Rischio sordità per i giovani

Lettori Mp3: è ora di moderare i toni


La Commissione europea invita i produttori a tutelare l'udito dei consumatori e stabilisce nuove regole

Ridurre drasticamente il volume massimo di riproduzione del suono tramite i dispositivi multimediali portatili e invitare i consumatori a un ascolto moderato della musica in cuffiette: sono queste le due richieste rivolte ai produttori di lettori Mp3 dal commissario Ue Meglena Kuneva, che provvederà ufficialmente alla formalizzazione di nuove regole sulla materia. A giustificare la decisione vi è la necessità di tutelare la salute dei cittadini che utilizzano quotidianamente gli apparecchi in questione.

Infatti, secondo alcuni studi commissionati dalla stessa Unione, fra i cinque e i dieci milioni di utenti di lettori Mp3 e iPod in Europa potrebbero perdere l'udito proprio a causa dell'utilizzo dei popolari dispositivi portatili per l'ascolto della musica. Un pericolo, questo, che riguarda quanti sono soliti impostare la riproduzione del suono a frequenze superiori agli 89 decibel (considerata la soglia oltre la quale l'udito è a rischio), e che usano l'apparecchio per più di un'ora al giorno ogni settimana, per almeno 5 anni.

Per questo motivo le impostazioni audio di default di tutti i lettori dovranno essere corrette al ribasso, nel rispetto dei nuovi livelli di sicurezza richiesti dall'Ue. Ovviamente gli amanti della musica a tutto volume potranno scegliere di aumentare i decibel, ma gli esperti della Commissione sono fiduciosi che i nuovi standard aiuteranno comunque a limitare i danni alle orecchie di molti. A completare l'operazione salva-udito arriveranno poi le avvertenze sui rischi d'uso, che dovranno essere stampate a chiare lettere sulle confezioni dei dispositivi.

Alessandra Carboni

Due giovani decisero la data del loro matrimonio. Si erano messi d'accordo con il parroco per tenere un piccolo ricevimento nel cortile della parrocchia, fuori della chiesa. Ma si mise a piovere, e non potendo tenere il ricevimento fuori, i due chiesero al prete se era possibile festeggiare in chiesa.

Ora, il parroco non era affatto contento che si festeggiasse all'interno della chiesa, ma i due dissero: "Mangeremo un po' di torta, canteremo una canzoncina, berremo un po' di vino e poi andremo a casa".

Il parroco si convinse. Ma essendo gli invitati dei bravi italiani amanti della vita, bevvero un po' di vino, cantarono una canzoncina, poi bevvero un altro po' di vino, cantarono qualche altra canzone, e poi ancora vino e altre canzoni, e così dopo una mezz'ora in chiesa si stava festeggiando alla grande. Tutti si divertivano da morire, godendosi la festa.

Ma il parroco, tesissimo, passeggiava avanti e indietro nella sacrestia, turbato dal rumore che gli invitati stavano facendo.


Entrò il cappellano che gli disse: "Vedo che è molto teso".

"Certo che sono teso! Senti che rumore stanno facendo, proprio nella casa del Signore! Per tutti i Santi!".

"Ma Padre, non avevano davvero alcun posto dove andare!".

"Lo so bene! Ma è assolutamente necessario fare tutto questo baccano?".

"Bè, in fondo, Padre, non dobbiamo dimenticare che Gesù stesso ha partecipato una volta ad un banchetto di nozze".

Il parroco risponde: "So benissimo che Gesù Cristo ha partecipato ad un banchetto di nozze, non devi mica venirmelo a dire tu! Ma lì non avevano il Santo Sacramento!".







Sun't el fiö del Guglielmo Tell, che l'era un gran òmm

però de me, i geent, i se regòrden gnanca el nòmm

e pensà che sèri mè, quel fiöö cun la poma in söe la cràpa

e pudèvi mea tremà e pregàvi
«Il secolo passato

Poco tempo fa, fra alcuni amici si discuteva sulla birra. Allora uno di loro affermava che la birra contenesse degli ormoni femminili.

Così decisero di chiarire il problema scientificamente. Ognuno doveva bere, esclusivamente al servizio della scienza, dieci birre. Dopodiché poterono notare quanto segue:

1.   Erano aumentati di peso.

2.   Parlavano tanto, senza dire niente.

3.   Avevano dei problemi a guidare l'automobile.

4.   Erano impossibilitati a ragionare in modo logico.

5.   Non riuscivano ad ammettere di avere torto.

6.   Ognuno di loro credeva di essere al centro dell'universo.

7.   Avevano mal di testa e nessun desiderio sessuale.

8.   Le loro emozioni erano difficilmente controllabili.

9.   Si tenevano le mani vicendevolmente.

10. Ogni dieci minuti dovevano andare alla toilette, ovviamente tutti contemporaneamente.

Non servono altre spiegazioni: pare che la birra contenga veramente degli ormoni femminili!

«Da noi certe cose non succedono... siamo italiani e cattolici!»

«Bisogna ridere, o almeno sorridere, tutte le volte che è possibile (e lo è quasi sempre). Contro i tromboni, i vanesi, i palloni gonfiati (gonfiati anche di promesse non mantenute), non dobbiamo esitare a impugnare la fionda e scagliare il sassolino aguzzo dell'umorismo, dagli effetti devastanti.

Naturalmente, per riuscire a non prendere sul serio quegli spaventapasseri in doppiopetto e cravatta d'ordinanza (che si illudono di difendere la fetta di potere che si sono conquistati con tutti i mezzi a disposizione, compresi quelli illeciti), bisogna, innanzi tutto, non prendere sul serio noi stessi, rimanere nella dimensione del David "da niente". Non essere a nostra volta ridicoli gonfiando il petto. (...)

Che cosa c'è di più umoristico di una parodia del "Magnificat" che viene regolarmente messa in scena durante le funzioni solenni? Mentre il coro canta "ha deposto i superbi dai troni / ha innalzato gli umili", il turiferario procede a incensare cominciando rigorosamente dal celebrante che se ne sta, impettito, in trono, e poi, via via, i suoi assistenti, per finire di lanciare qualche residuo sbuffo di fumo in direzione dei "semplici fedeli" che stanno nei banchi. E guai a invertire l'ordine, a non rispettare le gerarchie, come pure suggerirebbe il Vangelo.

Il potente sbalzato giù dal trono e l'umile sollevato in alto? Beh, sarà per un'altra volta...».

Alessandro Pronzato, La nostra bocca si aprì al sorriso, 30-31







Grazie a R.C. per la segnalazione
Malula, dove l'aramaico vive ancora

(...) È la comunità di qualche centinaia di anime di Malula, piccolo borgo siriano, sito a 45 km a nord di Damasco: qui, in un paesaggio lunare, capace di ammaliare e trasmettere sensazioni pregnanti con l'aspra catena montuosa che separa il deserto della Siria orientale dalle verdi colline dell'Antilibano ad occidente; qui una comunità ancora virginale, con radici antichissime, con scarse contaminazioni culturali, dà vita a tutt'oggi a un fenomeno linguisticamente unico: sono infatti molti a parlare, oltre all'arabo, l'aramaico, l'antica lingua di Gesù e dei suoi discepoli, diffusa nella Palestina di duemila anni fa. I glottologi sostengono che le variazioni rispetto al modello originario sarebbero minime; e












L'atteggiamento esteriore rivela il mondo interiore


La modestia dev'essere conservata anche nel portamento, nel gesto, nell'incedere: nell'atteggiamento del corpo appare la virtù dell'animo. Da questo l'uomo che sta nascosto dentro di noi viene giudicato o troppo leggero, spavaldo, torbido o, al contrario, serio, costante, limpido e maturo. Si può dire perciò che il nostro atteggiamento sia la voce dell'anima. (...)


Vi sono anche coloro che, camminando lentamente, imitano l'andatura degli istrioni e quasi le portantine delle processioni e l'incedere oscillante delle statue, sicché, dovunque muovano i passi, sembrano osservare determinati ritmi. Non giudico decoroso camminare frettolosamente, a meno che non lo richieda qualche pericolo o una legittima necessità. Infatti per lo più coloro che vanno in fretta stravolgono la faccia ansimanti. Se manca loro un giusto motivo per affrettarsi, cadono in un difetto giustamente riprovato. Non intendo parlare di quelli che camminano frettolosi per un valido motivo, ma di quelli per i quali la fretta, che non conosce sosta, diventa una seconda natura. Non approvo nei primi l'incedere come statue di numi, nei secondi il precipitarsi come saette. Merita approvazione anche un incedere che riveli serietà e autorevolezza e sia indizio d'un animo sereno, purché non vi siano ricercatezza e affettazione, ma il movimento risulti naturale e spontaneo: l'artificio non piace mai. Il movimento sia regolato dalla natura; se in essa v'è qualche difetto, un impegno attento lo corregga. in modo però che sia escluso l'artificio e non manchi la correzione.


Dal trattato su “I doveri” di sant'Ambrogio

Se uno che insegue il vento e spaccia menzogne dicesse:

«Ti profetizzo in virtù del vino e di bevanda inebriante»,

questo sarebbe un profeta per questo popolo.


dal libro del profeta Michea 2,11
Due anni fa, con questo post, cominciava la pubblicazione regolare quotidiana su quello che allora era "solo" un blog. Ogni giorno, dopo aver pubblicato uno o due post, benedico per aver fatto cadere quel paio di goccioline d'acqua ristorante.


don Chisciotte


Diverse persone, diverse reazioni

Dai « Discorsi spirituali » di san Doroteo, abate

(Doctr. 7, De accusatione sui ipsius, 1-2: PG 88, 1695-1699)

La ragione di ogni turbamento è che nessuno accusa se stesso

Cerchiamo, fratelli, di vedere da che cosa soprattutto derivi il fatto che quando qualcuno ha sentito una parola molesta, spesso se ne va senza alcuna reazione, come se non l'avesse udita, mentre talvolta appena l'ha sentita si turba e si affligge. Qual è, mi domando, la causa di questa differenza? Questo fatto ha una sola o più spiegazioni? Io mi rendo conto che vi sono molte spiegazioni e motivi, ma ve n'è una che sta avanti alle altre e che genera tutte le altre, secondo quanto disse un tale: Questo deriva dalla particolare condizione in cui talora qualcuno viene a trovarsi. Chi infatti si trova in preghiera o in contemplazione, facilmente sopporta il fratello che lo insulta, e rimane imperturbato. Talvolta questo avviene per il troppo affetto da cui qualcuno è animato verso qualche fratello. Per questo affetto egli sopporta da lui ogni cosa con molta pazienza.

Questo può inoltre derivare dal disprezzo. Quando uno disprezza o schernisce chi abbia voluto irritarlo, disdegna di guardarlo o di rivolgergli la parola o di accennare, parlando con qualcuno, ai suoi insulti e alle sue maldicenze, considerandolo come il più vile di tutti.

Da tutto questo può derivare il fatto, come ho detto, che qualcuno non si turbi, né si affligga se disprezzato o non prenda in considerazione le cose che gli vengono dette. Accade invece che qualcuno si turbi e si affligga per le parole di un fratello allorquando si trova in una condizione molto critica o quando odia quel fratello.

Vi sono tuttavia anche molte altre cause di questo stesso fenomeno che vengono diversamente presentate. Ma la ragione prima di ogni turbamento, se facciamo una diligente indagine, la si trova nel fatto che nessuno incolpa se stesso. Da qui scaturisce ogni cruccio e travaglio, qui sta la ragione per cui non abbiamo mai un po' di pace; né ci dobbiamo meravigliare, poiché abbiamo appreso da santi uomini che non esiste per noi altra strada all'infuori di questa per giungere alla tranquillità. Che le cose stiano proprio così lo costatiamo in moltissimi casi. E noi, inoperosi e amanti della tranquillità, ci illudiamo e crediamo di aver intrapresa la via giusta allorché in tulle le cose siamo insofferenti, non accettando mai di incolpare noi stessi.

Così stanno le cose. Per quante virtù possegga l'uomo, fossero pure innumerevoli e infinite, se si allontana da questa strada, non avrà mai pace, ma sarà sempre afflitto o affliggerà gli altri, e si affaticherà invano.













