Conflitto. Non solo scontro, ma confronto 
di Nunzio Galantino 
(...) Vi sono conflitti che aprono la strada a soluzioni, talvolta impreviste. Prendiamo l’esempio dei conflitti sindacali, che possono trovare composizione nel quadro più generale del bene comune o di reciproci interessi. La possibilità che dei conflitti si risolvano in maniera positiva vale anche per quelli che toccano la sfera interiore e quella psicologica della persona. Si sa! Se non accompagnati, questi conflitti possono segnare in maniera lacerante gli equilibri personali. Riconoscere invece il conflitto e decidere, per quanto è possibile, di non fuggire da esso è, come afferma lo psicologo Gino Pagliarini, il primo passo verso la ricerca dell’armonia. Rimanere consapevolmente nella complessità e nella difficoltà della situazione conflittuale vuol dire pensare realisticamente che le situazioni di conflittualità che viviamo non sono mai così estreme e nettamente schematizzabili. E poi, «nel dialogo c’è il conflitto - afferma papa Francesco - non dobbiamo temerlo né ignorarlo, ma trasformarlo in un anello del collegamento». Sempre e comunque cioè il conflitto si colloca e ci colloca in un contesto relazionale. Relazione con l’altro da me e/o relazione con me stesso. Nel primo caso, l’incontro con l’altro – altro da me per storia, cultura, tradizioni e motivazioni, e non mio prolungamento - può contribuire a definire la mia identità e mi aiuta a percepire il mio come uno dei punti di vista possibili. Quanto, poi, ai conflitti che si consumano al nostro interno, sembrano essere proprio i più faticosi da sostenere. Soprattutto quando resta predominante la sensazione oppressiva di un muro che mi si para dinanzi: un vuoto esistenziale, amaro epilogo dell’incontro tra la realtà che vivo e quella che mi sembra capace di ridarmi vita. (...) L’etimologia della parola conflitto dà ragione dell’approccio semantico positivo fin qui seguito. Il De rerum natura fa derivare la parola conflitto dal latino conflictus e dal verbo confligere, composto di cum (con) e fligere. Sia in Lucrezio sia nel De officiis di Cicerone questo verbo rimanda alla possibilità di fare incontrare, confrontare, riunire, avvicinare. (...)
in “Il Sole 24 Ore” del 16 giugno 2019

Come si deve distribuire la Comunione al calice?
di Silvano Sirboni, su "Famiglia Cristiana" 25.06.2019
Con la riforma del Vaticano II è stata ripristinata anche per i fedeli laici l’originaria possibilità di fare la Comunione al calice in quanto tale gesto manifesta meglio il riferimento all’Ultima cena del Signore (cfr. Messale n. 281). Le attuali norme prevedono che il fedele possa prendere il calice fra le sue mani e bere direttamente da esso (n. 286). Modalità che si è diffusa per lo più in gruppi ristretti, non certo per elitarismo ma per ovvie ragioni igieniche, così da evitare qualsiasi disagio da parte dei fedeli. Per questo è sempre possibile non usufruire del calice, anche se previsto nella celebrazione in atto. Per non privare gran parte dei fedeli della Comunione con i due segni eucaristici è prevista, ed è diventata la prassi più diffusa, la comunione per intinzione. Non per sminuire la dignità del fedele laico, ma semplicemente per evitare ogni possibile inconveniente, è previsto che sia il sacerdote a intingere il pane nel vino. Il calice può essere tenuto opportunamente da un altro ministro, anche laico (n. 287).

Ripensare se stessi nel mondo non in rapporti di subordinazione ma di comunione 
di p. Dalmazio Mongillo
«Oggi il criterio della gerarchia e della subordinazione è contestato a livelli sempre più ampi e con convinzione sempre più profonda, dall’attesa per rapporti di partecipazione e compromissione, ispirati dal riconoscimento della dignità e responsabilità di tutti, orientati a un consenso che si costruisce non in ordine a ciò che il capo decide ma alla comunione piena tra tutti coloro che concorrono a strutturare l’unità. Quest’aspirazione che non è più astratta, di pochi, tenta di sconvolgere l’assetto precedente e scatena forti resistenze al cambiamento. Viviamo in una situazione di conflitto nella quale non ci intendiamo più anche quando usiamo gli stessi termini; le parole si comprendono nella luce del vissuto di chi le dice».
in "Lotta come Amore", gennaio 1978

