Tradizione rispettata!
Anche quest'anno,
giretto (micro) in moto
durante i tre giorni "della merla".
Grande BMW!
don Chisciotte

«Costringete gli uomini a stare sdraiati per giorni e giorni:
là dove guerre e slogan hanno fallito riuscirebbero i divani.
Perché le operazioni della noia superano in efficacia
quelle delle armi e delle ideologie».
Emil Cioran, Sillogismi dell’amarezza

«Davide in questo momento (cfr Sal 8) alza gli occhi e vede il cielo sopra di sé, vede queste stelle meravigliose che ci stupiscono ancora oggi quando le contempliamo dal deserto di Giuda, con una chiarezza, con una limpidità che quasi trafiggono gli occhi.
E Davide incomincia a pensare: "Ma come è grande Dio, come è immenso! E in fondo come è piccola la mia vicenda. Sì, io mi sono fatto importante, ho creduto di essere qualcuno, e ora tutta la mia fortuna è andata a rotoli. Ma che cosa sono io di fronte a questo immenso universo? Di fronte a questo tempo senza fine di Dio? Di fronte a queste ricchezze sterminate che le dita di Dio hanno intessuto nella volta del cielo?".
E mentre Davide si immerge in questa contemplazione, si placa gradualmente, dimentica i suoi affanni, il suo passato;
si perde in questo sguardo verso le opere di Dio, e a un certo momento pensa: "Ma io sono amato da Dio! In fondo tutto questo universo è per me, Dio si ricorda di me, Dio non può dimenticarmi, Dio mi visita".
Ed ecco lo stupore del salmo: l'uomo che sente la sua povertà, la sua fragilità, e improvvisamente si scopre al centro dell'universo, al centro dell'amore di Dio, della sua visita».
Carlo Maria Martini, Il desiderio di Dio. Pregare i salmi, 47

Anche ieri, Giornata della Memoria,
ho fatto l'ennesima esperienza di modi di fare,
con prepotenza e stupidità,
che mi farebbero reagire con violenza.
Devo fare memoria
che questa reazione non sarebbe
nè efficace nè evangelica.
don Chisciotte
«E come potevamo noi cantare
con il piede straniero sopra il cuore,
fra i morti abbandonati nelle piazze
sull’erba dura di ghiaccio,
al lamento d’agnello dei fanciulli,
all’urlo nero della madre che andava incontro al figlio
crocifisso sul palo del telegrafo?
Alle fronde dei salici, per voto,
anche le nostre cetre erano appese,
oscillavano lievi al triste vento».

Salvatore Quasimodo
"Alle fronde dei salici"
dalla raccolta "Giorno dopo giorno" (1947)


Juri Camisasca
IL CARMELO DI ECHT
1991
 
E per vivere in solitudine nella pace e nel silenzio 
ai confini della realtà, 
mentre ad Auschwitz soffiava forte il vento (continua qui sotto)


«Il senso dell’atto sessuale, il senso della famiglia, il senso dell’amore è tutto in questa tensione a realizzare l’immagine di Dio, a dar carne all’idealizzazione amorosa che vede nell’amato molto più di quello che appare nella banalità quotidiana e che, lungi dall’essere una fantasia, è pegno di una forza che, più che umana, è comunque definitoria per l’uomo e gli dà la capacità di compiere nella realtà ciò che altrimenti resterebbe sul piano dei puri sentimenti e presto ricadrebbe o nella pura animalità o nella pura socialità altrettanto astratta.
Ed Eros ha appunto questo compito: generare nella bellezza, dare cioè realtà all’immagine di Dio nell’uomo; l’unico criterio dell’amore è quello della pienezza della persona, della sua unitotalità conforme all’immagine, che ci è donata così come ci è donata ogni unità: quella tra uomo, cosmo e Dio al pari di quella della Chiesa».
Adriano Dell'Asta, «Introduzione», in Vladimir Solov'ev, Il significato dell’amore e altri scritti, 44.

