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«Se davvero l'amore riesce ad eliminare la paura e questa si trasforma in amore, allora si scoprirà che ciò che salva è proprio l'unità. La salvezza sta infatti nel sentirsi tutti fusi nell'amore all'unico e vero bene mediante quella perfezione che si trova nella colomba di cui parla il Cantico dei cantici: «Una sola è la mia colomba, la mia perfetta. L'unica di sua madre, la preferita della sua genitrice» (Ct 6,9).
Tutto ciò lo mostra più chiaramente il Signore nel vangelo.
Gesù benedice i suoi discepoli, conferisce loro ogni potere e concede loro i suoi beni. Fra questi sono da includere anche le sante espressioni che egli rivolge al Padre. Ma fra tutte le parole che dice e le grazie che concede una ce n'è che è la maggiore di tutte e tutte le riassume. Ed è quella con cui Cristo ammonisce i suoi a trovarsi sempre uniti nelle soluzioni delle questioni e nelle valutazioni circa il bene da fare; a sentirsi un cuor solo e un'anima sola e a stimare questa unione l'unico e solo bene; a stringersi nell'unità dello Spirito con il vincolo della pace; a far un solo corpo e un solo spirito; a corrispondere a un'unica vocazione, animati da una medesima speranza.
Ma più che questi accenni sarebbe meglio riferire testualmente le parole del vangelo: «Perché tutti siano una sola cosa. Come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch'essi una cosa sola, perché il mondo creda che tu mi hai mandato» (Gv 17, 21)».
s. Gregorio di Nissa, Omelie sul Cantico dei cantici (Om. 15; PG 44, 1115-1118)
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Noi ti adoriamo, o santo Spirito di Dio,
mentre con il meglio delle nostre forze tentiamo di scrutare chi Tu sei per noi.
Ti chiamiamo con nomi umani, con umane parole, per non dover tacere.
Ti apriamo il nostro cuore per accoglierti e per capire come,
profondamente, anche non visto, ovunque sei presente.
Sei l'aria che respiriamo, la lontananza che scrutiamo,
lo spazio che ci è toccato in parte.
Tu sei la dolce luce che ci rende attraenti gli uni agli altri.
Tu sei il dito di Dio con il quale Egli ha ordinato l'universo.
Sei l'amore squisito con il quale Dio tutti ci ha creati.
A tutto ciò che vive Tu dai forza, Tu agisci in modo strano e inafferrabile,
nascosto nel profondo di ciascuno come un fermento, come un seme di fuoco.
Tu sei la nostra volontà di vita,
l'amore che ci attacca a questa terra e che ci lega al nostro Dio.
Tu ci sproni ad andare fino in fondo disposti a sopportare qualunque cosa,
sperando sempre come l'amore spera.
Noi ti preghiamo, Spirito di Dio che tutto crei, da' compimento all'opera iniziata;
previeni il male che possiamo fare, muovici al bene, fa' che siamo fedeli e pazienti,
accendi nel nostro cuore l'amicizia per tutto ciò che vive e dacci gioia per ciò che è umano e buono.
Sei l'anima delle nostre preghiere, che cosa non potremmo aspettarci da te?
Saggezza per capirci gli uni gli altri, abilità nel dare aiuto, ovunque e sempre.
Sei il Dono fattoci da Dio Padre: sii dunque il Presente qui in mezzo a noi. Amen.
tratta da
H.Oosterhuis
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La generazione indecisa
Chat, sms e social network: le relazioni “leggere” dei giovani ipertecnologici
di Francesco Rigatelli
Un ragazzo mi ha lasciato un messaggio in ufficio, allora io l'ho chiamato a casa, e poi lui mi ha scritto sul Blackberry, e allora io gli ho mandato un sms, e lui mi ha risposto all'email privata. Così, ho completamente perso il filo! Ho nostalgia dei tempi in cui avevamo un numero di telefono e una segreteria telefonica, e quella segreteria aveva una cassetta, e quella cassetta o conteneva un messaggio del tizio che ti piaceva o non lo conteneva, mentre adesso devi passare il tempo a correre da un portale Internet all'altro solo per potere essere rifiutata da un potenziale partner attraverso sette diverse tecnologie. È sfibrante!». (...) Perché è vero che il web favorisce ormai un matrimonio su cinque, ma social network e messenger istantanei rischiano di rimanere l'unico sfogo per i desideri, sentimentali come politici, delle nuove generazioni. «L'aver perso peso nella società ha reso i giovani sempre più attratti da Internet», spiega Davide Bennato, docente a La Sapienza di Roma. La conseguenza è che «i ragazzi - come ha scritto Enrico Marchetto, docente allo Iulm di Milano - non conoscono le pause (se non hanno qualcosa da fare se lo trovano); non sanno cosa significhi stare in coda (abituati all'acquisto veloce su Internet); non stanno mai soli (spegnere pc e telefonino è un'opzione ormai inconcepibile)». Avrebbe insomma ragione John Naish, che nel suo libro «Basta!», riferendosi alla crisi economica ma anche sociale sintetizza: «L'eccesso è la causa di ogni male, perché pur avendo tutto continuiamo a volere di più». E pure uno dei blogger italiani più famosi, Massimo Mantellini, ha dichiarato che «passare di continuo da uno stimolo all'altro innesca una sorta di schizofrenia: dopo pochi minuti di concentrazione su una cosa, si avverte il bisogno di fare altro. Occorre trovare un equilibrio, e vale anche per me: ero un appassionato di saggi, oggi fatico a leggere testi lunghi e impegnativi». E se questa tendenza al disimpegno valesse anche per i rapporti sentimentali? Secondo Mirta Martinato, che studia cinese vicino a Shanghai e grazie a Skype parla a costo zero con mamma e tramite Facebook si aggiorna sulle vicissitudini di centinaia di amici lasciati a Milano, «i mezzi tecnologici, anche se superficialmente, rispondono alla voglia di conoscere tutti e in fretta, però generalmente posticipano gli incontri reali, perché travolti dai grandi numeri si rimanda sempre». Del resto anche il sociologo Zygmunt Bauman sostiene che «il consumo sta consumando noi e la sostanza del nostro desiderio».
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di Franco Garelli
Non si vive solo di ordine pubblico o di respingimenti, in un'epoca in cui molti stranieri bussano al nostro Paese per cercare un'ancora di salvezza. Oltre a ciò, la Chiesa deve trovare nuove forme di presenza nel mondo del lavoro, per essere vicina a quanti vivono sulla propria pelle una crisi economica senza precedenti. Non è detto che si ritorni alla formula dei «preti operai», che avevano scelto di condividere il lavoro e la vita della gente comune negli anni ruggenti. Tuttavia, i preti e le parrocchie devono inventarsi qualcosa di nuovo, per stare dalla parte di chi oggi soffre maggiormente la crisi occupazionale.
Sono questi i due più importanti e inattesi messaggi contenuti nella prolusione con cui ieri il presidente della Cei ha aperto i lavori della 59ª Assemblea dei vescovi italiani. Entrambi i segnali sembrano indicare che è in atto una svolta nella presenza pubblica della Chiesa in Italia.
Che da alcuni anni a questa parte si è molto impegnata per difendere i valori «cari ai cattolici», con le battaglie sui temi della vita, della famiglia, della bioetica, delle limitazioni alla scienza, della difesa dell'antropologia cristiana. Oggi, con il discorso del cardinale Bagnasco, il vertice ecclesiale pare rimettere la questione sociale al centro dell'impegno dei cattolici, riabilitando quel cattolicesimo sociale che ha vissuto un po' ai margini la recente svolta identitaria e culturale della Chiesa italiana.
Come accade in queste occasioni, il presidente della Cei opera un'analisi a tutto campo della situazione, atta a focalizzare i nodi cruciali del periodo, le sfide che più interpellano la Chiesa. (...) Il messaggio più forte che monsignor Bagnasco ha voluto consegnare agli ambienti ecclesiali e a tutto il Paese è stato l'invito a riscoprire i nuovi termini della questione sociale, l'urgenza di un impegno che ha sempre fatto parte della sua storia e che è oggi sollecitato da nuove sfide.
