondaggio tra gli adolescenti e chiedere loro di descrivere gli adulti, che spesso sono i loro genitori. Ne uscirebbe fuori questo identikit: quaranta- cinquantenne che adotta uno stile di vita che un tempo sarebbe stato condizionato dall'anagrafe e che oggi invece è determinato dalle mode, dai consumi trasversali e dalla possibilità di programmare la vita pure dopo i 40.
Una sociologa italiana, Giovanna Cosenza, direbbe la Trans-Age. Una neo generazione molto appetita dai pubblicitari che tende a vestire come i teenagers, mangia sano, molto sano, non la smette di fare sport e non potrebbe vivere senza il web, l'Ipod, l'Iphone e ora l'Ipad. Di esempi di finto (o eterno) giovane televisivi e sportivi di successo ce ne sono molti. (...) La differenza rispetto a qualche anno fa è la quantità: è come se la generazione dei finti giovani fosse uscita dallo schermo per estendersi ovunque. I luoghi maggiormente frequentati sono le palestre, gli outlet (...) e i negozi possibilmente griffati. (...) Spesso è difficile proporre la sobrietà a clienti-donne non più giovanissime smaniose di apparire sexy, «chiedono quasi sempre una o due taglie più piccole». Lo stesso vale per i maschi: «Raramente si vende un vestito così come lo proponiamo in boutique. Si va sempre dal sarto per stringere, per creare aderenza. Fa più giovane». Aderenza. È il collante ideologico. Il jeans deve essere attillato, la maglietta pure, l'orologio Swatch può andare bene, il pantalone se proprio deve essere largo è un Cargo; per le donne il simbolo finto giovane è rappresentato dai «leggings», pantacollant degli anni Ottanta, riproposte oggi in versione cotone, lana, finto pelle, traforate, indossate «naturalmente » dalle giovani ma ora anche dalle mamme. Motivo? Per essere sexy. Magari con una gonna inguinale sopra il ginocchio.
Due le scuole di pensiero sulle cause della crescita demografica di questa neo generazione. Anna Maria Testa, pubblicitaria ed esperta di comunicazione, sostiene che l'origine risale al 1968. Lo sdoganamento giovanilistico sarebbe poi di fatto avvenuto negli anni '80. «Un cinquantenne di oggi porta i jeans attillati e scoloriti perché li indossava anche 30 anni fa». Luca Antonietti, sociologo, punta invece il mirino sui processi demografici. Dice che è l'allungarsi della vita che permette di assumere comportamenti simili a quelli di un trentenne. Tanto che oggi è questa la fascia che interessa al marketing. Cita un dato che modifica il luogo comune che siano i «veri» giovani a essere aperti e più interessati all'innovazione: «Da un sondaggio risulta che gli over 40 sono più propensi all'innovazione dei ventenni, quindi meno giovanili ».
Una ricerca Eurisko sulla «Dieta mediale» (tv generalista, satellitare, stampa, Internet, cinema e quant'altro) mostra come la scelta dei 45enni sia uguale alla media della popolazione che ha più di 14 anni. Un esempio, Internet: 23% contro 24%. Il marketing è molto interessato: «Rispetto al più giovane uno di 45 anni ha più soldi, più cultura, aperto alla tecnologia avendo però stili di vita simili ». Non sempre la vita dell'eterno (o finto) giovane è facile. Nonostante «l'incoraggiamento» di un geriatra come Marco Trabucchi. «Non c'è un momento in cui il corpo invecchia. È un processo. Certo, non si può pensare che a 45 anni si abbia la stessa potenza sessuale di uno che ne ha 25». Jack, milanese, di anni ne ha 46. Fa sport, mangia sano e preferisce la compagnia delle ventenni. A volte è in difficoltà. «Il problema è che non sempre posso portarle a cena. Dopo una, due volte si annoiano: "Stasera andiamo in discoteca?" È dura». Jack, secondo i parametri del geriatra sarebbe ancora giovane. Ma non tanto da sostenere il ritmo discotecaro di una ventenne. Questo però non scoraggia la propensione al giovanilismo. I numeri. Il quarantenne single ha una capacità di spesa superiore alla media dei capofamiglia e spende (dato Assofin sull'uso delle carte di credito); ha più istruzione (più laureati nel 2009 rispetto al 2002); è molto attento alla salute (fatto 100, era 81 il valore nel '99, è 86 nel 2008), usa più prodotti per la pelle (51 nel 1999, 67 nel 2008); e soprattutto consuma tecnologia (41 nel 1999, 87 nel 2008). (...)
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Il genitore ridens
di Massimo Gramellini
Della vicenda di Civitanova Marche, dove un gruppo di bulletti da spiaggia fra i dieci e gli undici anni ha preso a calci la sdraio su cui un venditore ambulante si era seduto, gridandogli «amigo, vattene, questa è proprietà privata», mi ha sconvolto soprattutto il comportamento ridanciano dei genitori. Con questo non voglio dire che il resto vada derubricato a ordinaria amministrazione. Pur avendo un ricordo abbastanza vago delle mie vacanze infantili, non ho memoria di un coetaneo che mi proponesse di prendere a calci la sdraio di un venditore ambulante. A dieci anni ci si tirava calci al massimo tra noi.
E comunque nessuno, ma proprio nessuno, sapeva che cosa fosse una proprietà privata e tanto meno che si chiamasse così. Però di una cosa vado assolutamente certo: che se il più bullo della brigata avesse deciso di compiere un gesto tanto infame, lo avrebbe fatto di nascosto dalla sua famiglia, temendone la reazione. Qui invece pare che insegnare il disprezzo verso le persone più deboli stia diventando, per certi genitori, una missione educativa di cui menare gran vanto. Non si spiegherebbero altrimenti le risate con cui i padri e le madri di quei mocciosi hanno accompagnato la scena. Ma che bel gioco. Ma che orgoglio aver cresciuto dei figli così. Par di sentirli: cosa sarà mai, sono solo dei bambini! Oppure (variante Giornale-Libero): perché non parlate dei ragazzi dello stabilimento accanto che buttano per terra le cartacce? La novità, rispetto al passato, non è la cattiveria. È la mancanza d'imbarazzo dei cattivi.
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di Massimo Gramellini
La spiaggia di Mazzaforno, vicino a Cefalù, è una spiaggia come poche, nel senso che la natura si è particolarmente impegnata nel farla bella, ma è una spiaggia come tante: fra lattine, cartoni e materassini abbandonati, ogni mattina d'estate assomiglia a una discarica. Una di quelle spiagge in cui i bagnanti arrivano, guardano, si adeguano. Nel peggiore dei casi gettano qualcosa sulla sabbia anche loro. Nel migliore borbottano: contro gli spazzini che non spazzano, i poliziotti che non puniscono, i politici che se ne infischiano. E i tempi - oh, i tempi! - che non sono mai quelli di una volta. Succede così pure a Mazzaforno. Soltanto che lì c'è la signora Grazia. Che non si adegua e non borbotta. Ma ogni mattina d'estate china la schiena e, munita di guanti e sacchi neri, incomincia a raccogliere le tracce della maleducazione altrui.
Perché lo fa? Abita poco lontano e la spiaggia di Mazzaforno è l'angolo di terra che le è stato affidato. Certo gli spazzini, certo i poliziotti, certo i politici: per non parlare dei tempi. Però a lei le colpe del mondo non sembrano una buona ragione per limitarsi a denunciarle senza fare niente. Lei fa. Quel poco che può, che poi è tanto, è tutto, perché chi pulisce davanti a casa propria, dice il proverbio, è come se pulisse il mondo intero. Grazie di esistere, Grazia. E grazie a Elisabetta e Giovanni, i lettori che mi hanno raccontato questa piccola, infinita storia di un'Italia che si rifiuta di deprimersi ed è ancora capace di reagire.
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Cari e fedeli naviganti del sito, improvvidamente non ho tenuto conto che nello splendido luogo in cui sono stato in questi tre giorni (in ottima compagnia!) avrei potuto avere dei problemi di connessione (pur essendo chiavetto-dotato). Mi scuso con chi ha cercato l'aggiornamento quotidiano ed è rimasto deluso. Dopo una mattinata passata a recuperare gli "arretrati" di questi tre giorni, ora risorge la pubblicazione quotidiana dei post.