Virginia Cucchi ha 17 anni, parmigiana, vive in Malesia da dodici anni coi genitori. Ha pubblicato in quel Paese un libro fotografico ("When the bamboo sings"), immagini di bimbi, quasi suoi coetani, per aiutare il missionario padre Mauro Bazzi che sta realizzando un progetto per i minorenni abbandonati. Ecco alcune immagini  di Virgy scattate in questi anni (articolo). Il sito del progetto è www.raggiodisperanza.com

"Accoglienza necessaria"

L'Europa «presenta già un volto multietnico, multireligioso e multiculturale» e «negare la metamorfosi che sta avvenendo» «non è solo un'assurdità, ma anche una scelta pericolosa e irresponsabile, denuncia il Vaticano

di Giacomo Galeazzi


L'Europa «presenta già un volto multietnico, multireligioso e multiculturale»  e «negare la metamorfosi che sta avvenendo» «non è solo un'assurdità, ma anche una scelta pericolosa e irresponsabile»: lo afferma il presidente del Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti, mons. Antonio Maria Vegliò, in un'intervista all'Osservatore romano. In questo «i governi - dice Vegliò - devono essere in prima linea, soprattutto legiferando e adottando opportuni provvedimenti». Prima di tutto - spiega - rispettando il diritto d'asilo e il diritto alla vita, ma anche evitando «un'eccessiva chiusura delle frontiere» che, invece di aumentare il grado di sicurezza degli autoctoni, finisce per creare emarginazione e sacche di malavita. «Non compete al magistero della Chiesa valutare le scelte politiche in questo campo, ma certo non posso eludere una considerazione generale, indirizzata a tutte le persone di buona volontà, che domanda conto alla retta coscienza del dovere di solidarietà verso coloro che vivono condizione di maggiore vulnerabilità, come rifugiati e migranti». Come pure - aggiunge il presidente del Pontificio consiglio - «anziani, disabili e malati terminali, nei confronti dei quali non possiamo tollerare che si avvallino tentativi che vanno contro il diritto alla vita».
Altro che maggiore «elasticità»: il multitasking «fa male»

Chi fa una cosa alla volta dimostra maggiori capacità di concentrazione e organizzazione

Che il multitasking, inteso come gestione simultanea di più strumenti comunicativi, fosse deleterio per l'umore e fosse foriero di un'altissima dose di stress, era risaputo. Anche senza bisogno di studi e ricerche è intuibile che parlare al telefono mentre si manda una mail e guardare un programma televisivo chattando con una vecchia amica non favorisce né la concentrazione né uno stato d'animo rilassato. Per contro si poteva pensare che l'abitudine a quella che gli esperti chiamano concentratio interrupta (ovvero la disattenzione suscitata dal perenne bombardamento mediatico) incoraggiasse una certa velocità e un'elasticità mentale, aiutando alcune abilità. Niente di più sbagliato. Lo sostiene uno studio della Stanford University, pubblicato su Proceedings ot the National Academy of Sciences, in cui i ricercatori hanno osservato due gruppi di studenti, uno abituato a utilizzare simultaneamente internet, televisione, telefono e l'altro low multitasker, ovvero, per dirlo con parole povere, abituato a fare una cosa alla volta.

Gli studenti multi e mono tasking sono stati sottoposti dagli esperti a tre tipi di test psicologici per misurare l'attenzione e la memoria e in tutti i casi gli studenti mono-tasking sono risultati i più capaci. Nella prima prova è stato chiesto ad entrambi i gruppi una performance riguardante l'abilità nell'ignorare le informazioni irrilevanti o, se si vuole girare il discorso, la capacità di cogliere i dati significativi di un problema. Nel secondo esperimento si è cercato di misurare l'organizzazione mnemonica dei partecipanti, chiedendo loro di individuare al volo le lettere mostrate che si ripetevano. Infine il terzo problema concerneva proprio la capacità di organizzare contemporaneamente più compiti.

Il gruppo abituato a fare una cosa per volta ha dimostrato di avere più memoria e più concentrazione, di avere una maggior intelligenza sintetica e, dato ancor più significativo e sconcertante, di essere meglio degli high-multitaskers persino nella loro specialità, ovvero quella di fare tante cose contemporaneamente. Insomma la tendenza un po' schizofrenica del multitasking peggiora le performance cognitive e non fa bene al cervello, che non è nato per svolgere più attività contestualmente. E allora si ribella.

Emanuela Di Pasqua


Il "personalismo invadente" nel vivere la liturgia non è tentazione solo di chi vuole "inventare qualcosa di nuovo a tutti i costi", ma anche di chi - dichiarando di aderire ai modi "antichi" - vuole comunque assecondare i propri gusti, celandoli dietro la norma liturgica. In entrambi i casi si fa violenza ai protagonisti dell'atto liturgico: il Signore e il suo popolo.

Con una dedica particolare per tutti quei fedeli che - occupandosi sanamente di liturgia nelle nostre parrocchie - hanno a che fare con preti skizzati in un senso o nell'altro.


don Chisciotte


«San Carlo ci ricorda che in questa delicata opera educativa, l'intelligente obbedienza alla ecclesiastica disciplina non sarà certo condizione sufficiente perché la nostra pastorale liturgica sia veramente efficace e feconda, ma può rivelarsi senz'altro condizione necessaria. Da sola infatti, come abbiamo già osservato, essa può ridursi a vuoto formalismo, e come tale non può assicurare in maniera meccanica e automatica la fecondità del nostro ministero liturgico; ma se manca, anche le più brillanti iniziative e la più geniale creatività rischiano di apparire estrosità gratuita, stranezza incomprensibile se non ad una ristretta cerchia di iniziati, modo incongruo per suscitare nei fedeli non lo stupore religioso davanti al mistero di Dio che salva e si fa presente, ma lo stupore sorpreso e disorientato davanti alle invenzioni e alle sperimentazioni arbitrarie di un prete.

«Populi institutio, depravata!»: la formazione del popolo di Dio ne risulta distorta! Le parole di s. Carlo sono severe e possono sembrarci sinceramente eccessive: ci ricordano tuttavia che il ministero liturgico non è un campo privato da coltivare a proprio piacimento, perché attraverso di esso si tesse un delicato rapporto con i fedeli, ed il prete deve rispettare il loro diritto a partecipare e a con-celebrare ad una liturgia regolata dalle norme della Chiesa e dal buon senso, non dal gusto personale o dalle fantasie del ministro. Infatti, in molti casi, si comincia con il protestare contro il legalismo della Chiesa e si finisce con l'imporre ai fedeli un legalismo peggiore, quello dei propri arbitri e delle proprie invenzioni; e così in nome di una supposta libertà si ricade in una specie di nuovo clericalismo, quello delle vedute proprie o di qualche gruppo elitario».


Marco Navoni, Il ministero sacerdotale in san Carlo Borromeo, 90

 





Si ringrazia Il Mediattivo.

Terrasanta calvario cristiano

Intervista del Servizio Informazione Religiosa al Patriarca latino, Fouad Twal.

Oggi il Calvario è una guerra che dura da 60 anni, l'occupazione militare, la disoccupazione, la depressione economica. Oggi si costruiscono muri senza accorgersi che così facendo ci chiude dentro. Ma in questa Terra non servono muri ma dialogo. Bisogna tagliare le cause della paura che ci allontanano dall'altro, chiedersi perché abbiamo paura l'uno dell'altro”. A raccontare al Sir il Calvario delle comunità cristiane di Terra Santa, che attendono Benedetto XVI a maggio, è il patriarca latino di Gerusalemme, Fouad Twal. “I politici - dice - devono cambiare, convertirsi, avere coraggio per scelte difficili ma necessarie per il bene di tutta la popolazione”. Un monito attuale data la situazione politica israeliana e palestinese, con i primi impegnati nella formazione di un Governo di unità nazionale ed i secondi intenti in una difficile riconciliazione tra le due anime più forti, Hamas, che controlla Gaza e Fatah, maggioritario in Cisgiordania.

“A Gaza è stata fatta l'ennesima guerra - continua il presule di origini beduine giordane - ma con quali risultati? Nessuno. Se qualcuno mi dimostra, fatti alla mano, che la guerra è servita a qualcosa, io stesso, come patriarca, invocherò nuove incursioni militari. Semini occupazione, raccogli resistenza. L'occupazione deve finire”.

Twal parla anche di umiliazioni quando “molti ci chiedono: ma voi cristiani cosa fate? Cosa fa il Papa, per fermare la guerra? Io rispondo: dialoghiamo, educhiamo alla convivenza, alla tolleranza, al rispetto dei diritti. I frutti di questo lavoro non si raccolgono subito, quelli dell'odio, purtroppo sì e lo vediamo. Fra 20 anni ci sarà qualcuno dei nostri giovani che, divenuto politico, avrà il coraggio della pace. Adesso però è il tempo della denuncia, di alzare la voce, come fece Giovanni il Battista”. “Ecco la prossima visita del Papa servirà ad incoraggiare le comunità cristiane, a far capire loro che essere cristiani qui è una vocazione, che devono resistere alle tentazioni di andare via. I musulmani in molti casi vivono in condizioni peggiori dei nostri fedeli eppure non pensano a lasciare questa Terra, vi rimangono, resistono. Qui fanno nascere i loro figli. A volte - conclude - penso che coccoliamo troppo i nostri cristiani”.
Lo studio dell'università Bocconi di milano

Ufficio, humour alleato prezioso

Dai temi tabù alle battute più frequenti, ecco come si ride al lavoro. In Italia il buon umore con giri di parole

Paese che vai battuta che trovi. Già perché non tutti scherziamo allo stesso modo. Soprattutto in ufficio. Dalla Russia agli Stati Uniti. Dalla Francia alla Germania. Dovunque si lavori, è importante farlo con il buonumore. Ha un impatto positivo sul gruppo e potenzia la coesione. E in Italia scarseggia il politicamente corretto. Si ride sulle differenze culturali e per le parolacce. E poi ancora sulle religioni e per le differenza tra i sessi.

«Lo humour è uno strumento importante sul lavoro», spiega Marco Sampietro docente della Scuola di direzione aziendale dell'Università Bocconi. Il suo studio ha coinvolto 1860 persone. Dai dati emerge che in Europa e Stati Uniti lo humour è utilizzato con una buona frequenza dal 98 per cento degli intervistati, dal 95 per cento in Russia e dal 92 per cento in Giappone dove la cultura nazionale e aziendale percepisce il lavoro in modo maggiormente serioso. Il 99 per cento in Europa e USA dichiarano poi di apprezzare l'umorismo durante le ore lavorative. E non solo, perché il buon umore aiuta a smorzare le tensioni. Non mette in discussione la leadership. Migliora il clima lavorativo e riduce lo stress. Ma non sempre è tutto positivo. «Bisogna stare attenti all'utilizzo di questi risultati sulla performance. Un conto infatti è notare come lo humour possa avere degli effetti positivi, un altro è pensare ad una strategia di miglioramento delle performance basata su una sorta di terapia dello humour». Senza contare che bisogna usare il sorriso con le dovute attenzioni. «lo humour tende ad abbassare la percezione del rischio e dunque per una decisione veramente critica è meglio lasciare da parte l'ilarità. E in ambito internazionale bisogna fare attenzione: alcuni argomenti potrebbero essere tabù e portare a risultati opposti rispetto alle intenzioni».

Bisogna stare attenti, soprattutto se ci troviamo a fare delle battute che all'estero proprio non piacciono. In italia lo scherzo sembra (quasi sempre) scorretto. Dalle battute a sfondo sessuale alla imprecazioni e parolacce. «Il valore dello humour sembra veramente essere un fenomeno universale, sebbene in modalità differenti», spiega Sampietro. Ed ecco perché ogni paese ha la sua battuta.

«Sono affatto diffidente del nominalismo contemporaneo. Tutti usiamo le stesse parole e nessuna più ha mantenuto un significato comune e onesto. Anche qui falsi monetari, falsi spacciatori di parole. Il mendacio è stato consumato. " Per tutta la terra si è sparsa la loro parola". Il primo miracolo che ci aspettiamo dalla nuova Pentecoste è la ricreazione della parola. Il Verbo si è fatto carne, realtà insostituibile, concreta, consustanziale».


don Primo Mazzolari, Il samaritano, 15

grazie a F.S. per la segnalazione




In questi giorni abbiamo sentito e utilizzato parole di cui solitamente non si ode nemmeno il suono:

sacrificio; offerta della vita; patria; senso del dovere; valorosi; onore; nostri militari; eroi; tricolore; nostri figli; memoria; per noi; non dimenticare; pace...

Abbiamo imparato una nuova lingua?

Sono stereotipi depositati nei ripostigli, dove sappiamo andarli a prendere in alcuni rari momenti?