La prima emergenza è individuata nelle conseguenze della crisi economica che si sta vivendo, i cui costi più pesanti sono pagati dall'anello più debole della popolazione, con l'aumento dei licenziamenti, l'inquietudine della cassa integrazione, la fine del lavoro anche per i molti precari di cui sin qui si sono servite molte aziende. Non poche imprese, osserva il cardinale, azionano sbrigativamente la leva occupazionale per far fronte alla crisi in atto, come se si trattasse di «alleggerire la nave di una futile zavorra». Di qui l'invito non soltanto ai responsabili pubblici perché individuino valide soluzioni alla crisi, ma anche alle parrocchie e ai preti di farsi più prossimi a chi vive nel mondo del lavoro, accostando le persone là dove esse lavorano, ascoltandole, dando loro sostegno concreto. E ciò attraverso modi diversi, dalla creazione di sussidi economici all'aiuto nel pagamento dei mutui e delle utenze, dal potenziamento di esperienze di micro-credito all'istituzione di fondi di solidarietà e di garanzia per le famiglie in difficoltà.
La seconda emergenza riguarda la questione migratoria e il disegno legge sulla sicurezza, temi su cui il vertice Cei continua a manifestare la sua contrarietà per le soluzioni che si stanno delineando. Perché impedire - entro certi limiti - a chi è in cerca di sopravvivenza la libertà di emigrare? Che cosa fanno l'Italia e l'Europa per prevenire il fenomeno, per evitare che i figli dei Paesi poveri non siano costretti ad affrontare rischi mortali pur di coltivare una speranza di vita? Qual è il nostro impegno nella cooperazione internazionale? Perché discriminare gli immigrati che possiamo accogliere, invece di favorire una loro adeguata integrazione nelle nostre città?
L'anima più sociale della Chiesa pare dunque riattivarsi in questo momento storico, anche esponendosi con coraggio su questioni che dividono il Paese.
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Secondo me quelli della C.C. lo sapevano di prenderci in giro quando hanno fatto uno spot così. Spero che nessuno creda che le cose stiano veramente come dice lo spot (non è mai così - proprio mai - negli spot... e non solo!). Se poi ci scappasse anche il boicottaggio della C.C. io non piangerei di certo!
E - dalla serie "Chi la fa l'aspetti" - potete andare a vedere un contro-spot molto carino. don Chisciotte
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"Questioni morali ce ne sono tante. La nostra attenzione è a tenerle vive tutte, non andando a esprimere giudizi ogni piè sospinto su questo e quello". Così il segretario della Cei Mariano Crociata ha risposto alle pressanti domande dei giornalisti che volevano una presa di posizione sulle vicende personali del premier. "Ognuno - ha scandito Crociata - ha la sua capacità di giudizio. Ed è inutile pronunciarsi su singoli comportamenti perchè le coscienze formate di ciascuno sanno cosa sia giusto".
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Per questo il magistero sociale può richiamarsi nientemeno che al papa Giovanni Paolo II, il critico più lucido ed energico del capitalismo dopo Karl Marx. Già nella sua prima enciclica egli ha intrapreso una valutazione del sistema in quanto tale, delle strutture e dei meccanismi che, nel campo delle finanze e del valore del denaro, della produzione e del commercio, dominano l'economia mondiale; a suo avviso, essi si sono dimostrati incapaci di rispondere alle sfide e alle esigenze etiche del nostro tempo.
L'uomo «non può diventare schiavo delle cose, schiavo dei sistemi economici, schiavo della produzione, schiavo dei suoi propri prodotti». Ma il nuovo orientamento solidaristico e la trasformazione di un esteso sistema d'azione economico che, come abbiamo mostrato, non tiene conto della natura e della vocazione dell'uomo, e anzi le contraddice, non avviene da sé. Richiede un potere statale in grado di agire e decidere, che oltrepassi la mera funzione di garanzia dello sviluppo del sistema economico e di accertamento del parallelogramma delle forze, ma assuma efficacemente la responsabilità del bene comune mediante la limitazione, l'orientamento e anche il rifiuto del perseguimento del potere economico, cercando continuamente di ridurre al tempo stesso le disuguaglianze sociali. È impossibile realizzare una tale trasformazione con semplici interventi di coordinamento. Ma dove si trova oggi una tale statualità? Di fronte all'intreccio economico mondiale la forza dello stato nazionale non è più sufficiente; sarà sempre sconfitta dalle forze economiche che operano a livello mondiale. D'altra parte, è impossibile organizzare una statualità a livello mondiale, sotto forma di stato planetario; lo si può fare solo per e in aree limitate, che sono in relazione fra loro e collaborano. L'appello è rivolto quindi anzitutto all'Europa. Ma essa avrà la volontà e la forza per farlo?
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di Massimo Gramellini
Ho una pessima notizia da darmi. Con la crisi tornano in auge i lavori manuali. Chi non può più permettersi di accendere un mutuo per pagare un idraulico strappa alle ragnatele il libretto di istruzioni in tedesco e riprende contatto con la spigolosa fisicità della sua lavatrice. È il rilancio della civiltà della concretezza. È il recupero dell'autosufficienza e dell'autostima. È il disastro per chi, come me, non sopravvivrebbe più di due ore a un camping con i boy scout di Franceschini. Forse un giorno scriverò «Lo zen e l'arte del rammendo del calzino», ma intanto dovrei smetterla di dissanguarmi l'indice ogni volta che tento di infilare il filo nella cruna dell'ago. Siamo all'inizio di una nuova selezione naturale e so di figurare nella lista dei brontosauri. Se avessi una figlia di diciotto anni, anziché la velina le suggerirei di fare la sartina: c'è maggior richiesta e minore concorrenza.
Nei Paesi anglosassoni il fai-da-te è già un filone televisivo: dal grande fratello al piccolo chimico. Non mi avranno come finalista. Mi consolo con le avventure altrui: ho un amico con due lauree che ha impiegato tre ore e ventotto minuti per collegare il «decoder» al televisore. Quando cominciava a sentirsi un inutile agglomerato di libri, ha tirato una botta contro l'apparecchio e quello, inopinatamente, si è messo in azione. Mi ha confessato di essere stato pervaso da una sensazione molto maschia. La stessa che provò il mio antenato a Neanderthal nell'istante in cui, dopo aver ustionato tre mogli e altrettante suocere, riuscì finalmente ad accendere il fuoco.
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"Siamo cosi abituati a cammuffarci agli occhi degli altri che alla fine ci camuffiamo ai nostri occhi".
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«... Ho un vecchio amico che sta per partire e stanotte ritorna via. E' il momento dei baci, dei saluti ed abbracci e gli auguri di buona fortuna. Niente lacrime prego, che c'è altro da fare e stasera non piange nessuno. Io mi ungo la gola e preparo il bicchiere in onore del vecchio Bob...»
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di Antonio D'Orrico
Vent'anni fa la minaccia erano il burocratese odiato da Italo Calvino e l'anglitaliano che storpiava tutto. Ora l'allarme è più sottile: scrittori che inseguono il parlato e un dialogo fatto di consonanti, in formato telefonino
E il burocratese non muore
Ho sottoposto (e non posposto) i miei timori a due tra le massime autorità della linguistica italiana: i professori Gianluigi Beccaria e Luca Serianni. Beccaria, «il professore di italiano che tutti avremmo voluto avere», come dice Aldo Grasso, ha appena ripubblicato da Garzanti il suo indispensabile «Per difesa e per amore (La lingua italiana oggi)». Per quanto riguarda il burocratese il professore scuote la testa. La battaglia contro l'antiligua, così chiamava il burocratese Italo Calvino, è difficile da vincere. Il burocratese avanza. Conoscete qualcosa di meno burocratico della cioccolata? Bene, anche lei è stata colonizzata dall'antilingua. Il professore racconta di Gobino, il negozio di cioccolatini («il migliore che ci sia») vicino a casa sua a Torino: «Sembra di entrare in gioielleria, il negozio è di gran gusto, e mentre sei lì che aspetti e ammiri, e ti pare di essere in un altro mondo, vedi che, appiccicato al vetro del bancone, c'è scritto: “per chi vuol conoscere l'ingredientistica”. Ingredientistica?». Il professore è uscito di corsa dal negozio ma l'incubo non è finito. Perché, girato l'angolo, si è imbattuto in un distributore di sacchetti per “deiezioni canine”, poi in una “Scarpoteca”, quindi in una “Frullateria” e infine in un bar che reclamizzava: “Si effettuano panini”.
