"La paura di morire è una schiavitù"
«Che cosa impedisce oggi maggiormente di vivere questa radicalità di cui ci è esempio san Francesco? Ci troviamo di fronte nel nostro mondo occidentale all’ansia di possedere, alla paura di perdere, all’angoscia di rischiare, che rende tutti garantisti, aggressivi e polemici per la difesa del proprio benessere, sospettosi del bene altrui, solleciti più dell’interesse privato che del bene comune. Se dobbiamo dare un nome radicale a questa sensazione diffusa di bramosia dell’avere più che di desiderio di essere, la Bibbia ci risponde: è la paura della morte
La lettera agli Ebrei presenta Gesù come Colui che ha liberato, con la sua morte e risurrezione, coloro che “per timore della morte erano soggetti a schiavitù per tutta la vita” (Eb 2,15). Quando l’orizzonte dell’immortalità e dell’eternità si restringe e si offusca, l’uomo si chiude nel presente, difende con accanimento quel poco che ha: sente che la morte è come in agguato per rapirgli i suoi beni e li vuole godere il più a lungo e il più intensamente possibile, tentando di esorcizzare e di dimenticare la sua finitudine... Ricordano i contemporanei di Francesco che, nei suoi ultimi giorni qui alla Porziuncola, piagato dalle stimmate a imitazione del crocifisso, passava il tempo nella lode “invitando i compagni prediletti a lodare Dio” e ripetendo il Cantico delle Creature. “E perfino la morte, a tutti temibile e odiosa, esortava alla lode; le correva lieto incontro, invitandola: ben venga mia sorella morte”. 
Che cosa ci dice il ricordo di questa morte e di questo modo di morire alla luce degli eventi e delle nostre sfide? Noi sentiamo quasi una certa invidia e una profonda nostalgia per la libertà di spirito, la scioltezza spirituale e la gioia di Francesco d’Assisi di fronte alla morte. È l’esempio di come la vittoria di Cristo sulla morte trasforma il cuore dell’uomo. Non più lamentosità, ripiegamento su di sé, paura di perdere quel poco che si ha, grettezza d’animo ed egoismo. Ma gioia carità attenzione agli altri, speranza nel futuro, certezza della vittoria».
tratto da una omelia del card. Martini, in occasione della memoria del Transito di san Francesco (Assisi, 3.10.2005)
 


«Signore dell'amore e della pace, noi desideriamo convertirci a te!
Non possiamo illuderci
di giungere a vivere bene, in pace, senza di te.
Non possiamo pensare
di superare le inquietudini interiori
e le nostre guerre personali,
se non ci rivolgiamo a te,
Signore della pace, Gesù Cristo crocifisso e risorto
che hai subito la morte per donarci la pace.
Noi ti chiediamo quella pace
che sorpassa ogni nostro progetto e possibilità
e che può rassicurare i nostri pensieri,
le nostre volontà, i nostri cuori!».
Carlo Maria Martini, All'alba ti cercherò, 211-212
 

 


Ada Prospero (1902-1968) nel 1923 sposa Piero Gobetti che muore due anni dopo. Dalla loro unione nasce Paolo, che nel 1943 si fa partigiano con lei, avendo poco più di 18 anni. Lei è "commissaria politica" di una formazione di "Giustizia e Libertà" e viene un momento, nell'estate del 1944, nel quale si vede costretta ad andare sulle tracce del figlio del quale non ha più notizie da molti giorni. Sente che nel tal posto c'è un partigiano ucciso e parte decisa con un compagno:

"A poca distanza dal Pomaretto, vedemmo, ferme sul ciglio della strada, un gruppo di donne, di cui una con un bimbo addormentato in una carrozzella. Capimmo dall'espressione del loro volto che doveva essere in quel punto. E infatti, nel breve tratto di prato, fra la strada e la roccia della montagna, seminascosto da un mucchio di sassi, giaceva il partigiano ucciso. No, non era mio figlio Paolo, anche se non se ne scorgeva il viso, reclino. Ma non provai nessuna reazione di sollievo. Mai come in quel momento sentii quanto sia forte l'istintiva profonda solidarietà materna per cui ogni donna sente come figlio suo ogni figlio di ogni altra donna. Era la prima volta che venivo visivamente, fisicamente a contatto con la crudele realtà del massacro. Mi misi a piangere, a singhiozzare forte, senza riuscire a frenarmi".
Ada Prospero, "Diario partigiano", Einaudi 1956
ripreso da Luigi Accattoli qui: http://www.vinonuovo.it/index.php?l=it&art=1778