Un silenzio che non si può proprio chiedere (o imporre) a un sacerdote
di Marco Tarquinio
«Credo fermamente che nessuno possa immaginare di impedire a un uomo di Dio di spiegare il Vangelo, soprattutto quando esso viene male interpretato e presentato, soprattutto in tempi nei quali si cerca di ingenerare confusione e di alimentare divisioni nelle stesse comunità cristiane. Storie antiche come il mondo e come la Chiesa... Questo è sempre avvenuto e, purtroppo, avviene ancora (...). Ci sono tanti sacerdoti – come lei sa meglio di me – ma anche semplici (e ben accompagnati) fedeli che non si adeguano al silenzio o all’allineamento imposti, soprattutto quando sono chiaramente stravolgenti dello sguardo cristiano sulla vita delle persone e del mondo. Per un cristiano, per un cattolico, e tanto più per chi ha fatto la scelta di consacrare la propria vita a Dio, la fedeltà alla Parola che è Cristo è semplicemente... non negoziabile. (...)». 
"Avvenire", 22.06.2019
https://www.avvenire.it/opinioni/pagine/un-silenzio-che-non-si-puo-proprio-chiedere-o-imporre-a-sacerdote?fbclid=IwAR1wqp96DRuJAo9ir9vogLDbh7lc0uxS0vFh8pJv3qKZ_HObKr1DS_xkZGc

"Da ieri al via la 69.a Settimana nazionale di aggiornamento pastorale. Al centro dei lavori anche il nuovo ruolo di laici e sacerdoti. Mons. Sigalini: accorpamento parrocchiale segno di una chiesa in uscita. Ai laici maggiori responsabilità ma non diventino ‘mezzi preti’
Federico Piana, 24 giugno 2019
Può esistere una parrocchia senza preti? Alla domanda, provocatoria, cercherà di rispondere la 69.a Settimana nazionale di aggiornamento pastorale organizzata a Torreglia, in provincia di Padova, da domani e fino al prossimo 27 giugno. Il titolo dell’incontro, organizzato dal Centro di Orientamento Pastorale (Cop), è: "Parrocchie senza preti. Dalla crisi delle vocazioni alla rinnovata ministerialità laicale" e nasce da un osservazione oggettiva della realtà: in Italia i sacerdoti sono sempre meno mentre crescono le comunità parrocchiali ‘orfane’ di presbiteri.
Uno sguardo positivo
A scanso di equivoci, don Antonio Mastantuono, vicedirettore della rivista ‘Orientamenti Pastorali’, ci tiene a mettere in evidenza una realtà che non può essere in nessun modo modificata: “Il titolo del nostro incontro è certamente ad effetto. In realtà, non può esserci una comunità cristiana che non si raduni attorno all’eucaristia. Una comunità cristiana, però, si fonda sull’eucaristia, sulla parola e sulla carità. Le tre cose vanno insieme. E anche se dovesse calare il numero delle celebrazioni eucaristiche per mancanza di parroci la comunità cristiana non cesserebbe d’esistere”.
Accorpamento parrocchiale, segno di una Chiesa missionaria
Cosa fare? Quali rimedi mettere in campo per contrastare

«Cortesia è anzitutto l'atteggiamento di Dio verso l'uomo, il modo con cui il Signore si comporta nei nostri riguardi (...). Dio tratta bene anche chi lo tratta male, e questo suo atteggiamento è la radice di ogni benevolenza e cortesia umane. (...) La cortesia è il dono di saper mettere ciascuno a proprio agio, anche chi è in imbarazzo. (...) Maria saluta la cugina Elisabetta mettendola a suo agio ed Elisabetta si scioglie. (...) E' l'arte di accogliere, di icnontrare l'altro facendogli sentire che è benvoluto, atteso, amato».
Carlo Maria Martini, Il frutto dello Spirito nella vita quotidiana, 48-50


