«L'attesa è un fiore semplice. Germoglia sui bordi del tempo. E' un fiore povero che guarisce tutti i mali. Il tempo dell'attesa è un tempo di liberazione. Essa opera in noi a nostra insaputa. Ci chiede soltanto di lasciarla fare, per il tempo che ci vuole, per le notti di cui ha bisogno».
Christian Bobin, Elogio del nulla


È la differenza che unisce il genere umano
di Paolo Branca
«Specialmente nelle epoche di crisi, ogni sorta di identità rischia di divenire una specie di rifugio, vissuta erroneamente come antitetica e opposta alle altre. Quelle di stampo etnico, linguistico e culturale restano le più gettonate e continuano a provocare innumerevoli vittime all’interno della stessa civiltà, ma bisogna riconoscere che anche le identità religiose sono state e tornano a essere dolorosamente strumentalizzate quasi senza che ne emerga l’intrinseca contradditorietà. Nessuna fede, infatti, almeno in teoria può negare che l’armonia, la giustizia e la pace siano tra i valori supremi da difendere a ogni costo. (...)
Non si tratta tanto di dare compimento alle aperture del Concilio Vaticano II, ma di rimettersi alla scuola della Parola. Già nella Genesi, infatti, la stessa creazione è presentata come un tripudio di differenze destinate a convivere e persino dopo l’avvento dell’essere umano, qualcosa sembra ancora mancare: «Poi il Signore Dio disse: '“Non è bene che l’uomo sia solo: gli voglio fare un aiuto che gli sia simile”» (Gen 2, 18). Gli animali erano già stati creati di generi diversi per potersi riprodurre. La creazione di Eva non rispondeva quindi solamente a questa pur imprescindibile necessità. Era piuttosto il rimedio a una situazione “esistenziale” di cui solo l’essere umano poteva far esperienza. Si tratta di un’esigenza vera e profonda, ancora inespressa, a cui si giunge quasi fuori tempo massimo. Non sapeva forse Iddio che quella pur multiforme congerie di esseri non sarebbe bastata ad Adamo? Perché dunque esplicitare l’avvento di Eva come termine e forse apice della creazione? Un’inespressa insoddisfazione da parte dell’uomo ha forse dovuto precedere l’arrivo della risposta...
Bisogna almeno avvertire e riconoscere di non bastare a se stessi, per far spazio all’altro: non un duplicato identico, ma un “aiuto” che ci sia “simile”. Non un “eguale”, non un secondo Adamo, ma un essere di pari natura e dignità, ma “differente”.
La differenza di genere è l’unica relazione generativa: dalla coppia dei diversi nasce un terzo, a sua volta “altro” essere umano. Una specie di teologia trinitaria ante litteram! (...)
in “Avvenire” del 23 agosto 2017


«Assunta in cielo in anima e corpo: e allora il paradiso non è una terra senza volti, ma è abitato dalla bellezza luminosa di volti e di corpi amati. 
Ricordo una espressione forte di p. Turoldo: "Se nel tuo Paradiso non mi fai ritrovare mia madre, tieniti pure il tuo paradiso per te". 
Il cielo è un luogo pieno di volti e di bellezza di corpi.
Festa del corpo, oggi». 
Ermes Ronchi, 15 agosto 2017


«Non mi piacciono quelli che parlano di Dio come di un valore sicuro.
Non mi piacciono nemmeno quelli che ne parlano come di un’infermità dell’intelligenza.
Non mi piacciono quelli che sanno, mi piacciono quelli che amano».
Christian Bobin, Autoritratto al radiatore