A sostegno dei più anziani Coop Lombardia e Caritas Ambrosiana hanno avviato da alcuni anni un progetto che ha per oggetto la consegna gratuita della spesa a domicilio ad anziani fragili. Il progetto si colloca all'interno di un intervento più ampio: l'obiettivo finale è la costruzione di un sistema di sostegno alla vecchiaia fondato sul rafforzamento delle reti naturali di comunità, sulla qualificazione degli interventi di volontariato e sulla migliore integrazione coi servizi territorriali istituzionali e no profit.
La consegna della spesa è gratuita, ed è riservata ad anziani con più di 70 anni in condizioni di disagio o riduzione dell'autonomia.

Parrocchia che vai...
di Roberto Beretta
«(...) L'indirizzo, la profondità di fede, la carica di speranza, insomma la crescita spirituale delle nostre parrocchie dipendano dal sacerdote che le guida e le istruisce; e tale "pretocentrismo", se privo di alternative concrete e strumenti complementari di auto-formazione, si rivela assai pericoloso perché rischia di generare un panorama di triste pochezza in troppe Chiese locali, soprattutto oggi che il clero è meno numeroso per offrire possibilità di scelta ai fedeli insoddisfatti.
"Meno male che la mia parrocchia non è così!", ci diciamo spesso rientrando dalle messe delle ferie. Ma qualche volta il commento silenzioso che ci affiora alla mente è esattamente il contrario: "Perché la mia parrocchia non è così?". Non sarebbe perciò male che il primo Consiglio pastorale dopo le vacanze fosse dedicato a raccontarsi queste esperienze, positive e negative, per prenderne spunto o evitare errori. Ma c'è spazio per uno scambio del genere nelle "pretocentriche" (e molto individualiste) parrocchie italiane?».
 

Al di là del suo risvolto politico,
questa foto ha una forza e una evidenza
coinvolgenti
e
sconvolgenti.
don Chisciotte Mc
 

Il perdono ricrea la vita
di Enzo Bianchi 
Perché il perdono è un tema così decisivo nella vita umana e cristiana? Perché la nostra vita conosce il male, questa contraddizione, questa abiura del bene che non possiamo rimuovere né negare. Il perdono ha a che fare con il male, il male che noi facciamo a noi stessi e agli altri, il male che gli altri ci fanno. Il male è una realtà nella nostra vita e nelle nostre relazioni. Il male - dice Gesù - è ciò che nasce dal nostro cuore e diventa aggressività, violenza, odio verso gli altri e verso noi stessi (cfr. Mc 7,20-23; Mt 15,18-20). Il male è ciò che io faccio nonostante voglia fare il bene, confessa l’Apostolo Paolo (cfr. Rm 7,18-19). Non a caso le domande rivolte a Dio nel Padre nostro, la preghiera insegnata da Gesù, sono: «Non abbandonarci alla tentazione»e «liberaci dal male» (Mt 6,13); e queste richieste sono precedute da quella del perdono di Dio, invocato perché renda capaci di perdonare i fratelli: «Rimetti a noi i nostri debiti, come anche noi li rimettiamo ai nostri debitori» (Mt 6,12).
Il male come azione malvagia compiuta da noi esseri umani ci accompagna per tutta la vita. Nel quotidiano il più delle volte non è epifanico, non ha conseguenze vistose; in alcune circostanze invece esplode e ci spaventa, provocando in noi indignazione. In ogni caso, il male è sempre banale… L’uomo si abitua al male, e soprattutto la violenza può nutrire il male, farlo crescere fino alla negazione dell’altro, degli altri. Siamo sinceri con noi stessi: non arriviamo talvolta alla tentazione di voler vedere scomparire chi ci è nemico, di voler vedere escluso dal nostro orizzonte un altro che ci ha fatto del male? Non siamo tentati di ripagare con lo stesso male chi ci ha fatto del male? Questo è il nostro