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Ma altro è il tuo compito : vestire Cristo nei poveri, visitarlo negli ammalati, nutrirlo negli affamati, accoglierlo in quelli che non hanno un tetto».
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Lo vogliamo ricordare
con una rassegna di foto
e con uno dei testi con cui i fedeli eritrei hanno inteso far memoria
dei suoi ultimi giorni e delle celebrazioni in suo onore.
Sua Eccellenza il Vescovo Luca Milesi continuando le consuete attività giornaliere, circa alle 9.30 del mattino del 20 maggio, aveva lasciato Asmara per Dekemhare e aveva pranzato con le sorelle della comunità dell'Eucarestia. Dopo il pranzo mentre stava chiacchierando e ridendo con le sue amatissime giovani postulanti della comunità, sentì un acuto dolore che non aveva mai sperimentato prima. Subito andò in bagno e vi rimase qualche tempo; le ragazze erano molto preoccupate per il suo attardarsi e quando bussarono alla porta non ci fu risposta, questo è il momento nel quale lo trovarono molto affranto per un grande dolore.
Subito dopo lui fu portato all'Asmara.
All'incirca verso le 7.00 della sera fu accolto nell'ospedale Sembele. Poi con l'aiuto dei dottori, e noi crediamo con l'aiuto della preghiere, si è ripreso rapidamente.
I suoi ragazzi, membri degli Istituti Secolari, furono molto felici quando ricominciò a scherzare e chiacchierare con loro ancora una volta.
Effettivamente, essi e lui stesso pensarono che questa era la fine del suo male.
Sfortunatamente, il giorno dopo intorno alle sei del pomeriggio il dolore ricominciò di nuovo.
E' stata questa la volta che Sua Eccellenza disse: “ora la morte è venuta”.
I dottori e le infermiere fecero del loro meglio per salvargli la vita.
Egli ricevette gli ultimi sacramenti da Sua Eccellenza il Vescovo Mengistaab Tesfamariam della Diocesi di Asmara e dopo di lui il Vescovo Emerito Zekarias Yohans.
In breve entrò in coma. Alle dieci della sera se ne andò in pace, mentre era circondato da tutti quelli che lo amano, pregando e piangendo. Possa la sua anima riposare nella pace eterna!
A mezzanotte il suo corpo venerato fu portato all'ospedale Oarota National Referral per essere custodito fino a che fossero completati i preparativi per il funerale.
Aspettando il giorno del funerale... (prosegui la lettura tra i Testi)
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di Massimo Gramellini
Non stupisce che una mamma sia stata condannata a 360 euro di multa per «stalking», dopo che per due anni e mezzo aveva perseguitato il figlio con una media di 49 telefonate al giorno. Non stupisce che l'amore di una mamma travolga qualsiasi bolletta e trovi nuove opportunità espressive nel progresso tecnologico: il telefonino, per esempio, che le consente di tenere sotto controllo il pupo a intervalli regolari (ogni quarto d'ora, calcolando che lo chiamasse anche durante il sonno). Non stupisce nemmeno che la mamma in questione abbia 73 anni e suo figlio intorno ai 40. Le mamme non vanno mai in pensione.
E a 40 anni i figli hanno appena superato il periodo dello svezzamento per accingersi a muovere i primi e incerti passi verso l'adolescenza: periodo affascinante ma irto di pericoli, che solo una mamma con la testa sul collo e la cornetta all'orecchio è in grado di sventare. Ecco, semmai stupisce che sia stato lui, il figlio, a denunciarla. Ma sicuramente dietro quella decisione ingenerosa si nasconderà la mano di una nuora intirizzita dalla gelosia. In realtà l'unico particolare che stupisce, in questa storia, è la nazionalità della mamma. Austriaca. Ma forse c'è una spiegazione anche qui: le mamme italiane, avendo i figli di 40 anni ancora in casa, non hanno alcun bisogno di perseguitarli sul telefonino.
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ma la passione, l'istanza e la profezia ci sono tutte!
«Senta, signor parroco. Constatiamo prima di tutto un fatto. La nostra gioventù non ha perduto l'interesse né la passione verso le cose belle, benché tali inclinazioni si dispongano al momento verso obiettivi che noi non consideriamo meritevoli di passione.
Perché ciò che noi si stima degno non scalfisce punto la fresca anima giovanile?
Segno qui tre spiegazioni a titolo di ipotesi. O i giovani di oggi sono così diversi da noi e così guasti che non avvertono più il sapore dello spirituale; o gli ideali che noi presentiamo sono finiti; o noi presentiamo questi ideali in modo che non interessano.
Escludo la prima ipotesi senza discuterla. I nostri figliuoli sono come noi. Sentono vivamente i richiami del corpo, ma non sono insensibili alla vita dello spirito. Ogni generazione ha una propria fisionomia, la quale però si staglia da uno sfondo di umanità, che rimane perenne e immutabile. Ogni generazione ha pure un proprio fascino o sogno o innamoramento, giudicato sempre follia dall'età precedente. Senza volerla confessare, esiste una gelosa rivalità fra la generazione che sale e quella che tramonta. Essa si sfoga in reciproche incomprensioni, in reciproci rimproveri, ai quali non bisogna dare molto peso.
La seconda ipotesi l'ho messa fuori per scrupolo di sincerità, per rispondere a un momento di tentazione, che può sorprendere anche il più solido dei credenti, senza scuoterlo. L'irriflessione è un fenomeno di superficialità. Gli spiriti profondi riescono a vivere con passione anche i momenti difficili e a cavarne beneficio.
Il problema riguarda il modo di presentare l'ideale, e lo sport è la protesta quasi inconsapevole dei giovani contro chi, possedendo tesori, non li sa far amare.
Perché la gioventù si appassiona unicamente dello sport?
«È un divertimento - lei mi risponde - e i divertimenti attraggono facilmente».
Glielo concedo; ma sotto il divertimento i nostri giovani, inconsapevolmente forse, amano qualcos'altro. Lo sport è un'evasione dalla durezza della vita attuale, per avvicinarsi in qualche modo a soddisfare quel bisogno istintivo di libertà, che non esclude la disciplina.
Ogni imposizione suscita ribellione. In certi tempi essa è sfrontatezza, devastazione, persecuzione; in altri, come ora, indifferenza o passività. Il giovane evade oggi dai nostri metodi più che dalle nostre realtà, le quali non lo interessano nel modo con cui soltanto egli vorrebbe e potrebbe essere interessato.
Se don Bosco tornasse, attraverso lo sport c'insegnerebbe la strada per arrivare ai giovani. Il che non vuol dire fare dello sport, ma cogliere i bisogni eterni dello spirito attraverso le espressioni mutevoli di esso.
Non si è ancora accorto, signor parroco, che lo sport è l'unica evasione dal grigiore e dall'uniformità schiacciante dell'epoca?
L'arte è sotto un'irruzione barbarica, che avrà forse in un tempo lontano la sua libera e piena espressione; il lavoro, quando c'è, è tecnica e incontra dappertutto la macchina, cioè una barriera, sia pure una barriera d'intelligenza concentrata; la politica è di pochi; la religione è senza fervore.
Soltanto nel mondo dello sport la fantasia e la potenza creatrice del giovane si sbizzarriscono a piacimento, creando e distruggendo i propri idoli con volubilità prepotente. Egli è attore anche quando è spettatore: folla, giudice, arbitro, ribelle... Lo stadio è il nuovo parlamento; e lo sport la nuova liturgia di una religione che sembra rinnegare ogni religione, perché nessuna viene offerta come respiro dell'anima.
Chi ha cura d'anime e preoccupazioni educative dovrebbe riconoscere che tra le varie attività quella sportiva è l'unica forse che lascia all'individuo, anche al più modesto e insignificante, l'illusione di una maggiore libertà personale.
Essa non è soltanto il passatempo o il diversivo dei disoccupati dello spirito o delle superiori attività della vita; è la sostituzione di una sciocchezza, ma di una sciocchezza - se lei così vuole chiamarla - propria, personale; è la caserma, l'uniformità, il grigiore che cedono davanti a una fiammata, in cui io, chiunque, anche il più stupido, ha un sentimento, un'opinione, un'approvazione.