«Di tutto restano tre cose:
la certezza
che stiamo sempre iniziando;
la certezza
che abbiamo bisogno di continuare;
la certezza
che saremo interrotti prima di finire.
Pertanto, dobbiamo fare:
dell'interruzione,
un nuovo cammino;
della caduta,
un passo di danza;
della paura;
una scala,
del sogno;
un ponte,
del bisogno;
un incontro».
 
Fernando Pessoa

[Disse Mosé]: "Esistono i solitari, separati in mezzo alla comunità.
Battono piste nuove per le mandrie,
fissano mappe in cielo,
vanno dove neanche corrono i confini.
Abbiamo imparato a conoscere il mondo
grazie agli esploratori che vanno sul mare che non lascia traccia".
[Rispose Aronne]: "Certo esistono i solitari ma per loro mestiere,
come il tuo di pastore che frughi vastità in cerca di acqua e ombra
e ritorni con bestie più sane e numerose.
Esistono solitudini giuste, di lavoro, non vocazioni all'isolamento.
A un uomo occorre una comunità.
Senza questo accampamento non avresti trovato scopo né sostegno."
Erri De Luca, E disse, 28
«Nella Chiesa non esistono solo moti che,
per essere legittimi, devono essere permessi dall'istanza superiore,
nell'ufficio gerarchico.
Esso non deve meravigliarsi e mostrarsi dispiaciuto
se una vita dello Spirito si muove
prima di essere stata pianificata nei ministeri della Chiesa.
E i sudditi non possono pensare di non avere nulla da fare
prima che sia trasmesso dall'alto».
Karl Rahner, 1956 

Il pudore ai tempi di internet 
intervista a Claudio Magris
a cura di Alessandro Zuccari 
 
A un certo punto, mentre si parla di verità nascoste e regole del silenzio, Claudio Magris fa una pausa, come se avesse un ripensamento: «Bisognerebbe scrivere un altro saggio – dice –. Sul rispetto o, meglio, sul pudore. Esiste un diritto all’opacità, come lo definiva lo scrittore Édouard Glissant, un’esigenza di non essere passati da parte a parte». Il gusto della sfumatura e il coraggio della distinzione sono, del resto, i tratti dominanti di Segreti e no (Bompiani, pagine 64, euro 7,00), nel quale Magris, da germanista e narratore, mette in dubbio l’ossessione contemporanea per la trasparenza incondizionata. «WikiLeaks, teorie del complotto, rivelazioni in tempo reale – elenca – ma se vogliamo capire l’Afghanistan degli ultimi anni dobbiamo andare a rileggerci il Kim di Kipling…». 
Non si fida dei segreti, professore? 
«Al contrario, ne ho grande rispetto. Proprio per questo, però, mi mette a disagio la schizofrenia in cui viviamo oggi. Da una parte siamo ossessionati dall’esigenza di trame occulte, dall’altra siamo in preda alla febbre della confessione pubblica. Tutto deve essere detto, tutti devono sapere, non c’è nulla che vada trattato con discrezione». 
Ne fa una questione politica? 
«Una questione di stile, in primo luogo. Sono cresciuto nella consapevolezza che l’amicizia è una realtà che coinvolge poche persone. Quando si ha una confidenza importante da fare, ci si rivolge a qualcuno che si conosce, non si chiude un messaggio nella bottiglia per poi affidarlo ai marosi di Internet. Rinunciare al segreto è un passo impegnativo, e anche molto rischioso». 
Perché? 
«Perché induce al cinismo, al pregiudizio meschino per cui così fan tutti, ogni armadio è pieno di scheletri, ogni segreto ne dissimula un altro. Viene meno il rispetto dell’altro, appunto, che già Kant considerava come una pre-virtù irrinunciabile. E la lotta contro il vizio non diventa per questo più efficace». 

Ritratti mozzafiato delle tribù più sperdute nel mondo
prima che scompaiano.