Funzionano come maschere dell'ideologia o riempitivi del nulla interiore?

Sopravviveranno altre ventiquattro ore?

don Chisciotte

Il lutto scorrevole

di Massimo Gramellini

La rappresentazione del dolore più intenso ha mostrato due Italie diverse: quella ufficiale ha riempito le chiese, l'altra era distratta dalla sua quotidianità. Gli anziani ricordano che (...) il lutto allora era il Lutto. Scavava nelle persone e restava aggrappato per sempre ai fili della memoria. Ma ancora negli anni Settanta la morte di un Papa o una strage terrorista provocavano le stesse reazioni solenni. (...) Poi il lutto ha incominciato a cambiare anche qui. È successo quando le immagini hanno preso il posto delle parole e le emozioni quello dei sentimenti. Le immagini e le emozioni sono potenti, ma brevi e superficiali. Come certi temporali estivi che sconquassano il suolo ed evaporano in fretta, senza penetrare in profondità e lasciando la terra più arida e assetata di prima. (...) Il simbolo plastico del cambiamento rimane l'uso dell'applauso. Fu inventato per sottolineare un'approvazione, mentre oggi si direbbe che la sua funzione principale consista nel coprire i baratri aperti dal silenzio, questa brutta bestia che ci induce a pensare, quindi fa paura e va rimossa come la morte. Le persone che fuori dalla basilica applaudivano le bare erano convinte in buona fede di esprimere solidarietà. In realtà stavano scacciando il dolore che passava dinanzi ai loro occhi, temendone il contagio. Ci avete fatto caso che i familiari delle vittime, gli unici a soffrire davvero, non applaudono mai?

Eppure sarebbe stucchevole rimpiangere il bel lutto che fu. Ogni epoca ha le sue rappresentazioni. La nostra ha espulso il sacro e con esso i riti comunitari che gli davano un'aura di credibilità. Si pattina leggeri sulla superficie, affastellando emozioni e mescolando ricordi: fra sei mesi non sapremo più se la tragedia di Kabul è accaduta prima o dopo quella di Nassiriya. D'altronde tutti si rammentano in modo vivido il Vietnam, pure chi non c'era, mentre delle due guerre irachene resta una macedonia di sensazioni in qualche angolo della testa. Proviamo di tutto, ma dimentichiamo anche tutto. (...)
La televisione di sottofondo incide sul rapporto far genitori e bambini

Secondo uno studio i grandi diventano meno pronti a rispondere alle richieste dei più piccoli.

Occhio al ronzio della tv perennemente accesa. Più di un terzo dei bimbi americani fin da piccoli vive in case dove la televisione è accesa sempre o quasi, anche se non c'è nessuno a guardarla. Un'abitudine diffusa anche in Italia. Ebbene, secondo uno studio condotto dai ricercatori dell'Università del Massachussets (Usa), questa consuetudine ha un effetto negativo sull'interazione tra i genitori e i bambini più piccoli. Lo studio, pubblicato sulla rivista «Child Development», ha preso in esame circa 50 bimbi da 1 a 3 anni, ognuno dei quali era insieme a un genitore, nel centro studi pediatrici dell'ateneo. Gli scienziati hanno osservato l'interazione dei piccoli con la mamma o il papà per due volte: prima nel corso di mezz'ora nella stanza dei giochi senza la tv, poi mentre il piccolo schermo trasmetteva un programma per adulti. Per tutto il tempo gli studiosi hanno osservato quanto spesso gli adulti e i bimbi comunicavano fra loro, in che modo interagivano nei giochi e se gli uni erano attenti alle richieste degli altri (e viceversa). Ebbene, quando la tv era accesa, sia la qualità che la quantità delle interazioni tra adulti e bambini calavano bruscamente. Con i genitori meno attivi, attenti e pronti a rispondere ai loro piccoli, rispetto a quando la televisione era spenta. «Benchè precedenti studi abbiano dimostrato che la tv di sottofondo disturbi i giochi solitari dei più piccini - commentano gli studiosi - questa ricerca per la prima volta ha dimostrato il suo impatto su quantità e qualità delle interazioni genitori-figli». Proprio questi momenti sono così preziosi per lo sviluppo dei piccoli, ecco perchè i medici sottolineano che il loro lavoro sfata l'idea comune che il piccolo schermo non influenzi in alcun modo i bimbi più piccoli, se questi non guardano le trasmissioni. «Dobbiamo fare maggiore attenzione a un'esposizione precoce e cronica alla tv», concludono gli specialisti.

Tocca a me

«Quale forza ne deriverebbe se tutti i cristiani ripetessero: "Sono io Chiesa". E ognuno portasse un valido contributo all'azione del vescovo dicendo: tocca a me.

Ora incomincio.

Ora cerco di farmi una comunità.

Non voglio più essere solo.

Voglio cercare con altri la mia strada.

Vivere la mia vita.

Anche fossimo in pochi, voglio iniziare.

Pregheremo nelle case.

Leggeremo la Bibbia assieme.

Faremo l'Eucaristia come i primi cristiani.

Ci aiuteremo.

Metteremo in comunione il più possibile dei nostri beni.

Sarà una vita illuminata dal Vangelo.

E penso anche che il terribile ed angoscioso problema delle vocazioni sacerdotali troverebbe in queste comunità il suo vero avvio. Una comunità di preghiera, una comunità-Chiesa che vive intensamente la fede diventa automaticamente un vero seminario. Là dove si annuncia la Parola viene lo Spirito, e il compito dello Spirito è quello di fare Chiesa e distribuire i carismi. Sono ben convinto che il carisma del sacerdozio si manifesterà d'ora innanzi in queste comunità mature di fede e di preghiera. Perché temere?

Dio è Dio, e non lascerà mancare alla sua Chiesa i pastori che le occorrono».


fratel Carlo Carretto, Ogni giorno, 27 gennaio
Saviano: il mio Dio «debole» a Gomorra

Roberto Saviano è diventato l'architrave della ribellione civile in Italia dopo l'uscita di Gomorra, libro che ha finito per odiare. L'incontro con lo scrittore dalla vita blindata si trasforma, inevitabilmente, in una riflessione sul ruolo della Chiesa in quelle terre del Sud, schiacciate tra l'arroganza dei forti e la codardia dei deboli; sul rapporto di Saviano con Dio e con la fede; sulla sua sfrenata ambizione, un peccato mortale che gli consente, però, di resistere. Riflessioni prive di embargo ai pensieri più scomodi.

Saviano, lei si è spesso rivolto alla sua terra, nella speranza di un gesto di ribellione. È cambiato qualcosa in questi anni? La scomparsa di Castel Volturno o della camorra dalle prime pagine dei giornali è figlia del successo della militarizzazione del territorio? O è il silenzio di sempre che accompagna le vite di scarto, che si possono dimenticare, dopo le emergenze contingenti?

«La militarizzazione del territorio è stata la risposta immediata dello Stato, forse inevitabile. Ha abbassato, in alcuni casi, la conflittualità tra clan; in altri momenti, ha aiutato qualche inchiesta. Ma siamo ancora lontani dallo sconfiggere la camorra. Purtroppo, la ciclicità mediatica impone sempre, dopo una fase di attenzione, un lunghissimo momento di disattenzione. Cosa che mi dispiace, perché queste storie hanno appassionato e appassionano i lettori. È evidente che non si può chiedere al giornale di dare una notizia solo per impegno morale o di orientare una linea editoriale solo in nome dei principi di giustizia. Ma queste notizie, in realtà, facevano vendere il giornale. Perché le persone vogliono sapere».

Anche di recente, lei ha difeso la memoria di don Peppe Diana, il parroco di Casal di Principe, ucciso per mano camorristica nel 1994. Al di là di alcune figure di martiri, qual è il ruolo della Chiesa locale nel combattere la camorra o la mafia?

«Non ci si può rapportare alla Chiesa come a un monolite. D'istinto, mi verrebbe da dire che se c'è stata resistenza nella mia terra e se io, nel corso degli anni, sono riuscito ad avere una qualche coscienza antimafia, lo devo ad alcune figure di Chiesa. Il vescovo emerito di Caserta, Raffaele Nogaro, è stato per decenni un riferimento in Campania, non solo nella lotta alla camorra, ma nel prendere le distanze dalla borghesia imprenditrice camorristica. A Napoli, poi, c'è il cardinale Sepe, figura di peso in un momento difficilissimo per la città, con la politica che ha perso autorevolezza, con la camorra che è tornata a sparare in modo indiscriminato, con gli arresti di importanti imprenditori. Devo dire che questa è la Chiesa in prima linea. Poi, purtroppo, c'è anche tutto il resto. La Chiesa, cioè, che preferisce girarsi dall'altra parte, che ogni volta che si parla di camorra pensa che sia un modo per spaventare i fedeli. Quando Nogaro arrivò nel casertano da Udine e nelle sue omelie citava la camorra, alcuni preti locali gli chiedevano espressamente di non pronunciare quella parola. Perché così s'infangava la povera gente».

E le ragioni di questa «posizione morbida»?

«Sono tante. Un prete che decide d'intraprendere una lotta del genere deve, ad esempio, essere disposto a subire anche l'oltraggio della diffamazione. Don Peppe Diana, ancora prima di essere ucciso, per il solo fatto che s'impegnava, che girava nelle scuole e scriveva documenti, veniva sistematicamente diffamato. Perché un prete che non sta nella sua stanzetta a confessare le vecchiette o a dare le caramelle ai bambini, è un sacerdote che viene visto con sospetto. Se indirizza la sua autorevolezza e la sua parola verso altro, mette paura. Soprattutto se quell'altro detiene il potere. Mi ricordo che don Peppe cominciò a denunciare il voto di scambio. Padre Puglisi, ucciso a Palermo, lo stesso. Non è un caso che, dal giorno dopo l'assassinio di questi due preti del Sud d'Italia, iniziò una campagna di diffamazione. Molto forte nei confronti di don Peppe; un po' meno contro don Puglisi. Ma solo perché l'antimafia siciliana è molto più sviluppata di quella della mia terra. Impegnarsi vuol dire soprattutto rischiare. Non solo la vita, ma la propria serenità. Spesso è questa la ragione che spinge un sacerdote a non agire in questi territori. Perché è molto difficile vedere d'improvviso la propria vita in bocca a moltissime persone e la propria credibilità e onestà insultate da gomiti e venticelli della camorra. Per chi decide di combattere, il primo scoglio è questo. Poi, sul campo, si riesce a ottenere anche autorevolezza. Ma è un lavoro molto lungo».

Il fatto che la sua sia una terra di missione pastorale, come una qualsiasi parrocchia africana, che riflessione le suscita?

«Castel Volturno, dove c'è la missione dei padri comboniani, è davvero una città africana. Della diaspora africana, come ebbi modo di ricordare in occasione della morte della sudafricana Miriam Makeba, venuta a cantare e a morire a Castel Volturno in un concerto in onore dei ragazzi africani ammazzati e anche per me. Quello che fanno i comboniani in quella realtà
«Il sonno non è che un atto egoistico»

Meglio letti separati: fa bene alla salute

Secondo un esperto britannico gli studi lo dimostrano: si dorme meglio e si prevengono le separazioni

Se ami il tuo partner, cerca di dormire con lui/lei il meno possibile. E' il consiglio di un esperto britannico alle coppie. Secondo una nuova ricerca dell'Università del Surrey, infatti, tra lotta per le coperte, pugni, calci e rumori del partner che si alza per andare in bagno o perché russa, in due si dorme poco e male (si hanno il 50% dei disturbi del sonno rispetto a chi dorme da solo), con danni per la salute (anche depressione, problemi di cuore, respiratori) e tensioni nella coppia. Letti separati, dunque. E se lui o lei russa, stanze separate, ha raccomandato l'esperto del sonno Neil Stanley nel corso del British Science Festival. Ma che cosa ne sarà dell'intimità che si crea dormendo insieme? E' sopravvalutata, secondo il dottor Stanley, che ha condotto i test sul sonno su 40 coppie presso l'Università del Surrey. «L'intimità fa bene alla salute emotiva, il sonno a quella emotiva, fisica e mentale
Sono imbarazzato: di fronte a questa iniziativa e alle risposte dei lettori (che spero non siano vere, ma create ad arte) non so  cosa scegliere tra il ribrezzo e la ripulsa. Quanto mi dispiace per l'ennesima brutta figura che facciamo...


don Chisciotte


Un Islam "pentecostale"?

di Marco Tosatti

Nei giorni scorsi ho partecipato a due seminari molto interessanti sulla comunicazione nella Chiesa e sulla Chiesa (e la religione in generale) organizzati dall'Istituto Internazionale di Scienze Sociali (IICS) di San Paolo, Brasile. Fra gli interventi che hanno attratto l'attenzione dei presenti, giornalisti e responsabili di comunicazione istituzionale, oltre che vescovi e sacerdoti (...)  mi ha colpito in particolare quello del professor Joan-Andreu Rocha Scarpetta, dell'Università Abat-Oliba di Barcellona.