«Dammi due etti di ragazzetti, maschietti infetti da manie di elmetti e lame tra denti stretti, mettici tipi eclettici in forma, uniforme, firme per dare forma all'arma, farmacia che cura l'avaria del mondo, "col kaiser!" ti rispondo, se preservi te lo sfondo il condom, sullo sfondo il count down, é la fine! 
Bimbi sotto bombe, feriti da dinamiti e mine, mani armate, dita amputate, "mirate, puntate, fuoco!": crollano I corpi in gioco per così poco, cocco bello cocco sciocco, spari ai fratelli, rocco? vatte a colquà che le coperte te le rimbocco io, che preferisco granite a granate, vinili a fucili, marce nuziali a marcie di esaltati vili commilitoni, militi ignoti proni, calpestati da anfibi scampati a vicine esplosioni. 
Se il conflitto fosse la soluzione ai miei problemi, io sarei sempre in conflitto. 
Signorsì signore si muore per cose futili, signore aiutami, tirami fuori uccidimi, liberami da crimini, dai leader dei disordini che fanno I sordi, da chi dà gli ordini. 
Da perfetto discolo disobbedisco l'odio che impartiscono, preferisco esser dissanguato dal fisco che dal


Un cristianesimo senza Gesù
di Enzo Bianchi
Quando ero ancora un ragazzo, fui testimone di una lezione di catechismo che ancora oggi permane nella mia memoria con tutto il valore della sua attualità. Ogni domenica mattina, dopo la “messa dei fanciulli”, nella mia parrocchia di campagna c’era l’ora di catechismo tenuta da una suora. Come consuetudine, ci veniva insegnata la dottrina riguardante la Trinità, i comandamenti e i precetti per una vita cristiana rigorosa ed esemplare. L’insegnamento era essenzialmente morale, utile per formare uomini e donne come cattolici. Ma l’insistenza talvolta ossessiva sui comandi e sui divieti destò un giorno in uno di noi una semplice domanda: «Ma perché dobbiamo fare così?». Con molto candore la suora rispose: «Per Gesù!». E il mio compagno di catechismo replicò: «Ma chi è Gesù?». Ci fu imbarazzo, ma non ricordo come proseguì la lezione, perché ero restato quasi pietrificato da quella domanda. Sì, c’era un insegnamento secondo il Vangelo, ma non veniva fornito il fondamento all’azione cristiana: la fede e l’amore per Gesù Cristo, che invece non era al centro, non era la prima preoccupazione in ciò che si insegnava…
A distanza di tanti anni mi sembra che ciò che accadde allora potrebbe accadere ancora oggi: al di là delle buone intenzioni e delle grandi fatiche che si fanno nella vita della Chiesa per la liturgia, la catechesi, la carità…, Gesù Cristo – il Gesù Cristo che è il Vangelo – è al centro e vede realmente riconosciuto il suo primato? Confesso che faccio fatica a constatare questo. Certamente nell’esistenza di ogni cristiano solo Dio giudica la fede e l’effettiva ed efficace presenza del «Cristo in noi», ma in ciò che appare nella vita esteriore della Chiesa dobbiamo interrogarci. Vi possono infatti essere fervore, devozione, partecipazione liturgica, eppure può mancare proprio di ciò che è autenticamente cristiano: la presenza viva di Gesù Cristo.
Come esempio di ciò che intendo dire vorrei focalizzare lo sguardo sulla