Lei capisce bene, signor parroco; scrivendole così, non voglio dire che approvo ciò che constato e non posso non constatare. Questa non è la verità che i cattolici devono predicare. Ma la verità, nell'ordine morale, non dipende unicamente dai princìpi, ma anche dalle situazioni particolari, alle quali essi si debbono applicare. Anche i fatti sono verità, dolorose verità, delle quali bisogna tenere conto se si vuole agire sugli uomini.
La storia è piena di idee false che, presentate con forza, hanno prodotto formidabili realtà in eguale misura, se non di più delle idee vere.
L'errore, dal momento che si impone, diviene un fatto, come la verità, e anche più di una verità che non riesce a farsi ascoltare.
Io credo che nessuno sia dispensato dal guardare in faccia simili realtà che non si distruggono, né con deplorazioni né con condanne».
Gli originali sono degli anni ‘30.
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L'inglese dei furbi
di Massimo Gramellini
Ieri telefona un tipo e con la voce gorgogliante di uno che si è appena inghiottito la boccetta del dopobarba dice: «Salve, mi occupo di fund raising per alcuni importanti social events». «Complimenti», rispondo. E intanto prendo tempo, cercando di sondarlo con domande laterali. Alla fine capisco che si tratta di un disperato che chiede denaro per finanziare iniziative di beneficenza in tempi di crisi. Però, vuoi mettere: fund raiser. Ha un suono da Guerre Stellari, benché significhi «procacciatore di grano». Solo dei maestri di ipocrisia potevano riuscire a trasformare la lingua più diretta del mondo in un ennesimo travestimento. E noi, modestamente, siamo quei maestri. Un'altra espressione anglo-furba è peace-keeping. Letteralmente vuol dire «tenere la pace», ma in realtà la si adopera per fare la guerra. Anche gli americani la usano, sia pure con più prudenza e imbarazzo. I nostri invece ne parlano in tono giulivo, come se peace-keeppare fosse un'attività ginnica da consigliare a chiunque sia un po' sovrappeso.
Ma là dove il nostro stravolgimento dell'inglese raggiunge vette di puro e surreale sadismo è nella parola «governance». Appena vedete qualcuno assumere un tono grave e affermare: «In questa azienda esiste un problema di governance», toccatevi la sedia sotto il sedere perché è iniziata l'opera di falegnameria. Segare la poltrona di un altro prima che lui la seghi a te: questa è governance. Ma se nei proverbi degli avi comandare era meglio che fare sesso, esercitare la governance mi sembra un formidabile antidoto al viagra.
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Se diciamo di essere senza peccato, inganniamo noi stessi e la verità non è in noi. Se confessiamo i nostri peccati, egli è fedele e giusto tanto da perdonarci i peccati e purificarci da ogni iniquità. Se diciamo di non avere peccato, facciamo di lui un bugiardo e la sua parola non è in noi».
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Attraverso voi vedo realmente il volto della Trinità e per questo benedico il Padre che ha creato agli uomini e le donne, figli suoi.
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di Barbara Spinelli
Nel dichiarare guerra agli immigrati clandestini e alla tratta di esseri umani, il governo è sicuro di una cosa: dalla sua parte ha un gran numero di italiani, almeno due su tre. Ne è sicura la Lega, assai presente nel territorio. Ne è sicuro Berlusconi, che scruta in quotidiani sondaggi l'umore degli elettori. Non ci sono solo i sondaggi, d'altronde: indagini e libri (per esempio quello di Marzio Barbagli, Immigrazione e sicurezza in Italia, Mulino 2008) confermano che la paura - in particolare la paura della crescente criminalità tra gli immigrati - è oggi un sentimento diffuso, che il politico non può ignorare. A questo sentimento possente tuttavia i governanti non solo si adeguano: lo dilatano, l'infiammano con informazioni monche, infine lo usano. È quello che Ilvo Diamanti chiama la metamorfosi della realtà in iperrealtà.
Negli ultimi vent'anni l'iperrealismo ha caratterizzato tre guerre, fondate tutte sulla paura: la guerra al terrorismo mondiale, alla droga e alla tratta di esseri umani. Le ultime due son condotte contro mafie internazionali e italiane (la tratta di migranti procura ormai più guadagni del commercio d'armi) i cui rapporti col terrorismo non sono da escludere. Sono lotte necessarie, ma non sempre il modo è adeguato: contro il terrorismo e i cartelli della droga, la guerra non ha avuto i risultati promessi.
George Lakoff, professore di linguistica, disse nel 2004 che la parola guerra - contro il terrore - era «usata non per ridurre la paura ma per crearla». La guerra alla tratta di uomini rischia insuccessi simili. Le tre guerre in corso sono spesso usate dal potere politico, che nutrendosene le rinfocola.
Roberto Saviano lo spiega da anni, con inchieste circostanziate: ci sono forme di lotta alla clandestinità votate alla sconfitta, perché trascurano la malavita italiana che di tale traffico vive. Ed è il silenzio di politici e dei giornali sulle nostre mafie a trasformare l'immigrato in falso bersaglio, oltre che in capro espiatorio. Lo scrittore lo ha ripetuto in occasione dei respingimenti in mare di fuggitivi. Le paure hanno motivo d'esistere, ma per combatterle occorrerebbe andare alle radici del male, denunciare i rapporti tra mafie straniere e italiane: le prime non esisterebbero senza le seconde, e comunque la malavita viaggia poco sui barconi. Saviano dice un'altra verità: se ci mettessimo a osservare le condotte dei migranti, la paura si complicherebbe, verrebbe controbilanciata da analisi e sentimenti diversi. Una paura che si complica è già meno infiammabile, strumentalizzabile.
Saviano elenca precise azioni di immigrati nel Sud Italia. Negli ultimi anni, alcune insurrezioni contro camorra e 'ndrangheta sono venute non dagli italiani, ormai rassegnati, ma da loro. È successo a Castelvolturno il 19 settembre 2008, dopo la strage di sei immigrati africani da parte della camorra. È successo a Rosarno, in provincia di Reggio Calabria, dopo l'uccisione di lavoratori ivoriani uccisi perché ribelli alla 'ndrangheta, il 12 dicembre 2008. Ma esistono altri casi, memorabili. Il 28 agosto 2006, all'Argentario, una ragazza dell'Honduras, Iris Palacios Cruz, annega nel salvare una bambina italiana che custodiva. L'11 agosto 2007 un muratore bosniaco, Dragan Cigan, annega nel mare di Cortellazzo dopo aver salvato due bambini (i genitori dei bambini lasciano la spiaggia senza aspettare che il suo corpo sia ritrovato). Il 10 marzo 2008 una clandestina moldava, Victoria Gojan, salva la vita a un'anziana cui badava. Lunedì scorso, due anziani coniugi sono massacrati a martellate alla stazione di Palermo, nessun passante reagisce tranne due nigeriani, Kennedy Anetor e John Paul, che acciuffano il colpevole: erano giunti poche settimane fa con un barcone a Lampedusa. Può accadere che l'immigrato inoculi nella nostra cultura un'umanità e un senso di rivolta che negli italiani sono al momento attutiti (Saviano, la Repubblica 13 maggio 2009).
Questo significa che in ogni immigrato ci sono più anime: la peggiore e la migliore. Proprio come negli italiani: siamo ospitali e xenofobi, aperti al diverso e al tempo stesso ancestralmente chiusi. Sono anni che gli italiani ammirano simultaneamente persone diverse come Berlusconi e Ciampi. Oggi ammirano Napolitano; anche quando critica il «diffondersi di una retorica pubblica che non esita, anche in Italia, ad incorporare accenti di intolleranza o xenofobia». Son rari i popoli che hanno di se stessi un'opinione così beffarda come gli italiani, ma son rari anche i popoli che raccontano, su di sé, favole così imbellite e ignare della propria storia. L'uso che viene fatto della loro paura consolida queste favole. Nel nostro Dna c'è la cultura dell'inclusione, dicono i giornali; non c'è xenofobia né razzismo. Gli italiani non si credono capaci dei vizi che possiedono: il nemico è sempre fuori. Non vivono propriamente nella menzogna ma in una specie di bolla: in un'illusione che consola, tranquillizza, e non per forza nasce da mala fede. Nasce per celare insicurezze, debolezze. Nasce soprattutto perché il cittadino è molto male informato, e la mala informazione è una delle principali sciagure italiane. È vero, la criminalità tra gli immigrati cresce, ma cresce in un clima di legalità debole, di mafie dominanti, di degrado urbano. Un clima che esisteva prima che l'immigrazione s'estendesse, spiega Barbagli. Se la malavita italiana svanisse, quella dei clandestini diminuirebbe.
