2017_01_gennaio
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«Non scommettere sulla pace che non comporti sofferenza: è sterile.
Il grande teologo protestante Bonhoeffer parlava di “grazia a caro prezzo”. Forse è ora che ci abituiamo a pensare che anche la pace ha dei costi altissimi.
I prezzi stracciati destano sospetto.
Gli sconti da capogiro inducono a credere che la merce è avariata.
Le svendite fuori stagione sanno di ambiguità. E le allettanti offerte sottocosto fanno pensare ai surrogati.
La pace non è il premio favoloso di una lotteria che si può vincere col misero prezzo di un solo biglietto.
Chi scommette sulla pace deve sborsare in contanti monete di lacrime, di incomprensione e di sangue.
La pace è il nuovo martirio a cui oggi la Chiesa viene chiamata.
L’arena della prova è lo scenario di questo villaggio globale che rischia di incenerirsi in un olocausto senza precedenti.
E come nei primi tempi del cristianesimo i martiri stupirono il mondo per il loro coraggio, così oggi la Chiesa dovrebbe fare ammutolire i potenti della terra per la fierezza con cui, noncurante della persecuzione, annuncia, senza sfumare le finali come nel canto gregoriano, il vangelo della pace e la prassi della nonviolenza.
E’ chiaro che se, invece che fare ammutolire i potenti, ammutolisce lei, si renderebbe complice rassegnata di un efferato “crimine di guerra”.
Ma, grazie a Dio, stiamo assistendo oggi a una nuova effusione dello Spirito che spinge la Chiesa sui versanti della profezia e le dà l’audacia di sfidare le trame degli oppressori, i sorrisi dei dotti, e le preoccupazioni dei prudenti secondo la carne».
don Tonino Bello, da "La scommessa della pace"
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Preghiera per le famiglie
Dio nostro Padre, ti ringraziamo di averci donato la capacità di amare, come ami Tu, come sei Tu. Ci hai pensati insieme e insieme ci hai amati. Il nostro amore è nato dal tuo; fa’ che resti sempre un’espressione genuina del tuo; che il nostro ricercarci ci porti all’incontro con Te e con altri; che l’ansia di sentirci vicini non attenui il sapore della amicizia con Te e con tanti; che il reciproco godimento delle cose belle ci ricordi il fascino della tua grandezza e ci spinga ad essere accoglienti con tutti. Se un giorno, vinti dalla debolezza, ci staccassimo l’uno dall’altra e da Te, fa’ che sentiamo il calore del tuo abbraccio che non abbandona mai. Te lo chiediamo per intercessione di Maria e di Giuseppe, che hanno formato una famiglia con Gesù, tuo Figlio, che vive e regna nei secoli dei secoli. Amen.
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Scandalo!! Un convegno ecclesiale in cui si parla di "conviventi"!
A parte le battute: perché la chiesa (specie la nostra diocesi) è così lenta ad accogliere il desiderio di rinnovamento, alla luce di Evangelii Gaudium e di Amoris Laetitia?!
Si intitola «La forza dell’amore: l’Amoris laetitia annunciata ai conviventi» il convegno regionale di pastorale familiare che si svolgerà sabato 28 gennaio a Loppiano. Gli incaricati regionali di pastorale familiare ne illustrano la tematica:
http://www.toscanaoggi.it/Vita-Chiesa/La-gioia-della-famiglia-annunciata-ai-conviventi.-Convegno-regionale-a-Loppiano
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a sinistra: Aleppo, 27 aprile 2016
a destra: Compianto sul Cristo morto, Niccolò dell'Arca, Bologna 1463
Grazie a MR.P. per la composizione fotografica
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«Nella vita spirituale crescere significa semplificare e semplificarsi, per farsi più vicini alla semplicità increata ed ineffabile».
Jean Guitton
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«Padre nostro, la tua voce ci ha chiamati, hai messo il tuo nome sulle nostre labbra e la tua opera nelle nostre mani.