Il suo contributo si intitolava "An X-ray of Religions in the World today" (una radiografia delle religioni nel mondo di oggi).  Ha parlato di Islam; e vi riportiamo schematicamente alcuni degli elementi che ci sembrano più rilevanti.

Maggioranze islamiche si trovano ora non i paesi che parlano arabo, ma nell'Asia orientale (Indonesia, Pakistan, Bangladesh e Malesia). C'è un calo demografico chiaro che sta cominciando a manifestarsi in molti paesi islamici. Oggi negli Stati Uniti ci sono altrettanti musulmani che ebrei, ma con un'influenza politica minore dei musulmani. La Malesia è il paese in cui vengono costruite più moschee.

La presenza dell'Islam in paesi tradizionalmente non Muslim ha creato nuove forme di religiosità. Il fondamentalismo religioso è l'immagine mediatica che si ha generalmente dell'Islam, ma ci sono altre due tendenze che vanno considerate. E cioè l'interesse verso un Islam mistico (Sufismo), specialmente in Asia; e la crescita di forme soggettive di aderenza. Vale a dire: aderisco alla religione, ma non le permetto di guidare in ogni aspetto la mia vita. E in questo processo entra anche l'interesse verso un Islam che si allontana dalle sue forme istituzionali, e che si sposta invece verso forme che assomigliano sempre di più ai movimenti carismatici e pentecostali presenti nel cristianesimo.

Altri elementi di interesse. L'opinione pubblica ha sempre avuto caratteristiche molto particolari e locali, nelle culture islamiche; ma l'introduzione della televisione satellitare sta cambiando questa realtà, creando un'opinione pubblica islamica a livello mondiale. Internet dal canto suo sta generando un nuovo tipo di Islam, "il musulmano virtuale", offrendo contatti e reti di collegamento in paesi in cui l'Islam è minoranza.
Le crisi e la violenza

di Andrea Riccardi

12 febbraio 2009. Si comincia a avvertire forte il vento gelido della crisi. Lo si percepisce nella vita quotidiana, nelle restrizioni dei consumi, nella precarietà del lavoro e in conseguenze ancora peggiori che toccano tanti. È un fenomeno europeo e mondiale. La gente vive le difficoltà, il ridimensionamento del livello di vita, la nuova povertà, con comprensibile frustrazione. Non bastano i discorsi sui flussi dell'economia mondiale o le spiegazioni macroeconomiche.

Chi sono i responsabili? L'economia globalizzata non ha volto.
Il suo centro direzionale è lontano, anonimo, avvolto nelle nebbie. Non è un palazzo raggiungibile dalla protesta della gente. Frustrazione e protesta non diventano politica, ma rabbia che vuole sfogarsi. Con un meccanismo facile, ce la prendiamo con chi è vicino e raggiungibile, anche se non responsabile delle difficoltà. La grande crisi economica del 1929 insegna. Allora ci fu una crescita di antisemitismo. L'ebreo si presta a rappresentare il colpevole d'una crisi mondiale. I dati sulla diffusione del pregiudizio antisemita in Italia sono preoccupanti. (...) Si accompagna all'antigitanismo che attraversa tutte le società europee. Troppo si sono incolpati gli zingari del malessere di alcune situazioni urbane. C'è poi il capitolo degli immigrati. Il pregiudizio è facile: vengono a rubarci il lavoro, la casa e, alla fine, il nostro Paese. Le accuse s'intrecciano con la violenza sulle persone. (...)

Picchiare è un modo di protestare ed esistere. Soprattutto contro gli stranieri. (...) Sono due volti dello stesso fenomeno, molto grave, rivelatore del vuoto delle menti, ma anche della crisi del senso comune di umanità. C'è allora un grande problema educativo, ma anche di senso di irrilevanza da combattere e d'identità da trasmettere.


Non si tratta però solo di giovani. La violenza diffusa crescerà con la crisi economica, con la rabbia di una vita quotidiana difficile, con la ricerca di colpevoli introvabili, all'origine di questa situazione. (...)

Credo che avremo un inverno molto lungo, ben al di là della stagione climatica. Libererà sentimenti di rabbia, scontento, aggressività contro i bersagli più vicini, perché non c'è un palazzo del potere da assaltare, ma tanto malessere da sfogare. Bisogna vivere responsabilmente questo lungo inverno. Prima di tutto, è necessario evitare la semina del disprezzo e dell'odio verso gruppi etnici o sociali. I semi del disprezzo sfuggono dalla mano di chi li getta e fruttificano presto in un clima frustrato e incandescente. Non si tratta di limitare la libertà di espressione, ma di richiamare alla responsabilità micidiale delle parole, specie se si ricoprono cariche pubbliche
(...).

La tregua

di
Massimo Gramellini

«D'Addario, D'Addario!».

«Farabutti!».

«Sta bene di salute?».

«Sono il migliore degli ultimi 150 anni».

«Vergogna!».

«Evasori! Molestatori!».

«Randellatore mediatico!».

«Io sono una vittima».

«Egoarca!».

«Doppiopesisti, vi querelo».

«Regime, in piazza, democrazia, democrazia».



BOOM



«Poveri ragazzi».

«Il loro sacrificio non sarà vano».

«Terroristi vigliacchi, non ci fermerete!».

«È il momento del cordoglio».

«Siamo vicini ai parenti delle vittime».

«Ci stringiamo alle famiglie».

«Il Paese si unisce nel ricordo».

«Pace, democrazia, democrazia».



Ritorno in patria delle salme. Camera ardente. Funerali di Stato. Applausi. Assolo di tromba. E poi.



«D'Addario, D'Addario!».

«Farabutti!».

«Sta bene di salute?».

«Sono il migliore degli ultimi 150 anni».

«Vergogna!».

«Evasori! Molestatori!».



(continua)

«Piuttosto che mettermi sulla tua strada che invelenisce, mi chiudo nella mia solitudine. Se l'uomo che mi insegna a odiare deve essere il mio compagno di strada, meglio nessuno. Un cieco non può guidarmi; un violento non mi può consolare; né mi posso dimenticare che si può vincere il male amando, non uccidendo!».

don Primo Mazzolari

Droga, l'allarme degli esperti

La dose? Ormai è «low cost»

Una cena in pizzeria con gli amici: una “napoli”, birra e, per i più golosi, un tiramisu. Totale: 15 - 20 euro a testa. Con la stessa cifra si può aggiungere alla serata una micro-dose di cocaina (14,84 euro per 0,20 grammi) e con poco più di 12 euro la stessa quantità di eroina bianca. Cifre irrisorie, praticamente alla portata di tutti, anche dei giovanissimi.

I prezzi delle sostanze stupefacenti infatti sono in calo da anni e per gli esperti di Prevo.Lab (Osservatorio previsionale del Dipartimento dipendenze dell'Asl di Milano) i prezzi scenderanno ulteriormente nei prossimi tre anni (...). Al calo dei prezzi però non corrisponde una parallela diminuzione dei consumatori. Anzi. «Il numero di chi usa cocaina crescerà ancora, anche se con tassi inferiori rispetto al passato
Ma per il nostro ordinamento, una persona (e tale è anche il soggetto chiamato in causa) non è innocente fino a che il reato non venga provato e venga emesso un giudizio da parte dell'autorità competente?!

E tutti gli italiani cattolici che in questi giorni uccidono familiari, fuggono dopo aver procurato incidenti, picchiano donne tra le mura domestiche, rubano ai dipendenti... perché non hanno diritto ad un bel titolo-capestro come quelli qui sotto?!

Oltre che per una questione di giustizia, ci sarebbe un rispetto delle persone in nome della fede che tanti degli autori di questi malevoli articoli chiamano in causa... quando serve. Forse quella "C." abbreviata è proprio segno di una scorciatoia e di una dimenticanza: sembrava cristiano...

Tanto poi colui che qui è attaccato non gode di nessun "lodo" né ha le risorse per denunciare per diffamazione.

Intanto continuano a diffondere odio, dimenticando che "chi semina vento raccoglie tempesta".


don Chisciotte



 


Facciamoci riconoscere

di Massimo Gramellini

Ogni tanto mi piacerebbe che la politica fosse come l'Inter: zeppa di stranieri. Meglio se tedeschi e scandinavi. Burocratici, slavati, seri. Che noia meravigliosa. E invece eccoli, i nostri ragazzi. Arrivano al Parlamento Europeo di Strasburgo e danno subito spettacolo. Dibattito sull'immigrazione: il capogruppo dei democratici alza la mano e denuncia il governo dell'Italia, cioè del suo Paese. Stupore fra gli eletti delle altre nazioni, ancora affezionati a concetti desueti come la dignità nazionale. Ma niente paura, l'esponente del Pdl chiede la parola e rimbecca il suo accusatore. I colleghi abbassano il volume della traduzione simultanea e si chiedono: questi italiani, le magagne di portineria non potrebbero risolverle a casa loro?

Certo, ma va detto che all'estero c'è molto più gusto. Infatti non è finita: si alza un certo Rivellini, punta il mite Barroso appena rieletto e attacca la serenata: «L'aggia vutato presidente 'e tutta all'Europa, pure do Sud, pecché 'o Sud sta miezzo 'o Mediterraneo». Barroso smanetta sull'auricolare e come lui qualche centinaio di deputati, ma la traduzione dal napoletano non è contemplata. Neanche l'accompagnamento al mandolino, che pure sarebbe stato molto più gradito. Tutti sorridono. Tutti scuotono la testa. Tutti ci considerano una banda di estrosi (eufemismo), degna di essere governata da chi, con loro sommo e reiterato stupore, ci governa. Eppure non è questa l'immagine che gli italiani danno di se stessi quando vanno all'estero da dipendenti o imprenditori. Perché solo in politica dobbiamo farci ridere dietro? Pecché? Pecché?

Quando Erri De Luca parla - qui sul modo in cui si rende incontrabile il Dio della Bibbia - "si sente" (!) che presenta ciò di cui è convinto e di cui ha fatto esperienza. Al contrario, si colgono la superficialità e la genericità degli interventi dell'altro co-autore del libro "Almeno 5".






«Salutai Nicola e passai da zio. Lo vidi dal cancello, stava parlando nel suo piccolo giardino con una donna. "Solo un saluto per dirti grazie di tutte le uscite a pesca che mi hai fatto fare quest'estate". Annuì con la testa e mi fece un sorriso che non avevo ancora ricevuto da lui. Era breve, d'intesa, poi a bocca serrata annuì di nuovo. Era un suo sì a me, un sì maschile raro che accennava a me per la prima volta. Non ero sgombero in testa per inorgoglirmi. Per la prima volta lui accettava quel nipote che portava il suo nome. In quel momento coincidevamo in un nome, ma già quella notte io ne avrei avuto un altro, da non poter più condividere».

Erri De Luca, Tu, mio, 106

Ho cercato ed ho trovato

Non cercavo più i segni miracolosi o mitici della presenza di Dio.

Non volevo più ragionare su di Lui, volevo conoscerlo.

Cercavo il Dio di tutti i sette giorni della settimana, non il Dio della domenica.

Non è stato difficile trovarlo, no!

Non è stato difficile perché Lui era già là ad attendermi.

E l'ho trovato.

Sento la sua Presenza.

La sento nella storia.

La sento nel silenzio.

La godo nella speranza.

L'afferro nell'amore.

Mi è così vicina.

Mi conforta.

Mi rimprovera.

E' il cuscino della mia intimità.

E' il mio tutto.


fratel Carlo Carretto
Un trend diffuso anche in Australia e in Europa

Usa, spopolano i party delle coccole

Perfetti sconosciuti si incontrano per abbracciarsi e accarezzarsi senza mire di tipo sessuale

È l'antidoto contro l'alienazione, lo stress e la solitudine della nostra era: i party dove perfetti sconosciuti si incontrano per abbracciarsi, accarezzarsi e farsi le coccole. Ma senza alcuna mira di tipo sessuale.