La menzogna viene piuttosto dai governanti, e in genere dalla classe dirigente: che non è fatta solo di politici ma di chiunque influenzi la popolazione, giornalisti in prima linea. Tutti hanno contribuito alla bolla d'illusioni, al sentire della gente di cui parla Bossi. Tutti son responsabili di una realtà davanti alla quale ora ci si inchina: che vien considerata irrefutabile, immutabile, come se essa non fosse fatta delle idee soggettive che vi abbiamo messo dentro, oltre che di oggettività. I fatti sono reali, ma se vengono sistematicamente manipolati (omessi, nascosti, distorti) la realtà ne risente, ed è così che se ne crea una parallela. La realtà dei fatti è che ogni mafia, le nostre e le straniere, si ciba di morte, di illegalità, di clandestinità. La realtà è un'Italia multietnica da anni. Il pericolo non è solo l'iperrealtà: è la manipolazione e la mala informazione.
Per questo è un po' incongruo accusare di snobismo o elitismo chi denuncia le attuali politiche anti-immigrazione. Quando si vive in una realtà manipolata, chi si oppone non dice semplicemente no: si esercita ed esercita a vedere i fatti da più lati, non solo da uno. Rifiuta di considerare, hegelianamente, che «ciò che è razionale è reale, e ciò che è reale è razionale». Che ciò che è popolare è giusto, e ciò che è impopolare ingiusto o cervellotico. Bucare la bolla vuol dire fare emergere il reale, cercare le verità cui gli italiani aspirano anche quando s'impaurano rintanandosi. Accettare le loro illusioni aiuta poco: esalta la loro parte rinunciataria, lusinga le loro risposte provvisorie, non li spinge a interrogarsi e interrogare.
Lo sguardo straniero sull'Italia è prezioso, in tempi di bolle: ogni articolo che viene da fuori erode la mala informazione. Non che gli altri europei siano migliori: nelle periferie francesi e inglesi l'esclusione è semmai più feroce. Ma ci sono parole che lo straniero dice con meno rassegnazione, meno cinismo. Ci sono domande e moniti che tengono svegli. Per esempio quando Bill Emmott, ex direttore dell'Economist, ci chiede come mai accettiamo tante cose, dette da Berlusconi, manifestamente false. O quando Perry Anderson chiede come mai l'auto-ironia italiana non abbia prodotto una discussione sul passato vasta come in Germania (London Review of Books, 12-3-09). O quando l'Onu ci rammenta le leggi internazionali che stiamo violando.
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di Massimo Gramellini
Passeggiando fra gli stand della Fiera del Libro, così come in qualunque altra festa, convegno o luogo di convivenza forzosa fra simili, ogni dieci passi ci si imbatte in una persona che non vedi e non senti da molto tempo. Ci si saluta con estrema cordialità, ma anche con una certa fretta, perché dieci passi più indietro già si profila un'altra persona da salutare.
L'incontro si riduce a una stretta di mani logorate dall'uso o a uno scambio di baci al vento (se per sbaglio qualcuno centra la guancia dell'altro viene guardato con sospetto, come se fosse portatore di qualche peste miracolosamente sfuggita al terrorismo dei media). La conclusione dello struscio, invece, è sempre la stessa: ci sentiamo presto, dice uno. E l'altro, di rimando: hai il mio nuovo cellulare? Segue la ricerca di una biro e di un posto dove scrivere il numero, di solito il bordo del programma, almeno fino a esaurimento dei bordi. Salvo scoprire che il numero è sempre lo stesso, come la scarsa volontà-necessità di sentirsi.
Eppure quel «ci sentiamo presto» rimbomba di continuo sotto le volte del Lingotto, così come in ogni altra festa, convegno e luogo di convivenza forzosa fra simili. Non è solo una piccola menzogna dettata dall'ipocrisia. Piuttosto è un modo di esorcizzare la morte. I distacchi sembrano sempre addii, ne sa qualcosa chi trascina all'infinito una storia d'amore pur di non dover sopportare il trauma dello strappo. Perfino durante le cerimonie apparentemente innocue dei saluti, le persone cercano rassicurazioni sull'immortalità. A proposito: ci sentiamo presto.
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Olivier Clément, Occhio di fuoco, 26
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né conosco tutte le sfumature che possono essere lette dietro le loro espressioni.
Posso però stare ad ascoltare che esiste anche questo
e posso confermare che questo sentore l'ho sentito anche in me e attorno a me.
don Chisciotte
Chiesa anti-mafia. L'appello
Da tempo, a Palermo, un gruppo di laici e preti si incontrano per discutere dei problemi della chiesa e della città nel solco dell'esperienza compiuta negli anni ottanta e novanta in Sicilia sul problema mafioso. Oggi avvertono un nuovo disagio e preoccupazione per le posizioni che vengono assunte da una parte della gerarchia ecclesiastica. Esprimono amarezza per il rigorismo etico che devasta la speranza umana. Si sentono non solo estranei a questo spirito chiuso e settario che si intromette nelle cose del mondo e della politica, ma ne prendono anche le distanze. Pregano Dio che si riesca a voltare pagina nella chiesa italiana e si torni allo spirito evangelico e del concilio e alla povertà. E auspicano che il rigore etico venga mostrato apertamente e senza peli sulla lingua contro i potenti e i profittatori del nome cristiano.
Promotori dell'appello sono alcuni sacerdoti e laici, non solo palermitani. In ordine alfabetico sono: Giuseppe Barbera (laico), Nino Fasullo (prete), Rosellina Garbo (laica), Rosario Giuè (prete), Tommaso Impellitteri (laico), Teresa Passatello (laica), Teresa Restivo (laica), Franco Romano (prete), Zina Romeo (laica), Rosanna Rumore (laica), Cosimo Scordato (prete), Francesco Michele Stabile (prete). L'appello finora ha raccolto più di 300 adesioni. Tra cui i seguenti preti: Aurelio Antista (prete), Gregorio Battaglia (prete), Alberto Neglia (prete), Egidio Palombo (prete); Giovanni Calcara (frate), Gianni Novelli (prete). (...)
TESTO DELL'APPELLO
Appello per una chiesa più solidale e compassionevole
Molti fatti con i quali veniamo a contatto ci dicono che oggi la Chiesa tende progressivamente a isolarsi dal mondo contemporaneo. Molti uomini e donne, specie giovani, avvertono, da parte loro, una radicale estraneità dalla Chiesa. Tra Chiesa e società sembra essersi determinata una drammatica frattura su questioni importanti come la libertà di coscienza, i diritti umani (fuori e dentro la Chiesa), il pluralismo religioso, la laicità della politica e dello Stato. La Chiesa appare ripiegata su se stessa, chiusa e incapace di dialogare con gli uomini e le donne del nostro tempo.
Siamo molto preoccupati per le conseguenze negative che tale perdurante situazione produce per l'annuncio del Vangelo. Per questo, ci sembra saggio riprendere e rilanciare la feconda intuizione di Giovanni XXIII nel suo discorso di apertura del Concilio Vaticano II: quella di "un balzo in avanti" della chiesa per una testimonianza in grado di rispondere "alle esigenze del nostro tempo".
Il tentativo in atto di contenere lo Spirito del Concilio è, a nostro avviso, un grave errore che, se perseguito fino in fondo, non può che aumentare in modo irreparabile lo steccato tra Chiesa e società, Vangelo e vita, annuncio e testimonianza.
A noi sembra che l'insistere su visioni e norme anti-storiche o non biblicamente fondate o, talvolta, anti-cristiane, non aiuti la credibilità ecclesiale nell'annuncio del regno di Dio.
Vanno ripensati, ad esempio, le questioni riguardanti l'esercizio della collegialità episcopale e del primato papale, i criteri nella nomina dei vescovi che salvaguardino il pluralismo, la condizione dei divorziati, dei separati e delle persone omosessuali, l'accesso delle donne ai ministeri ecclesiali, la dignità del morire non terrorizzati. Vogliamo una Chiesa che non imponga mai a nessuno le proprie convinzioni sui problemi dell'etica e della politica e si fidi solo della forza libera e mite della fede e della grazia di Dio. Vogliamo una Chiesa che pratichi la compassione e trovi nella pietà la sua gloria. E faccia sue le parole che il santo padre Giovanni XXIII incise sul frontone del Concilio: "Oggi la sposa di Cristo preferisce usare la medicina della misericordia piuttosto che della severità. Essa ritiene di venire incontro ai bisogni di oggi non rinnovando condanne ma mostrando la validità della sua dottrina... La Chiesa vuol mostrarsi madre amorevole di tutti, benigna, paziente, piena di misericordia e di bontà, anche verso i figli da lei separati".