Siamo la tua Chiesa, il tuo popolo il cammino, ti chiediamo di aprire per noi un nuovo avvenire: facci poveri e semplici per capire meglio il tuo Vangelo e seguire Gesù.
Chiediamo perdono per le nostre colpe passate, per l'orgoglio che spesso ha spinto la tua Chiesa a prendere il potere. Perdona la tua Chiesa se qualche volta non é stata degna della tua fiducia.
Non diamo la tua pace a questo mondo né la tua salvezza agli uomini divisi ed afflitti, perche noi stessi siamo disuniti.
Fa' che, anche se spesso divisi, possiamo tutti essere consci di tanta follia e ricercare sempre l'unità».
(Dal libro di preghiere per le vocazioni dei seminari della Chiesa cattolica di Spagna, 1985)
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«Se davvero l'amore riesce ad eliminare la paura e questa si trasforma in amore, allora si scoprirà che ciò che salva è proprio l'unità. La salvezza sta infatti nel sentirsi tutti fusi nell'amore all'unico e vero bene mediante quella perfezione che si trova nella colomba di cui parla il Cantico dei cantici: "Unica è la mia colomba, la mia perfetta, l'unica di sua madre, la preferita della sua genitrice" (Ct 6,9). Tutto ciò lo mostra più chiaramente il Signore nel vangelo. Gesù benedice i suoi discepoli, conferisce loro ogni potere e concede loro i suoi beni. Fra questi sono da includere anche le sante espressioni che egli rivolge al Padre. Ma fra tutte le parole che dice e le grazie che concede una ce n'è che è la maggiore di tutte e tutte le riassume. Ed è quella con cui Cristo ammonisce i suoi a trovarsi sempre uniti nelle soluzioni delle questioni e nelle valutazioni circa il bene da fare; a sentirsi un cuor solo e un'anima sola e a stimare questa unione l'unico e solo bene; a stringersi nell'unità dello Spirito con il vincolo della pace; a far un solo corpo e un solo spirito; a corrispondere a un'unica vocazione, animati da una medesima speranza. Ma più che questi accenni sarebbe meglio riferire testualmente le parole del vangelo: "Perché tutti siano una sola cosa. Come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch'essi una cosa sola, perché il mondo creda che tu mi hai mandato" (Gv 17,21)».
Dalle «Omelie sul Cantico dei cantici» di san Gregorio di Nissa (Om. 15: PG 44. 115-1118)
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“Conserviamo la dolce e confortante gioia di evangelizzare”.
Paolo VI, Evangelii nuntiandi, n. 80 (1975)
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«Anzitutto non bisogna cedere alla paura di cui parlava il beato John Henry Newman: «Il mondo cristiano sta gradualmente diventando sterile, e si esaurisce come una terra sfruttata a fondo che diviene sabbia». Non bisogna cedere al disincanto, allo scoraggiamento, alle lamentele. Abbiamo lavorato molto e, a volte, ci sembra di essere degli sconfitti, e abbiamo il sentimento di chi deve fare il bilancio di una stagione ormai persa, guardando a coloro che ci lasciano o non ci ritengono più credibili, rilevanti.