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L'amore è sufficiente per se stesso, piace per se stesso e in ragione di sé. È a se stesso merito e premio. L'amore non cerca ragioni, non cerca vantaggi all'infuori di sé. Il suo vantaggio sta nell'esistere. Amo perché amo, amo per amare. Grande cosa è l'amore se si rifà al suo principio, se ricondotto alla sua origine, se riportato alla sua sorgente. Di là sempre prende alimento per continuare a scorrere. L'amore è il solo tra tutti i moti dell'anima, tra i sentimenti e gli affetti, con cui la creatura possa corrispondere al Creatore, anche se non alla pari; l'unico con il quale possa contraccambiare il prossimo e, in questo caso, certo alla pari. Quando Dio ama, altro non desidera che essere amato. Non per altro ama, se non per essere amato, sapendo che coloro che l'ameranno si beeranno di questo stesso amore. L'amore dello Sposo, anzi lo Sposo-amore cerca soltanto il ricambio dell'amore e la fedeltà. Sia perciò lecito all'amata di riamare. Perché la sposa, e la sposa dell'Amore non dovrebbe amare? Perché non dovrebbe essere amato l'Amore?
Giustamente, rinunziando a tutti gli altri suoi affetti, attende tutta e solo all'Amore, ella che nel ricambiare l'amore mira a uguagliarlo. Si obietterà, però, che, anche se la sposa si sarà tutta trasformata nell'Amore, non potrà mai raggiungere il livello della fonte perenne dell'amore. È certo che non potranno mai essere equiparati l'amante e l'Amore, l'anima e il Verbo, la sposa e lo Sposo, il Creatore e la creatura. La sorgente, infatti, da sempre molto più di quanto basti all'assetato.
Ma che importa tutto questo? Cesserà forse e svanirà del tutto il desiderio della sposa che attende il momento delle nozze, cesserà la brama di chi sospira, l'ardore di chi ama, la fiducia di chi pregusta, perché non è capace di correre alla pari con un gigante, gareggiare in dolcezza col miele, in mitezza con l'agnello, in candore con il giglio, in splendore con il sole, in carità con colui che è l'Amore? No certo. Sebbene infatti la creatura ami meno, perché è inferiore, se tuttavia ama con tutta se stessa, non le resta nulla da aggiungere. Nulla manca dove c'è tutto. Perciò per lei amare così è aver celebrato le nozze, poiché non può amare così ed essere poco amata. Il matrimonio completo e perfetto sta nel consenso dei due, a meno che uno dubiti che l'anima sia amata dal Verbo, e prima e di più.
(Disc. 83,4-6; Opera omnia, ed. Cisterc. 2 [1958] 300-302)
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È una speranza che muove tutto il nostro operare perché comincia a realizzarsi fin da ora e, a partire dai suoi segni premonitori, noi dirigiamo il nostro lavoro anche pastorale e apostolico. Soprattutto il Vescovo è chiamato a custodire la grande speranza della venuta del Regno e a indirizzare i cammini della Chiesa nel quadro di questa visione globale.
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Anche la solidarietà può essere ingiusta
"Aiuti guidati da interessi ed alleanze"La denuncia dell'associazione francese Oxfam: "Un congolese riceve 27 volte meno soldi di un palestinese e 7 meno di un afgano"
di Anais Ginori
Anche la solidarietà può essere ingiusta. Nel "borsino" degli aiuti umanitari un congolese riceve 27 volte meno soldi di un palestinese, e 7 volte meno che un afgano. Quando si tratta di donare, non tutti sono uguali. E questo già si sospettava. Ma Oxfam France ha deciso di pubblicare una classifica tra Paesi più o meno assistiti, proprio in occasione della giornata mondiale dell'aiuto umanitario. L'Ong ha esaminato le donazioni verso dodici nazioni in guerra. Un afgano riceve, ad esempio, 179 dollari all'anno contro i 25 di un congolese e i 10 di un pachistano. "Ancora prima delle inondazioni e dell'emergenza umanitaria di questi giorni - spiega Nicolas Vercken - le donazioni al Pakistan erano molto basse". Eppure, nota Oxfam France, ci sono 2,7 milioni di profughi pachistani, record mondiale. "Spesso - nota l'Ong - prevalgono altre logiche". Nel 2008 le esportazioni di armi dall'Unione europea verso Islamabad, ricorda Oxfam France, sono stati pari a 265 milioni di euro. "Purtroppo la solidarietà dei nostri governi - continua Vercken - segue anche convenienze economiche o di alleanze geopolitiche". Anche il ruolo dei media è sotto accusa. "I riflettori sono puntati unicamente su tre conflitti: Iraq, Afghanistan e Medio Oriente".
Gli aiuti per Sudan, Ciad, Somalia e Repubblica democratica del Congo sono stati l'anno scorso pari a 2,9 miliardi, una cifra imparagonabile - osserva l'Ong - ai 100 miliardi destinati al salvataggio per la Grecia da Fondo monetario internazionale e Unione europea. Anche in termini di protezione dei civili esistono grandi differenze. "Durante la prima guerra mondiale - ricorda Vercken - solo una vittima su dieci era civile. Un secolo dopo, il rapporto tra vittime civili e militari si è invertito". Nel 2009 il numero di soldati internazionali presenti in Iraq era cinque volte superiore a quello nella Repubblica democratica del Congo. La regione del Darfur, nell'ovest del Sudan, ha il doppio di soldati occidentali che il sud, dove però ci sono più vittime civili. La priorità dell'Occidente, insomma, non è sempre umanitaria. "Abbiamo fatto questa classifica per provocare le coscienze, suscitare un dibattito" racconta Vercken. "La comunità internazionale - conclude il dirigente di Oxfam France - avrebbe il dovere morale di dare una risposta uguale tra tutte le popolazioni civili in pericolo, senza fare distinzioni di convenienza".