Nostalgia. Abbandonarsi al proprio vissuto 
di Nunzio Galantino 
«La nostalgia è un luogo mobile che appare e scompare sulle carte della fantasia, ma sta ben saldo nel cuore di ognuno di noi» (J. Saramago). 
Composta da “nóstos ” (ritorno) e “algos” (dolore, sofferenza), la nostalgia esprime il “dolore del ritorno” o meglio la sofferenza provocata dal desiderio di rivivere emozioni e/o esperienze passate. 
Con questa parola - entrata nel vocabolario nel XVII secolo - il medico svizzero J. Hoferr (1662–1752) descrive la patologia diffusa tra i soldati che, costretti ad arruolarsi, accusavano il “sintomo” della mancanza della ’propria’ casa. Nel tempo il sintomo si è trasformato in un sentimento, ma è rimasto intatto e presente nel cuore dei migranti che lasciano casa, famiglia, patria e terra per una prospettiva di vita meno precaria e senza guerra. È presente e viva, la nostalgia, anche nel cuore di tanti, giovani e meno giovani, costretti a lasciare la propria ‘casa’ alla ricerca di lavoro. La nostalgia è quindi legata per lo più alla perdita di un passato che presumibilmente non potrà più fare ritorno. 
Ossessionati dal voler trasmettere un’immagine sempre positiva di noi, tendiamo a tacitare quella parte di noi che potrebbe farci apparire nostalgici e quindi … fragili. Eppure «Le persone nostalgiche sono in realtà le più forti, perché capaci di rimettere insieme i pezzi del passato e fare della vita un percorso compatto». Scrive così il prof. Constantine Sedikides, direttore del Centro di ricerca sull’identità personale dell’Università di Southampton. 
A dispetto quindi del suo significato originario, la nostalgia è di fatto il sentimento che caratterizza le persone che non temono di volgere lo sguardo al passato, a un incontro, a una vecchia fotografia, alla scena di un film, a una panchina, a un’alba. È il sentimento che caratterizza le persone che non hanno paura di ascoltare una canzone e una voce né di percepire odori e sensazioni apparentemente perduti. Il vero “nostalgico” vive fondamentalmente convinto che «Quando ti viene nostalgia non è mancanza. È presenza di persone, luoghi, emozioni che tornano a trovarti» (E. De Luca). Il vero nostalgico – non il melanconico - sa apprezzare il ’non-ancora’ di ciò che c’è già stato e si è già vissuto. Lo ritiene infatti ancora capace di consegnarci emozioni, promessa che chiede del tempo per essere mantenuta, luce che può continuare ad avvolgere il nostro quotidiano, gusto da assaporare ancora una volta. Per questo, la nostalgia non è tristezza e non è felicità. È invece ciò di cui siamo impastati: realtà vissute ed esperienze solo desiderate, lacrime versate e sorrisi che hanno colorato il nostro volto, dolore provato e bellezza desiderata. Vivere la nostalgia vuol dire abbandonarsi alla vita già vissuta, che con tutto il suo carico di esperienze e di emozioni fa intravedere chi siamo e chi possiamo ancora essere. La nostalgia può renderci tristi per un istante ma, immediatamente dopo, a qualsiasi età, può proiettarci in orizzonti nuovi, ancora palpitanti di vita e carichi di speranze.
in “Il Sole 24 Ore” del 20 agosto 2017


Parla del sacramento del Matrimonio
«Il Matrimonio è un sacramento importantissimo perché dimostra che l'uomo è molto più serio degli animali. Infatti gli animali mangiano bevono e dormono, ma non si sposano mai. La loro è una famiglia per modo di dire, restano sempre dei noncuranti. Per esempio un leone appena nasce già si alza e se ne va nel bosco per i fatti suoi e nessuno della famiglia lo ferma o lo sgrida. Un bambino umano, invece, prima di camminare ha bisogno della mamma e del papà che lo aiutano, se no resta sempre sdraiato. Per questo Gesù ha inventato il matrimonio.
Certi uomini si innamorano di altri uomini anche se non se li possono sposare. Essi si chiamano «ovosessuali».
Molti giovani si sposano immediatamente perché vogliono fare i figli. Se ne fanno uno o due sono felici, se ne fanno cinque o sei si bisticciano a chi è stato.
Se in una famiglia non si litiga mai anche il figlio vuole sposarsi presto, se si litiga tutti i giorni, quando mai? Mio padre l'hanno costretto a fare il compariello al matrimonio di Lucia; per comprare due anelli d'oro s'è dovuto tirare una mola.
Io ho tutte le buone intenzioni di sposarmi presto, solo non vorrei farlo sapere alla gente del vico».
da "Dio ci ha creato gratis", 100-101


Perché Dio ci ha creati?
(Pensieri sparsi)
«* È accertato che fu Dio a crearci.
* Dio ci ha creati per spedirci con calma in Paradiso.
* Dio ci ha creati perché ci voleva più bene di prima.
* O Dio o un altro, qualcuno ci doveva creare...
* Dio ci ha creato aggratis.
* Dio ha creato pure i negri, solo che loro non lo sanno.
* Se Dio ci ha creati sono cazzi suoi.
* Dio ha fatto bene a crearci, solo che ha esagerato un po'.
* Al Pronto Soccorso uno non ci credeva che Dio ci ha creati.
* Dio prima creò l'uomo e poi lo addomesticò
* Dio ci creò antichissimi.
* Dio ci ha creati con molta cautela.
* Se ci ha creati Dio perché a mio fratello l'hanno messo in colleggio?
* Dio ci ha creati per farci circolare.
* Ma se Dio sapeva che la maggior parte andava all'Inferno, perché ci ha creati?
* Quando voi avete spiegato perché Dio ci ha creati, io ero assente».
da "Dio ci ha creato gratis", 9-10