Vogliamo una Chiesa che sappia dialogare con gli uomini e le donne e le loro culture, senza chiusure e condizionamenti ideologici, e impari ad ascoltare e a ricevere con gioia le cose vere e buone di cui gli interlocutori sono portatori. La verità e la bontà sono di Dio, il quale le dà a tutti gli uomini e non solo ai cristiani.
Vogliamo che al centro della Chiesa venga messo il Vangelo e la sua radicalità. Solo così la Chiesa potrà essere vista e sperimentata come "esperta in umanità".
È tempo che, senza paura, nella Chiesa e nella città prendiamo la parola da cristiani adulti e responsabili, pronti a rendere conto della speranza cristiana.
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Un anno fa, l'11 maggio 2008,
la Graduation di Stefania alla
Kelly Business School di Indianapolis!
COMPLIMENTI!
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«Anche nella Chiesa paure e chiusura agli stranieri»
di Pino Nardi
«Sono molto preoccupato da questo clima anche nella Chiesa. Quando vedono sul cartello che parlerò io, vengono solo quei pochi che sono d'accordo con la tesi dell'accoglienza. Non c'è più il coraggio del confronto serio e profondo, magari anche un po' forte, però costruttivo. Questa la chiamo emergenza culturale». Don Giancarlo Quadri, responsabile dell'Ufficio per la pastorale dei migranti, lancia l'allarme: il gelo della paura e della chiusura soffia anche nella Chiesa ambrosiana, perdendo così per strada i valori evangelici.
Il cardinale Tettamanzi a Pasqua ha chiesto alle comunità cristiane di essere esemplari nell'accoglienza, nello sguardo libero dai pregiudizi. È solo un auspicio?
Anche se non manca un impegno grande verso i bisogni degli immigrati...
E quali sono queste stanchezze?
La mentalità corrente di paure, chiusure ed egoismi è penetrata anche tra i cristiani?
Incide sulla qualità del cristianesimo...
Anche dalla parte degli stranieri c'è una chiusura nelle loro comunità etniche. Non è in qualche modo speculare?
Quali strade per superare questi problemi?
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don Chisciotte
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L'affollarsi in poche ore di provvedimenti legislativi, azioni esecutive e improvvide parole in libertà in materia di immigrazione rischia di confondere i cittadini e di creare un clima d'intolleranza che non corrisponde al profondo sentire della maggioranza degli italiani. Le numerose prese di posizioni del mondo cattolico
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«E, chinatosi di nuovo, Gesù scriveva in terra" (cfr Gv 8,1-11).
Ahimé una sola volta il Cristo, stando al Vangelo, ha compiuto questa occupazione che ruba tante ore della mia giornata.
Chi 'vive' non ha bisogno di scrivere...».
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Colui che davvero ama si raffigura continuamente il volto della persona amata e lo guarda con tale gioia nel pensiero che neppure il sonno è capace di distoglierlo da quell'oggetto e il suo affetto glielo fa vedere in sogno. Nelle realtà corporali avviene lo stesso che in quelle incorporee.
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Un modo intrigante per riflettere, su fatti, argomenti, e comportamenti. Questa volta parliamo di igiene e salute.
Il sito web ARPAKIDS dell'ARPA Sicilia, pubblica periodicamente notizie inusuali sull'ambiente, la natura, gli animali, corredate da spunti e suggerimenti didattici (...).
Il World Watch Institute (WWI), pubblica periodicamente una pagina di spunti di riflessione, chiamati Questione di Proporzioni, che sono una vera e propria provocazione educativa. Argomenti della vita di tutti i giorni sono proposti da un punto di vista globale, evidenziando e paragonando tra loro situazioni che spesso hanno dell'incredibile. (...)
Questa settimana ci interessiamo di un argomento che può sembrare banale, ma che riserva molte spiacevoli sorprese: la disponibilità di servizi igienici e la possibilità di accesso ad una normalissima toilette da parte delle persone. Per noi non è certo un problema importante (...) Ma per moltissime persone non è così semplice. Avere la disponibilità di impianti igienico sanitari veramente degni di questo nome è ancora un privilegio per moltissime persone. Le differenze tra un Paese e l'altro in questo campo sono a volte abissali. Vediamole.
Percentuale di persone che hanno accesso a servizi igienici adeguati:
Negli Stati Uniti : cento su cento
In Canada: cento su cento
In India: il trentatré percento
In Etiopia: tredici persone su cento
In Eritrea e in Chad: soltanto nove persone su cento.
Numero di persone che nel mondo non hanno accesso a servizi igienici adeguati:
Duemiliardi e seicento milioni
Numero di Nazioni in cui più di due terzi della popolazione non ha accesso a servizi igienici adeguati:
Trenta
Di queste: venti sono nella sola Africa.
La toilette, però, è anche sinonimo di carta igienica. (...)
Consumo di carta igienica, per persona e per anno:
Nel Nord America: ventitre chilogrammi, per persona
Nell'Europa occidentale: quattordici chilogrammi
Nell'America Latina: quattro chilogrammi
In Asia: un chilo e ottocento grammi
In Africa: quattrocento grammi per persona.
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di Beppe Severgnini
Guida sicura verso il cestino. Ovvero: come scrivere un'email kamikaze, destinata a schiantarsi nella "posta eliminata". Bastano poche righe, contenenti le espressioni giuste, per garantirsi attenzione nulla e, con un po' di sforzo, anche un certo risentimento da parte dell'ignaro destinario. Qualche esempio, tratto dalle prime righe di email non richieste, ricevute in poche ore. Il numero finale (tra parentesi) indica il tempo di permanenza nella mia "posta in arrivo".
"A Roma il 14 maggio i guru del marketing..." (3") A Roma in maggio sembra accadere di tutto (come a Milano in ottobre), e questo è già un handicap per il mittente/incosciente. I vocabocoli "guru" e "marketing", insieme, funzionano come un colpo di pistola in un branco di gatti: tutti in fuga!
"Gentile Giornalista, in allegato il comunicato stampa in oggetto che spero possa essere di interesse per la sua testata. Non esiti a contattarmi per ulteriori informazioni" (7"). Nessun collega, che io sappia, ha mai contattato l'autore di comunicati-stampa siffatti. Anzi, no: pare sia accaduto, il 30 marzo 2007, ma la notizia non è mai stata confermata.
"Carissimi, sono felice di segnalarvi un appuntamento all'interno del ciclo di incontri..." (2"). "Carissimi" è scritto in blu, "sono felice etc..." in nero: l'evidente copia-e-incolla aumenta la diffidenza, resa elevata dal "ciclo di incontri" (una formazione circolare che l'Alighieri pensava di inserire tra i gironi infernali).
"Invito- Solo per creature straordinarie - Un evento imperdibile - Un'occasione prestigiosa per celebrare..." (4"). "Imperdibile", "prestigioso" e "straordinario" sono tre aggettivi-spia: quando li leggete, allarme rosso! Hanno sostituito "exclusive" e "vip", in voga negli anni Novanta e oggi confinati in discoteche di provincia e villaggi turistici.
"Cari amici, Vi informo che sono aperte le iscrizioni per..." (1"). Le iscrizioni si aprono alla velocità con cui si chiudono certe email: è una sfida continua. Devo dire che quello citato era un caso interessante: si trattava, infatti, di un corso di danza ("Il migliore corsista sarà invitato ad esibirsi in Bulgaria!").
COSTRUIAMO LA SVOLTA - Gentili Dottori, in allegato alla presente Vi inviamo il numero di maggio 2009 (8", lo stupore mi ha indotto a rileggere). "Costruiamo la svolta"?! Solo l'Anas è autorizzata a usare questo linguaggio. E poi: evitare le maiuscole, PERBACCO! Infine: come sanno che siamo tutti "Dottori"? E quelli che, con fatica, sono riusciti a non esserlo?