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di Marino Nola
Uno nessuno centomila volti per l'inventore della tentazione. Il diavolo non è mai uguale eppure resta sempre lo stesso. Serpente infido, angelo caduto, caprone volante, dragone sulfureo. Ma anche eroe maledetto, libertino irredimibile, mercante d'anime. E ancora anormale, marginale, deviante. Bel tenebroso oppure brutto sporco e cattivo. E perfino terrorista e serial killer. Dalla Genesi ai nostri giorni il maligno ne ha cambiate di facce. A dirlo è Daniel Arasse, storico dell'arte della Sorbona, in un libro appena uscito in Francia per le Edizioni Arke. Titolo Il ritratto del diavolo. Argomento, le mille sembianze con cui la nostra civiltà nel corso della storia ha cercato di rappresentare il principio attivo del male. Finendo per fare del signore delle tenebre il mutaforma per antonomasia. Proprio come quelli che oggi popolano il cinema e la letteratura fantasy. Ma in realtà ad essere veramente diabolico è proprio questo trasformismo gattopardiano. Cambiare tutto perché nulla cambi, mimetizzarsi per continuare ad indurci in tentazione. Sin dai primi secoli del Cristianesimo la vera arma del diavolo è proprio la sua capacità di trucco e di travestimento. Tertulliano, uno dei padri della Chiesa, sosteneva che gli angeli ribelli scacciati dal paradiso rivelarono alle donne arti diaboliche come l'uso della “polvere nera con cui si prolungano gli occhi”. Quello che oggi non a caso si chiama mascara. Seduzione uguale tentazione. (...) Di fatto Tertulliano, oltre a riaffermare che la tentazione è femmina, condanna la cosmetica in quanto mascheramento che snatura il modello divino di cui il volto umano è la copia rivelatrice. E in molte incisioni medievali il demonio viene riconosciuto proprio quando si toglie la maschera. Finendo letteralmente smascherato. (...) Ma questa capacità illusionistica non è solo uno strumento del mestiere, è anche la storica ragion d'essere del maligno. Che riesce, ieri come oggi, a rendere il male pensabile e soprattutto rappresentabile solo a condizione di restare un'icona a bassa risoluzione cui la Chiesa stessa non ha mai dato un volto definitivo. Ed è proprio grazie a questa indefinizione che il diavolo è rimasto un evergreen. Capace di un morphing perpetuo che ne fa sempre il profilo più aggiornato del male, la sua ultima versione. Diceva Dostoevskij che in realtà l'uomo ha creato il diavolo a sua immagine e somiglianza. Come dire che ogni epoca ha il Lucifero che si merita. Lo mostra a chiare lettere la storia dell'arte occidentale che registra puntualmente le metamorfosi del grande nemico. Sin dalle prime raffigurazioni altomedievali dove Satana e Belzebù hanno facce da turchi, da mongoli, da africani. Tratti etnici per significare un male straniero, un pericolo che viene dall'esterno. Fino a quel tornante decisivo che sta fra medioevo ed età moderna quando il demonio perde le ali di pipistrello, la coda di dragone, gli zoccoli da satiro pagano, per lasciare il posto a un maligno dal volto umano. Un diavolo politico, seppur cornuto, come quello che Ambrogio Lorenzetti mette al centro della celebre allegoria del cattivo governo, dipinta per il palazzo pubblico di Siena. Un tiranno, circondato da una squallida consorteria di vizi, che si mette sotto i piedi la giustizia, raffigurata con le mani legate (ogni riferimento al presente è puramente casuale). O addirittura un diavolo-cardinale, come quello del Michelangelo della Sistina che nel Giudizio universale dà al signore dell'inferno il volto del potentissimo Biagio da Cesena, maestro di cerimonie del pontefice Paolo III. Non più ibridi con gli occhi verdi di ramarro ma uomini dallo sguardo luciferino e dalla crudeltà mefistofelica. Così il diavolo cede il posto al diabolico che è in ciascuno. Come diceva Paul Valéry, il diavolo diventa come Dio. Entrambi esistono, ma solo in noi e insieme formano una coppia inseparabile di divinità latenti. Come dire che la modernità lascia all'uomo la scelta tra bene e male. Tra resistere alle tentazioni del peccato o al contrario cedere deliberatamente cancellando così l'idea stessa di peccato. Una rivoluzione che finisce per fare del diavolo il simbolo della vittoria del piacere e della libertà. O, addirittura, della forza vindice della ragione, per dirla con Giosuè Carducci. Un eroe bello e impossibile. Come il Satana di William Blake del Victoria and Albert Museum di Londra, uno Spartaco venuto dagli inferi che guida gli angeli ribelli all'assalto del trono di Dio. E come il Satana di Milton che preferisce essere re all'inferno piuttosto che servo in paradiso. Ma proprio perché si è fatto umano, troppo umano, il diavolo sparisce progressivamente dalla pittura e dall'iconografia. Che hanno bisogno di forconi, di artigli, di squame e di occhi fosforescenti da incubo. Se è facile dipingere dei mostri è difficile rappresentare la mostruosità. E così l'agente del caos esce dai manuali di storia dell'arte per entrare in quelli di criminologia e di psichiatria. E a dargli la caccia sono gli scienziati come Cesare Lombroso che fa dell'antropometria una demonologia positivista popolata di delinquenti, anormali, briganti, mattoidi e “pazzi morali”. Uno zoo umano affollato di poveri diavoli come il “falsario piemontese”, il “ladro napoletano”, “l'anarchico lucano”. Più demonizzati che demoni in verità. Oggi, scacciato dalla morale religiosa Satana si delocalizza e si scioglie nel sociale. Entra nei moderni tribunali della coscienza laica con un look tutto nuovo. Un diavolo che veste Prada. Terziarizzato, immateriale, interiorizzato. E soprattutto medicalizzato. Un maligno da psicologi e dietologi più che da teologi. Un demonio interinale microfisicamente nebulizzato in mille piccole tentazioni e altrettanto piccole demonizzazioni che ci aiutano ad orientarci tra un bene e un male ad assetto variabile, più mutevoli degli indici della borsa. Dal colesterolo ai radicali liberi, dai grassi idrogenati ai raggi UVA. Dal sovrappeso agli inestetismi. Dalla mucca pazza all'effetto serra. E così il simbolo del male diventa sintomo di malessere. È tutto quel che resta del diavolo nell'era della flessibilità. Che ha tolto il posto fisso anche a Belzebù.
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Quando dell'avversario non puoi dire male (né eliminarlo dalla faccia della terra), ma lo vuoi comunque infangare, inventi che il suo trisavolo nel Pakistan di metà '700 mangiò un venerdì di quaresima una mela tagliata con un coltello che il giorno prima aveva affettato una bistecca... e se in questo modo non avesse rispettato il magro e l'astinenza dalle carni?!
Ma come si fa a non vergognarsi di ciò che si scrive in questo articolo? E a non vergognarsi di continuare a comprare questo "foglio di partito", dopo che si è visto più volte dove è finita la deontologia professionale di chi lo conduce e di chi lo finanzia?
Una domanda: Canale 5, la tv che ha mandato in onda il film blasfemo (e molte altre fiction che non seguono certo la morale cattolica), a chi appartiene?!don Chisciotte
di Matthias Pfaender
I Paolini criticano da anni il Cavaliere sui temi etici. Poi raccomandano ai minori pellicole blasfeme: la pellicola è stata sdoganata come "discreta" e consigliata alla visione dei "minori con adulti". Poi avverte: "Il film non riesce a fondere le parti più leggere con quelle più drammatiche"
Vatti a fidare dei religiosi Paolini. Dopo tante critiche sulla moralità al premier, dopo tanti appelli a una condotta ispirata dai valori cristiani, che fanno? Consigliano ai bambini dalle pagine del loro Famiglia Cristiana un film corredato di bestemmie. Un bel tranello. Un tranello oltretutto non evitabile, visto che i petardi blasfemi arrivano proprio all'improvviso: quando la trama da commedia romantica è ben avviata sui binari dell'inevitabile happy-end e il climax drammatico è già scivolato via. Quando, insomma, ormai hai trovato la posizione comoda sul divano e hai abbandonato il telecomando sul bracciolo, perché tanto di scene scabrose da interrompere all'improvviso per non turbare orecchie e occhi dei bimbi non ce ne saranno. E invece, all'improvviso, eccole: due bestemmie. Due bestemmie pronunciate forte, con la splendida voce impostata dei doppiatori italiani. «Caro - sbotta dopo un attimo di smarrimento lei, sperando che il “moccolone” non abbia lasciato il segno nella mente vispissima dei loro figlioletti - ma hai sentito anche tu?». Certo che sì.
E dire che il film, in prima serata su Canale 5 il cinque agosto scorso, era stato sdoganato come «discreto», e consigliato alla visione dei «minori con adulti» proprio dal settimanale che più di tutti dovrebbe essere attento a tutelare le giovani orecchie italiane da bestemmie e oscenità. A questo punto, la domanda è d'obbligo: ma a che tipo di famiglie si rivolgono oggi i Paolini?
Secondo le parole vergate da don Sciortino, coriaceo direttore del settimanale fin dal 1999, a famiglie «stufe di duelli e regolamenti di conti» nella politica italiana, a famiglie soprattutto «stufe», sottolineava ieri l'editoriale Primo Piano, di sentire ogni giorno i reciproci «insulti dei politici». Ottimo. Niente di meglio, per questi nuclei familiari «che stentano a vivere - ribadiva - ogni giorno alle prese con povertà e disoccupazione», che distrarsi la sera con un buon film. Un film che per quanto «non sempre riesca - sanciva la recensione di Famiglia Cristiana - a fondere le parti più leggere con quelle più drammatiche» in compenso offre due bei bestemmioni. Il che, considerando che la blasfemia è uno degli ultimi limiti ancora non valicati dalla tv italiana, è un valore aggiunto non indifferente. Forse, nella cavalcata verso posizioni sempre più progressiste intrapresa ormai da anni da Sciortino e compagni, rientra anche questo.