«Differire, anche profondamente, l’uno dall’altro
non è affatto essere nemici:
è essere.
Riconoscere ed accettare la propria differenza
non è orgoglio.
Riconoscere ed accettare la differenza dell’altro
non è debolezza.
Se unione deve esserci,
se l’unione ha un senso,
essa non può che essere tra persone che sono differenti.
E’ in primo luogo nel riconoscimento e nell’accettazione
che la differenza è superata e l’unione si realizza».
Henri De Lubac, Paradossi e nuovi paradossi, 77

«L’altro è là, proprio là,
presente,
sotto il mio sguardo,
a portata di mano,
la sua voce fa vibrare i miei timpani;
eppure ho sempre, al tempo stesso,
la percezione che mi resti invisibile,
inafferrabile,
al di là di ciò che posso vedere,
toccare,
o anche udire.
Sempre altro,
mistero per me,
mistero per se stesso».
Xavier Lacroix, Il corpo e lo spirito, 101

Signore, mio Dio, ti ringrazio 
di questo giorno che si chiude; 
ti ringrazio di aver dato riposo al corpo e all'anima. 
La tua mano è stata su di me, 
mi ha protetto e mi ha difeso. 
Perdona tutti i momenti di poca fede 
e le ingiustizie di questo giorno. 
Aiutami a perdonare tutti coloro 
che sono stati ingiusti con me. 
Ti affido i miei cari, ti affido questa casa, 
ti affido il mio corpo e la mia anima. 
Dio, sia santificato il tuo santo nome.
Dietrich Bonhoeffer

Al cominciar del giorno, Dio, ti chiamo. 
Aiutami a pregare e a raccogliere i miei pensieri su di te; 
da solo non sono capace. 
In me c'è buio, ma in te c'è la luce; 
io sono solo, ma tu non mi lasci; 
io non ho coraggio, ma tu mi sei d'aiuto; 
io sono inquieto, ma in te c'è la pace; 
in me c'è amarezza, in te pazienza; 
io non capisco le tue vie, 
ma tu sai qual è la mia strada. 
Signore, qualunque cosa rechi questo giorno, 
il tuo nome sia lodato!
Dietrich Bonhoeffer

Spirito di Pentecoste ridestaci all'antico mandato di profeti,
dissigilla le nostre labbra, contratte dalle prudenze carnali.
Introduci nelle nostre vene il rigetto per ogni compromesso.
E donaci la nausea di lusingare i detentori del potere per trarne vantaggio. 
Trattienici dalle ambiguità.
Facci la grazia del voltastomaco per i nostri peccati.
Poni il tuo marchio di origine controllata sulle nostre testimonianze. 
E facci aborrire dalle parole, quando esse non trovino puntuale verifica nei fatti. 
Spalanca i cancelletti dei nostri cenacoli.
Aiutaci a vedere i riverberi delle tue fiamme nei processi di purificazione che avvengono in tutti gli angoli della terra.
Aprici a fiducie ecumeniche.
E in ogni uomo di buona volontà facci scorgere le orme del tuo passaggio.
don Tonino Bello, Parole d'amore

Che il vento nei vostri capelli vi porti il palpitare della vita.
Che i vostri piedi lascino nella polvere orme di speranza.
Che nell’oscurità voi udiate battere il cuore del prossimo.
Che le vostre mani si protendano come porte che si aprono.
Che le vostre bocche trasmettano quanto vi è dato di ricevere.
Che le vostre orecchie colgano quello che le parole dicono solo a metà.
E che la Grazia del Signore vi accompagni anche là dove non vorreste andare.
antica preghiera irlandese


"Ho appena avuto un incontro silenzioso con un bambino di dieci mesi. Ci siamo guardati negli occhi per più di un quarto d’ora. Negli occhi ci sono più parole che nei libri. Il nostro incontro era di tipo metafisico. Mi rallegravo della sua presenza e lui si stupiva della mia. Siamo giunti alla stessa conclusione che ci ha fatto scoppiare a ridere nello stesso momento."
Christian Bobin. Risurrezione

Due monaci pregano senza sosta, uno è corrucciato, l’altro sorride.
Il primo domanda: “Com’è possibile che io viva nell’angoscia e tu nella gioia se entrambi preghiamo per lo stesso numero di ore?”
L’altro risponde: “Perchè tu preghi sempre per chiedere e io prego solo per ringraziare".
Alejandro Jodorowsky
Preghiera per entrare nella lectio divina
Concedimi, Signore, di stare alla tua presenza e di adorarti nel profondo del cuore.
Aiutami a fare silenzio intorno a me e dentro di me,
per poter ascoltare meglio la tua voce.
Ispira tu i miei pensieri, sentimenti, desideri e decisioni,
affinché io cerchi sempre e unicamente quello che è più gradito a te.
Spirito Santo, Dono del Padre, crea in me un cuore nuovo,
libero per donarmi senza riserve, seguendo Gesù, povero ed umile.
Maria, Madre di Cristo e Madre della Chiesa,
modello di disponibilità alla voce di Dio,
aiuta la mia con la tua preghiera.
 

