2021_05_maggio
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"La rabbia è un requisito indispensabile per cambiare. Rabbia non nel senso personale del termine, bensì razionale. Rifiuto ragionato di accettare l’inaccettabile".
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"L'irresistibile attrattiva di Gesù per il tempio fa da contrasto alla non comprensione dei genitori: «Senza che se ne accorgessero», in greco: «uk égnosan», non lo conobbero, non lo seppero. Siamo di fronte a un grande mistero. Non è poco quello che è accaduto a Maria: normalmente le mamme conoscono da che cosa i loro bambini sono attratti e sanno dove possono essere andati allorché, sfuggendo alla sorveglianza, sono scappati. È vero che un dodicenne, soprattutto nel mondo orientale, aveva una qualche autonomia, ma era, come sembra, la prima volta che andava a Gerusalemme e i genitori avrebbero dovuto essere attenti. Si direbbe - e provo una certa fatica nel dirlo - che Giuseppe e Maria abbiano perso il colpo d'occhio, l'insieme della situazione, si siano fatti sfuggire l'essenziale. Possibile - ci chiediamo - che non avessero compreso la forza di attrazione che il tempio esercitava su Gesù? Possibile che non abbiano colto l'irresistibile fascino che avrebbe come inchiodato Gesù nel tempio? (...)
Che cosa dice a noi l'atteggiamento dei due genitori? Capita a tutti noi di perdere il punto della situazione senza nostra colpa, proprio perché non ci viene in mente. Non riusciamo sempre a valutare la totalità degli eventi e viene il momento in cui ci battiamo il petto perché ci è sfuggito qualcosa che, a rigor di logica, non avremmo dovuto tralasciare: avevamo molto da fare in quel giorno e non siamo stati attenti a quella persona mentre sarebbe stato ovvio prestarvi attenzione, ecc. Maria partecipa alla nostra fragilità perché è passata per questo momento di smarrimento nel senso globale della situazione. Forse sarebbe bastata da parte sua un po' di riflessione: "Era così immobile Gesù nel tempio, non riuscivamo a tirarlo via, sarà certamente rimasto là!".
Se Maria ha vissuto un momento così duro di disagio, di umiliazione, di dolore, anche noi dobbiamo perdonarci, anche noi dobbiamo capire che la nostra natura povera non riesce spesso a cogliere, per quanto si sforzi, il vero centro della situazione. Maria ci dà la mano e ci insegna l'umiltà: l'umiltà e l'umiliazione che ci può venire dalla gente che
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"Esattamente 60 anni fa, l’avvocato inglese Peter Benenson, dopo aver appreso la notizia di due studenti ingiustamente arrestati in Portogallo, lanciò un appello per chiedere la loro liberazione sulle pagine di un quotidiano di Londra.
La risposta fu travolgente: centinaia di persone scrissero e inviarono lettere, trasformando la frustrazione e l’indignazione in un’azione per chiedere la liberazione dei prigionieri di coscienza.
Quel giorno nacque Amnesty International e da allora le nostre battaglie si sono moltiplicate: in 60 anni abbiamo condotto campagne mondiali contro la tortura e la pena di morte (ormai non usata in più di tre quarti dei paesi nel mondo) e ci battiamo per i diritti sociali ed economici di tutte le persone.
Da quel giorno, è nata una rete di persone, in ogni angolo del pianeta, accomunate dalla voglia di lottare per un mondo migliore, attraverso azioni e mobilitazioni.
Una rete di persone come te, che lottano per i diritti di persone come te, con l’aiuto di persone come te.
Se una persona è una goccia nel mare, insieme siamo una marea: è grazie alle vostre firme, donazioni e mobilitazioni, infatti, che in 60 anni abbiamo ridato libertà e dignità a oltre 50.000 persone, salvando 3 vite al giorno.
Ricorda. È merito tuo".
#AmnestyIsYou
Scopri di più: http://bit.ly/AmnestyIsYou
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Italian style.
Qualcuno gridò: "Dobbiamo ripartire!".
Qualcun altro gli fece eco: "Bisogna riavviare i motori!".