Resta ora da capire una cosa: sebbene siano ormai anni che Famiglia Cristiana attacca a muso duro il governo Berlusconi e il centrodestra in generale, solo ogni tanto qualche ministro perde la pazienza e querela (l'ultimo fu il titolare dell'Interno Maroni, che a sentirsi dare del «razzista» da Sciortino perse la pazienza); ma quando consiglia un film con degli insulti al creatore, a chi spetta la replica? In attesa delle eventuali piaghe, gli italiani si sono mossi da soli. Su internet diversi blog e forum si domandano come sia possibile che venga trasmesso un bestemmione in fascia protetta. «Proprio una bella famiglia cristiana - commenta Francesco Torselli, consigliere comunale Pdl a Firenze, tra i primi ad accorgersi della gaffe paolina - quella seduta sul divano di casa ad ascoltare due belle bestemmie. Il giorno dopo la proiezione del film molti elettori mi hanno contattato, via mail o per telefono, denunciando lo scandalo». «Disfattista non è chi avverte del pericolo» scriveva ieri Sciortino nel suo editoriale contro la «politica degli stracci», lo stesso nel quale auspicava che un governo di unità nazionale sostituisca l'esecutivo del Cavaliere. Obiettivamente lui di disfattismo non può essere accusato. Mica ha avvertito le famiglie che si fidano di lui del pericolo. Anzi, gliel'ha consigliato in pieno.
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di Chiara Saraceno
La cronaca di queste ultime settimane ha riportato una serie di episodi che, pur nella loro grande diversità, testimoniano del lato oscuro della famiglia: verso l'interno, per ciò che succede ai singoli, ma anche verso l'esterno, per l'uso che si fa dei rapporti familiari in società. Solo negli ultimi giorni un carabiniere ha ammazzato la moglie che voleva separarsi da lui
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Acquisire vocazione è acquisire bellezza del vivere e reincantare la vita, recuperando la centralità e la rilevanza del trascendente e del bello. I credenti sono chiamati a dare incanto nuovo all'esistenza, sulle orme di «Cristo incantatore» (sant'Ambrogio).
La bellezza apre al mistero e guida alla decisione morale di accettare il mistero. Anche il bene, per attrarre, per mantenere la sua forza di attrazione, deve essere bello. Perché devo compiere il bene e fuggire il male? Perché devo? Perché il cuore mi dice che agendo così trovo la felicità. Il perché è legato, dipende da un «sentire». Il perché è estetico.
Di questi tempi non basta più ricordare l'alterità di Dio, la sua diversità, o l'umiltà o la debolezza di Dio. Dobbiamo riscoprire la bellezza di Dio, proporre un Dio in forma attraente: che avvinca, leghi, muova, incanti.
Davanti all'indifferenza che ci circonda, non basta più dire che Dio è vero e buono, occorre mostrare anche che Dio è bello. La forza che attrae l'uomo contemporaneo non è più quella della costrizione logica della verità, non è più quella della costrizione etica del bene, ma è quella dello splendore del vero e del buono, cioè della loro bellezza.
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Non esiste autentico rispetto della volontà dei cittadini-elettori senza profondo e consapevole rispetto per i ruoli e le funzioni di garanzia assegnati alle Istituzioni repubblicane. Questo è il saggio equilibrio democratico che i padri costituenti seppero costruire all'indomani della dittatura e della guerra e che poi
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di Enzo Bianchi
Che senso ha oggi leggere le beatitudini? Perché meditare su queste paradossali parole di Gesù? Innanzitutto, credo, per una ragione umanissima. Nel contesto socioculturale in cui viviamo, noi cristiani siamo chiamati, oggi più che mai, a mostrare con la nostra vita cammini di umanizzazione e di salvezza percorribili da tutti gli uomini. Ora, la maniera più efficace per scoprire questi cammini consiste nel praticare la ricerca del senso, esercizio che ai nostri giorni pare sempre più raro: è diventato difficile, soprattutto per le nuove generazioni, dare senso alla vita e alle realtà che la costituiscono, tanto che da più parti si levano voci che denunciano la «crisi del senso». In questa situazione noi cristiani dovremmo saper mostrare a tutti gli uomini, umilmente ma risolutamente, che la vita cristiana non solo è buona, segnata cioè dai tratti della bontà e dell'amore, ma è anche bella e beata, è via di bellezza e di beatitudine, di felicità. Chiediamocelo con onestà: il cristianesimo testimonia oggi la possibilità di una vita felice? Noi cristiani ci comportiamo come persone felici oppure sembriamo quelli che, proprio a causa della fede, portano fardelli che li schiacciano e vivono sottomessi a un giogo pesante e oppressivo, non a quello dolce e leggero di Gesù Cristo (cfr. Mt 11,30)? (...) Certamente la via cristiana è esigente, richiede fatica e sforzo al fine di «entrare attraverso la porta stretta» (Lc 13,24; cfr. Mt 7,13) ed essere conformi alla chiamata ricevuta. Non serve ricordare le tante esortazioni pronunciate da Gesù in questo senso, condensate nel suo monito: «Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua» (Mc 8,34 e par.). D'altra parte, secondo l'insegnamento di Gesù e, ancor prima, secondo il suo esempio, la vita di chi si pone alla sua sequela non solo vale la pena di essere abbracciata ma è causa di beatitudine, è fonte di felicità. È proprio qui che si situa l'annuncio delle beatitudini, che potremmo definire il cuore dell'etica cristiana: un'etica
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Trasmettono un messaggio sbagliato ai giovani, basando la propria vita sulla vendetta e l'interesse personale
di Emanuela Di Pasqua
I supereroi del passato, ormai in pensione, ispiravano modelli comportamentali decisamente più positivi rispetto ai supereroi odierni, rei soprattutto di non insegnare ai ragazzi la solidarietà: lo sostiene la dottoressa Sharon Lamb, dell'Università del Massachusetts, autrice di uno studio sull'impatto che questi eroi del fantasy esercitano sugli adolescenti maschi. (...) Ne è risultato che gli eroi moderni sono quasi privi di molte delle virtù che caratterizzavano invece personaggi come Superman. In passato, come testimonia Clark Kent (Superman), creato da Jerry Siegel e Joe Shuster nel 1938, i supereroi avevano lavori normali e credevano nella giustizia sociale, mentre oggi sono aggressivi, sarcastici e raramente pensano di mettere i loro poteri straordinari al servizio dell'umanità. Superman non a caso nacque in un periodo storico inquietante, in cui il desiderio di giustizia sociale e di servire la comunità poteva essere letto come una risposta naturale all'ascesa dei fascismi. (...)
Insomma tutte le culture hanno i loro mitici eroi e i supereroi dei fumetti possono essere visti come una versione aggiornata della mitologia classica. Ogni epoca ha i suoi supereroi, sui quali i giovanissimi forgiano la propria personalità, ispirandosi alle loro virtù e introiettando modelli comportamentali. Ma nel nostro tempo i vari X-Men o Iron Man sono poco attenti alla giustizia sociale, sfruttano le persone (soprattutto le donne) e hanno dei comportamenti prevaricatori. Dal gruppo di supereroi mutanti (negli X-Men le facoltà straordinarie sono date da un'alterazione del DNA) al mitico Anthony Edward Tony Stark (vero nome di Iron Man) nei personaggi dei fumetti di oggi non vi è più traccia di quel forte senso di solidarietà che animava i personaggi di un tempo. «Il pericolo - fa notare Sharon Lamb - è che i bambini crescano con valori sbagliati». Inoltre il fatto che dietro i poteri straordinari non ci siano persone anche normali (come accadeva un tempo), con una vita, un lavoro e un amore, fa sì che l'immaginario infantile sia ancor più confuso. Del resto anche i supereroi sono figli del loro tempo e se quelli del terzo millennio sono così aridi non sarà un caso.
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Spirito d'amore
Tu che sei amore in tutta la tua persona, l'Amore unico e ideale, vieni a trasformare in amore tutta la nostra vita.
Donaci di amare alla maniera di Dio, il quale non mette limiti all'apertura del suo cuore, tu che ne sei il dono integrale.
Donaci di amare ad esempio di Cristo, che ha testimoniato all'umanità una bontà mirabile offrendo per essa il sacrificio della vita.
Donaci di amare con tutta la spontaneità del nostro essere, e insieme con tutta l'energia spirituale che ci viene da te.