«Parla del sacrificio di Isacco
C'era una volta un uomo molto vecchio, Abramo, che aveva un ragazzino Isacco e in mezzo ci stava Dio.
Un giorno Dio disse: «Abramo, prendi a tuo figlio, portalo sul monte legalo stretto e uccidilo. Se mi vuoi bene, farai questo per me».
Abramo non lo voleva uccidere il figlio, ma doveva.
Mentre camminavano Isacco non lo sapeva che l'ucciso era lui, e quando giunsero sul monte e Abramo preparò un fuoco lui gli domandò dove stava l'agnello o il capretto da arrostire. E Abramo disse: «Veramente sei tu».
Da "Dio ci ha creato gratis", 24


«Aspetto. Ho aspettato tutta la vita. Aspetterò tutta la vita. Non saprei dire cosa sto aspettando in questo modo. Ignoro ciò che può metter fine a una così lunga attesa. Non sono impaziente di questa fine. Ciò che aspetto non è nulla che possa venire dalla parte del tempo. Non posso spiegarmi a questo proposito. Perché dovremmo sempre spiegarci? A volte, come questa mattina, mi dico pure: "Sono atteso, non so dove, non so da cosa o da chi, ma sono sicuro di essere atteso"».
Christian Bobin, Autoritratto al radiatore

Dieci fiori in un colpo solo!


Ascoltando Lc 1,39-55

Anche oggi altre due donne: Elisabetta e Maria.
Ad un primo sguardo, entrambe sembrano aver già raggiunto il compimento di ciò che cercano: Elisabetta - piena della sua inaspettata gravidanza - parla già del frutto del grembo di Maria e di adempimento delle parole dell’angelo… ma tutto ciò è appena iniziato e nemmeno si vede sulla pancia di Maria, la quale raccoglie alcune espressioni della Sacra Scrittura per dire che i potenti sono rovesciati, i ricchi sono rimandati a mani vuote, tutte le generazioni la chiameranno beata… ma - a dir la verità - nemmeno oggi, a duemila anni di distanza, vediamo del tutto realizzate queste profezie.
Eppure qualcosa in loro già si è mosso: Elisabetta è al sesto mese; l’angelo si è spostato dal cielo e Maria ha modificato i suoi progetti e ha risposto di sì; le due donne si muovono l’una verso l’altra; il frutto del grembo di Elisabetta sussulta.
C’è “già” qualcosa, eppure qualcosa manca; abbiamo sì, ma “non ancora” la pienezza.
Così è la dinamica delle relazioni, degli affetti, della vita, della Presenza di Dio tra il suo popolo: un granellino che dovrà crescere; un po’ di lievito che dovrà far fermentare la pasta.
Quanto tempo? Verso quale direzione?
Non sempre lo sappiamo bene, lo intuiamo appena. E questo mi pesa non poco.
Rilancio l’attesa del compimento e non vedo l’ora che arrivino i tempi dell’adempimento pieno delle promesse, anche se mi piace mantenere la tensione, l’attesa, il desiderio fondato su una promessa.
Mi fido di queste due donne nello slancio del loro saluto entusiasta: il loro affetto copre le distanze temporali e vede già apparire ciò che non è ancora del tutto, ma sarà completo… speriamo presto!