****
Si ringraziano la Casagit, la Farnesina, Auriga, Arts Council, Asa Gray, Ninja Press, Serdica Music e Largo Augusto Multimedia per la gentile collaborazione.
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dal Sinodo 47° della Diocesi di Milano (1995)
n. 132
§ 3. Il fatto che la Chiesa sia popolo di Dio, chiamato a essere realtà di comunione, in cui ogni battezzato è corresponsabile, comporta alcune conseguenze che meritano di essere sottolineate per il momento attuale della vita della Chiesa:
ogni realtà in cui il popolo di Dio si articola e ogni struttura che in esso è presente si devono caratterizzare per essere realtà di comunione e luoghi per l'esercizio della corresponsabilità dei battezzati;
ogni fedele deve sentirsi parte del popolo di Dio e chiamato a collaborare, secondo la propria vocazione, alla vita e alla missione della Chiesa in comunione con tutti gli altri fedeli e a servizio della stessa comunione;
il ministero della presidenza presente nella Chiesa, si deve qualificare, in particolare, come servizio per la comunione tra tutti i fedeli e come impegno a rendere consapevole ogni battezzato della sua chiamata a un'effettiva corresponsabilità nella vita e nella missione del popolo di Dio;
all'edificazione della Chiesa, anche nella cooperazione alle funzioni che ne costituiscono il governo, devono essere chiamati a partecipare tutti i fedeli, ciascuno secondo la propria vocazione e nelle forme precisate dalla disciplina ecclesiale.
n. 147
§2 Il parroco, che presiede il consiglio (pastorale parrocchiale) e ne è parte, deve promuovere una sintesi armonica tra le differenti posizioni, esercitando la sua funzione e responsabilità ministeriale. L'eventuale non accettazione, da parte del parroco, di un parere espresso a larga maggioranza dagli altri membri del consiglio potrà avvenire solo in casi eccezionali e su questioni di rilievo pastorale, che coinvolgono la coscienza del parroco e saranno spiegati al consiglio stesso. Nel caso di forti divergenze di pareri, quando la questione in gioco non è urgente, sarà bene rinviare la decisione ad un momento di più ampia convergenza, invitando tutti ad una più matura e pacata riflessione; invece nel caso di urgenza, sarà opportuno un appello all'autorità superiore, che aiuti ad individuare la soluzione migliore.
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Così siamo stati fatti diventare.
La società italiana, la chiesa italiana.
don Chisciotte
Chi volesse leggere l'intero articolo, lo trova qui.
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Anche nell'ambito spirituale è così. A catechismo abbiamo imparato che Dio è il nostro Padre nei cieli: questo è il primo grado. Il secondo possiamo raggiungerlo attraverso la meditazione, quando comprendiamo che senza questa verità l'universo sarebbe solo un meccanismo inanimato, la vita un tumulto di casualità. Grazie alla preghiera giungiamo infine anche al terzo grado. Sperimentiamo che, quando ci rivolgiamo a Dio, egli ci ascolta. La verità sulla paternità di Dio si è così trasformata in materia di dialogo, in rapporto interpersonale e, quindi, in un vero valore».
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di Massimo Gramellini
Cos'ha detto Berlusconi all'assemblea della Coldiretti? Boh. Cos'ha fatto Berlusconi all'assemblea della Coldiretti? Ha mangiato una fetta di mortadella avvitandosi un dito sulla guancia: mmm, che buona! Cosa si è deciso al vertice franco-spagnolo dei giorni scorsi? Boh. Cosa è successo al vertice franco-spagnolo dei giorni scorsi? Le modelle di Stato, Letizia e Carlà, hanno sfilato sul tappeto rosso con abiti attillati.
L'immagine era già da tempo l'unica comunicazione che i cervelli riuscivano ancora ad assimilare. Ma ora siamo alla caricatura, pur di rompere la crosta sempre più spessa della disattenzione. E le parole? Brodo ristretto alle dimensioni di un messaggino. «Yes we can», coniato da Obama e copiato da Ahmadinejad, fra qualche anno lo ricorderemo come esempio di prolissità. Il futuro sono gli acronimi: «tvb», ti voglio bene (ma vado di fretta). Provo una tenerezza ammirata per i professori che si ostinano a usare le subordinate e per i giornalisti che sognano di scrivere paginate. Ne conservo centinaia nel cassetto, ritagliate e messe da parte in attesa di trovare quella mezz'ora ininterrotta che mi consenta di leggerle e che una vita modellata sui ritmi degli spot rende tecnicamente impossibile. Com'è un mondo dove gli slogan hanno preso il posto dei discorsi, le barzellette dei racconti e le immagini caricaturali (o ritoccate) di quelle spontanee? Un mondo di persone superficiali, smemorate e facilmente impressionabili. Rimane il mistero di come facciano a passare tutto il giorno al telefonino. Di cosa parlano, se più nessuno è in grado di ascoltarle?
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«Nella casa la situazione è tesa, confusa, la scena è divisa, è esplosa la moda, la massa si accosta all'Hip-Hop e di "posse" gia' oggi son piene le fosse... Si accusa di vendersi all'incanto chi intanto fa il possibile per render piu' accessibile il messaggio al largo pubblico, a quell'utenza in astinenza di concetti costruttivi la cui assenza crea effetti negativi alla coscienza della grande massa priva di qualunque conoscenza anche la piu' bassa di questo fenomeno mondiale che va sotto il nome di Hip-Hop, filosofia di vita, approccio culturale alternativo alla realtà di ogni giorno: mi guardo intorno, m'informo e torno a raccontare nella forma verbale a me piu' congeniale, quella dell'istinto razionale che mi spinge a commentare, a sottolineare quel che vedo a cui non credo. Usando il rap interferisco e le do e non mi siedo, eccedo la' dove intravedo uno spazio libero d'azione per fare informazione e incominciare a rosicchiare quello che ci viene messo a disposizione dai media, dalla televisione: comunico l'idea e la rima il ritmo sposa... io sono un home-boy e faccio la mia cosa... Sinuosa si snoda la mia rima sopra al ritmo come prosa, si attacca alla tua mente quasi come una ventosa, tatuaggio indelebile dell'anima ritrosa alla disamina che penetro econtamino... Insemino il sistema come un virus oggi andemico, domani epidemico questo è cio' che auspico avvenga: non c'è niente che mi tenga frenato, il contrattacco e' iniziato, partito. Di slancio come un fulmine travalico ogni limite che intralci la mia crescita e pregiudichi il buon fine di questa operazione rimica: uso la metrica come una sciabola tagliente e rapida, affilata come una spada, affiatata come la mia squadra che mi segue ovunque vada: il mio DJ stile, fa ruotare a mille all'ora il vinile intorno al perno, scatena l'inferno sulla terra, dichiara guerra, l'attacco sferra e ti sotterra in un mare di merda... non sono un compagno ma un b-boy in effetto nella casa... e faccio la mia cosa... Una voce virtuale ad elevato volume che si eleva dal piattume culturale, istituzionale, istituzionalizzato dal potere di uno Stato colluso che per anni ci ha illuso e ha fatto danni su danni, ma a pagare siamo sempre e solo noi, e i cocci restano suoi... Come buoi trasciniamo l'aratro, bastonati da un bifolco ma l'unico solco che ho intenzione di tracciare è quello su vinile, la mia ritmica è febbrile, rapida come staffile con cui frusto a sangue chi non segue il mio stile, sputa la bile e non ha niente da dire, traccia un confine tra il rap e il mondo. Io non mi nascondo nel doppio fondo del sistema, studio e affronto il problema, traccio uno schema, dimostro il teorema in forma di poema, secondo il concetto assoluto e perfetto che del mondo tu devi essere la "causa", non l'"effetto", e me ne fotto di chi usa l'Hip-Hop solamente come posa... e faccio la mia cosa...»
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«La fotografia in bianco e nero sta nel palmo della mano. Ha i bordi dentellati come quelli di una piccola pasta secca. È stata scattata nel 1954. Ho dunque tre anni. Porto un pagliaccetto con un elastico che mi dà fastidio e lo tiro per allentarlo. Con la mano sinistra tengo la mano di mio padre. Indossa una camicia estiva e dei bermuda lunghi. Siamo su una strada di campagna. I nostri sguardi si spingono in lontananza nella stessa direzione e i nostri visi, fra l'incuriosito e il preoccupato, non cercano di piacere a nessuno. Quando ho mostrato quest'immagine a mia madre, ha esclamato: «In quegli anni eri sempre con tuo padre, non lo lasciavi mai».