«La parola "mitezza" è alta. Sta pure nel “Discorso della Montagna”. Ma oggi per me è una parola conflittuale, e in fondo lo è anche nel Vangelo. La mitezza mi pare del tutto estranea al mondo che ho di fronte. Il simbolo incarnato di questo mondo è la violenza. In tre quarti della fiction che vedo, la pistola è il principale mezzo di comunicazione con l’altro. È l’ideologia di questo mondo: è la forza, l’osanna per chi vince. Essere “miti” significa essere in discordia profonda con questo mondo: e dunque domanda una radicalità, non un contemperamento e una moderazione. Non una “normalità”, ma un sentirsi acutamente anormali rispetto a questo ordine così violento e selvaggio, in cui impera la supremazia onnivora del profitto».
Pietro Ingrao, citato in Carlo Maria Martini, Il frutto dello Spirito nella vita quotidiana, 54


L'ostinata cura della Trinità divina
di Sergio Di Benedetto - 16 giugno 2019
(...) Ogni Persona della Trinità, infatti, agisce. Gesù «dice»: Egli è il Verbo del Padre, e dunque si fa parola per i discepoli; parola che annuncia, che apre sentieri (...) Poi ci sono le azioni dello Spirito: «verrà», «guiderà», «avrà udito», «annunzierà», «prenderà». Sono verbi al futuro (...) Non c'è vita che non possa essere ascoltata dallo Spirito. E infine il Padre: egli «possiede», cioè esercita un potere, che è potere di appartenenza. (...) L'uomo è oggetto della sua predilezione.
La Trinità è una misteriosa unione di persone in azione che hanno cura dell'uomo, hanno cura di me e di te, hanno cura della vita e del mondo. E questa cura, ci dimostra il Vangelo, è cura ostinata, fedele, feconda.
Noi siamo oggetto di cura da parte della Trinità: noi con le nostre miserie, i nostri nodi, le nostre ferite, ma anche le nostre gioie, le nostre qualità, le nostre speranze.
Dio non cancella una parte di noi: Egli si china su tutta la nostra esistenza. (...) Non importa se non portiamo frutto, non importa se siamo sempre sospesi tra «il mare sterminato» che si apre sotto e la montagna che ci sta sopra, non importa se possiamo cadere, mettendo il piede nel vuoto: il nostro Dio, Padre, Figlio e Spirito, è un Dio fedele e ostinato. Continuerà a portare acqua, continuerà ad attendere che quel terreno diventi meno arido, più fecondo, più accogliente. La pazienza di Dio è la nostra speranza. (...)
http://www.vinonuovo.it/index.php?l=it&art=3415

"La gioia è un segno chiarissimo della presenza dello Spirito Santo. Se vogliamo capire dove lo Spirito sta operando, sta agendo in una comunità, in una persona, in una decisione, dobbiamo verificare la presenza o l'assenza della gioia. (...) Se c'è gioia, possiamo pensare che lo Spirito Santo c'è.
La gioia è il fine di tutto ciò che Gesù ha detto.
La giovialità è la capacità di rendere gli altri contenti".
Carlo Maria Martini, Il frutto dello Spirito nella vita quotidiana, 64-65

"Cristo, facendosi uomo, assume tutta questa realtà simbolica, vivendola e realizzandola in modo insuperabile. Egli crea in sé una perfetta unione del divino e dell’umano e scorre, sovranamente libero, dall’uno all’altro. Egli vive nella sua umanità storica un’intima relazione trinitaria; ma congiunge anche il tempo e l’eterno, il cuore umano e il cuore divino. (...) Ciò vuol dire che Cristo è la pienezza della densità e dell’evento simbolici, e perciò, la suprema e unica mediazione simbolica (a livello storico, costitutivo e relazionale), tra il divino e l’umanità. (...) Così l’origine dei sacramenti-simboli, come l’insieme della salvezza e della santificazione offerte all’uomo, è tutto il Cristo, come persona e come vicenda-evento. (...) I singoli sacramenti non sono, e non possono essere altro, che caratterizzazione ed evidenziazione di singole ed ineliminabili dimensioni della totalità simbolica (natura ed evento) del Cristo".
G. Mazzanti, I sacramenti, 142-143