Rileggiamo in questa luce, ancora una volta, l’episodio di Emmaus (cfr Lc 24, 13-15). I due discepoli scappano da Gerusalemme. Si allontanano dalla “nudità” di Dio. Sono scandalizzati dal fallimento del Messia nel quale avevano sperato e che ora appare irrimediabilmente sconfitto, umiliato, anche dopo il terzo giorno (vv. 17-21). Il mistero difficile della gente che lascia la Chiesa; di persone che, dopo essersi lasciate illudere da altre proposte, ritengono che ormai la Chiesa - la loro Gerusalemme - non possa offrire più qualcosa di significativo e importante. E allora vanno per la strada da soli, con la loro delusione. Forse la Chiesa è apparsa troppo
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Dio Padre di tutti, abbiamo udito la tua parola di riconciliazione a te per mezzo del tuo Figlio Gesù Cristo, nostro Signore. Per la potenza dello Spirito Santo, trasforma il nostro cuore di pietra. Aiutaci a diventare ministri di riconciliazione e sana le divisioni delle nostre chiese, affinché possiamo meglio servire come strumenti delle tua pace nel mondo. Amen
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"Osare la pace per fede. (...) Una via alla pace che passi per la sicurezza non c'è. La pace infatti deve essere osata. E' un grande rischio, e non si lascia mai e poi mai garantire. La pace è il contrario della garanzia. Esigere garanzie significa diffidare, e questa diffidenza genera di nuovo guerre. Cercare sicurezze significa volersi mettere al riparo. Pace significa affidarsi interamente al comandamento di Dio, non volere alcuna garanzia, ma porre nelle mani di Dio Onnipotente, in un atto di fede e di obbedienza, la storia dei popoli... Chi rivolgerà l'appello alla pace così che il mondo oda, che sia costretto a udire?... Solo la Santa Chiesa di Cristo può parlare in modo che il mondo, digrignando i denti, debba udire la parola della pace, e i popoli si rallegreranno perché questa Chiesa di Cristo toglie, nel nome di Cristo, le armi dalla mano dei suoi figli e vieta loro di fare laguerra e invoca la pace di Cristo sul mondo delirante".
Dietrichi Bonhoeffer (scritta nel 1934)
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"Dio nostro Padre, suscita in noi uno spirito nuovo di umana comprensione e di ospitalità evangelica verso tutti i lontani dalla famiglia e dalla patria e fa’ che ci sentiamo tutti solidali nella terra del nostro pellegrinaggio. Per Cristo nostro Signore. Amen".
www.migrantes.it
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Qui trovi la terza meditazione del percorso formativo "Adulti in cammino", su "La Gioia del Vangelo".
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La gentilezza nelle nostre parole per ricominciare
di Dacia Maraini
(...) Il linguaggio esprime il pensiero collettivo, anche quando non ne è consapevole, il linguaggio disegna i rapporti. Non ci rendiamo neanche conto che stiamo usando sempre di più un linguaggio rabbioso e guerresco. Ma ricordiamoci che in guerra la realtà si impoverisce: ci sono solo i nemici da abbattere e gli amici da salvare. Amici che devono pensarla esattamente come noi, altrimenti diventano anche loro immediatamente nemici.
Ma la cultura è complessa e problematica. La guerra invece semplifica, taglia, appiattisce, rifiuta le distinzioni, non ammette l’attenzione verso l’altro. La guerra affonda le sue radici nei più arcaici e semplici impulsi di sopravvivenza: uccidere o essere uccisi. Mentre la cultura cerca la comprensione del diverso, la consapevolezza, il senso di responsabilità, il perdono, la gioia di vivere e di amare, la giustizia e le regole di convivenza. Spesso il cambiamento di linguaggio precede un cambiamento di clima sociale e finisce per sfociare in una guerra vera, fatta di bombe, mitragliatrici, strazio e morte.
Una forma di resistenza alla guerra annunciata può e deve iniziare proprio dal linguaggio. La riscoperta di parole come creanza, urbanità, cortesia, affidabilità, comprensione, tolleranza. Non sono le parole della debolezza ma della vera forza, quella del pensiero complesso e dell’intelligenza sociale. Torniamo a parlare di idee e non solo di appartenenza. Torniamo a confrontarci sui progetti per il futuro, senza affidarci a quella triste pratica.
in “Corriere della Sera” del 3 gennaio 2017
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E specialmente a Etiopia e Eritrea!