«Dal cinema alla musica, dalla politica alla finanza, ma in realtà in qualunque ambiente di lavoro, gli uomini e le donne «di relazione» prevalgono su quelli «di prodotto».  
 Le energie che gli altri, i perdenti, mettono nell’attività specifica, essi le concentrano sulla comunicazione. Godono di una fama immeritata ma luccicante e le loro banalità, pronunciate sempre nel luogo o sul «social» giusto, oscurano le manifestazioni di intelligenza di chi fatica nell’ombra.
Hanno compreso che, in un mondo superficiale e distratto, nessuno ha più l’interesse e forse la capacità di valutare le competenze, mentre ci si lascia volentieri ammaliare dai contorni di una persona che ciascuno potrà poi riempire come vuole».
Massimo Gramellini, dal Buongiorno del 23 agosto 2014 - clicca qui per l'articolo completo


Tu conosci, Padre di misericordia, quanto è importante per noi la misteriosa comunione con le sofferenze del Cristo.
Tu sai come ci è difficile, lontana dalla nostra mentalità, smentita continuamente dal linguaggio quotidiano.
Per questo ti chiediamo umilmente, insieme con Paolo, di aprirci gli occhi della mente e del cuore perché conosciamo Cristo, la potenza della sua Risurrezione, la comunicazione alle sue prove, per potere con lui offrire la nostra vita per il corpo di Cristo. 
Illumina, o Signore, la nostra mente perché possiamo comprendere le parole della Scrittura, riscalda il nostro cuore perché avvertiamo che non sono lontane ma, in realtà, le stiamo vivendo e sono la chiave della nostra esperienza presente, della situazione di tante persone oggi nel mondo.
Te lo chiediamo, Padre, insieme con Maria, Madre addolorata, con Paolo, per la gloria di Gesù, morto e risorto per noi, che vive e regna nella Chiesa e nel mondo per tutti i secoli dei secoli. Amen.
Carlo Maria Martini, Le confessioni di Paolo, 124

“Io, clown fra ambulanze e bombe. Ma i veri eroi sono i bimbi di Gaza” 
di Federico Taddia 
Girare il mondo «armato» di naso rosso per far sorridere il cielo, là dove cadono bombe e lacrime. È questa la missione di Marco Rodari, 38enne di Leggiuno (VA), che da una decina d’anni lavora nelle corsie degli ospedali con la sua valigia di cartone, indossando gli improbabili abiti de «Il Pimpa», uno stralunato e coloratissimo clown dispensatore di buon umore, anzi «claun» così come amano definirsi gli operatori dell’associazione «I colori del sorriso» di Varese. 
E il Pimpa, con il suo cappellino a elica, arriva ovunque ci sia guerra e distruzione: già 25 viaggi tra Iraq, Egitto, Giordania e Palestina. Il suo naso rosso ora fa capolino tra le macerie della Striscia di Gaza. «Sono riuscito a varcare il valico di Erez a inizio agosto, approfittando della prima tregua - racconta -. Nelle settimane precedenti ho lavorato presso l’ospedale St. Josef di Gerusalemme, con i bambini che venivano trasportati fuori dalla Striscia per ricevere le cure mediche. Adesso invece mi trovo nell’unica parrocchia cattolica presente a Gaza. Vivo alla giornata, cerco di cogliere ogni occasione per portare un po’ di gioia alla popolazione, che sia una scuola, un pronto soccorso, una visita in famiglia o semplicemente la strada». 
Un palloncino colorato, un trucco di magia, una smorfia con la sua faccia di gomma: vale tutto per strappare un barlume di serenità ai più piccoli, usando la clownterapia per offrire briciole di evasione e di leggerezza. Cercando di essere più forte dell’orrore che la realtà quotidianamente presenta, e di cui può essere solo inerte spettatore. «Davanti alla guerra non c’è umore. È impensabile rielaborare in diretta quello 



«Chi organizza certe mattanze e ne manda i filmati in giro per il mondo lo fa con un obiettivo preciso:
speculare sulle nostre emozioni primarie, la rabbia e la paura.
Vogliono farci perdere la testa per poi tagliarcela meglio.
Ma io la soddisfazione di odiarli e di temerli non gliela voglio dare».
Massimo Gramellini, Buongiorno, 21 agosto 2014
 

... perché ci è stata data la Grazia di poterlo fare.
Se non lo facciamo noi, chi potrà farlo?!
«Avete inteso che fu detto: Occhio per occhiodente per dente.
Ma io vi dico di non opporvi al malvagio;
anzi, se uno ti dà uno schiaffo sulla guancia destra, tu pórgigli anche l’altra»
(Mt 5,38-39).
don Chisciotte Mc

p.s. Se qualcuno vuole togliere queste pagine dal Vangelo,
non pretenda che lo si segua.