Uno sentì il cigolìo, ma fece finta di nulla.
Un altro vide il guasto, ma chiuse gli occhi.
Quell'altro portò il ferro... "Ma non so a cosa serve".
Uno saldò insieme i pezzi... "Ma chissà perché li applicano qui".
Il solito schiacciò il pulsante per farla partire 30 giorni fa, 29 giorni fa, 28 giorni fa... fino a 3 giorni fa: "Io faccio solo il mio lavoro".
Più di uno pensarono: "Anche oggi non è successo niente... Vedi che non serve?!".
E l'interlocutore rincarò la dose: "Ebbbasta con tutti 'sti controlli, verifiche, permessi, collaudi!".
In galera finora tre.
Ma la mentalità criminale è ben più diffusa.
don Chisciotte Mc, 210526
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«Maria era alle nozze di Cana. Cosa fa Maria? Partecipa alla festa e quindi serve, aiuta, mangia, beve, conversa ma insieme osserva, con un qualche distacco, le cose e ne coglie il senso globale. Il suo distacco attento e discreto le permette di vedere ciò che nessuno di fatto vede e cioè che il vino è terminato. Maria è attenta al momento umano dell'esistenza, è attenta alle situazioni, alle persone e alle cose. (...)
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#il pepe e il cocomero
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Madri e padri,
di qualunque terra,
uniti dalle gioie e dai dolori.
"Lo avete fatto a me".
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#parlare e riflettere
di Gianfranco Ravasi
"Ci sono persone che parlano, parlano… finché, finalmente, trovano qualcosa da dire".
"Meno si ha da riflettere, più si parla. Pensare è parlare a se stessi".
C’è un noto aforisma fulminante della tradizione giudaica: «Lo stupido dice quel che sa; il sapiente sa quel che dice». Ebbene, la coppia di citazioni sopra proposte va nella linea del detto rabbinico. La prima frase è attribuita al commediografo e attore francese di origine russa Sacha Guitry, morto nel 1957. La sua è un’osservazione quasi ovvia, soprattutto se ci si attacca alla televisione o ai social: parole, parole, capaci solo di svelare un opaco vuoto di idee. Solo per caso e, dopo tanta chiacchiera, può balenare la luce di un pensiero.
E qui viene bene l’altra considerazione che è di un autore più famoso e paludato, il barone di Montesquieu, che in un suo saggio esorta tutti a riflettere. Il pensare crea silenzio e si nutre di silenzio perché è un «parlare a se stessi». Ed è proprio questo che manca a chi parla troppo agli altri, correndo il rischio di proporre appunto il vuoto, l’aria fritta, la banalità. Ecco perché sono necessari la meditazione, l’ascolto, la lettura. Nelle sue Prediche volgari san Bernardino da Siena aveva una bella battuta: «Dio ti ha dato due orecchi e una lingua, perché tu oda più che tu parli».
in “Il Sole 24 Ore” del 9 maggio 2021
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La missione di fare del mondo un battesimo
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Stupidità
di Dietrich Bonhoeffer, "Resistenza e resa. Lettere e scritti dal carcere"
Il nemico del bene
"Per il bene la stupidità è un nemico più pericoloso della malvagità. Contro il male è possibile protestare, ci si può compromettere, in caso di necessità è possibile opporsi con la forza; il male porta sempre con sé il germe dell’autodissoluzione, perché dietro di sé nell’uomo lascia almeno un senso di malessere. Ma contro la stupidità non abbiamo difese. Qui non si può ottenere nulla, né con proteste, né con la forza; le motivazioni non servono a niente. Ai fatti che sono in contraddizione con i pregiudizi personali semplicemente non si deve credere - in questi casi lo stupido diventa addirittura scettico - e quando sia impossibile sfuggire ad essi, possono essere messi semplicemente da parte come casi irrilevanti. Nel far questo lo stupido, a differenza del malvagio, si sente completamente soddisfatto di sé; anzi, diventa addirittura pericoloso, perché con facilità passa rabbiosamente all’attacco. Perciò è necessario essere più guardinghi nei confronti dello stupido che del malvagio. Non tenteremo mai più di persuadere lo stupido: è una cosa senza senso e pericolosa.