Donaci di amare in maniera sincera e disinteressata, distaccandoci completamente dalle nostre ambizioni personali.
Donaci di amare prodigandoci volentieri e senza attendere ricompensa, dimenticando ciò che diamo e ciò che sopportiamo.
Donaci di amare ad onta di tutte le delusioni e di tutti gli sgarbi, amare fino alla fine anche senza ricevere alcun contraccambio.
Donaci di amare con pazienza instancabile, senza irritarci dei difetti altrui e dei torti ricevuti.
Donaci di amare e di crescere sempre più nell'amore, facendoci scoprire progressivamente tutto ciò che esige quell'amore perfetto che si trova solo in te.
Donaci di trovare la nostra gioia nell'amore e di cercare la nostra vera felicità nel far contenti gli altri.
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di Aldo Maria Valli
Anche se oggi è piuttosto arduo identificare i profili delle diverse proposte politiche in campo in Italia, si può dire, con sufficiente sicurezza, che non ce n'è una oggettivamente più anticristiana e anticattolica di quella rappresentata dalla Lega Nord. Sia sul piano dei contenuti sia su quello dei simboli (che in politica contano parecchio), la Lega sviluppa suggestioni, esprime un pensiero e dà corpo a un insieme di iniziative che vanno nella direzione opposta rispetto al messaggio evangelico. Se il Vangelo di Cristo è accoglienza, solidarietà, amore per il prossimo, giustizia, uguaglianza, misericordia, compassione e fiducia, la Lega nasce e si propaga predicando esclusione, diffidenza, separazione, condanna, razzismo (nel senso tecnico di convinzione secondo la quale esistono genti le cui attitudini e capacità sono superiori a quelle di altre), nonché una buona dose di paura fondata sull'evocazione di una minaccia costante. Bossi e i suoi non solo non hanno mai fatto nulla per nascondere o camuffare questi contenuti ideologici, ma hanno sfruttato ogni occasione per metterli in mostra accentuandone i tratti, anche dialetticamente, nel modo più aggressivo. Basti pensare agli attacchi del senatùr a Giovanni Paolo II, come nel 1997, quando disse che “il papa polacco pensa solo al potere di Roma” e “ha investito nel potere dimenticando il suo magistero di spiritualità e di evangelizzazione”. Affermazioni, lo ricordiamo, benedette da don Gianni Baget Bozzo, che parlò di Bossi come di un leader carismatico che “gode di un consenso metapolitico, quasi spirituale”. L'armamentario simbolico della Lega (con le ampolle piene di acqua del dio Po, le adunate sul pratone di Pontida, i giuramenti di fedeltà in stile medievale) è stato escogitato in coerenza per dare supporto e rafforzare questa ideologia anticattolica.
Una riflessione va fatta, a questo proposito, sul paganesimo della Lega (o meglio il neopaganesimo), del quale ogni tanto si parla in tono scherzoso, quasi si trattasse di un corollario di solo folklore, e che riguarda invece l'ispirazione e l'anima profonda della proposta leghista in senso culturale prima ancora che politico. Non bisogna dimenticare che evocando e riproponendo, magari in forma confusa ma non per questo meno coinvolgente, le tradizioni celtiche e i miti ad esse collegate, la Lega si rifà all'epoca precristiana. Cristo e il Vangelo sono eliminati dall'orizzonte. La proposta è di tornare a una fase precedente e di ancorare ad essa la possibilità di una rinascita per popoli e territori che, in base alla logica amico-nemico propria di ogni obbligazione ideologica forte, hanno bisogno di riscatto combattendo contro un oppressore ingiusto e cattivo. Forse quando innalzano vessilli con la croce celtica e il sole delle Alpi o accendono falò propiziatori non tutti i leghisti sono consapevoli di quel che fanno e del perché lo fanno. Tuttavia il richiamo al paganesimo dà un'identità all'intero movimento. Ed è un'identità anticristiana. Basti pensare alla percezione mistica della natura (l'acqua del dio Po, appunto), che non solo rafforza il vincolo con il territorio, ma fa di quello stesso territorio la divinità da servire e per la quale combattere. Messaggio lontanissimo dalla rivoluzione cristiana che, al contrario, libera l'uomo dalle appartenenze terrene per trasformarlo in un cittadino (si ricordi la Lettera a Diogneto) che vive in questo mondo senza essere di questo mondo. Non dimentichiamo che cattolico vuol dire universale e che nulla è più contrario al cattolicesimo di un messaggio che affida la costruzione dell'identità al fatto territoriale. Anche nel cattolicesimo ci sono le tradizioni locali (per esempio, il rito ambrosiano o i riti orientali), ma il locale è vissuto in funzione dell'universale, come manifestazione particolare di un'appartenenza ben più ampia. Se dall'osservazione di questa cornice teorica e simbolica ci spingiamo sul piano delle scelte concrete, vediamo che l'anticristianesimo leghista è puntualmente e ripetutamente confermato. In un'epoca storica che vede nel multiculturalismo e nel processo di meticciato delle civiltà uno dei fenomeni sociali al tempo stesso più rapidi e più vasti dei quali siamo testimoni, il messaggio della Lega spicca per il rifiuto della contaminazione, vissuta non solo come indebolimento culturale, ma come attentato a legittimi interessi. E dentro questo ambito la religione è utilizzata al servizio dell'ideologia, per seminare contrasto e diffondere paura. Se infatti la Chiesa cattolica, specie alla luce del Concilio Vaticano II, insegna che il dialogo fraterno, pur nella consapevolezza delle diverse peculiarità, è l'unica strada costruttiva verso la pace in un mondo nel quale le barriere vengono meno e le comunicazioni avvicinano uomini e popoli, ecco che la Lega propone di alzare steccati e usa l'idea di identità non per metterla al servizio di un confronto pacifico ma in un'ottica che richiama quella della pulizia etnica: qui dove siamo noi può esserci solo la nostra religione. Affermazione che rende evidente come la religione sia usata strumentalmente quale mezzo di affermazione di un'appartenenza territoriale. Proprio il contrario di quanto fa il cristiano, che mette l'appartenenza territoriale al servizio della religione.
Rivelatrice è la durezza con la quale la Lega Nord attacca l'arcivescovo di Milano Dionigi Tettamanzi per quanto riguarda il rapporto con le altre religioni e in particolare con l'islam. (...) Negli ultimi anni il principale terreno di scontro tra la Chiesa cattolica e la Lega Nord è stato quello dell'immigrazione. (...)
La Lega al Nord attua “un presidio del territorio” che una volta “era appannaggio di vescovi e parroci”, ha detto il cardinale Tarcisio Bertone, segretario di Stato della Santa Sede, prima delle elezioni regionali 2010. (...)
La “piena condivisione” con la Chiesa riguarda i veti sulla pillola abortiva ru486 lanciati all'indomani del voto dai neogovernatori leghisti di Piemonte e Veneto, Cota e Zaia. Decisioni arrivate dopo un'attenta strategia di riavvicinamento al Vaticano condotta da Bossi recandosi, fra l'altro, in visita al presidente della Cei cardinale Bagnasco e allo stesso cardinale Bertone. A questo punto occorre chiedersi: perché queste mosse della Lega? E, d'altro canto, perché le aperture della Chiesa? La prima risposta è la più facile. Certamente Bossi, dimenticate in fretta le intemperanze del passato contro il papa e i vescovi, sta cercando di conquistare terreno nel rapporto con la Chiesa sottraendolo a Berlusconi, per accreditarsi ancora di più come forza fondamentale nella coalizione di centrodestra. Di qui la sua repentina “conversione” (una delle tante, del resto) che gli ha permesso di entrare nelle sacre stanze a dispetto dei riti celtici, del neopaganesimo e dei ripetuti insulti scagliati contro la Chiesa. Più difficile è rispondere alla seconda domanda. Il cardinale Bagnasco, additando il rispetto per la vita come valore “non negoziabile” in vista del voto, ha sicuramente contribuito a indirizzare molti consensi verso la Lega degli antiabortisti dichiarati Cota e Zaia. Con simili indicazioni e aperture, le gerarchie sembrano cercare sponde politiche in grado di sostenere le richieste di sempre (legate a vita, scuola e famiglia) meglio di quanto abbia fatto Berlusconi. È un cambio di cavallo politico.