I «party a base di coccole» sono nati nel febbraio 2004 dalla mente di Reid Mihalko e Marcia Baczynski, due coach esperti di relazioni interpersonali che vivono tra New York e Los Angeles. «Le nostre feste sono workshop strutturati e sicuri dove si possono abbattere la timidezza e le paure sociali, attraverso la comunicazione, l'intimità e la tenerezza», spiegano i due amici sul sito XXXX, dove definiscono la loro creazione «un modo per incontrare persone affascinanti in un ambiente rilassante, assolutamente privo di droghe ed alcol».

Nell'America alle prese con la crisi economica che ha minato i rapporti interfamigliari e interpersonali, la nuova moda ha subito preso piede. Ma dagli Stati Uniti
Dal vangelo di oggi: Gv 19,25s

In quell'ora, stavano presso la croce di Gesù sua madre, la sorella di sua madre, Maria di Clèofa e Maria di Màgdala. Gesù allora, vedendo la madre e lì accanto a lei il discepolo che egli amava...

Fin da allora, vicino a Gesù le donne battono gli uomini con un secco 4-1.



Clicca sull'immagine per visitare il sito a lui dedicato.

Pelo e contropelo

di Massimo Gramellini

Obama mi piace quando va in Africa e dice agli africani: io sto con voi, però smettetela di lamentarvi, perché la corruzione che vi rende poveri è roba vostra, non arriva da fuori. Mi piace quando parla agli studenti e non li adula con promesse da omino di burro, ma spiega loro che per avere successo nella vita dovranno applicarsi e studiare. Sembrano banalità, ma evidentemente solo l'uomo-simbolo del perbenismo contemporaneo può permettersi di dirle senza passare per reazionario. Qualsiasi altro politico, e in Italia ne abbiamo una collezione, non ha il coraggio di fare il contropelo al suo uditorio. Glielo liscia, quel pelo, finché non diventa abbastanza lucido da garantirgli una crescita nei sondaggi. Mai sentito un onorevole affermare davanti a una platea siciliana che la mafia è siciliana. Macché: la mafia sta a Roma, a New York, a Bogotà, ovunque, ma non lì: è un prodotto di importazione.

Qualcuno lo ha addirittura teorizzato: bisogna essere concavi con chi è convesso e convessi con chi è concavo. E i nostri tribuni sono proprio così: operaisti con gli operai e padronali con i padroni, vegetariani fra le pannocchie e carnivori fra i leoni. La loro psicologia non si ispira al manuale del leader, ma a quello del venditore. Gli elettori non sono persone da responsabilizzare, ma clienti da intontire. Dicendo loro che la colpa di quanto li angustia è sempre altrove. D'altronde i clienti questo reclamano: un capro espiatorio contro cui sfogare la propria impotenza, pronti poi a chinare il capo dinanzi a chi glielo ha offerto, considerandolo il minore dei mali.
Ormai 49 i suicidi in carcere

Come in una tragica discarica d'umanità

L'ultimo è un ambulante senegalese di 32 anni, sposato e padre di un bambino. Accusato di violenza sessuale, giurava di essere innocente. Si è ammazzato nel carcere di Teramo, aspirando il gas della bomboletta dei fornelli. Il penultimo era un tunisino, morto dopo quaranta giorni di sciopero della fame e della sete, a Pavia. Un altro, uno fra i tanti, era italiano, finito dentro per droga, in attesa di trattamento psichiatrico. La notte del 12 agosto s'è impiccato nella sua cella, a San Vittore, nel cuore della Milano deserta per ferie. Si chiamava Luca, aveva 28 anni.

Le notizie dei suicidi in carcere prendono poche righe sui giornali, quasi fossero un fatto ineluttabile. Però l'ambulante africano di Teramo è il quarantanovesimo suicida, quest'anno, nelle prigioni italiane.

Il dato è del sito di informazione carceraria "ristretti.it", che di ognuno ricostruisce nome e storia. Che riporta le testimonianze di carcerati in vari istituti italiani. E fra queste righe la cifra di oggi, 64 mila reclusi in Italia, record dal dopoguerra, acquista uno spessore drammaticamente concreto: «Tre persone si ritrovano a dividere in undici metri quadri, nei quali sono sistemate le brande, gli stipetti per il vestiario e un piccolo bagno: ecco che lo spazio calpestabile fa incarognire tutti, riducendoli al pari di animali rinchiusi in gabbia», scrive uno. «Nel mio letto a castello a Venezia avevo imparato a isolarmi dalle altre otto, nove, dieci compagne di cella: cuffie con la musica nelle orecchie per leggere, tappi di cera e maschera sugli occhi per dormire», racconta un'altra. Cronache di una invivibilità che aumenta, di nervi sfatti, di pensieri disperati che una notte dopo l'altra acquistano consistenza, diventano progetti, e poi realtà.

E quei 49 suicidi ad oggi, con questo stesso ritmo, si potrebbero fare 70 alla fine dell'anno. Con una incidenza superiore di 21 volte a quella della popolazione italiana. Con una relazione, rintracciabile nei numeri, fra l'aumento periodico dei suicidi e quel sovraffollamento, quel ritrovarsi quasi a calpestarsi l'un l'altro, senza un minuto di silenzio e di pace. («Stiamo ammassati come in una discarica», scrive un altro).

E allora le storie di questi quarantanove non sono più private tragedie, ma diventano come un grido che sale dalle mura alte e cieche attorno alle carceri. Come se, passata quella porta, ci fosse un altro mondo; dove formalmente si è uomini, titolari di tutti i diritti proclamati e benedetti dalle Carte della democrazia occidentale; ma, in realtà, non si è più uomini proprio come gli altri. Dove un ragazzo che ha bisogno di cure psichiatriche, lasciato solo, si impicca; dove uno straniero, per gridare la sua innocenza, si lascia morire di fame e sete.

Quale altro mondo c'è, dietro quei portoni blindati e sorvegliati? Le pene non possono essere contrarie al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione, dice la Costituzione. Ma come si rieduca, fra uomini stretti come in gabbia, avviliti da quella promiscuità in cui il senso di sé, assediato, vacilla? Come si spera, nei raggi fatiscenti e strapieni di san Vittore?

Dal Veneto un detenuto racconta on-line che la sua cella pullula di scarafaggi. Lui una notte ne mette in fuga una famiglia, e ne fa prigioniero uno. Lo chiude in un bicchiere; si fa, di quell'insetto, secondino. Ma, poi, comincia a parlargli. Il miserabile prigioniero infine gli fa pena, e lo libera. Breve storia di sapore kafkiano in un carcere italiano. Per chi la legge, un pugno nello stomaco. Uomini o no, in quelle celle? Uomini, sempre. Ma è come se tra quelle mura proprio questa certezza radicale venisse ad essere incrinata.

Marina Corradi

Ho letto lo Speciale sul sito diocesano: ho trovato descrizioni, progetti, qualche aneddoto edificante. Ma nessuna riflessione seria sulle concrete e reali difficoltà di questo frettoloso cambiamento della struttura ecclesiale. C'è il forte rischio che anche i nostri media si uniformino sullo stile della comunicazione "del mondo", "di partito": generica, rapida, superficiale, selettiva, agiografica. A che pro?  A "chi" pro?


don Chisciotte.
Alla vigilia della sua partenza nei paesi dell'Est, piccola sorella Magdeleine scrive a tutte le  Piccole Sorelle di Charles De Foucauld:

«Vivete nel nascondimento con Gesù di Betlemme, con Gesù di Nazaret
Una ricerca dimostra che i custodi migliori nei primi anni di vita sono gli anziani. In Italia almeno uno su tre si prende cura dei nipotini quando i genitori non possono

Bambini più sicuri con i nonni dimezzati gli incidenti domestici

di
Sara Ficocelli

Le loro mani fragili ci viziavano senza malizia, riempiendo le nostre di gesti semplici e irripetibili. Eppure, secondo una ricerca americana, proprio in quella fragilità sta una forza capace di proteggere i bambini meglio di chiunque altro. I nonni, stando ai dati raccolti dalla Johns Hopkins Bloomberg School of Public Health di Baltimora, sono i custodi perfetti della salute dei nipoti e quando i bambini stanno con loro gli infortuni domestici si dimezzano, persino rispetto a quando vengono affidati alla madre. (...) Non c'è asilo, scuola materna o genitore capace di dedicare ai bambini quelle attenzioni perfette che i nonni offrono in modo così naturale. Dallo studio risulta anche che quando i genitori non sono sposati i bambini mostrano un rischio di infortuni maggiore e il numero aumenta ancora se il padre vive altrove.

Un dato che può essere letto così: più lavoro, meno tempo da dedicare ai figli, aumento delle probabilità che questi si facciano male. (...) "Questo non significa però che tutti i nonni siano delle botti di ferro alle quali affidare l'incolumità dei figli (...) Ci sono persone anziane alle quali io non affiderei mai i miei bambini. E comunque ciascun genitore è in grado di garantire il massimo della sicurezza facendo maggior attenzione". (...)

Anche il nostro Paese, grazie all'aumento della vita media e complice la difficoltà di trovare un posto in asilo, punta sempre di più sui nonni. Stando agli ultimi dati Istat sono circa 11 milioni, sette dei quali ha più di 65 anni, e almeno uno su tre si occupa dei nipoti in tenera età quando i genitori lavorano. Lo fanno più frequentemente se il loro livello di istruzione è basso; i nonni colti stanno invece con i nipotini solo occasionalmente o in caso di emergenza. In generale, il 70% degli anziani è anche nonno e ha circa 4 nipoti, ma solo nel 10% dei casi nonni e nipotini vivono insieme. Nonostante questo, però, i rapporti fra le due generazioni sono frequenti: il 71% dei nonni vede i nipoti almeno una volta a settimana e il 52% li sente al telefono quasi tutti i giorni. Nella maggioranza dei casi, inoltre, nonni e nipoti vivono piuttosto vicini e in almeno un caso su sei condividono lo stesso caseggiato o vivono, in un caso su quattro, nel raggio di un chilometro.

"Ma gli anziani non sono solo nonni - spiega il presidente dell'Auser nazionale Michele Mangano - Noi riconosciamo un ruolo e un valore importantissimo al rapporto fra generazioni per la trasmissione dei saperi, della cultura, della storia, del "come eravamo". Gli anziani sono per questo fondamentali. E per questo crediamo che ci si dovrebbe attrezzare al più presto, in Italia, con delle politiche finalizzate all'"invecchiamento attivo". Un anziano attivo nel sociale, nel volontariato, un anziano che si iscrive ai corsi delle università della terza età, rappresenta un valido interlocutore con l'eventuale nipote. Senza per questo diventare un surrogato alla carenza dei servizi socio-assistenziali".

Un altro dato, sempre nazionale, dice che il 55 per cento delle donne che lavorano affidano i figli ai propri genitori o ai suoceri. Ciò significa che nell'infanzia i nonni sono di gran lunga la prima "istituzione", dato che l'asilo nido accoglie soltanto il 22,4% dei bambini. Il successo dei nonni, secondo l'indagine Istat, è legato però soltanto in parte a ragioni opportunistiche: una mamma su due affida i figli ai nonni in primo luogo perché si fida ciecamente di loro, poi per la comodità e infine, ma solo nell'8% dei casi, per questioni di convenienza economica o mancanza di alternative. Infine, circa il 70% dei nonni contribuisce al budget della famiglia dei figli con giocattoli, elargizioni e prestiti vari.
«Tre motivi di stupore per chi approda in Paradiso. Primo: dove sono tutte quelle persone che credevamo sante e si davano arie da sante? Secondo: accidenti, come hanno fatto ad entrare qui tante facce sospette? Terzo: chi l'avrebbe mai detto? Sono qui anch'io!».