Stupidità e potere
Se vogliamo trovare il modo di spuntarla con la stupidità, dobbiamo cercare di conoscerne l’essenza. Una cosa è certa, che si tratta essenzialmente di un difetto che interessa non l’intelletto, ma l’umanità di una persona. Ci sono uomini straordinariamente elastici dal punto di vista intellettuale che sono stupidi, e uomini molto goffi intellettualmente che non lo sono affatto. Ci accorgiamo con stupore di questo in certe situazioni, nelle quali si ha l’impressione che la stupidità non sia un difetto congenito, ma piuttosto che in determinate situazioni gli uomini vengano resi stupidi, ovvero si lascino rendere tali. Ci è dato osservare, inoltre, che uomini indipendenti, che conducono vita solitaria, denunciano questo difetto più raramente di uomini o gruppi che inclinano o sono costretti a vivere in compagnia. Perciò la stupidità sembra essere un problema sociologico piuttosto che un problema psicologico. E’ una forma particolare degli effetti che le circostanze storiche producono negli uomini; un fenomeno psicologico che si accompagna a determinati rapporti esterni.
Osservando meglio, si nota che qualsiasi ostentazione esteriore di potenza, politica o religiosa che sia, provoca l’istupidimento di una gran parte degli uomini. Sembra anzi che si tratti di una legge socio-psicologica. La potenza dell’uno richiede la stupidità degli altri. Il processo secondo cui ciò avviene, non è tanto quello dell’atrofia o della perdita improvvisa di determinate facoltà umane - ad esempio quelle intellettuali - ma piuttosto quello per cui, sotto la schiacciante impressione prodotta dall’ostentazione di potenza, l’uomo viene derubato della sua indipendenza interiore e rinuncia così, più o meno consapevolmente, ad assumere un atteggiamento personale davanti alle situazioni che gli si presentano. Il fatto che lo stupido sia spesso testardo non deve ingannare sulla sua mancanza di indipendenza. Parlandogli ci si accorge addirittura che non si ha a che fare direttamente con lui, con lui personalmente, ma con slogan, motti, ecc. da cui egli è dominato. E’ ammaliato, accecato, vittima di un abuso e di un trattamento pervertito che coinvolge la sua stessa persona. Trasformatosi in uno strumento senza volontà, lo stupido sarà capace di qualsiasi malvagità, essendo contemporaneamente incapace di riconoscerla come tale. Questo è il pericolo che una profanazione diabolica porta con sé. Ci sono uomini che potranno esserne rovinati per sempre.
Liberazione esteriore
Ma a questo punto è anche chiaro che la stupidità non potrà essere vinta impartendo degli insegnamenti, ma solo da un atto di liberazione. Ci si dovrà rassegnare al fatto che nella maggioranza dei casi un’autentica liberazione interiore è possibile solo dopo essere stata preceduta dalla liberazione esteriore; fino a quel momento, dovremo rinunciare ad ogni tentativo di convincere lo stupido.
In questo stato di cose sta anche la ragione per cui in simili circostanze inutilmente ci sforziamo di capire che cosa effettivamente pensi il "popolo", e per cui questo interrogativo risulta contemporaneamente superfluo - sempre però solo in queste circostanze - per chi pensa e agisce in modo responsabile. La Bibbia, affermando che il timore di Dio è l’inizio della sapienza (Salmo 111, 10), dice che la liberazione interiore dell’uomo alla vita responsabile davanti a Dio è l’unica reale vittoria sulla stupidità.
Del resto, siffatte riflessioni sulla stupidità comportano questo di consolante, che con esse viene assolutamente esclusa la possibilità di considerare la maggioranza degli uomini come stupida in ogni caso. Tutto dipenderà in realtà dall’atteggiamento di coloro che detengono il potere: se essi ripongono le loro aspettative più nella stupidità o più nell’autonomia interiore e nella intelligenza degli uomini".
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"La lettura di buoni libri potrebbe contribuire a lenire la stupidità umana;
il problema è che la stupidità non ama leggere".