Ma è davvero in questo modo che si pensa di poter diffondere i valori cristiani?
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Per molti anni la giornata è iniziata con le previsioni del tempo di Salvatore Furia. Il direttore del Centro Geofisico Prealpino di Varese era una delizia radiofonica riservata ai soli lombardi perché si esibiva ogni mattina, alle 7.20, nel corso del Gr regionale, il mitico «Gazzettino padano», quello che, nonostante tutte le riforme e i restyling, si apre ancora con la marcetta della «bela Gigugin».
Furia è morto all'età di 85 anni. Originario di Catania, è stato l'artefice della nascita del Centro Geofisico Prealpino e della Cittadella delle Scienze al Campo dei Fiori, la vetta che domina Varese dove c'è la sede della Società Astronomica Schiaparelli da lui fondata nel 1956.
Le sue previsioni erano un piccolo rito che si concludevano sempre con alcune citazioni, in testa gli autori preferiti: San Francesco e Albert Einstein, nel tentativo costante di conciliare scienza e fede. Se la giornata volgeva al peggio, in senso meteorologico, aggiungeva una frase di circostanza che nel tempo è diventata una sorta di mantra: «E, se possibile, pensieri positivi ».
Furia era un antico cantore dell'alta pressione, un mitografo del «che-tempo-che-farà », da sempre in prima linea contro l'inquinamento luminoso che gli impediva di osservare le amate stelle. Non ha mai condotto nessuna battaglia in nome del «global warning», non perché non credesse ai cambiamenti climatici ma semplicemente perché, pur studiando la volta celeste, stava con i piedi ben piantati sulla terra. Quando vedeva e prevedeva aveva due interlocutori ideali, molto lontani fra loro: i deltaplanisti, cui raccomandava prudenza per via delle turbolenze in arrivo, e i contadini, cui consigliava il momento più opportuno per le fienagioni. Diceva proprio così, fienagioni, con quel suo lessico forbito e vagamente inattuale. Il più affidabile fra i meteorologi conosceva solo il riserbo della radio regionale.
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Valore
di Erri De Luca
Considero valore ogni forma di vita, la neve, la fragola, la mosca.
Considero valore il regno minerale, l'assemblea delle stelle.
Considero valore il vino finche' dura il pasto, un sorriso involontario,
la stanchezza di chi non si e' risparmiato, due vecchi che si amano.
Considero valore quello che domani non varra' piu' niente e quello che oggi vale ancora poco.
Considero valore tutte le ferite.
Considero valore risparmiare acqua, riparare un paio di scarpe,
tacere in tempo, accorrere a un grido, chiedere permesso prima di sedersi, provare gratitudine senza ricordare di che .
Considero valore sapere in una stanza dov'e' il nord, qual e' il nome del vento che sta asciugando il bucato.
Considero valore il viaggio del vagabondo, la clausura della monaca, la pazienza del condannato, qualunque colpa sia.
Considero valore l'uso del verbo amare e l'ipotesi che esista un creatore.
Molti di questi valori non ho conosciuto.
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di Marinella Venegoni
«I nostri figli sono a rischio: le esibizioni di popstar come Lady Gaga e Britney Spears non si possono far vedere ai bambini. Che rischiano di essere iper-sessualizzati precocemente»: a lanciare l'allarme in Inghilterra è un importante discografico, Mike Stock, uno dei titolari della leggendaria etichetta Stock, Aitken and Waterman. «Non vorrei che i miei figli guardassero molti dei video pop che girano oggi», ha detto il produttore che ha lanciato molte star degli anni Ottanta tra cui Kylie Minogue. «Il 99 per cento delle classifiche è R&B, di cui il 99 per cento è porno soft», ha aggiunto Stock, per il quale gli esempi della degenerazione causata da questo fenomeno sono le performance e le recenti apparizioni pubbliche di teen ager come Miley Cyrus e la figlia di Madonna, Maria Lourdes. (ANSA).
Il problemino è che l'augusto cinquantottenne Mike Stock è in ritardo di quasi vent'anni, nella sua denuncia. Dov'è stato, finora? Se avesse fatto «cu-cù» fuori dalla porta della sua etichetta con le stesse parole non solo per propagandare «The Go!Go!Go!Show», il suo musical sul problema che sta per uscire nel West End, sarebbe stato anche il primo discografico al mondo da molto tempo a questa parte a non occuparsi solo del fatturato, ma di argomenti di buon senso che albergano ormai fuori dai recinti di un musicbusiness disposto a tutto pur di fare cassa. Ma mentre la generazione di Stock guardava ai propri coetanei, per erigere con la provocazione alte barriere contro le regole degli adulti, questo inquietante corso è partito esplicitamente dal mercato che guarda ai bambini. In principio fu la Walt Disney, con il suo show innocente di starlette implumi per pargoli e adolescenti: nei primi Novanta fu proprio Britney a emergere da quel mondo, capovolgendolo poi con un'impronta sexy sempre più ostentata nei video e nei tour, che la proiettò nell'immaginario dei giovani adulti senza farle perdere i clienti originari. La stessa strada ha seguito recentemente Miley Cyrus per liberarsi di Hanna Montana, e nel frattempo Lady Gaga ha colpito fra i pargoli con il suo personaggio grottesco e caricaturale, che affascina naturalmente il mondo dell'infanzia (e con che storie visive).
Non è questione di moralismo. Ma è stato il medium dei clip a far crescere negli ultimi dieci anni i bambini così in fretta, che ora diventa difficile fermare il treno. Curiosamente, non esistono cloni del filone nella vecchia Europa, che attinge esclusivamente al mercato yankee anche per altri tipi di lezioni di altri beniamini dei fanciulli, dalla provocativa Rihanna a Shakira, che ha ottenuto il successo pieno solo quando s'è decisa a mostrare l'ombelico, tingersi di biondo e agitarsi in una gabbia.
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Ha sollevato una grande bagarre la recente denuncia della Chiesa circa l'assenza in Italia di una classe dirigente all'altezza della situazione. In una stagione densa di sfide e problemi, essa lamenta un vuoto di leadership. In tutti i settori. La politica, anzitutto, non svolge la funzione che dovrebbe competerle. Ma analoghe carenze si riscontrano nel mondo imprenditoriale, nella comunicazione e nella cultura. Persino nella società civile e nell'associazionismo. Mancano persone capaci di offrire alla nazione obiettivi condivisi. E condivisibili. Non esistono programmi di medio e lungo termine. Non emerge un'idea di bene comune, che permetta di superare divisioni e interessi di parte. Se non personali. Si propone un federalismo che sa di secessione. Senz'anima e solidarietà. Un Paese maturo, che deve mirare allo sviluppo e alla pacifica convivenza dei cittadini, non può continuare con uomini che hanno scelto la politica per “sistemare” sé stessi e le proprie “pendenze”. Siamo lontani dall'idea di Paolo VI, che concepiva la politica «come una forma di carità verso la comunità», capace di aiutare tutti a crescere. L'opinione pubblica, sebbene narcotizzata dalle Tv, è disgustata dallo spettacolo poco edificante che, quasi ogni giorno, ci viene offerto da una classe politica che litiga su tutto. Lontana dalla gente e impotente a risolvere i gravi problemi del Paese. La richiesta della Chiesa di “uomini nuovi” trova ampi consensi tra la gente. Anche se non sono mancate critiche, da chi si sente nel mirino della denuncia. C'è chi ha parlato di mancanza di gratitudine, per il sostegno che una parte politica dà ai “valori irrinunciabili” e alle opere della religione. Soprattutto in un Paese difficile da governare. E refrattario a qualsiasi riforma di grande respiro. Tra le reazioni più forti, c'è chi s'è chiesto da che pulpito venga la predica. Perché mai la Chiesa si chiama fuori dalle responsabilità? Non fa parte, essa stessa, della classe dirigente del Paese? E perché non guarda alle carenze di quel mondo cattolico fortemente intrecciato nelle vicende nazionali? Accuse solo in parte giustificate. Nel richiamare al senso del bene comune quanti occupano posti di alta responsabilità, la Chiesa è cosciente che anche il mondo cattolico deve fare la sua parte. E assumersi di più i ruoli che contano. Da tempo, Papa e vescovi hanno lanciato l'appello: «Giovani politici cattolici cercansi». Per invitare i credenti più impegnati a misurarsi con il destino della nazione. In ruoli di grande responsabilità pubblica, così come sono ben presenti nel volontariato e nell'associativismo. Sono molte le figure autorevoli nella comunità ecclesiale. Tanto più queste cresceranno, tanto più se ne gioverà l'intero Paese. Ma la Chiesa è anche chiamata a valutare quanto, di fatto, i propri quadri più alti rappresentino dei punti di riferimento etico e spirituale per tutta la nazione.