 


Con stupore grato, io seguo un Signore
che ha osato dire: "Amate i vostri nemici".
E non l'ha detto solo con le parole,
ma anche con la sua vita e la sua morte.
Non posso, quindi, invocare la vendetta
e neppure mettermi sullo stesso piano
di coloro che seminano odio e morte.
 
don Chisciotte Mc
 
Il metodo San Rossore
di Diego Andreatta
(...) Uno di questi aspetti meno raccontati (della Route nazionale dell'AGESCI) è l'ampio processo di elaborazione che ha portato a redigere collegialmente la "Carta del coraggio", consegnata domenica 10 agosto ai rappresentati dello Stato e della Chiesa italiana. Si può ben dire che sia stata una straordinaria partecipazione democratica che non ha coinvolto soltanto i 450 alfieri impegnati sotto il tendone di San Rossore in tre giorni di "consiglio generale" con votazioni finali. Infatti, da molti mesi i clan d'Italia hanno ragionato nel loro "capitolo" (approfondimento di un tema, elaborazione di un giudizio, impegno nell'azione concreta) attorno ad una delle cinque "strade di coraggio" ed hanno contribuito attraverso un blog condiviso a fornire materiale utile come piattaforma per la redazione finale. Ma in essa - attenzione! - è confluita anche la riflessione condotta durante le 450 route mobili che hanno setacciato e raccolto altre indicazioni sui problemi più sentiti meritevoli di "entrare" nella Carta. E in questa fase on the road, essendo le cosiddette route di formazione composte da tre clan di diverse zone d'Italia (nord, centro e sud) si è realizzato un confronto di appartenenze sociali, culturali e anche ecclesiali che ben difficilmente si registra in altri raduni nazionali: tanto che la fecondità di questi scambi tra gruppi di diverse regioni, attraverso gemellaggi fra clan, è stato ripresa come formula per il futuro in una delle richieste della Carta.
Secondo passaggio: al termine del cammino, prima di approdare zaino in spalla al portale di San Rossore, le 450 route hanno individuato il loro rappresentante, tramite elezioni con tanto di candidature. Hanno scelto il loro alfiere, appunto, riconoscendogli requisiti di affidabilità, capacità di mediazione e passione politica: ne è uscito un parlamentino di rover e scolte rappresentativi e motivati. Con l'animazione di capi che avevano soltanto compiti di facilitazione, e non di orientamento, gli alfieri hanno lavorato in 15 gruppi di 30 ( ogni gruppo chiamato a sviluppare e redigere il contenuto di alcuni ambiti tematici ) impegnati in tre lunghe sessioni di lavoro sulla bozza della Carta, concluse dalle votazioni del testo, con tanto di paletta alzata davanti a coetanei scrutatori, come avviene per i capi del Consiglio generale Agesci. Anzi,  - prima ancora - si era votato su una sessantina di mozioni in merito ai passaggi più dibattuti e perfino sull'utilizzo di singoli termini.
Un'overdose di democrazia? Uno sfoggio di parlamentarismo artificioso? Tutt'altro. I ragazzi stessi l'hanno vissuta e goduta come una palestra di attività politica, un laboratorio di ascolto guidato da regole che loro stessi hanno fatto rispettare.
Con quale obiettivo finale? Ecco il punto: la tensione condivisa fin dalle prima battute non era mirata soltanto a far prevalere il criterio della maggioranza, quanto piuttosto a raggiungere il più ampio consenso possibile attorno alle singole proposte e all'impostazione generale del testo. Altro che unanimismo di facciata, se è vero che le posizioni divergenti - come è bene che sia in un campione sociologico così fedele del mondo giovanile italiano - si sono ben delineate sui singoli temi. Eppure si è cercato in ogni fase del confronto di recuperare anche le istanze minoritarie, attribuendo loro un valore prezioso. Un'impostazione che in altre assise ecclesiali purtroppo non viene spesso rispettata, determinando così nel tempo anche una non condivisione degli esiti finali. (...)
Nella "Carta del coraggio" quest'idea è visibile nei vari "ci impegniamo" che precedono i "chiediamo che...", così come nell'emergere di "elementi creativi e stimolanti". (...)
 