Carl William Brown
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Battaglia verso nuove vie. Avversità
di Nunzio Galantino
«Adversae res edomant et docent; secundae res trudere solent a recte consulendo atque intelligendo». Non so quanti, nel bel mezzo di una vita segnata da avversità, sarebbero disposti a far proprie le parole di Catone il Vecchio, riportate da A. Gellio in Noctes Atticae: «Le avversità domano e ammaestrano; le cose favorevoli sogliono sviare dal pensare e dal comprendere rettamente» (VII,3).
Non lo saprei proprio immaginare. Soprattutto quando la parola avversità - al di là del significato etimologico di «ciò che è sfavorevole/contrario» - assume il volto preciso della cocente delusione per un tradimento, dell’insopportabile lacerazione affettiva per la perdita improvvisa di una persona cara o della devastante malattia che, per la sua gravità, sembra precludere ogni prospettiva di ripresa. Sono esperienze, queste, che chiamiamo avversità perché, irrompendo in maniera imprevista nella nostra vita, creano disorientamento e provocano disagio. Lo fanno con una violenza tale che non tardano a tradursi in uno stato d’animo negativo, accompagnato da senso di inadeguatezza e perdita di fiducia in se stessi e negli altri. È l’esperienza di chi si sente gettato in una sorta di abulìa che deprime.
Né fatalismo né vittimismo trasformano le avversità in opportunità di crescita, come sembra assicurarci Catone. È da superficiali pensare che le avversità abbiano subito e tutte un senso in sé. Le avversità non sono sinonimo di crescita. Anzi, con una certa frequenza, quando non spingono verso l’autoesclusione da una vita di relazione, esse si trasformano in rabbia, cinismo e aggressività.
Per quanto negativi, si tratta di emozioni e di atteggiamenti che attendono di essere riconosciuti ed accettati. Rinunziando a vivere in fuga dalle avversità e senza nutrirsi di ottimismo cieco e senza sfumature, fonte inevitabile di autoinganno e terreno di coltura per sterili sensi di colpa o sentimenti di inadeguatezza.
L’invito a trasformare gli ostacoli in potenzialità e le avversità in opportunità rischia di essere una pura emissione di suoni, una comoda ma inconcludente via di fuga, finché non ci si decide a considerare parte della propria vita la rabbia, la tristezza o la sofferenza che certe avversità portano con sé. Tentare solo di reprimerle vuol dire sentirsi presto chiamati a prendere atto che ci stiamo logorando dall’interno, perdendo altri pezzi di noi. E se ingaggiassimo con noi stessi una faticosa ma nobile battaglia alla ricerca di nuove strade per ricomporci in modo diverso, risollevandoci dopo eventi negativi, senza sottostimare quanto di bello comunque colora, in alcuni momenti, le nostre giornate?
in “Il Sole 24 Ore” del 9 maggio 2021
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Questa mattina, alle ore 10, nella cattedrale di Agrigento, *la beatificazione di Rosario Livatino, il magistrato martire della giustizia*, ucciso “in odio alla fede” dalla “stidda” (cosca ribelle dell'agrigentino) il 21 settembre 1990, a meno di 38 anni, ma con già 12 di servizio. Il postulatore diocesano: in tutti i suoi gesti e parole, una grande umanità e voglia di normalità, e l’impegno a camminare sempre “sotto lo sguardo di Dio”. L’incontro col killer pentito che testimoniò al processo di beatificazione.
https://www.vaticannews.va/it/chiesa/news/2021-05/beatificazione-rosario-livatino-giudice-martire-mafia-agrigento.html?fbclid=IwAR1lSvbx3jT8SQRrey6eR166i8nldr34volM4ffx2_f6SxmaP4RP99u9ihk
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"Lloyd, quante idee ho in ballo".
"Speriamo nella calca non si pestino i piedi l'un l'altra, sir".
"Qualche scontro non uccide nessuno..."
"Ma trasforma quello che sembra un ballo in una grande agitazione, sir".
"Metafora molto calzante, Lloyd".
"Direi più danzante, sir".