"Passando in mezzo a loro, si mise in cammino".
Lc 4,30

«La bontà è quindi la prerogativa di Colui che gode nel fare per primo il bene, nel suscitare solo e sempre bene attorno a sé. È, la bontà, una qualità creativa: «Dio disse: "Sia la luce!". E la luce fu. Dio vide che la luce era cosa buona...» (Gen 1,3-4). Dopo aver creato ogni cosa, il Signore ha detto: è cosa buona. La nostra bontà non è se non una partecipazione, nello Spirito santo, della caratteristica divina, e per questo è bella, creativa, affascinante, capace di suscitare una società nuova. E, ancora, la disposizione a promuovere il bene altrui come proprio; sono buono quando considero che il bene dell'altro è mio e perciò lo voglio volentieri, spontaneamente, con il cuore, senza bisogno di essere soggetto a un imperio, a un comando, a un esame. La bontà è insomma fonte sorgiva di azioni benefiche e salvifiche».
Carlo Maria Martini, Il frutto dello Spirito nella vita quotidiana, 26

«Il cuore del Dio che si comunica è trinitario; la assoluta dimensione del divino è una costellazione trinitaria. Già da sempre la vita divina è la storia delle Tre persone che si comunicano completamente tra loro: si rivelano e si manifestano pienamente l’una all’altra, si donano e si accolgono pienamente tra loro. La vita divina si caratterizza per la perfetta reciprocità della comunione e della intesa delle Tre Persone: il segno autentico del divino viene allora a essere l’assoluta loro reciprocità, la completa loro in-tesa (si comprendono e si amano): le Tre persone si «com-prendono» perfettamente, come comprensione cognitiva e come comprensione amorosa. Gli antichi termini per esprimere questo dinamismo intratrinitario sono ancora validi: pericòresis, circum-in-cessio: le divine Persone stanno l’una dentro l’altra, l’una attorno all’altra, l’una tesa all’altra. E proprio qui sta la ragione ultima della possibilità e della realtà dell’alleanza di Dio con gli uomini. Il Dio trino, che già al suo interno è aperta relazione d’amore, si apre all’alleanza con l’uomo. Egli spalanca se stesso e la propria vita all’uomo; si manifesta a lui e gli dà accesso alla sua vita d’amore. La natura stessa di Dio è «apertura di alleanza», è disponibilità al dono totale; su questa «base», Dio si apre alla creazione dell’universo e dell’umanità facendo loro spazio».
Giorgio Mazzanti, I sacramenti, 112

Forse gli amanti della Chiesa sono come gli amanti della lingua
di Guido Mocellin

Scrive sul suo profilo Facebook Vera Gheno, la sociolinguista più cliccata dagli italiani: «Un amante della lingua ha un fremito di piacere per ogni parola scelta con cura, per ogni periodo costruito con attenzione; ma è anche positivamente incuriosito da un neologismo, da un forestierismo insolito, da un termine dialettale mai sentito prima, e perfino da tutto quello che devia dalla norma, perché racconta qualcosa della persona che l’ha pronunciato o scritto. Un amante della lingua è curioso, cerca di capire, consiglia, ma molto raramente condanna, perché sa quanto è varia, complessa, mutevole e delicata la conoscenza linguistica. Un grammarnazi odia, sputa sentenze, si arrocca su posizioni anacronistiche, rifiuta il cambiamento, pensa di dover lottare in difesa della purezza della lingua italiana. In poche parole, si fa venire la gastrite e le rughe. E tu, chi vuoi essere?». Ho pensato che potevo orientare la sua perorazione verso l’opinione pubblica ecclesiale digitale, discostandomene un poco nella parte finale (perché non voglio riferire a fratelli nella fede parole come 'nazi', 'odiare', ecc.; la stessa Gheno ne avverte il peso). Dunque, anche un amante della Chiesa ha un fremito di piacere per ogni liturgia celebrata con cura, per ogni catechesi costruita con attenzione; ma è anche positivamente incuriosito da un nuovo modo di annunciare il Vangelo, da un’inculturazione insolita, da un termine teologico mai sentito prima, e perfino da tutto quello che si allontana dalla norma, perché racconta qualcosa della persona e della comunità che l’ha pronunciato o scritto. Un amante della Chiesa è curioso, cerca di capire, consiglia, ma molto raramente condanna, perché sa quanto è varia, complessa, mutevole e delicata la conoscenza del Vangelo e della Tradizione. Ma c’è anche chi si arrocca su posizioni anacronistiche, rifiuta il cambiamento, pensa di dover lottare in difesa della purezza della Chiesa di sempre. In poche parole, si fa venire la gastrite e le rughe. E tu, chi vuoi essere?
in “Avvenire” del 14 giugno 2019