 

«La parrocchia non può essere concepita come il luogo dove alcuni soltanto si trovano bene. Dove, magari, una bella liturgia ti fa dimenticare i problemi della vita. Dove il radunarsi insieme con la gente che condivide una certa affinità spirituale ti protegge dal traffico convulso e spersonalizzante del terribile quotidiano. O dove l'organizzazione di una qualche opera di bene ti libera la coscienza, troppo a buon mercato, dal dovere di contribuire al restauro della giustizia nel mondo. La parrocchia non è il luogo dove i problemi dell'esistenza si stemperano, o vengono addormentati, o sono messi tra parentesi.
Essa, invece, deve diventare il quartier generale dove si elaborano i progetti per una migliore qualità della vita, dove la solidarietà viene sperimentata in termini planetari e non di campanile, dove si è disposti a pagare di persona il prezzo di ogni promozione umana, e dove le nostre piccole speranze di quaggiù vengono alimentate da quell'inesauribile riserva di speranze ultramondane di cui trabocca il Vangelo.
La parrocchia, perciò, deve essere il luogo pericoloso dove si fa «memoria eversiva» della parola di Dio.
E proprio questa l'immagine offerta dalla vostra comunità? Non succede, per caso, che piccole rivalità ne corrodano la tenuta evangelizzatrice, che schemi superati ne rallentino la missione, che i pericoli del formalismo ne offuschino la schiettezza?
Ecco, allora, il «compito a casa» che vi affido: fate in modo che 


Senza entusiasmo,
non si è mai compiuto nulla di grande.
R. W. Emerson
 

Cosa starà facendo?



Guarda qui: http://www.spottynews.com/2014/01/30/beach-art.html

 


(...) «L’Isis riceve rifornimenti da importanti donatori sauditi. E l’Arabia Saudita, con ordinazioni da 3,5 miliardi all’anno, è il cliente più coccolato dai fabbricanti di armi di tutto il Vecchio Continente
In barba alla crisi gli affari per i materiali militari 'Made in Europe' hanno superato i 40miliardi, in crescita del 6% e con allettanti previsioni anche per il 2014. Oramai è l’euro la moneta ufficiale di questo business. Con operazioni autorizzate per un valore di 13,7 miliardi la Francia è il maggiore esportatore, seguito da Spagna (7,7 miliardi), Germania (4,7 miliardi) e Italia (4,2 miliardi). 
Che si tratti dell’Iraq, della Striscia di Gaza, degli scontri in Ucraina, della guerra in Siria o delle più irrequiete repubbliche africane, da Bruxelles si sprecano gli appelli per «mettere a tacere le armi e far parlare la diplomazia». Con scarsi risultati. Maggior successo le cancellerie dell’Unione ottengono nello smercio di tecnologia militare
Le informazioni fornite dalla Gazzetta Ufficiale Ue, che pubblica il rapporto annuale sulle esportazioni di armi, sono largamente carenti. Una nota a margine informa che «diversi Stati non hanno potuto fornire i dati». Che cosa impedisca a...». (continua: 
 

 

Non temere:
passeranno
i minuti,
le ore,
i giorni,
le settimane,
i mesi,
gli anni.
 
don Chisciotte Mc
 

«Anche il pastore, come Paolo, è chiamato a diventare, attraverso l'esperienza, le sofferenze, le fatiche, i doni di Dio, luminoso e trasparente.
Nelle sue parole e nella sua azione la gente deve trovare quel sentimento di pace, di serenità, di confidenza, che è indescrivibile ma che si percepisce senza alcun ragionamento.
Ciascuno di noi ha avuto modo, per grazia di Dio, di conoscere preti che sono stati così nella loro vita: irradiavano ciò che Paolo lascia trasparire abbondantemente da tutto il suo modo di parlare e di esprimersi».
Carlo Maria Martini, Le confessioni di Paolo, 110-111

Alla luce di certi modi di fare inefficaci, inconcludenti, insipienti,
nella mia ingenuità
ho sempre pensato che negli ambienti ecclesiali
le persone non riuscivano o non volevano dare il meglio di sé,
per mille motivi.
Invece mi sono dovuto ricredere:
quelle persone agiscono spesso
in modo inefficace, inconcludente, insipiente,
anche in famiglia, al lavoro, nella società.
Magra consolazione.
 