Alessandro Pronzato, La nostra bocca si aprì al sorriso, 200

Primarie per il vescovo

di Giacomo Galeazzi

'Primarie per scegliere il vescovo? Convinti che «non può essere pastore chi non è eletto dal gregge», otto sacerdoti trevigiani chiedono che «l'elezione del vescovo sia il frutto della partecipazione del clero e del popolo». 'Primariè per scegliere il vescovo? Convinti che «non può essere pastore chi non è eletto dal gregge», otto sacerdoti trevigiani chiedono che i «l'elezione del vescovo sia il frutto della partecipazione del clero e del popolo». Oggi invece - affermano - «è frutto del potere che decide, al massimo consultando chi vuole». Dalla Curia di Treviso l'unica reazione è «no comment».   In vista dell'arrivo del nuovo vescovo che prenderà il posto di mons.Bruno Mazzoccato, nominato dal Papa alla guida della diocesi di Udine, gli otto sacerdoti propongono anche di abolire il titolo di «Eccellenza» per chiamarlo semplicemente «fratello vescovo». A loro giudizio, infatti, «l'attuale sistema di nomina dei vescovi nella Chiesa cattolica è una struttura obsoleta e necessaria di profonda revisione» e se la Chiesa «veramente vuole essere missionaria», deve procedere «a profonde riforme strutturali».  Negli ambienti della Curia, dove mons. Mazzoccato è in procinto di lasciare e il nuovo vescovo ancora non c'è, preferiscono tacere sull'iniziativa degli otto sacerdoti,  ma in forma non ufficiale qualcosa trapela: «Voci isolate, datate storicamente». La lettera l'hanno letta sulla Tribuna di Treviso e non pare che la ritengano di una qualche importanza: «È una lettera come le altre».
Bar Sport Italia

di Massimo Gramellini

Nel dirimere la controversia fra un tifoso juventino e uno milanista, avvenuta a suon di gestacci e battute iettatorie in un bar di Portogruaro, la Corte di Cassazione ha affermato che quando si parla di pallone è lecito liberare gli istinti più trucidi, per lo meno «laddove tale volgarità non suscita riprovazione alcuna». Il principio emana buon senso e potrebbe anche essere condiviso, se non fosse che riesce oltremodo difficile individuare una lista precisa dei luoghi in cui «la volgarità non suscita più riprovazione alcuna».

L'elenco si apre senz'altro con i bar sport, per i quali la sentenza è stata disegnata. Ma potrebbe agevolmente comprendere il Parlamento, le televisioni, le radio, le conferenze stampa, i parchi, i parcheggi, gli ingorghi, i semafori, i telefonini, i libri impegnati, gli ospedali, le redazioni dei giornali, gli uffici pubblici, gli uffici privati non gestiti da un manager scandinavo, le scuole (cattoliche comprese, quando il prete in cattedra è sordo o molto anziano), le discoteche, i centri commerciali, le case dei poveri, le ville dei ricchi e dei finti poveri. E naturalmente gli stadi, i palazzetti e le palestre, escluse quelle dove si insegnano il ballo sulle punte e l'arte del ricamo. Pur utilizzando un criterio così restrittivo, la definizione non risulta ancora sufficientemente chiara. Sarebbe più semplice procedere al contrario, indicando cioè i luoghi dove «la volgarità suscita ancora riprovazione». Qualche biblioteca di prossima chiusura e la sala da the frequentata dalla nonna di un mio amico. Forse.
Delirio

di Francesco Albanese

Convinzione irrazionale, non suscettibile di modificazione di fronte all'evidenza dei fatti o alle critiche. Il delirio si configura come confuso o lucido in base al livello di alterazione della coscienza; bizzarro o non bizzarro in ragione del grado di verosimiglianza; primario o secondario (o deliroide) rispetto al suo collegamento più o meno stretto con esperienze sensoriali; congruo o non congruo relativamente all'umore; acuto o cronico in relazione all'insorgenza; sistematizzato o non sistematizzato in base a vari aspetti della personalità.

Comune nei disturbi paranoidi, il delirio si differenzia rispetto al suo contenuto in delirio di persecuzione (congiura, oppressione da parte degli altri), delirio di gelosia (infedeltà del proprio partner), delirio di controllo (manipolazione operata da forze esterne: radar, televisori, ufo, etc.), delirio di grandezza (senso di onnipotenza, importanza, potere).

pubblicato il 29/05/2003 su PsicoLab
Avevo sentito dire che c'è pieno accordo tra la Chiesa cattolica (e i valori morali che essa testimonia per il bene di tutti) e l'inventore delle reti tv Fininvest... Spero di aver capito male.

don Chisciotte

«Il patteggiare per avere un po' di bonaccia non è nello stile del cristiano, il quale comporta, o l'appello pressante e sgarbato al Maestro che dorme [cfr Lc 8,24], oppure il remigare duro e silenzioso per tener fronte alla tempesta. (...) Le anime "passionali" sono sempre esagerate. Il saperlo - il saperlo in ogni momento - è una salvaguardia... Ciò che non si riesce sempre a prevenire, si può sempre correggere. Noi vogliamo essere dei "redenti" in ogni aspetto e in ogni ora della nostra vita».

don Primo Mazzolari

Trovi qui il testo della canzone "Vorrei" di Guccini.




«Teresa d'Avila, quando preparava da mangiare per le sue consorelle, era intenta alla buona cottura di un piatto e nello stesso tempo concepiva splendidi pensieri su Dio. Esercitava allora quell'arte di vivere che è l'arte più grande: gioire dell'eterno prendendosi cura dell'effimero».

Christian Bobin, Il distacco dal mondo, 55

Suor Giuliana Galli per 27 anni ha guidato il volontariato del Cottolengo ed è stata chiamata a sedere nel consiglio d'amministrazione della Fondazione bancaria "Compagnia di San Paolo". Nell'intervista dimostra di essere una donna competente, saggia, determinata, profonda, pienamente inserita nello spirito del Vangelo e quindi attenta agli uomini e alle donne di oggi.


 






Consiglio di vedere il video completo (34 minuti) dal sito de La7.

Un uomo pubblico (con le spalle ben coperte) scrive sulla prima pagina del giornale da lui diretto (e di proprietà di Paolo Berlusconi) al Presidente della Camera dei Deputati. Si rivolge a lui con il "tu", affronta con durezza e sarcasmo alcune questioni che lo riguardano, gli rinfaccia incoerenze e debolezze, e chiude il tutto con questa espressione: «Consiglio non richiesto: rientra nei ranghi. Torna a destra per recitare una parte in cui sei più credibile; non rischierai più di essere ridicolo come lo sei stato spesso negli ultimi tempi».

Non entro nel merito. Non voglio imbavagliare il dibattito tra individui e filoni culturali. Ma vorrei che fossero "individui" e non lupi; "filoni culturali" e non capricci.

Non condivido che un uomo possa essere aggredito dalla penna di un altro uomo: quando un uomo di un giornale (o telegiornale) si trova davanti un uomo senza giornale, quest'ultimo è finito.

Non condivido che si dia del tu pubblicamente, per sfida e non per affetto, alla terza carica del mio Stato (di qualunque parte politica sia).

Non condivido che lo si tratti in modo irrispettoso, saccente e superbo... dalla prima pagina di un giornale nazionale. E questo perché, nel suo ruolo istituzionale, mi rappresenta, ma ancor più e ancor prima perché è un uomo. Chi sapesse veramente usare la lingua italiana avrebbe mille modi per esprimere le sue opinioni, anche con fermezza, ma senza offendere.

Non mi metto su nessun piedistallo dall'alto del quale giudicare; non voglio zittire nessuno; non scaglio la prima pietra, poiché non sono senza peccato.

Il fatto che io non condivida può forse non importare a nessuno: pazienza. Però lo dico.

Perché un domani (o oggi stesso) quando un ragazzino risponderà male a suo padre vorrei potergli dire che non gli sta dimostrando amore; quando un liceale imprecherà contro la prof in corridoio o sulle colonne del giornalino scolastico vorrei invitarlo al confronto serrato, ma leale; quando una giovane urlerà contro il suo ex dal microfono di una trasmissione televisiva vorrei salvaguardare la dignità dei suoi sentimenti; quando mille alzeranno un braccio (destro o sinistro, con la mano stesa o il pugno chiuso) gridando le loro maledizioni al padrone o allo straniero, vorrei poter ricercare con loro le vie della giustizia.

Vorrei che ciascuno potesse dire la sua, cercando di avvicinarsi al vero, con stile, rispetto e umiltà; e che ne abbia il diritto, le capacità, le condizioni, l'opportunità. E non che possano parlare solo alcuni, quelli che hanno la voce più forte, talmente forte da zittire quella altrui.

Vorrei che nessuno debba aver paura di essere graffiato, ferito, squartato nel momento in cui apre un giornale o accende la tv.



Lo so, vorrei troppe cose, con presunzione e idealismo. Ma altri queste cose non le vogliono, è chiaro.

Se oggi non dico nulla, non diciamo nulla, sarà più difficile o quasi impossibile pronunciarsi fra qualche tempo.

don Chisciotte

Qui trovi la mappa per raggiungere il passo di Lucomagno, dove - probabilmente - san Colombano valicò le Alpi. A Olivone si trova una cappella dedicata a lui.
Come si fa a dire che siamo "autonomi", quando l'arma specifica della pubblicità è quella del convincimento (= condizionamento) occulto?!

E poi: aver "imparato" le regole del linguaggio pubblicitario e la sua primazia nel modo di comunicare, non rischia di far cadere nella scorciatoia di tradurre (e tradire) nell'unica  forma "marketing" anche altre sfere delle relazioni (p.e. l'affettività, lo studio, i rapporti intergenerazionali...), impoverendo così sia il linguaggio che la relazione stessa?

Preferisco il mio "no comment" all'interpretazione di "democratizzazione della società" intesa come distribuzione a tutti dei prodotti firmati...


don Chisciotte


 


Crescere con il logo in testa

I più giovani sanno usare d'istinto gli strumenti del linguaggio pubblicitario

Il mondo perfetto per i bambini? Quello dove tutti possono permettersi oggetti firmati

Chi se li immagina come novelli Romolo e Remo, costretti a trangugiare inconsapevolmente il latte di matrigna-tv, narcotizzati sul divano, senza difese, davanti a un bombardamento di spot, è rimasto indietro di un paio di generazioni. Una ricerca dell'università Bocconi (...) dimostra che i ragazzini della scuola primaria sono tutto fuorché bersagli passivi di slogan e loghi. «Dopo il 2000 l'interesse delle aziende per i comportamenti di consumo dei bambini è cresciuto in modo esponenziale - spiega la professoressa Stefania Borghini -. I ragazzini sono più autonomi nelle scelte, specialmente per i vestiti, i prodotti per la scuola e sempre di più per le nuove tecnologie».

I bambini di oggi, quelli che hanno tra i 7 e gli 11 anni, innanzitutto non si sentono più bambini da un pezzo. Negli Stati Uniti hanno anche uno slogan: «Don't call me kid, I'm a tween». Per definire l'età compresa fra infanzia e adolescenza, infatti, oggi si usa un termine preso dalla Terra di mezzo di Tolkien. «Tween», appunto, i giovani «hobbit». Ma non è solo una questione di parole. In America, come raccontava un'inchiesta dell'Economist, ormai anche i produttori di auto e i villaggi vacanze fanno campagne mirate sui canali Tv dedicati ai bambini. I figli influenzano per almeno il 47% gli acquisti delle famiglie: un affare che vale 40 miliardi di dollari in bambole, soldatini e videogame, e altri 680 miliardi per le spese indotte più o meno direttamente. «Fino a qualche anno fa il problema era capire se i più piccoli riuscissero a distinguere fra pubblicità e intrattenimento - continua la professoressa Borghini -. Oggi sappiamo che i bambini distinguono benissimo. Anzi: hanno un atteggiamento critico e comprendono molto bene i meccanismi pubblicitari».

Lo studio dell'università milanese dimostra che hanno ben radicato il concetto di marca («Distingue i prodotti buoni da quelli cattivi», «È una firma che si mette sui prodotti per renderli riconoscibili»), quello di target e persino la necessità di veicolare i messaggi in modo differenziato a seconda del tipo di media utilizzato. Le loro marche di abbigliamento preferite, inoltre sono quelle «che consentono di comunicare agli altri il proprio Io e di ottenere accettazione sociale tramite il conformismo». Sanno anche che i pubblicitari hanno scelto proprio quello slogan perché «attraverso queste parole questa marca di abbigliamento può farti sentire meglio spiritualmente, senza le preoccupazioni della vita di tutti i giorni».

Ma la cosa più impressionante, come dimostra un esperimento condotto in alcune scuole elementari milanesi, è che i ragazzini riescono a maneggiare con naturalezza il linguaggio pubblicitario. «Conoscono le regole del marketing, sanno creare jingle originali e comprendono la natura del “pay off”, il ritornello di ogni spot - prosegue Stefania Borghini -. I test dimostrano che a nove anni non scriverebbero mai: “Comprate queste belle scarpe” perché sanno che è molto più efficace un “Con queste scarpe volerete nella totale libertà”». Insomma: i «tween» hanno il marketing nel loro dna. «Ma c'è di più - conclude la professoressa - percepiscono le connotazioni sociali del concetto di marca e cercano di sovvertirne il significato perché sono consapevoli che l'altra faccia dello status symbol è la discriminazione. Attraverso il mercato, cercano di raggiungere una maggiore democratizzazione della società». Il mondo perfetto è quello dove tutti possono avere oggetti firmati. (...)