“Quanto è importante il valore di un'amicizia che ci capisca e aiuti a sbloccarci, che ci permetta di mettere fuori ciò che abbiamo dentro, di bello o forse di brutto. Purché sia espresso, purché sia detto!”.
Carlo Maria Martini, Itinerario di preghiera con l'evangelista Luca, 41

«Chiediamo al Signore che liberi la Chiesa da coloro che vogliono invecchiarla, fissarla sul passato, frenarla, renderla immobile. Chiediamo anche che la liberi da un’altra tentazione: credere che è giovane perché cede a tutto ciò che il mondo le offre, credere che si rinnova perché nasconde il suo messaggio e si mimetizza con gli altri. No. È giovane quando è sé stessa, quando riceve la forza sempre nuova della Parola di Dio, dell’Eucaristia, della presenza di Cristo e della forza del suo Spirito ogni giorno. È giovane quando è capace di ritornare continuamente alla sua fonte».
papa Francesco, "Christus vivit", 35

Gli sbagli su Dio 
di Raniero La Valle 
(...) Quello che è successo col “Pater Noster”, la preghiera forse più nota e più e più ripetuta, ma spesso in automatico, senza che se ne avvertano davvero le parole. Per gli scherzi che sono propri della lingua, per il mutare dei significati, per i tradimenti delle traduzioni da una lingua all’altra, era finito che il Padre venisse invocato, perfino nella Messa, come il Tentatore, come il Cerbero che “ci porta dentro”, “ci induce” nella tentazione; e data la sproporzione di forze tra Dio e il peccatore, con l’alta probabilità che a vincere in questo affacciarsi della tentazione fosse non il tentato, ma il Tentatore. 
Forse la gente non si accorgeva di quello che diceva; gli esegeti, gli esperti, i teologi, gli uomini del clero sapevano che non era così, e perciò tranquillamente reiteravano quel latino, e magari dicevano che nella parola di Dio c’è un mistero, c’è un enigma, che bisogna lasciare così, magico, incompreso o incomprensibile per il semplice fedele.
Ma nella immediatezza della comunicazione di oggi, che va al sodo in 40 battute, il significato è inequivocabile; e se uno passa in una chiesa e sente di un Dio tentatore, pensa a un padre che invece di darti un pane ti dà una pietra (al contrario di ciò che dice Matteo 7, 10), a un Dio che invece di salvarti, ti perde. 
Perciò papa Francesco ha chiesto ai vescovi italiani di tradurre meglio, come già avviene in altri Paesi, quel “ne nos inducas in tentationem”, perché non si perpetui e propaghi questo sbaglio su Dio.
Cos’altro di più importante dovrebbe fare un papa? Se non lo fa lui che ne ha il carisma, chi lo deve fare? (...)
in “www.chiesadituttichiesadeipoveri.it” del 7 dicembre 2018