«Ci sono persone che pensano e parlano male di me.
Consiglio loro di farlo prendendosi il tempo necessario,
mettendosi comodi, a loro agio:
l'argomento è vasto,
interessante,
difficile da trattare
e richiede la massima concentrazione».
Damiano T.

«Io sono convinto di una cosa: i grandi cambiamenti della storia si sono realizzati quando la realtà è stata vista non dal centro, ma dalla periferia.
È una questione ermeneutica: si comprende la realtà solamente se la si guarda dalla periferia,
e non se il nostro sguardo è posto in un centro equidistante da tutto.
Per capire davvero la realtà, dobbiamo spostarci dalla posizione centrale di calma e tranquillità e dirigerci verso la zona periferica.
Stare in periferia aiuta a vedere e capire meglio, a fare un’analisi più corretta della realtà,
rifuggendo dal centralismo e da approcci ideologici. [...]
Non serve essere al centro di una sfera.
Per capire ci dobbiamo “scollocare”, vedere la realtà da più punti di vista differenti.
Dobbiamo abituarci a pensare»
papa Francesco all’Unione Superiori Generali
testo completo scaricabile: www.laciviltacattolica.it

Quando la speranza ci fa rischiare 
di Dacia Maraini
Comincia un anno nuovo. Se solleviamo lo sguardo incontriamo orizzonti appesantiti da grosse nuvole che minacciano tempesta. Che fare? Arrendersi, scappare, deprimersi, disperare? La tentazione c’è, ma pure qualcosa ci dice che dobbiamo dare un calcio ai lamenti e ai mugugni se vogliamo entrare nell’anno nuovo col piede giusto.
Vogliamo cominciare con una parola desueta e impopolare? Una parola screditata perché apparentemente morbida e fragile. Ma che pure ha un cuore di ferro. La parola speranza. Che ad alcuni suscita un risolino beffardo, ad altri uno sbadiglio di noia. Ma pure bisogna riconoscere che senza speranza la realtà la si imbalsama come fosse un corpo morto. Un corpo dal cervello piatto che, nell’euforia dell’onnipotenza tecnologica, teniamo in vita pompando sangue dentro vene inerti.
Ma davvero è quello che vogliamo? Eraclito, che non era certo un ottimista, diceva che «senza speranza è impossibile trovare l’insperato». Sperare infatti non vuol dire mettersi a braccia conserte ad aspettare la manna dal cielo, ma rimboccarsi le maniche e darsi da fare.
«Se ti trovi davanti due strade», scrive Terzani, «una che va in su e una che va in giù, prendi sempre quella che sale». La discesa è più facile, certo, ma di solito ti porta in un buco. Andare in salita è faticoso, ma è una sfida e ti porta in alto.
Pur sapendo che la speranza, come dice Bernanos, è piena di rischi. È addirittura «il rischio dei rischi». Ma se non rischi e ti fermi impaurito, alla fine sarai travolto. Perché, come ci suggerisce quella piccola cosa poetica che è l’orologio, tutto corre e si muove e chi resta fermo viene spazzato via dalla gran scopa della storia.
«La speranza è una cosa dotata di ali», pare di sentire la voce maliziosa e intelligente di Emily Dickinson, «che mette su casa nello spirito e canta un canto senza parole e non si ferma mai». Con quel poco di voce che ci è rimasta, ci tocca cantare, se vogliamo che qualcosa in noi voli. Il pericolo della stasi, suggerisce Naomi Klein, sta nel creare vuoti. «La politica odia il vuoto. Se non è pieno di speranza, qualcuno lo riempirà di paura». E la paura fa sognare draghi dalle mille teste che soffiano fuoco. Per tagliare quelle teste, ci armiamo e partiamo verso guerre inutili e micidiali. La paura arma la mano del razzista, del fanatico, del guerrafondaio. 
Faccio gli auguri alle persone che sanno sperare, come suor Rita e le sorelle di Casa Rut che raccolgono le prostitute minorenni per le strade di Caserta, come gli organizzatori del teatro del carcere di Latina guidate dal generoso Giorgio Maulucci, come il magistrato Di Matteo che sfida la mafia e le sue minacce oscene, come a tutti coloro che, anziché nascondersi dietro il luogo comune «tanto non c’è niente da fare, tanto sono tutti uguali», prendono per mano la vita come fosse un bambino e si incamminano verso una salita impervia con cuore allegro
in “Corriere della Sera” del 31 dicembre 2013