Ascoltando Lc 11,27-28
In questi giorni, nella liturgia si susseguono brani evangelici che vedono presenti delle donne: sabato la cananea, ieri la vedova povera, oggi una voce di donna dalla folla. Forse non se ne scorge nemmeno il volto; molto probabilmente Gesù non ne conosce il nome. E’ “solo” una voce, una voce alta, una esclamazione incontenibile, un fiotto di cuore. Non sarebbe giusto costruire molto su questo mezzo versetto, ma tanti episodi evangelici ci danno conferma che Gesù avesse un certo fascino: la voce, gli occhi, le mani, i gesti, il portamento, le prospettive, le guarigioni, la delicatezza, la determinazione… colpivano i suoi interlocutori, donne e uomini. Da questo mix nasce l’esclamazione della donna, magari non proprio una giovinetta, per potersi permettere di esporsi in pubblico.
Ma non vi è malizia e neppure banalità: è un inno alla vita, alla storia, al Creatore, a ciò che colpisce e stupisce. E’ una mini-preghiera di lode.
E’ vero, Gesù sembra portare l’attenzione di tutti su un altro “cuore caldo”: l’ascolto della Parola… Forse anche lui, un po’ timido, è rimasto imbarazzato da quel complimento.
Io oggi mi soffermo sulle caratteristiche di Gesù che lo rendono bello, attraente, amabile, chiedendo alla donna della folla di donarmi i suoi occhi, le sue orecchie e la sua voce per cantare quanto è bello, buono e vero il Signore!


Meraviglia.Vivere con il cuore coinvolto 
di Nunzio Galantino 
«E se voi sapeste in cuore la meraviglia dei prodigi quotidiani della vita, la sofferenza non vi stupirebbe meno della gioia» (K. Gibran). La meraviglia, diversa dallo stupore, non è un sentimento, non è nemmeno un atteggiamento e non è nemmeno una predisposizione dell’anima. La meraviglia - dal termine latino Mirabilia (Cose ammirevoli) e dal verbo Mirari (Guardare con meraviglia) - è una qualità personale, presente in ciascuno di noi e bisognosa di essere coltivata. 
Nel pianeta terra vengono riconosciute le “sette meraviglie”. Sette monumenti o luoghi ritenuti particolari/speciali per determinate caratteristiche.Alle “sette meraviglie” se ne aggiunge sempre una ottava, ciascuna sempre diversa a seconda del luogo in cui ci si trova. Ma … «Tu tienimi e io mi trasformerò in meraviglia, tra le tue mani, al caldo, quel caldo che di notte fa crescere il grano» (Chandra Livia Candiani). 
Allontanandoci dall’idea un po’ troppo circoscritta diAristotele, per il quale la meraviglia è inizio delle domande, e parafrasando Chandra Livia Candiani, direi che nel pianeta terra - di per sé una meraviglia - esistono oltre 6 miliardi di persone/meraviglie. Ahimè solo potenziali! Lo diveniamo infatti solo quando riusciamo a realizzarci totalmente; quando riusciamo a riconoscere il posto che vogliamo occupare e cosa vogliamo farne dello spazio che occupiamo; quando riusciamo a scandire il ritmo della quotidianità realizzando la normalità di un lavoro meritato; quando riusciamo a mantenere un’amicizia fraterna per tutta la vita; quando conquistiamo e difendiamo un amore e/o una vocazione; quando generiamo vita. Convinti che come «Un granello di sabbia rispecchia la meraviglia dell’universo. [Così] Un figlio dimostra la meraviglia che siamo» (P. Coelho). 
In fondo a ognuno di noi c’è un sottile filo di meraviglia che non smette mai di offrire l'opportunità di scoprire altre meraviglie, e quindi di vivere e di vedere coinvolto il proprio cuore e tutto ciò che è e sa di essere rispetto a un evento, a una storia, a una persona. Purtroppo eventi passati, relazioni finite male e, in genere, storie dolorose possono ridurre la delicata e fragile capacità di meraviglia fino a spegnerla, ricacciandoci nell’anticamera di una vita affollata da esseri delusi, tristi, stanchi e rinunciatari. Perché «Chi non è più capace di fermarsi a considerare con meraviglia e venerazione è come morto: i suoi occhi sono chiusi» (A. Einstein).
in “Il Sole 24 Ore” del 13 agosto 2017