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di Marco Ventura
Contro la corruzione e le trame, il presidente Napolitano ha incoraggiato il Paese in nome dei «validi anticorpi» di cui dispongono «la nostra democrazia» e la collettività. Ma bisogna muoversi. La questione morale rischia di scadere in impotenza morale se la denuncia cede al lamento, l'allarme alla rassegnazione. Tra i «validi anticorpi», le religioni dovrebbero avere un posto d'eccellenza: per il loro patrimonio morale, per il loro ruolo nella società. L'appello del Presidente vale anche per i credenti e per le fedi che vivono in Italia, per la maggioranza e per le minoranze, per i vecchi e per i nuovi. Dipenderà anche da cattolici, islamici, buddisti, protestanti, mormoni, ebrei se la questione morale non si dissolverà nell'impotenza morale di un Paese. A tal fine, perché gli «anticorpi» religiosi agiscano sono necessarie due condizioni. Anzitutto, la religione deve sfidare il male. Insegnare che il male nella storia non giustifica il credente, ma al contrario lo convoca e lo impegna. Tanto più corruzione e malaffare appaiono strutturali e diffusi, tanto più il credente si ribella. Malintesi, il peccato cristiano, la colpa ebraica e persino l'individualismo buddista possono nutrire il cinismo, la resa. Siamo tutti peccatori e siamo tutti corrotti o corruttori. Chi ci prova è un superbo, un illuso. Non c'è scelta per elettori ed eletti, solo il male cui ci destinano l'ordine naturale ed il disordine italico. Invece, i credenti e le Chiese hanno le risorse per liberarsi del ruolo di notai del male, di gufi d'una modernità atea votata al peggio, di banchieri che cambiano il peccato del ministro in moneta per il tempio. Abbondano le risorse per invertire la rotta. Il credente crede nel cambiamento. Per i cattolici, l'incarnazione è coraggio della Storia; per i protestanti, la libertà individuale è coscienza creativa; per gli ebrei, il senso del popolo è responsabilità collettiva; per i musulmani, la rivelazione è movimento; per i buddisti, il distacco è novità.
La seconda condizione perché l'«anticorpo» religioso reagisca all'infezione è che la religione esiga coerenza. Tanto più alta è la verità cui il credente aderisce, tanto più impegnativa è la testimonianza cui egli è tenuto. Non può predicare bene chi razzola male. Al contrario, la religione italiana può esser complice di un Paese in cui la bandiera prevale sull'esempio; in cui il fine giustifica il mezzo. Se militi per la nostra verità, basta che ti renda utile, non importa come. Per il trionfo della nostra causa, della nostra Chiesa, ogni mezzo è morale. Tramutiamo il fango in incenso, la tangente in obolo. Conta la fedeltà al clan e alla sua agenda. È l'Italia della morale per bande. Per i veri credenti vale l'opposto. Se dalla voce di Dio nasce un individuo buono, quella religione è buona. La mia coerenza giudica se la mia verità è davvero tale. Senza coerenza, l'ortodossia è vuota. Don Peppino Diana, massacrato dalla camorra nel 1994, è la luce nel buio di Gomorra. Roberto Saviano lo coglie al cuore: «Don Peppino non orecchiava le beghe delle famiglie, non disciplinava le scappatelle dei maschi, né andava confortando donne cornute. Aveva deciso di interessarsi delle dinamiche di potere: non solo dei corollari della miseria, non voleva soltanto nettare la ferita, ma comprendere i meccanismi della metastasi, bloccare la cancrena, fermare l'origine di ciò che rendeva la sua terra una miniera di capitali e un tracciato di cadaveri». Sfidare il male. Esigere coerenza. A queste condizioni, l'«anticorpo» religioso è vivo. Ed essenziale per un'Italia migliore.
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Il "Primopiano" pubblicato sul N. 32 di Famiglia Cristiana in edicola e in parrocchia: "Il disastro etico è sotto gli occhi di tutti. Stupisce la mancata indignazione della gente".
La questione morale agita il dibattito politico dal lontano 1981, da quando cioè
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di Massimo Gramellini
Il vescovo ausiliario di Salisburgo ha scritto, nero su bianco, che la morte di quei ventuno ragazzi alla Love Parade del luglio scorso è stata una punizione divina. Ballare impasticcati e seminudi per le strade costituisce attività peccaminosa, sostiene il vescovo, ed è perfettamente naturale che Dio colpisca chi tenta di sovvertire l'ordine da lui creato. L'attribuzione a un Ente Supremo di pulsioni umane, come la riparazione di un torto attraverso la vendetta, ripugna a chiunque sia in cerca di spiritualità autentica e contiene una falla che nessun teologo è ancora riuscito a colmare. Se Dio aveva deciso di castigare i baccanti della Love Parade, perché ne ha sterminati solo ventuno, risparmiando gli altri? Ma soprattutto: perché ha preso di mira una moltitudine di giovanotti che, per quanto sballati, non stavano dando fastidio a nessuno, mentre non si accanisce con altrettanta precisione su assassini, ladri, stupratori e tutto ciò di ben più orribile e «peccaminoso» di una danza sfrenata che viene messo in scena ogni giorno dalla tragicommedia umana?
Un parroco della mia infanzia diceva che il Dio Paura è un'invenzione degli uomini per spaventare, inibire e dominare altri uomini. Gesù, aggiungeva, ci ha insegnato che Dio non è un vecchietto arrabbiato con la barba bianca e il forcone, ma l'energia d'amore di cui è composto l'universo. Peccato che quel parroco illuminato ci abbia lasciati da tempo. Altrimenti avrei umilmente suggerito al vescovo tonante di andare a lezione di catechismo da lui.
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“Quanto mi ami? Quanto mi costi?”
di Filippo Magni
«Le questioni economiche della famiglia sono cose intime». Ne è convinto don Enrico Parolari, psicoterapeuta del Seminario arcivescovile di Milano. Il sacerdote non ha paura di usare termini legati ai sentimenti per descrivere il denaro e la sua influenza nella crescita di una famiglia.
Il legame tra soldi e amore sarà al centro del convegno “Quanto mi ami? Quanto mi costi?” (...). Può sembrare irrispettoso legare i destini di una famiglia a un elemento come il denaro, ma don Parolari assicura che l'intreccio tra questioni affettive ed economiche è inevitabilmente stretto e non si deve temere di affrontare il discorso con franchezza: «La gestione dei beni dice una parte dell'intimità, spiega una parte dei rapporti». Secondo il sacerdote, «il modo in cui “girano i soldi” in una famiglia rivela in parte come funzionano le relazioni». I casi che avvalorano la tesi sono numerosi: «Pensiamo alle questioni di eredità: quando si tratta di dividere un patrimonio ereditato spesso si rimettono in scena le questioni relazionali della storia familiare». Nonostante ciò, la connessione tra affettività ed economia è molto spesso taciuta come fosse un rapporto snaturato. Si direbbe che i valori che fondano una famiglia sembrano troppo importanti per essere legati al “vil denaro”. Eppure sono sempre di più le coppie che passano rapidamente da una crisi economica a una crisi relazionale. La perdita del lavoro o la diminuzione del reddito generano ansie e discussioni che minano la serenità e l'equilibrio tra moglie e marito. In un tempo di crisi come quello in cui ci troviamo ora, l'argomento è di ancor più scottante attualità. «La gestione del denaro da parte della famiglia - spiega don Parolari - è una questione messa spesso tra parentesi anche a livello sociale. Pensiamo per esempio ai personaggi pubblici: è più facile conoscere le loro avventure amorose che non il loro conto in banca». Secondo questa lettura, il rapporto con il denaro pare essere custodito ancor più gelosamente del rapporto affettivo. Una volta compreso il valore della gestione del conto in banca è possibile fare un passo avanti, aggiunge il sacerdote e psicologo: «Riconoscere la valenza educativa della gestione dei soldi e dei beni verso i figli». Il denaro, prosegue, «può servire per far stare buoni i figli, per compensarli della presenza genitoriale mancante oppure per difenderli dai pericoli, per aiutarli a vivere».