don Chisciotte Mc
 


Lo so che la cosa è risaputa,
ma mi sorprendo sempre
quando vedo persone
con la testa da gallina
e il portamento da gorilla.
Senza offesa per le specie animali citate.
 
don Chisciotte Mc

Il calcio è il gioco più vecchio del mondo.
E tale resta.
Il pallone è schiacciato tra
chiacchiere da bar
urla in studi televisivi
violenze negli stadi
zucche vuote sulle poltrone
un sacco di soldi buttati.
E nessuna voglia di cambiare.
 
don Chisciotte Mc




«Vi sono suicidi invisibili.
Si rimane in vita per pura diplomazia, si beve, si mangia, si cammina.
Gli altri ci cascano sempre, ma noi sappiamo, con un riso interno, che si sbagliano,
che siamo morti».
Gesualdo Bufalino, Il malpensante

Sarei felice di confrontarmi sui criteri seguiti dalle parrocchie per determinare il prezzo (offerta!) dei prodotti che vendono durante le loro manifestazioni.
Mi piacerebbe fossero criteri ispirati al vangelo, e quindi alla giustizia e alla fraternità.
Dovendo fare, quindi, delle scelte concrete, io mi muoverei all'incirca così:
partirei dal costo originario del prodotto; aggiungerei il 10% di ricarico, per coprire le spese di gestione; aggiungerei un altro 10% come contributo alle attività parrocchiali (e lo indicherei al "cliente"); arrotonderei ai 10 centesimi (per comodità); proporrei sconti e vantaggi per bambini, anziani, famiglie.
E sarei più felice se sentissi dire da qualcuno: "Che prezzi buoni qui in parrocchia!",
rispetto al dire: "Quest'anno abbiamo guadagnato tanto!".
Che ne dite?
don Chisciotte Mc


«Signore, provoca anche noi!
Passa in mezzo a noi, dovunque siamo,

sia che ci troviamo tra la folla,
sia che ci troviamo nel luogo della preghiera,
sia che ci troviamo nelle realtà della vita quotidiana!
Fa' che non ci sia differenza tra l'una e l'altra,
che non abbiamo a rinnegare nella vita quotidiana
colui che sul monte vogliamo conoscere.
Fa' che ci sia unità tra i diversi momenti della nostra esistenza!
Signore, attraverso la contemplazione di te che risvegliandoti dal sonno e risorto dalla morte mi dai fiducia,
sciogli, ti prego, i miei timori, le mie paure, le mie indecisioni, i miei blocchi
nelle scelte importanti, nelle amicizie, nel perdono, nei rapporti con gli altri,
negli atti di coraggio per manifestare la mia fede.
Sciogli i miei blocchi, Signore!».
Carlo Maria Martini, All'alba ti cercherò, 131

 

«Donaci uomini nuovi creatori della Storia,
costruttori di una nuova umanità,
uomini nuovi che vivono la vita
come il rischio di un lungo cammino.
Donaci un cuore grande per amare,
un cuore forte per vincere
l'egoismo che attanaglia a se stessi.
Donaci uomini nuovi che lottino nella speranza,
che camminino assetati di verità;
uomini nuovi senza catene
e senza freni di conformismo,
uomini liberi che esigono libertà.
Donaci uomini nuovi che sanno amare al di là delle frontiere:
al di là di ogni razza e confine;
uomini evangelici accanto ai poveri,
capaci di dividere con loro il tetto e il pane.
Per questo donaci un cuore grande».
Preghiera dei giovani di Medellin (1968) 

 