Di Lloyd, di sir, di idee in ballo e di umori ballerini su Linus di aprile
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Oggi, alle ore 18 presso la chiesa Kolbe, la messa in suffragio di don Diego Pirovano, morto il 20 aprile 2020.
Grazie alla sua competenza giuridica e alla sua infinita affabilità, ha accompagnato tante coppie nei momenti di crisi delle loro relazioni e noi gli siamo grati.
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“L’intelligenza emotiva è la capacità di motivare se stessi e di persistere nel perseguire un obiettivo nonostante le frustrazioni; di controllare gli impulsi e rimandare la gratificazione; di modulare i propri stati d’animo evitando che la sofferenza ci impedisca di pensare; ed ancora, la capacità di essere empatici e di sperare”.
Daniel Goleman, L'intelligenza emotiva
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Papa Francesco, Meditazione mattutina, 1° maggio 2013
*Prima di tutto l’uomo e la sua dignità*. (...) Lo spunto è stato offerto dalle letture del giorno, la prima tratta dal libro della Genesi (1, 26-2, 3) e la seconda dal vangelo di Matteo (13, 54-58), che propongono il Dio creatore, «il quale ha lavorato per creare il mondo», e la figura di san Giuseppe, il falegname «padre adottivo di Gesù» e dal quale «Gesù ha imparato a lavorare».
«Oggi — ha detto — benediciamo san Giuseppe come lavoratore: ma *questo ricordo di san Giuseppe lavoratore ci rimanda a Dio lavoratore, a Gesù lavoratore*. E questo del lavoro è un tema molto, molto, molto evangelico. “Signore — dice Adamo — col lavoro guadagnerò da vivere”. Ma è di più. Perché questa prima icona di Dio lavoratore ci dice che il lavoro è qualcosa di più che guadagnarsi il pane: *il lavoro ci dà la dignità!* Chi lavora è degno, ha una dignità speciale, una dignità di persona: l’uomo e la donna che lavorano sono degni».
Chi non lavora, dunque, non ha questa dignità. Ma *ci sono tante persone «che vogliono lavorare e non possono». E questo «è un peso per la nostra coscienza, perché quando la società è organizzata in tal modo» e «non tutti hanno la possibilità di lavorare, di essere “unti” dalla dignità del lavoro, quella società non va bene: non è giusta! Va contro lo stesso Dio, che ha voluto che la nostra dignità incominci di qua»*.
«Anche Gesù — ha proseguito il Pontefice — sulla terra ha lavorato tanto, nella bottega di san Giuseppe. Ma ha lavorato anche fino alla Croce. Ha fatto quello che il Padre gli aveva comandato di fare. Io penso oggi a tante persone che lavorano e portano questa dignità... Ringraziamo il Signore! E siamo consci che la dignità non ce la dà il potere, il denaro, la cultura, no!... La dignità ce la dà il lavoro», anche se la società non consente a tutti di lavorare.
Il Papa si è poi riferito a *quei sistemi sociali, politici ed economici che in diverse parti del mondo hanno basato la loro organizzazione sullo sfruttamento*. Hanno scelto, cioè, di «non pagare il giusto» e di cercare di ottenere il massimo profitto a ogni costo, approfittando del lavoro degli altri, senza peraltro preoccuparsi minimamente della loro dignità. *Questo «va contro Dio!»*, ha esclamato riferendosi alla drammaticità di situazioni che si ripetono nel mondo (...) E' “lavoro schiavo”», che *sfrutta «il dono più bello che Dio ha dato all’uomo: la capacità di creare, di lavorare, di farne la propria dignità*. Quanti fratelli e sorelle nel mondo sono in questa situazione per colpa di questi atteggiamenti economici, sociali, politici!». (...)
Concludendo Papa Francesco ha esortato a chiedere «a San Giuseppe la grazia di essere consci che soltanto nel lavoro abbiamo dignità». E ha suggerito l’atteggiamento da tenere nei confronti di quanti non hanno lavoro: non dire «chi non lavora, non mangia», ma «chi non lavora, ha perso la dignità!»; e quando ci si trova davanti a chi «non lavora perché non trova la possibilità di lavorare», dire: «la società ha spogliato questa persona di dignità!».