Questa vedova povera non è il personaggio di una storiella edificante e nemmeno di una parabola: è una persona in carne e ossa, incontrata da Gesù mentre osserva attentamente una scena nel Tempio di Gerusalemme.
E non è nemmeno lei il personaggio principale, anche se è additata dal Maestro come modello di dono di tutta se stessa… e il suo gesto “passa alla storia” immortalato dai brevi versetti dell’evangelista Giovanni.
Il personaggio principale resta Lui, Gesù: Lui dà tutto ciò che ha per vivere, Lui dà la sua vita; e i suoi sensi (occhi, orecchie, bocca… persino la posizione seduta del suo corpo!) gli fanno scorgere un’altra persona che fa come farà Lui.
Il giornalista Luigi Accattoli ha scritto un libro dal titolo “Cerco fatti di vangelo”; Gesù ha colto un “fatto di vangelo”, un evento che - senza saperlo - narra di Lui e del suo stile.
Chissà quanti “fatti di vangelo” compiamo o sono compiuti da altri accanto a noi e i nostri sensi sono intorpiditi e non li cogliamo; a volte non sappiamo dare di noi la giusta (alta!) valutazione di noi perché pensiamo di non essere in grado di vivere eventi che sanno di vangelo; altre volte pensiamo di compiere solo noi azioni che dovrebbero “passare alla storia”, perché uniche, inarrivabili, geniali.
Lascio che sia Gesù a puntare i suoi sensi sulla mia vita e mi sento beato sotto questi raggi benefici;
mi crogiolo al sole della sua benevolenza che magari vorrà scorgere un evento che si avvicina da lontano al suo modo di fare;
lascio che sia Lui a dire una parola sugli atti miei e di coloro che mi stanno accanto;
educato da Lui, confido che anche i miei sensi oggi cerchino e scoprano fatti di Vangelo.


Pane quotidiano
sabato 170812 - ascoltando Mt 15,21-28

Quando Gesù è nato, sapeva già parlare? Sapeva le tabelline, senza sforzo? Mangiava già pane azzimo ed erbe amare? 
No, Gesù ha imparato. Non è una eresia dire che il Figlio di Dio abbia imparato, bensì la conseguenza evidente del fatto che sia “vero uomo”: uomo intero, non per scherzo, non come una maschera posta davanti alla divinità per prendersi gioco degli uomini.
Cosa ha imparato Gesù dall’incontro con la cananea? Sì, perché qualcosa ha imparato… o come minimo ha cambiato idea: in un primo momento non intendeva fare il bene a lei non ebrea, straniera, pagana… poi invece la esaudisce, dopo averle fatto un bel complimento.
Diciamo così: ciò che Dio Creatore ha posto nell’animo delle sue creature, viene ben espresso dalla passione e dalla pervicacia della donna, che per la figlia fa di tutto.
Gesù resta estasiato di questo tratto divino dell’amore della cananea e ne mostra la straordinaria potenza: “Ti sia fatto come desideri” (quasi a verificare se il desiderio sia autentico)… e la liberazione dal male avviene sul serio e all’istante!
Gli era stato insegnato a chiamare “cani” gli infedeli, i non-ebrei; lui aveva addolcito l’espressione in “cagnolini”, accettando anche di parlare con le donne e con gli stranieri; qui - all’età di trent’anni e più - incontra i segni della mano del Creatore anche fuori dai confini del popolo di Israele e ha conferma della volontà di Dio Padre di stare vicino a tutti gli uomini e le donne apparsi sulla faccia della terra.
Ringrazio e spero di continuare ad imparare anche io, alla mia età, come è straordinario questo Dio!
 