Ma c'è anche chi consiglia di non abbassare la guardia: «Negli ultimi anni c'è stata una significativa evoluzione delle capacità cognitive dei bambini. Molti di loro sono in grado di smontare i messaggi pubblicitari - analizza Anna Oliverio Ferraris, docente di Psicologia dello Sviluppo -. Non dimentichiamoci, però, che l'arte della manipolazione pubblicitaria agisce anche nell'inconscio. Un conto è sapere che un giocatore è stato scelto da una marca di acqua minerale con fini strumentali, un altro è non essere condizionati dal proprio idolo».


«Noi non abbiamo più un imperatore anticristiano che ci perseguita, ma dobbiamo lottare contro un persecutore ancora più insidioso, un nemico che lusinga; non ci flagella la schiena ma ci accarezza il ventre; non ci confisca i beni (dandoci così la vita), ma ci arricchisce per darci la morte; non ci spinge verso la libertà mettendoci in carcere, ma verso la schiavitù invitandoci e onorandoci nel palazzo; non ci colpisce il corpo, ma prende possesso del cuore; non ci taglia la testa con la spada, ma ci uccide l'anima con il denaro».


s. Ilario di Poitiers, Contro l'imperatore Costanzo 5, IV secolo

La droga corre su Internet. Al fast food dello sballo totale

Consigli per comprarla, consumarla, produrla. Si moltiplicano i siti della «gioventù drogata»

Kirit: «Ho 20 anni. Ho iniziato a fumare canne a 16. Due anni fa ho provato il primo e unico acido (da rifare). L'anno scorso ho provato speed, ketamina e oppio. Ora fumo solo». Ale, 25 anni: «A 18 coca, a 19 paste, speed, keta, mdma, a 20 canne. Quando smetto te lo dico». Hcsensation, 20 anni, «A 18, eroina fumata, a 19 e 20, ero e coca fumate e pippate, mdma, speed, oppio, ketamina, lsd, eroina in vena. Ci sono sempre più sotto altro che smettere».

Storie di ordinario sconvolgimento, affidate a internet. Un'indagine Eurobarometro ha rivelato che i giovani europei, quando cercano informazioni sugli stupefacenti, accendono il computer e si mettono a navigare. In siti da leggere, ma anche da scrivere. Per chiedere, raccontare, discutere, cercare aiuto. E per scambiarsi consigli e ricette. In siti specializzati o in gruppi di discussione, come il forum di Girlpower, dove confrontarsi tra pari, senza mediatori professionali.

C'è chi ha iniziato a 12 anni con la trielina e poi le ha passate tutte, chi a 18 con la cocaina e il primo spinello l'ha acceso a 20, dopo aver «sperimentato» amfetamina e mdma. Per tutti o quasi la prima sostanza è l'alcol, ne abusano ben prima dei 15 anni. Le pasticche si ingoiano un po' dopo. A 17 siamo già in zona eroina e cocaina. Non sembrano esserci strade obbligate. La scelta delle sostanze dipende dai luoghi frequentati, dalle preferenze personali, dalle abitudini del gruppo. Gp, 17 anni e una discreta esperienza, iniziata a 12 con una sbronza, da un anno fumatore di eroina (la bruciano sulla stagnola e ne inalano i fumi) e sniffatore di cocaina: «Ora come ora le cose vanno bene. Anche se resta la paura di perdere il controllo». P4oloz: «Lo perderai, stanne certo. Adesso sembra rose e fiori, poi pagherai tutto con gli interessi. Ti auguro il meglio». L'alcol non è l'unica droga legale che ricorre. Si chiede Incantevole: «L'abuso di psicofarmaci può essere considerata una dipendenza? Io non ho mai usato droghe ma abuso di sonniferi, benzodiazepine, antidepressivi». Sembra tutto sottomano.

Crazy, 22 anni: «Quelli con cui ho iniziato li ho conosciuti a scuola, medie e liceo. Tutte le persone che frequento si fanno, in un modo o nell'altro». Candy replica: «A scuola mia nessuno si fa le canne in bagno, e raramente fumano in cortile, figurati il resto». Meg rincara: «Ne ho a valanghe in classe, frequento il liceo classico, non è questione di ambiente protetto, gira ovunque, a scuola, nella mia parrocchia, i primi a propormi qualcosa sono stati i compagni di scout, vedi tu».

Si racconta chi comincia: per noia, divertimento, timidezza, depressione (Crazy: «Ma se hai già dei problemi la droga a lungo andare non farà altro che amplificarli»). Chi continua e vuole provare sempre cose nuove (e magari «l'mdma non riesco più a trovarla» mentre «la piazza è piena di coca e ero»). Ma anche chi ha smesso, come Vincent99, anche se «il desiderio di un'ultima volta è ancora forte». Nel gruppo, per quanto virtuale, si fa forza. E mette l'esperienza a disposizione. Jox81: «Nell'eroina era facile caderci negli Anni ‘80 quando non si sapevano i rischi, ora il 99% della gente considera la roba una merda». FreeTibet dissente: «Questa percezione ce l'ha chi ricorda gli schioppini ad ogni angolo a farsi le pere, chi ha ora 16 anni che vuoi che si ricordi?». Vincent99 sentenzia: «Oggi vanno fortissimo le stagnole, un metodo di consumo che si crede erroneamente più sano. La perdita della memoria storica è gravissima, è la causa di questo grande revival dell'eroina».

Se in XXX lo scambio è soprattutto di esperienze e opinioni (anche per l'apparire dei moderatori: «non potete scrivere i metodi per drogarvi meglio, da regolamento»), nella discussione ospitata da XXXX la curiosità spinge oltre. Don Mimmo: «Come si prepara l'amanita muscaria? C'è chi dice leggera bollitura. Chi aggiunge del limone. Chi dice di bollirla per almeno mezzora. Chi la mangia cruda. Qualcuno sa dare indicazioni?». ElTigno: «Fresca l'amanita ha soprattutto acido ibotenico, se la fai seccare dovrebbe trasformarsi in muscimolo, che è il principale ingrediente allucinogeno, e dovresti perdere gran parte degli effetti collaterali», seguono altri otto post di oscuri consigli chimico-culinari. È un linguaggio da iniziati. Chi cerca strumenti per l'autoproduzione generalmente va nei siti specializzati, anche stranieri (...).






Franco Nebbia

Vademecum Tango (1962)

Mutatis mutandis absit iniuria verbis

temporibus illis obtorto collo ... tango!

Ubi maior minor cessat talis pater talis filius

motu proprio ad maiora

ahi, vademecum tango, ad usum Delphini.

Ubi maior minor cessat talis pater talis filius

motu proprio ad maiora

ahi, vademecum tango... sed alea iacta est!

Memento audere semper mala tempora currunt.

Per aspera ad astra parva sed apta mihi

horribile visu sed ex abrupto... tango!

Ubi maior minor cessat talis pater talis filius

motu proprio ad maiora

ahi, vademecum tango, ad usum Delphini.

Ubi maior minor cessat talis pater talis filius

motu proprio ad maiora

ahi, vademecum tango... sed alea iacta est!

Ubi maior minor cessat talis pater talis filius

motu proprio ad maiora

ahi, vademecum tango, ad usum Delphini.

Ubi maior minor cessat talis pater talis filius

motu proprio ad maiora

ahi, vademecum tango...  sed alea iacta est!

Ipso facto magna pars!

«Temi tu forse che, compiendo molte elemosine, per la tua prodigalità possa venir meno il patrimonio e tu ti riduca in povertà? Quanto a ciò non ti sgomentare. Sta' sicuro che di quello che si spende in uso di Cristo e si adopera per un'opera degna del cielo, non si vede mai la fine. E non ti prometto questo per mia opinione, ma fondandomi sulle parole della sacra Scrittura e sulle promesse dell'autorità divina: « Per chi dà al povero non c'è indigenza, ma chi gli chiude gli occhi sarà in grande carestia» (Prv 28, 27). Inoltre, S. Paolo apostolo, pieno della grazia della divina ispirazione, dice: « Colui che somministra il seme al seminatore e il pane per il nutrimento, somministrerà e moltiplicherà anche la vostra semente e farà crescere i frutti della vostra giustizia» (2 Cor 9,10). (...)

Tu dubiti forse che il tuo patrimonio venga meno, se con esso cominci a compiere con larghezza opere buone? Non ti accorgi che, mentre temi di perdere il patrimonio per te, perdi te stesso per il patrimonio. Pensi tu forse che chi nutre Cristo, non sia nutrito da Cristo stesso? E che chi ci dà le cose celesti e divine, ci faccia venir meno quelle terrene?

Tu conservi i denari, ma questi, non conservano te. Deciditi, dividi le tue rendite con il tuo Signore, spartisci i tuoi frutti con Cristo; rendi Cristo partecipe di ciò che possiedi in terra affinché poi egli ti chiami con sé all'eredità del regno dei cieli.

san Cipriano, Le opere e le elemosine, 9-10

E' uscito il nuovo numero della rivista teologica del Seminario di Milano "La Scuola Cattolica".

Il volume riporta gli atti della Giornata Interdisciplinare dedicata alla presentazione della prassi e della teologia delle diverse confessioni cristiane nei confronti dei fedeli divorziati:

Klemens Stock

Impressioni e riflessioni sul sinodo dei vescovi 2008

Aristide Fumagalli

L'attuale disciplina della Chiesa Cattolica circa i fedeli divorziati risposati

Alberto Conci

Matrimonio e divorzio nella tradizione protestante

Marco Paleari

Le seconde e terze nozze nelle Chiese ortodosse

Ermenegildo Conti

Uomo, identità e soggetto. Discutendo con Foucault

Pietro Lorenzo Maggioni

II  "regno dei cieli": metafora promettente per l'annuncio in Cina

La fine delle passioni

I nonni volevano cambiare il mondo, i nipoti l'iPod

di Silvia Vegetti Finzi

(...) Mentre l'Ottocento

Dal Vangelo di oggi una parola circa il senso dell'accoglienza di chi ci chiede le briciole delle nostre tavole.



dal Vangelo secondo Luca (16, 19-31)

Gesù disse: «C'era un uomo ricco, che indossava vestiti di porpora e di lino finissimo, e ogni giorno si dava a lauti banchetti. Un povero, di nome Lazzaro, stava alla sua porta, coperto di piaghe, bramoso di sfamarsi con quello che cadeva dalla tavola del ricco; ma erano i cani che venivano a leccare le sue piaghe. Un giorno il povero morì e fu portato dagli angeli accanto ad Abramo. Morì anche il ricco e fu sepolto. Stando negli inferi fra i tormenti, alzò gli occhi e vide di lontano Abramo, e Lazzaro accanto a lui. Allora gridando disse: “Padre Abramo, abbi pietà di me e manda Lazzaro a intingere nell'acqua la punta del dito e a bagnarmi la lingua, perché soffro terribilmente in questa fiamma”. Ma Abramo rispose: “Figlio, ricòrdati che, nella vita, tu hai ricevuto i tuoi beni, e Lazzaro i suoi mali; ma ora in questo modo lui è consolato, tu invece sei in mezzo ai tormenti. Per di più, tra noi e voi è stato fissato un grande abisso: coloro che di qui vogliono passare da voi, non possono, né di lì possono giungere fino a noi”. E quello replicò: “Allora, padre, ti prego di mandare Lazzaro a casa di mio padre, perché ho cinque fratelli. Li ammonisca severamente, perché non vengano anch'essi in questo luogo di tormento”. Ma Abramo rispose: “Hanno Mosè e i Profeti; ascoltino loro”. E lui replicò: “No, padre Abramo, ma se dai morti qualcuno andrà da loro, si convertiranno”. Abramo rispose: “Se non ascoltano Mosè e i Profeti, non saranno persuasi neanche se uno risorgesse dai morti”».





Angelo Branduardi - La lepre nella luna (1977)

Viveva già molto tempo fa la lepre con la volpe e la scimmia...

non ricordo chi ne raccontò la storia, molti anni fa

Per tutto il giorno giocavano felici su per colline e giù per i prati

e a sera si stringevano vicinì, per affrontare il buio della notte,

Chissà chi me lo raccontò...