Gianni Bassi, organizzatore del convegno in qualità di referente lombardo degli psicologi cattolici, precisa: «Basterebbe ricordare che i soldi sono un mezzo e non un fine. Dunque regoliamoci di conseguenza, senza perdere di vista ciò che conta davvero». Facile più a dirsi che a farsi, in particolare in ambito educativo. Aggiunge infatti Bassi: «Se il rapporto con il denaro è sbagliato, capita di ritrovarsi in circoli viziosi da cui non si esce. Ecco un esempio: un padre di famiglia lavora molto e per compensare la mancanza da casa regala numerosi giochi al figlio. Ma per comprare i giochi deve guadagnare di più e dunque lavorare più ore. Lavorando maggiormente mancherà di più da casa e dovrà compensare ancor più la sua assenza con altri oggetti e così via. Insomma, non se ne esce più, a meno che non si comprenda che il denaro influenza le relazioni e dunque non va trattato con leggerezza». Si tratta, prosegue lo psicologo, di «dinamiche importanti che è necessario imparare a gestire». È ciò che si propone il convegno: «Offrire un'occasione di aggiornamento - aggiunge Bassi - per le famiglie e per le singole persone, per gli operatori del settore e per chi a livello professionale o nelle parrocchie affianca le famiglie». Conclude don Parolari: «Anche una situazione di crisi economica come quella che stiamo attraversando può diventare un'occasione per educare a crescere. Parole come sobrietà, povertà, solidarietà, gratuità, possono diventare atteggiamenti fondamentali per un'educazione forte che offra fiducia, stima e solidità al cammino dei nostri ragazzi».
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L'invito del Papa alla preghiera autentica: su Radio Vaticana la riflessione di monsignor Piero Coda
La preghiera, innanzitutto, è mettersi in ascolto (...). La preghiera è ascolto: cioè, fare silenzio dentro di sé, mettere a tacere i tanti rumori, le tante voci della vita quotidiana e ascoltare la Parola molto discreta, molto attenta, un soffio, una brezza, che ci viene da Dio. Lasciarsi interpellare da Dio. Poi, certamente, ci sarà anche il momento in cui vengono presentate le nostre richieste, a lui gli si offre la nostra vita, ma prima di tutto la preghiera è imparare ad ascoltare la voce di Dio nel silenzio.
Mons. Coda, c'è un luogo privilegiato dove pregare? Perché spesso noi vediamo la Chiesa come luogo principe dell'incontro spirituale con Dio, ma spesso in estate noi siamo al mare, in montagna ... C'è un modo, un luogo privilegiato dove pregare o la preghiera è comunque accettata in ogni luogo e in ogni tempo?
La preghiera può accadere in ogni luogo e in ogni momento della nostra vita. Ciò non toglie che vi siano dei luoghi privilegiati. Se noi vediamo l'esperienza dei grandi santi, dei grandi maestri della preghiera, vedremo che loro cercano sempre dei luoghi in cui il contatto con Dio è, direi, più spontaneo, più naturale, e quindi la montagna, l'orizzonte infinito del mare, il tramonto, la natura, sono luoghi che naturalmente ci portano ad elevare il nostro animo verso Dio. Perché questa è la preghiera: “elevatio mentis ad Deum”, dicevano gli antichi; cioè, apertura, elevazione della nostra mente verso Dio. Quindi, quando mi trovo in montagna, di fronte a un ghiacciaio, oppure in una foresta, di fronte al mormorio della brezza del vento, in mezzo agli alberi, tra i fiori o in qualunque altra situazione naturale bella, io sono portato attraverso la natura a incontrare la voce di Dio.
Mons. Coda, anche in vacanza non dobbiamo dimenticarci di utilizzare questo strumento per comunicare con Dio, anche se apparentemente può sembrare forse più difficile...
Penso proprio che paradossalmente la vacanza sia luogo principe e più adeguato per incontrare Dio perché nel momento della vacanza si è liberi da tante occupazioni quotidiane, la nostra mente e il nostro cuore spontaneamente sono aperti a ciò che più intimamente è essenziale nella nostra vita. Quindi, consiglierei con tutto il cuore di sfruttare questi momenti di libertà e di grazia come il momento in cui ci possiamo aprire a un incontro più vero, più libero più gratuito con Dio e, quindi, un momento di preghiera intenso, semplice, spontaneo".
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di Massimo Gramellini
Mi è venuta l'idea per un film, per un poema, per la copertina di un settimanale che fosse eccezionalmente stufo di mettere la solita anoressica di tendenza in copertina. Di più: l'idea per una cartolina di buone vacanze da spedire a tutti i lettori. La ambienterei nel Sud Italia, a Catania. Protagonista maschile, un agente di commercio di quasi cinquant'anni che chiameremo Rosario. Rosario Patané. Conosce una donna un po' più giovane di lui ma non troppo, che non può chiamarsi che Grazia. Grazia Giandolfo. Rosario e Grazia si innamorano, si sposano e cominciano a coniugare insieme i verbi al futuro. Hanno un sogno: mollare gli ormeggi e navigare lontano dagli oggetti superflui, dalle convenienze sociali e dai rumori di fondo dei telegiornali.
Liberi, finalmente, dalle tossine accumulate in tanti anni di lavoro. E allora vendono. La casa, la macchina, gli elettrodomestici e anche tutti i vestiti, tranne un paio. Poi estinguono i conti in banca e col ricavato comprano il materiale che serve a Rosario per costruire la barca con cui faranno il giro del mondo. Eccoli sulla banchina del porto, in un pomeriggio d'estate, mentre salutano amici e parenti. Torneranno fra cinque anni e con i soldi della barca compreranno un terreno che hanno già adocchiato nella campagna etnea. Lì costruiranno una piccola casa per continuare a viaggiare, stavolta da fermi. Dentro se stessi. Mi sarebbe piaciuto avere un'idea così. Invece Grazia e Rosario esistono davvero. Sono partiti ieri dalla banchina del porto di Catania. Buon viaggio.
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Ciao a tutti i naviganti! Siamo rientrati dal Cammino di Santiago! E già domattina si riparte per altri lidi (solo fino a Domenica). Riprendono gli appuntamenti quotidiani col nostro blog!
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Santa Maria, Madre tenera e forte,
nostra compagna di viaggio sulle strade della vita,
ogni volta che contempliamo le grandi cose
che l'Onnipotente ha fatto in te,
proviamo una così viva malinconia per le nostre lentezze,
che sentiamo il bisogno di allungare il passo per camminarti vicino.
Asseconda, pertanto, il nostro desiderio di prenderti per mano,
e accelera le nostre cadenze di camminatori un po' stanchi.
Divenuti anche noi pellegrini nella fede,
non solo cercheremo il volto del Signore,
ma, contemplandoti quale icona della sollecitudine umana
verso coloro che si trovano nel bisogno,
raggiungeremo in fretta "la città" recandole gli stessi frutti di gioia
che tu portasti un giorno a Elisabetta lontana.
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Padre nostro che stai sui cammini
venga a noi il tuo respiro e veglia per noi pellegrini;
sia fatta la tua volontà così nel caldo come nel freddo.
La nostra strada di ogni giorno illuminala oggi.
Soccorri le nostre debolezze, così come noi soccorriamo quelli che cedono.
Non lasciarci cadere nel dolore e liberaci da ogni male.
Amen