«La singletudine è sempre meno una condizione transitoria. E sono sempre di più le persone che non fanno nulla per cercare l’amore. A voler parafrasare l’acronimo Neet – quello sui giovani che non studiano, non lavorano, non cercano un impiego, che sono Not in Education, in Employement, in Training – sta crescendo la popolazione degli Sneet: Single Not in Engagement, in Expecting, in Toying. Più o meno: né fidanzati né a caccia né in flirt. Una folla che preferisce una serie tv o un libro sul divano piuttosto che una festa dove «vieni, che c’è un sacco di gente nuova». Dicono quelli di «buon senso» che, ad aspettare il partner giusto, si rischia di chiudersi in una corazza. Ma i single coriacei, gli Sneet, non li ascoltano, sono estremi, non danno chanches al destino. Sono capaci di non concedere neanche un primo caffè. Anche per gli Sneet «in due è meglio» ma solo se l’altro gli aggiunge qualcosa.
«L’altro» da qualche parte ci sarà, ma è un Pokémon raro, uno Zapdso o un Mewtwo che riconosci al primo sguardo o pazienza. La svolta è capire che si può essere single accortamente aperti a qualche evenienza. Per farlo, è utile sfatare il mito dell’autosufficienza di cui facilmente gli Sneet sono affetti. Più stai bene da solo, meno fai entrare qualcuno. L’altro è una seccatura... (prosegue)».
http://www.corriere.it/cronache/sesso-e-amore/notizie/ecco-sneet-nuovi-single-ne-fidanzati-ne-caccia-ne-flirt-f6a79a98-5a46-11e6-bfed-33aa6b5e1635.shtml


«Gesù era un poeta, un narratore, un artista.
Non era in primo luogo un presbitero, un teologo, un accademico, o una persona che dispensava sacramenti,
ma era un uomo che risvegliava gli altri alla sacramentalità del cosmo e del regno di Dio in cui tutti e tutte siamo immersi».
Matthew Fox

Pane quotidiano

mercoledì 170809 - ascoltando Gv 12,24-33

Quanti pensieri nella testa di Gesù! L’evangelista Giovanni cerca di seguirli, di raccoglierli, di ordinarli.

Dunque, con una matita, provo a disegnare anch’io il percorso dei pensieri di Gesù, così come appaiono in questo brano: chi ama la vita la perde; chi si mette al servizio sarà onorato da Dio Padre; di fronte a questa non semplice prospettiva l’animo si turba; meglio parlarne a Dio Padre; Lui lo conferma; quindi Gesù si decide a lasciarsi gettare fuori, innalzare da terra.

Le espressioni del vangelo di oggi parlano anzitutto di Gesù, non del discepolo che - in uno slancio eroico - deciderebbe di “perdere la vita”.

Lui è il chicco di grano che non vuole rimanere solo e porta molto frutto rimanendo sottoterra; Lui coglie che se proseguirà sulla strada dell’amare tutti, finirà che qualcuno - non apprezzando questo modo di fare - gli farà del male; Lui percepisce il fascino che emana da una persona che - per te, per me - dona tutta se stessa.

Oggi mi fermo a dirgli grazie, perché ai suoi pensieri sono seguite le sue azioni… questo suo modo di pensare, di fare, di amare mi attrae molto.

https://youtu.be/25ovEo2Ip4Q

Dio di misericordia,Ti preghiamo per tutti gli uomini, le donne e i bambini, che sono morti dopo aver lasciato le loro terre in cerca di una vita migliore.
Benché molte delle loro tombe non abbiano nome, da Te ognuno è conosciuto, amato e prediletto.
Che mai siano da noi dimenticati, ma che possiamo onorare il loro sacrificio con le opere più che con le parole.
Ti affidiamo tutti coloro che hanno compiuto questo viaggio, sopportando paura, incertezza e umiliazione, al fine di raggiungere un luogo di sicurezza e di speranza.
Come Tu non hai abbandonato il tuo Figlio quando fu condotto in un luogo sicuro da Maria e Giuseppe, così ora sii vicino a questi tuoi figli e figlie attraverso la nostra tenerezza e protezione.
Fa’ che, prendendoci cura di loro, possiamo promuovere un mondo dove nessuno sia costretto a lasciare la propria casa e dove tutti possano vivere in libertà, dignità e pace.
Dio di misericordia e Padre di tutti, destaci dal sonno dell’indifferenza, apri i nostri occhi alle loro sofferenze e liberaci dall’insensibilità, frutto del benessere mondano e del ripiegamento su sé stessi.
Ispira tutti noi, nazioni, comunità e singoli individui, a riconoscere che quanti raggiungono le nostre coste sono nostri fratelli e sorelle.
Aiutaci a condividere con loro le benedizioni che abbiamo ricevuto dalle tue mani e riconoscere che insieme, come un’unica famiglia umana, siamo tutti migranti, viaggiatori di speranza verso di Te, che sei la nostra vera casa, là dove ogni lacrima sarà tersa, dove saremo nella pace, al sicuro nel tuo abbraccio.
papa Francesco, Lesbo 16.04.2016