Ho pensato, senza dirglielo, che era ancora così e che ci voleva ben altro che la morte per dissigillare quelle due mani richiuse con calma una sull'altra. Certo, c'è qualcosa di decisamente diverso e se oggi si potesse fare una foto, con una pellicola sufficientemente sensibile da rimanere impressionata dall'invisibile, essa mostrerebbe le stesse persone che si tengono per la mano, ma con la statura cambiata: attualmente sono l'uomo maturo che lì era mio padre e lui ha l'età che ci dà la morte quando ci irradia con la sua innocenza, in qualunque momento compaia: due o tre anni, poco più o forse meno».
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può essere usata come immagine,
invece se rischia di oscurarne l'alone di santità
è una questione privata?!
Ma sarà veramente oscurata?!
don Chisciotte
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Del cattivo stato della lingua italiana, avvilita dall'ignoranza della grammatica, dalla povertà del lessico, dall'uso scorretto di termini elementari. Sarà che la lingua, parlata e scritta - come ci ricordano gli specialisti - non ubbidisce a rigide prescrizioni, si modifica in base alle trasformazioni indotte dalla storia e dal costume, appartiene in definitiva a chi se ne serve. Ma certe sciatte derive, non arginate da una scuola che appare sopraffatta dagli strumenti della comunicazione mediatica, suonano irritanti e sconfortanti.
E' il pronome «te» che impazza dai teleschermi, esiliando lo schietto e confidenziale tu, senza essere giustificato da un contesto regionale o dialettale. E' il congiuntivo imperfetto che sostituisce il presente nelle espressioni esortative («Non mi rompessero le scatole»). Quanto al lessico, capita che si confonda il verbo «schernire» con «schermire», e non si tratta sempre di un errore di battitura. Frequentissimo poi l'uso di «avvallare» al posto di «avallare». Sicché la concessione di una onesta garanzia assume con la doppia «v» il significato di scendere a valle o sprofondare: grazie a questo scambio, nel ridicolo.
Anche i termini stranieri vengono adottati senza necessità e discernimento, compresi quelli appartenenti a lingue vicine alla nostra, di ceppo neolatino. E' invalsa ad esempio l'abitudine di scrivere «murales», al plurale, invece di «mural» o, volendo tradurlo in italiano, «murale». Più disarmante, tanto da intenerire, la perla che ho scovato nella traduzione dal francese di un articolo di teologia, dove il Concilio di Nicea, nell'originale «Nicée», è stato reso con Nizza. Con una imperturbabilità che, vien da dire, avrebbe accettato anche un Concilio di Saint-Tropez. Qui allo sfondone linguistico si accompagna l'insufficienza storica, l'ignoranza su un avvenimento che ha contrassegnato, e ancora oggi contrassegna, la vicenda cristiana.
Se tanti infortuni accadono a persone scolarizzate, e magari laureate, c'è da mettersi le mani nei capelli; da sentirsi franare addosso secoli di cultura, mentre si affacciano le ombre corrucciate di Dante, Leopardi, Manzoni, Gadda: nomi che hanno fatto la gloria del paese dove il «sì suona».
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Gli uomini sopportano ma di rado riescono a farsi ascoltare
Offese, indifferenza, ripicche: catalogo di quello che gli uomini tengono per sé. Ecco alcuni brani del libro "Dimmi, dammi, fammi" (Editrice Aliberti)
Le cose che tu dici e lui non sopporta
Neanche una capocciata di Zinedine Zidane in pieno sterno potrebbe causare danni più devastanti. E se tu non sai nulla della capocciata di Zinedine a Marco Materazzi, tanto peggio per te. Anche se usassi una metafora diversa, l'entrata a gamba tesa di Ringhio Gattuso, il mozzico all'orecchio di Tyson, tu non capiresti ugualmente. E continueresti a dire frasi da killer seriale come questa. Sei peggio di tua madre. Una frase per far male, per colpire basso, per far piangere di disperazione. Neanche a Guantanamo hanno mai detto cose del genere. Ad Abu Ghraib hanno scoperto due soldatesse americane sadiche: una applicava gli elettrodi ai genitali del prigioniero, l' altra gli diceva: Sei peggio di tua madre. Hanno punito solo la seconda. Sei peggio di tua madre è una frase diabolica, scientifica. Prende due piccioni con una sola fava. Colpisce madre e figlio contemporaneamente. Lui si rende conto che essere considerato peggio di sua madre è il punto più basso raggiunto nella sua squallida vita. Che fare? Se lui è pronto e intelligente capisce subito che esiste una buona linea di difesa. E inizia una dotta discussione sul rapporto madre-figlio, riportando a memoria lunghi brani di un saggio di Cesare Musatti, psicoanalista di cui ignora tutto tranne che è citato nelle dispense di «Panorama». Concluderà teorizzando che la frase è intrinsecamente errata perché è noto a tutti i molteplici parenti e amici che sua madre è molto, molto peggio di lui. E così tu rimarrai spiazzata. Rimarrai zitta per circa due minuti chiedendoti se hai vinto o perso. Un consiglio per il futuro: vatti a leggere qualcosina di Musatti.
Le cose che lui vorrebbe e tu non fai
Devi ammetterlo, ci sono alcune cose che ti riescono alla perfezione. Anche cose difficili, cose che richiedono istinto e sincronizzazione dei movimenti. Tu hai capito a che cosa sto alludendo. Mi chiedo: come fai a indovinare sempre qual è il momento giusto per alzarti improvvisamente dalla poltrona e passare lentamente, lentamente, lentamente
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"Ci si sente rifiutati dalla società. è un momento molto doloroso"
"Perdere il lavoro è un lutto; il nostro aiuto per i disoccupati"
I primi a pensarci sono stati i diretti interessati. "Circa due mesi fa alcuni operai che erano stati licenziati ci hanno chiamato chiedendoci aiuto. Perdere il posto di lavoro è un lutto, ci hanno detto, perché non aiutate anche noi?".
Così Francesco Campione, tra i massimi esperti italiani in tanatologia psicologica, professore universitario a Bologna (è docente di psicologia clinica alla facoltà di Medicina) ha pensato di allargare le maglie dell'associazione Rivivere - che offre sostegno psicologico gratuito alle persone in lutto - e di occuparsi anche di chi è stato licenziato o sta per esserlo.
La nuova costola del progetto Rivivere si chiamerà "Primomaggio", in onore della Festa dei Lavoratori. Un pool di esperti (dieci psicologi) si occuperà gratis di dare sostegno psicosociale a lavoratori licenziati, cassintegrati e a chi a breve non avrà più un occupazione. "Era arrivato il momento di intervenire offrendo un appoggio non solo economico: perdere l'impiego è una tragedia in termini psicologici. Il lavoro è uno strumento sociale collettivo riconosciuto da tutti, un'attività umana che combatte le negatività della vita e dà un ruolo. Non avere più tutto questo per la nostra psiche rappresenta un lutto, una perdita dolorosissima".
Il "programma" di sostegno prevede alcuni incontri individuali, poi un percorso condiviso, gruppi di mutuo aiuto. Sette sedute o poco più per parlare e affrontare, aiutati da esperti, la questione, per cercare una strada e uscire dall'empasse emozionale. "Bisogna aiutare e prevenire. Chi perde l'impiego perde fiducia in se stesso, va incontro alla depressione e all'autolesionismo".
Campione ha chiesto la collaborazione dei sindacati, della Caritas, delle associazioni dei lavoratori stranieri: "Li incontreremo nei prossimi giorni. C'è stata offerta la massima disponibilità da parte di tutti. Sono rimasto stupito dalle risposte positive che ci sono arrivate. E' la prima volta che in Italia si affronta un tema come la perdita di lavoro in questo modo, negli Stati Uniti, già da qualche anno alcuni manager hanno creato dei Job club, strutture che offrono aiuto ai dirigenti licenziati", spiega il professore.
Il servizio "Primomaggio" sarà aperto a tutti: bolognesi e non. "Chi non abita a Bologna potrà chiedere aiuto telefonicamente o per email. Siamo pronti a dare una mano a chiunque ne abbia bisogno, dovunque abiti", conclude Francesco Campione.