Si può imparare a vivere anche controvento...
e goderne i benefici!


«La fatica di amare ci chiede anche qualche sosta
che ci aiuti a non dare troppa importanza alla nostra presenza,
al nostro lavoro, a ciò che siamo e insegniamo,
per guardare con occhio libero e limpido
persone, culture, religioni e popoli
a cui la nostra vocazione ci manda:
se noi siamo dono per loro,
loro sono dono per noi,
un dono che bisogna saper riconoscere e apprezzare».
Franco Cagnasso, La forza della debolezza. Vangelo e missionari: un tesoro in vasi di creta

Perché il dramma non c'è più?
di Gian Carlo Olcuire
In questi giorni di classifiche delle cose più mirabili e memorabili del 2013, in cima alla lista dei presepi metto quello della parrocchia dell'Immacolata, a Ferrara. Che non ha niente di speciale, all'infuori di una presenza ignorata dalla maggior parte dei presepi: la città arroccata sul colle. Presenza che sarebbe meglio chiamare assenza, vista la sua distanza dalla grotta della Natività. Perché la città se ne sta sulle sue, impermeabile all'odore delle pecore e degli immigrati, piena di luci e di sé. Immagine inquietante, capace di evocare un brano di Vangelo riascoltato da poco: il prologo di Giovanni (1, 9-11), dove si parla del fatto che «veniva nel mondo la luce vera, quella che illumina ogni uomo. Era nel mondo e il mondo è stato fatto per mezzo di lui; eppure il mondo non lo ha riconosciuto». E poi un brano che riascolteremo presto, il giorno dell'Epifania: il racconto dei Magi, in cui si accenna al re Erode che «restò turbato e con lui tutta Gerusalemme» (Mt 2, 3). Per cui la città del presepe ferrarese potrebbe essere tanto Betlemme quanto Gerusalemme.
Affinché non salti su qualcuno a rivendicare diritti di primogenitura, giova ricordare che, tra la fine del XIII secolo e l'inizio del XIV, nella chiesa romana di Santa Maria in Trastevere, Pietro Cavallini raffigurò alle spalle dei Magi una città. O, forse, il palazzo di Erode. Con la stessa volontà - del presepe ferrarese - di non nascondere il dramma. E al contrario dei presepi odierni, che, non mostrandolo, rischiano d'essere dolci come miele. Già: non sono, i nostri presepi, troppo accattivanti, troppo belli, troppo ruffiani? Preoccupati di far sognare o di farsi dire «Che carino!», più che di suscitare un pensiero?
Eppure Gesù è stato spregiudicato nell'uso delle immagini. Non cercava sempre quelle piacevoli e morbide, che non urtano, ma si serviva anche di immagini "brutte, sporche e cattive", facendole valere soltanto in funzione dell'aspetto che gli interessava. Per dire «Fatevi furbi», ha utilizzato un amministratore disonesto (Lc 16). Per dire «Fatevi ascoltare», ha nobilitato persino i rompiscatole, un amico e una vedova (Lc 11 e 18), che - se non altro per sfinimento - sono riusciti a ottenere ciò che chiedevano. Per dire «Fate attenzione, state svegli», non ha avuto paura di accostarsi a un ladro (Mt 24). Né di far riferimento ai giorni di Noè, pur di dare l'idea che la venuta del Figlio dell'uomo sarà imprevedibile e travolgente come il diluvio.
In uno dei mosaici del Duomo di Monreale, possiamo vedere Noè accogliere la colomba che porta nel becco «una tenera foglia d'ulivo» (Gen 8). Mentre più in basso, a pelo d'acqua, un corvo sembra cibarsi dei cadaveri degli annegati. Diciamo la verità: se fossimo chiamati a rifare l'opera, non sceglieremmo forse un'inquadratura ravvicinata di Noè e della colomba, scansando il corvo e gli annegati? Non faremmo un Noè sorridente sotto l'arcobaleno? Però, senza relazione con la tragedia, faremmo apprezzare di meno la pace e l'armonia ritrovate. E la salvezza.
(...)