 
L’ultimo dono di Paolo VI 
di Marco Roncalli 
Ha raccontato chi gli stava vicino che desiderava morire senza agonia. Voleva che la sua vita si spegnesse senza riflettori, lontano dalle veglie di popolo che si erano viste con papa Giovanni. Aveva pregato Dio di consentirgli un addio in solitudine. Fu esaudito. Paolo VI, che il prossimo 19 ottobre sarà beatificato, salì alla casa del Padre, quasi all’improvviso, ma preparato al distacco. Era il 6 agosto 1978, papa Montini si trovava a Castel Gandolfo, la sveglia segnava le 21.40. La vicinissima via Appia era gremita di auto di vacanzieri ignari, ancora per poche ore, come il mondo intero, di quanto era accaduto. Ed era un giorno particolare, di grande significato simbolico, quello della Trasfigurazione, festa prediletta da Montini che sotto quella data aveva pubblicato la sua prima enciclica, l’ Ecclesiam Suam. (...)
«Ecco, fratelli e figli, l’intento instancabile, vigile, assillante che ci ha mossi in questi quindici anni di pontificato. 'Fidem servavi'! (Ho conservato la fede) possiamo dire oggi, con la umile e ferma coscienza di non aver mai tradito il 'santo vero'..». Così, nell’ultima omelia in San Pietro, il precedente 29 giugno, nel XV anniversario della sua incoronazione consapevole di una vita «volta al tramonto», aveva lui stesso indicato la cifra del suo servizio sulla cattedra di Pietro.
in “Avvenire” del 6 agosto 2014
 
Fermarsi in vacanza
di Enzo Bianchi 
Nel Salmo 46 il Signore esorta i credenti a vedere le meraviglie che opera per gli uomini, a contemplare il giorno in cui farà cessare le guerre e poi impartisce loro un comando: «Fermatevi e sappiate che io sono Dio». La Vulgata fedelmente traduce: «Vacate et videte quoniam ego sum Deus». «Vacate», cioè fermatevi, da cui l'italiano «vacanza». Sì, le vacanze sono giorni in cui ci si ferma, si lascia il proprio lavoro, si abbandonano i riti quotidiani, si parte dal luogo abituale per dimorare in un luogo diverso, più o meno lontano, un luogo "altro", al mare, in montagna, in collina, visitando città.
Questo Salmo mi ha suggerito che in vacanza, una volta che ci si è veramente fermati, si possono vedere le opere di Dio, ci si può esercitare a contemplarle. Il rischio, infatti, è quello di vivere le vacanze freneticamente, inventandosi mille cose da fare pur di non fermarsi, di non cogliersi come creatura che respira in mezzo a tante altre co-creature sulla terra. Le vacanze, dunque, non sono forse il momento di pensare semplicemente alla terra, al mare, al cielo? Non sono il tempo per cercare di cogliere queste tre dimensioni che costituiscono il nostro quotidiano, ma che nel quotidiano ci sfuggono? 
La terra: spazio su cui siamo buttati uscendo dal grembo di nostra madre, crosta dura sulla quale


«Accade che la gloria segreta divenga sensibile. Ognuno di noi non ha forse incontrato degli esseri il cui volto appariva come abitato da una luce interiore, trasformato da questa, raggiante di una vita di origine sconosciuta? Nella fede una tale vita è riconosciuta come vita del Padre, del Risorto e dello Spirito. Mosè e Gesù sono così apparsi come trans-figurati, l'uno al suo popolo, l'altro ai suoi discepoli.  “Aronne e tutti i figli d' Israele videro Mosè, ed ecco che la pelle del suo viso era raggiante, ed essi ebbero timore di avvicinarsi a lui” (Es 34,30). “E Gesù fu trasfigurato davanti a loro; il suo volto risplendette come il sole e le sue vesti divennero sfolgoranti come la luce” (Mt 17,2). Seppure in modo meno straordinario, ogni cristiano, ogni uomo che vive dello Spirito è chiamato a questo: “E noi tutti che, a viso scoperto, riflettiamo come in uno specchio la gloria del Signore, veniamo trasfigurati in quella medesima immagine, di gloria in gloria” (2Cor 3,18). Si deve riconoscere che questa trasformazione è raramente sensibile. Questa luce può semplicemente prendere la forma della gioia e della pace che abbiamo potuto veder irradiare dal volto».
Xavier Lacroix, Il corpo e lo spirito, 20-21

Autoreferenziale e quindi inutile.

 

 

«Gesù dice a noi ciò che dice a Paolo: la tua debolezza, la tua piccolezza è la tua gloria.
Tu ti lamenti della tua fragilità, della inadeguatezza della comunità cristiana, ti lamenti della Chiesa e di tante altre cose,
ma non sai che la tua debolezza è la tua gloria, la debolezza della Chiesa è la gloria di Dio, la fama di Dio, il suo vanto».
Carlo Maria Martini, L'utopia alla prova di una comunità, 31-32