Veniva per la stessa via un vecchio che a sè li chiamò:

"Chi di voi tre mi aiuterà sarà da me premiato".

Volpe e scimmia si diedero da fare, mentre la lepre continuava a giocare:

correva per i prati spensierata e dai suoi stessi amici fu tradita.

Chissà chi me lo raccontò...

Davanti al cibo che gli fu servito il vecchio certo penso:

"Povera lepre ti han tradita gli amici che tu amavi".

Volpe e scimmia si gurdavano stupite mentre la lepre col vecchio se ne andava

da allora sempre gioca spensierata là in alto, nel palazzo della luna.

Viveva già, ma è tempo fa la lepre con la volpe e la scimmia.

non ricordo chi mi raccontò la storia, molti anni fa

di come la lepre un giorno li lasciò e nella luna a vivere se ne andò:

Correva per i prati spensiereta e dai suoi stessi amici fu tradita


Rispetto a quello che si è sentito in questi giorni, condivido che tacere è meglio! E magari invocare la Sapienza.


don Chisciotte


Ultimo assedio

di Giacomo Galeazzi

(...) Nei Sacri Palazzi cresce l'imbarazzo. "E' nota la mia propensione a parlare con i giornalisti ma quando non posso, non posso" - taglia corto l'arcivescovo Rino Fisichella, ministro vaticano della Bioetica e cappellano di Montecitorio. "Non commento la vicenda Boffo perché non sono autorizzato". Massima cautela anche nei vertici dell'episcopato nazionale. "Seguiamo con attenzione e aspettiamo la maturazione delle cose" - si limita a dire il vicepresidente della Cei, Agostino Superbo -. "Il nome della Chiesa deve rimanere alto e so che ci tiene anche Boffo". Ieri sulle grida del Giornale ("Il direttore di Avvenire ha mentito") e quelle di Avvenire ("Le carte confermano, caso montato ad arte") ha avuto la meglio il riserbio della Curia. Inutile chiedere spiegazioni al capo della Chiesa italiana, Bagnasco: telefoni spenti, impegni urgenti, nessuna dichiarazione ufficiale. "Non ce n'é bisogno non dobbiamo rispondere a ogni voce sulla vicenda, in questo momento è meglio il silenzio", avvertono Oltretevere.


Il governo americano ha indetto un concorso per uno spot che promuova la profilassi contro la diffusione dei germi dell'H1N1. Qui trovate dei video interessanti. Ecco un esempio:



 






 

Un paese che non ha più misericordia

di don Gino Rigoldi

Caro Direttore, la scorsa domenica ho letto sulla Stampa l'intervento di Barbara Spinelli che segnalava lo scarso senso delle leggi, soprattutto delle leggi umanitarie da parte di molti italiani. Diceva la giornalista che la cultura corrente, il modo di pensare degli italiani ha perso il senso della pietà ed è sempre più portata a fare legge i propri interessi veri o presunti con scarso rispetto per i diritti sanciti dai parlamenti o dalle organizzazioni internazionali.

Io non posso che essere d'accordo con la Spinelli ma vorrei aggiungere, da cristiano, un'altra osservazione e preoccupazione che come credente mi affligge, preoccupazione che si aggrava quando osservo i comportamenti di certa gerarchia ecclesiastica e del Vaticano.

Lunedì trentuno agosto, in un articolo su di un quotidiano nazionale il direttore dell'Osservatore Romano in pratica rimproverava al direttore dell'Avvenire di aver esagerato nei giudizi sui comportamenti morali del premier. Aggiungeva il direttore del giornale vaticano che i giornalisti «sono a caccia di prelati» più o meno competenti sul tema dei rapporti con il governo e ripeteva per l'ennesima volta che l'opinione di molti prelati non era quella della Santa Sede. Quando ci diranno una volta per tutte quale è l'opinione della Santa Sede? Mi piacerebbe conoscerla.

Io vorrei esprimere, modestamente, il punto di vista di un cristiano che ama leggere tutti i giorni il Vangelo e pregare lungamente sulla parola di Gesù. Nel Carcere dei minorenni di Milano e in diverse città, io cammino a piedi, prendo il tram o la metropolitana, bazzico in alcuni bar di quartiere, nei cortili. Respiro una brutta aria di ostilità, di diffidenza, di domanda di sicurezza fatta con le forze dell'Ordine o dalle ronde, come fossimo non i cittadini della stessa città, persone che sono chiamate a costruire collaborazione e comunità, ma nemici. Non sento più da anni la parola misericordia, solidarietà, accoglienza, vita sociale. Nemici siamo un po' tutti, in modo speciale tutti i poveri, soprattutto gli stranieri. Nel Vangelo che leggo ogni mattina la scelta di fede è chiara: cercare il volto di Dio ed amare i fratelli. Il Dio dei cristiani non è un soggetto sconosciuto ed i suoi comandi non sono vaghi e la fede consiste non tanto nel credere che in qualche parte del cielo Dio esiste quanto, ubbidire ai suoi comandi.

Se la indagine di Sky24 afferma che il 71% degli italiani intervistati ha chiesto il carcere per i cinque scampati dal terribile naufragio che ha fatto annegare nel Mediterraneo quasi settanta somali, si può affermare che la pietà l'è morta, ma anche che viene celebrata la bestemmia più grande contro Dio che in Gesù ci ha comunicato che ogni uomo e donna è figlio o figlia di Dio.

Grandi scandali per i temi familiari e sessuali, grande prudenza a tenere i buoni rapporti con il governo in carica, bacchetta per chi si dimostra moralista. (...) Perfino nelle confessioni il grande peccato che troppi giovani e adulti denunciano è quello del «non essere andati a messa qualche domenica» come se la giustizia, la solidarietà, la politica, l'accoglienza fossero eccezioni per cristiani eccezionali, forse debolezza. (...)

Cappellano Carcere Beccaria di Milano


Bellissimi luoghi! E bellissima la possibilità di vedere dal proprio pc alcuni panorami irlandesi a 360°!

Clicca sull'immagine e stupisci!




Due anni fa il trasloco nella mia attuale residenza. Credo sia efficace ricordarsi di tutto ciò di cui continuo ad aver bisogno.


don Chisciotte



Abbiamo bisogno... di aver bisogno

«Se tu conoscessi il dono di Dio...» (Gv 4,10). La donna di Samaria aveva bisogno di qualcos'altro, anche se fingeva di non accorgersene, si rifiutava di confessarlo.

Il dubbio viene fatto scivolare anche sull'orlo del nostro pozzo. Pure a me Lui [Gesù] insinua, come ha fatto con la samaritana, un salutare sospetto.

- Se tu sapessi di che cosa hai veramente bisogno... E anche:

- Sapessi ciò di cui non hai bisogno, nonostante la pubblicità e le mode congiurino per crearti bisogni fasulli.

Sapessi che cosa ti manca per essere uomo, per avere una faccia un po' più presentabile di cristiano.

Purtroppo credi di aver bisogno di una congerie incredibile di cose inutili, di un cumulo di carabattole. Ne hai bisogno, non puoi farne a meno, e tutti sono disposti ad offrirtele, per nascondere le tue reali necessità, e non prendere coscienza dell'importante, dell'essenziale.

Ti aggrappi al superfluo, per negarti il necessario.

Hai bisogno di Dio, ma insieme hai paura di ammetterlo.

Hai bisogno di tenerezza, però assumi una maschera di durezza.

Hai bisogno di ascoltare, e continui a parlare.

Hai bisogno di libertà, eppure sei affezionato alle catene.

Hai bisogno di antica saggezza, e ti nutri delle pagine del giornale o dell'ultimo best-seller.

Hai bisogno di Vangelo, e riempi la casa di libriccini pietistici (e non di rado pietosi).

Hai bisogno di convinzioni profonde, e pretendi galleggiare sull'entusiasmo epidermico.

Hai bisogno di meditazione seria, e continui a gargarizzare slogan e formule.

Hai bisogno di fantasia, e ti ostini a copiare da tutto e da tutti (e soprattutto da te stesso, dalle tue

abitudini).

Hai bisogno di conversione, e non fai altro che lamentarti degli altri.

Hai bisogno di sincerità verso te stesso, e ti accanisci ad anestetizzare le tue ferite più profonde raccontandoti favole, che non hanno neppure il pregio della poesia.

Hai bisogno di esempi, di maestri, di modelli veri, e corri dietro a tutti i ciarlatani pittoreschi e chiassosi che spuntano sulle piazze.

Hai bisogno di morire come il chicco di grano sepolto sotto la dura crosta della terra (Gv 12,24), e insegui il successo, la popolarità, i facili consensi, i risultati immediati.

Hai bisogno di mistero, ed esigi che tutto sia chiaro, logico, rassicurante, evidente, garantito.

Hai bisogno di deciderti, comprometterti, tagliare, e rifiuti il rischio.

Hai bisogno di lanciarti nell'avventura, e non abbandoni la confortevole sala d'attesa.

Hai bisogno di speranza, e ti lasci abbagliare da illusioni dorate.

Hai bisogno di moralità che non sia moralismo, di verità intere e non dimezzate, di preghiera vera e non di devozionalismo, di spiritualità robusta e non di sentimentalismo, di fede e non di miracolismo, di impegno e non di velleitarismo, di fedeltà e non di emozioni, di carità e non di chiacchiere inconcludenti, di capacità di sacrificio e non di vittimismo, di umiltà e non di discorsi sull'umiltà, di qualcosa che hai sotto gli occhi e non vedi...

Hai bisogno di lasciarti amare, di lasciarti fare, di lasciarti donare.

Insomma, hai bisogno di... aver bisogno.

Devi diventare capace di ricevere.


Alessandro Pronzato, Le donne che hanno incontrato Gesù, 33-35
Cosa c'è dietro alle accuse contro il direttore di "Avvenire"

È un brutale attacco alla libertà di critica

Criticare sui giornali gli atti di un Governo è e resta un carattere irrinunciabile della democrazia.

Una sola cosa è sicura nella torbida vicenda in cui è stato coinvolto il direttore di Avvenire Dino Boffo: si è trattato di una brutale risposta de il Giornale diretto da Vittorio Feltri alla campagna, aperta e guidata con insistenza da la Repubblica, sui comportamenti personali del primo ministro Silvio Berlusconi. Un'ovvia verità, suffragata dallo stesso Feltri e corroborata da molti articoli usciti sul suo quotidiano nei giorni successivi, nei quali si è sostenuta la medesima tesi: chi la fa l'aspetti, il moralismo non paga chi ci si avventura. E il primo a pagare è stato Dino Boffo, indicato da Feltri come il «capofila dei moralisti impegnati a lanciare anatemi contro Silvio Berlusconi per le sue vicende private».

Il punto chiave della brutta storia è un documento anonimo (....) In quella "informativa" sulla personalità di Dino Boffo (in cui ovviamente l'interessato non si riconosce affatto) si legge una frase che colpisce chiunque la legga con un minimo di attenzione politica: egli, si dice in quello scritto anonimo, «gode indubbiamente di alte protezioni, correità e coperture in sede ecclesiastica».

La domanda legittima è questa: chi ha confezionato quel documento, ma soprattutto chi se ne è servito per suscitare una polemica estremamente delicata, si è reso conto che coinvolgere direttamente e scioccamente la Chiesa in un evidente conflitto con lo Stato

L'amore consiste nel rendere la persona amata «familiare e divina al tempo stesso».


Franco Ferrucci, Il mondo creato
Comincia il mese di settembre.

Un anno fa, nel settembre 2008, avevo raccolto le principali voci di cambiamento dei precedenti dodici mesi.

Nel periodo settembre 2007 - settembre 2008 ho cambiato:

- lo status sociale: sono diventato zio!

- il luogo di residenza: dall'appartamento di Milano alla camera di Venegono;

- le condizioni di vita: ambienti, orari, alimentazione, relazioni...

- il servizio ecclesiale: da coadiutore-insegnante a teologo a tempo pieno;

- il servizio pastorale: da una parrocchia di Milano a quattro parrocchie tra Varese e Como;

- l'auto: dalla Chrysler Grand Voyager alla Toyota Corolla;

- la moto: dalla BMW RT 850 alla BMW GS 1150 Adventure;

- il tipo e lo stile di sito, con la nascita di SeiTreSeiUno;

- il cellulare;

- ...

E poi dicono che la vita non cambia...

Sarò cambiato anch'io? Me lo auguro.


don Chisciotte