Ve ringrazio de core, brava gente,
pé ‘sti presepi che me preparate,
ma che li fate a fa'? Si poi v’odiate,
si de st’amore non capite gnente…
 
Pé st’amore sò nato e ce sò morto,
da secoli lo spargo dalla croce,
ma la parola mia pare ‘na voce
sperduta ner deserto,senza ascolto.
 
La gente fa er presepe e nun me sente;
cerca sempre de fallo più sfarzoso ,
però cià er core freddo e indifferente
e nun capisce che senza l’amore
è cianfrusaja che nun cià valore.
 
Trilussa
papa Francesco, dall'omelia alla Chiesa del Gesù, 2.01.2014
“Siamo chiamati a questo abbassamento: essere degli ‘svuotati’. Essere uomini che non devono vivere centrati su se stessi perché il centro della Compagnia è Cristo e la sua Chiesa. E Dio è il Deus semper maior, il Dio che ci sorprende sempre. E se il Dio delle sorprese non è al centro, la Compagnia si disorienta. Per questo, essere gesuita significa essere una persona dal pensiero incompleto, dal pensiero aperto: perché pensa sempre guardando l’orizzonte che è la gloria di Dio sempre maggiore, che ci sorprende senza sosta. E questa è l’inquietudine della nostra voragine. Quella santa e bella inquietudine”.
 
«Dal primato dell' amore e della misericordia di Dio per l'uomo, per tutti e per ogni uomo, nasce nella Chiesa l'urgenza di ripartire sempre e di nuovo da Dio. Ripartire da Dio richiede il coraggio di porsi le domande ultime, di ritrovare la passione per le cose che si vedono leggendole nella prospettiva del Mistero e delle cose che non si vedono. Rispetto al cammino personale del credente significa non dare mai nulla per scontato nella fede, non cullarsi nella presunzione di sapere già ciò che invece è perennemente avvolto nel mistero; significa santa inquietudine e ricerca. Ripartire da Dio vuol dire sapere che noi non lo vediamo, ma lo crediamo e lo cerchiamo così come la notte cerca l'aurora; vuol dire dunque vivere per sé e contagiare altri dell'inquietudine santa di una ricerca senza sosta del volto nascosto del Padre».
Carlo Maria Martini, Ripartiamo da Dio, nn. 17-18, 1995
 

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"Dove c’è lavoro per uno, accorrono in cento.
Se quell’uno guadagna trenta cents, io mi contento di venticinque.
Se quello ne prende venticinque, io lo faccio per venti.
No, prendete me, io ho fame, posso farlo per quindici.
Io ho bambini, ho bambini che han fame!
Io lavoro per niente; per il solo mantenimento. Li vedeste i miei bambini! Pustole in tutto il corpo, deboli che non stanno in piedi. Mi lasciate portar via un po’ di frutta, di quella a terra, abbattuta dal vento, e mi date un po’ di carne per fare il brodo ai miei bambini, io non chiedo altro.
E questo, per taluno, è un bene, perché fa calare le paghe rimanendo invariati i prezzi.
I grandi proprietari giubilano,
e fanno stampare altre migliaia di prospettini di propaganda per attirare altre ondate di straccioni.
E le paghe continuano a calare, e i prezzi restano invariati.
Così tra poco riavremo finalmente la schiavitù".
 
John Steinbeck, Furore, 1939