Papa Gregorio XIII nel 1582 riformò il vecchio calendario giuliano (introdotto da Giulio Cesare), che avendo un piccolo difetto di calcolo rispetto al calendario solare non rispettava più l’andamento delle stagioni. Con il nuovo calendario vennero soppressi ben 10 giorni dal 5 al 14 ottobre nell’anno 1582 e non furono più considerati bisestili gli anni dei secoli non divisibili per 400. Questo nuovo calendario, che è quello che ancora oggi usiamo, prese il nome di quel papa e si chiamò calendario gregoriano. In alcuni paesi la Chiesa ortodossa celebra le sue festività secondo le date del calendario giuliano, che differisce di tredici giorni rispetto a quello gregoriano, attualmente in uso nel resto del mondo e utilizzato anche nei paesi ortodossi come calendario civile. Il Natale viene festeggiato il 29 kiahk, che inizialmente e per secoli coincideva con il 25 dicembre nel calendario giuliano e attualmente coincide con il 7 gennaio del calendario gregoriano.
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«In questa solennità della manifestazione del Signore, vorrei proporre un pensiero "laico", quello del filosofo tedesco Hans George Gadamer, il quale ha detto una cosa stupenda: «Un orizzonte è qualcosa verso cui viaggiamo, ma è anche qualcosa che viaggia insieme a noi».
I Magi, su sollecitazione di una stella, si sono messi in cammino verso un traguardo non ancora perfettamente precisato.
Eppure quel traguardo li accompagnava, era presente nel loro cuore, durante tutto il viaggio.
Si dice, con una certa superficialità, che i "cercatori" raggiungono la verità, ammesso la raggiungano, al termine di un tormentato itinerario. Non è proprio così. I veri, appassionati, ostinati e inappagati cercatori, la verità ce l'hanno già dentro, almeno a livello di desiderio, di stimolo.
La terra promessa non è qualcosa cui si perviene, felicemente, alla fine. La terra promessa occorre già averla nel cuore durante l'interminabile traversata del deserto».
Alessandro Pronzato, Ad ogni giorno il suo amore, 10-11
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Ridere guarisce, infatti è la parte più sana di noi
di José Tolentino Mendonça
Virginia Woolf scrisse che «la felicità è avere un filo a cui appendere le cose». Il riso talvolta riveste, nella vita, la funzione di questo filo sottile che ottiene il miracolo di aggregare frammenti distanti e contrastanti. Si direbbe persino che le cose, anche le più difficili, si aggreghino da sole, convergano soavemente in un’improvvisa sorta di incastro, senza lo sforzo che sappiamo essere necessario. Il riso è un’istantanea della grazia, lampante come un’illuminazione. È una soluzione inattesa che riorganizza il mondo. (...) Nel libro che sto leggendo, Gli ebrei e la parola – si tratta di un saggio scritto dal romanziere Amos Oz con la figlia, la storica Fania Oz-Salzberger –, si afferma che neppure le religioni devono temere il riso. (...) Nel libro si riporta una barzelletta a proposito di una nonna che cammina con il nipotino su una spiaggia. All’improvviso, dal nulla, si scatena un’onda colossale che investe in pieno il bambino. «Mio caro Dio Onnipotente – dice, irritata, la nonna –, come puoi permettere che mi succeda una simile disgrazia? Ho sofferto per tutta la vita senza mai mettere in discussione la mia fede! Dovresti vergognarti!». Non passa un minuto che la nonna si ritrova il bimbo, sano e salvo, tra le braccia. Non per questo lei pare soddisfatta: «Mio caro Dio onnipotente, questo è molto gentile da parte tua, non c’è dubbio. Ma dov’è finito il cappellino che mio nipote indossava?». Se anche con Dio possiamo ridere, vuol dire che il potere terapeutico del riso non va temuto. È vero che lo humour può essere anche sconveniente, volgare e maleducato. Ma tra lo humour, ancorché scadente, e un raffinato fanatismo, che lo humour abbia la meglio! Dice un’antica massima chassidica: «È dalla tristezza che dovrete liberarvi, più che da ogni altro peccato. La tristezza non è un peccato, ma non v’è peccato che tanto indurisca il cuore come la tristezza».
in “Avvenire” del 28 dicembre 2016
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Chi vorrebbe costringere il suo prossimo ad "amarlo",
assume atteggiamenti violenti, oppressivi, non-amorevoli.
Dio Amore non obbliga nessuno all'amore.
don Chisciotte