Leggo questa pagina del vangelo stringendo un poco gli occhi e tendendo le orecchie, indagando dove stia nascosta quella intonazione della voce di Gesù che renda più chiaro ciò che voleva comunicare ai suoi interlocutori. L’intento della parabola e i suoi destinatari li scopro nell’ultima espressione: “Non sapete né il giorno né l’ora”. Ci sarà stato di certo qualcuno tra i seguaci del Maestro e nella comunità cristiana dell’evangelista Matteo che avrà pensato di sapere il giorno e l’ora di quel famoso “Giorno di Dio”, quello ultimo o quello dell’imperare di Dio su questa terra. Gesù intende comunicare la attesa, questa attesa, una attesa non angosciante, ma serena, gioiosamente serena: arriverà uno sposo… ma non siamo così agitati o drogati da stare sempre svegli con gli occhi sbarrati. Ci addormentiamo tutti, come tutte le dieci vergini. Qualcuno nella nostra storia ci ha svegliati o ci sveglierà. A questo punto guardiamo noi stessi, la nostra “dotazione” umana e spirituale e ci rendiamo conto di essere pronti… o anche no (abbiamo il 50% delle probabilità!). Non facciamo l’allegoria di ciò che l’olio rappresenti: a uno manca la gioia, a uno la salute, a uno la fede, all’altro una persona al fianco… Cosa facciamo se ci manca l’olio? Mi sembra normale che lo si chieda, perché si è scoperto che è importante l’incontro con lo Sposo, vitale. E qui, al versetto 8, nella mia lettura ad alta voce si blocca il tono di Gesù; qui Lui rilancia ai suoi discepoli: “Dateci un po’ del vostro olio”, aggiungendo una sfumatura, quasi un “Per favore”. Come Gesù fece alla moltiplicazione dei pani: “Date loro voi stessi da mangiare!”. Il modo in cui prosegue la parabola, nell’intento di Gesù è lasciato ai suoi amici: daranno o non daranno? L’evangelista Matteo ha detto poi alla sua comunità che ciascuno deve fare una scelta esigente e saggia per Gesù e portarsi anche l’olio.

Io per ora mi fermo ad attendere lo Sposo. Gioisco se qualcuno mi sveglia. Cerco di attivare processi di scambio dell’olio necessario a ciascuno.


«Dio.
Desiderio comune delle nostre povere anime, tormentate dai problemi religiosi propri della mentalità moderna, sarebbe duplice: 1) avere di Dio qualche esperienza diretta; se non vederlo, capirlo; se non capirlo, sentirlo: sitivit in Te anima mea…in terra deserta et inaquosa…; 2) avere di Dio qualche segno miracoloso, qualche indizio prodigioso della sua azione onnipotente o della sua amorosa assistenza.
Interiore prova la prima, esteriore la seconda.
L’amore del prossimo e poi l’amore di Dio possono dare qualche felice e sufficiente risposta al primo desiderio: chi ama sente, chi ama sa, chi ama gode di Dio; per via di amore si può avere quella certezza nuova che rende sicura e fidente l’anima, lieta di camminare nell’ombra della notte presente verso la luce futura.
La parola di Cristo placa il secondo desiderio, chiedendo un atto profondo di fede: beati coloro che avranno creduto senza aver visto. E questa adesione alla parola di Cristo conforta il pensiero a guardare con occhio ammirato le cose note per esperienza naturale e per conoscenza normale; e a trovarle tutte immensamente eloquenti e indicative, probative anzi, del Dio vivo, nascosto e presente».
Paolo VI
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