Gli sbagli su Dio 
di Raniero La Valle 
«Care amiche ed amici, se c’è una cosa che papa Francesco sta facendo da quando ha messo piede sul balcone di san Pietro per prendere in mano la Chiesa, è di dire ai fedeli e ai non fedeli, ai cristiani e ai seguaci di ogni altra religione, ai poveri e ai ricchi: state attenti, non vi sbagliate su Dio. Perché se vi sbagliate su Dio vi sbagliate sul mondo, sulla società, su voi stessi. Né è un rimedio non credere in Dio, perché c’è sempre un idolo pronto a fare le stesse funzioni di Lui. 
Quante tragedie, andando indietro nella storia – e anche oggi – si scopre che sono state provocate da una falsa cognizione di Dio? Gelosie, diseguaglianze, machismi, vendette, guerre sante, crociate, schiavitù, inquisizioni, genocidi, respingimenti, terrorismi, scomuniche, annegamenti, e sempre un Dio a giustificarli, un Dio geloso, maschilista, vendicatore, giudice, padrone, re della terra, signore degli eserciti, despota delle anime e dei corpi; e ci sono santi anche famosi che si potrebbero citare a supporto di molte errate rappresentazioni di Dio. 
Gesù è venuto a correggere questi sbagli, alcuni vecchi di secoli, a spiegare e svelare la vera figura di Dio, a “farne l’esegesi”, come dice l’evangelista Giovanni. E non a caso lui era esattamente l’opposto di queste cattive rappresentazioni del Padre, offrendosi lui, Figlio, come criterio di riconoscimento, facendosi umano, facendosi servo, per amore, soltanto per amore, fino alla morte e alla morte di croce. 
E se lui ha fatto questo, che cosa dovrebbe fare un papa che parla a nome di lui, e che cosa anche ogni semplice cristiano? 
Ma guai a chi toglie di mano al prepotente, al bugiardo, all’omicida, il Dio che gli serve. Senza l’accecamento del popolo, il tiranno è perduto. Per questo il papa è odiato da molti. (....) Non è vero che la Chiesa è polarizzata tra una falange che attacca il papa e una minoranza che mal lo difende, ma c’è un immenso popolo di fedeli, più numeroso ormai nel resto del mondo che in Europa e negli Stati Uniti, che con papa Francesco vive in perfetta pace le meraviglie di Dio, oggi annunciate in modo nuovo: come dicono gli Atti degli Apostoli, mentre “quelli di lingua greca” tentavano di uccidere Paolo, “la Chiesa era dunque in pace per tutta la Giudea, la Galilea e la Samaria, si consolidava e camminava nel timore del Signore e, con il conforto dello Spirito Santo, cresceva di numero”.
Non c’è dunque da prendere il lutto per la Chiesa né pensare che per difenderla non ci sia altro che pregare, smettendo di pensare alle riforme necessarie, all’aggiornamento (...) La vera difesa è ascoltare e seguire il papa in questo suo quotidiano annunzio di Dio, in questo suo togliergli di dosso maschere e travestimenti, in questo liberarlo – come diceva Turoldo - dal “carico di errate preghiere”». (...)
in “www.chiesadituttichiesadeipoveri.it” del 7 dicembre 2018

Il cammino sinodale inizia dalle Chiese particolari e dai "luoghi" di esercizio di questa sinodalità 
di Dario Vitali 
Parlare di conversione missionaria per le Chiese locali, e soprattutto per le parrocchie, suona come un sogno, un'utopia. Quale capacità di trasmissione della fede potrà mai avere nella società attuale una comunità cristiana che comunità non è, ma un centro o un'agenzia che eroga servizi religiosi? Se molte — troppe — parrocchie non sembrano più capaci di offrire un'autentica esperienza cristiana, come si potrà chiedere che da questi ambienti salga una testimonianza di fede significativa, in grado di trasmettere la fede? 
I dubbi sulla capacità missionaria della parrocchia vanno di pari passo con i dubbi sulla sua (in)capacità a una pratica sinodale. La sinodalità, prima e più che l'organizzazione, tocca la natura della Chiesa. E rimanda a uno stile, a un modo di essere: «Camminare insieme», dice la formula syn odos; «Chiesa e Sinodo sono sinonimi», asseriva Giovanni Crisostomo, che papa Francesco ha citato per dire che «la Chiesa è costitutivamente sinodale». 
In un famoso discorso, in cui disegnava il volto sinodale

Tranquillità. Se la felicità diventa duratura 
di Nunzio Galantino
(...) Vi è chi fa derivare la parola tranquillità dal termine latino tranquillitas/atis, composto dal prefisso trans (oltre) e quies/etis (quiete). Questo etimo descrive la tranquillità come una serenità superlativa, da riconoscersi a stati d’animo davvero speciali. (...) E' importante sottolineare il valore del prefisso trans. Esso ci dice che la tranquillità è una conquista esigente. Non è un generico “non darsi pensiero”, magari prendendo le distanze dalla vita o vivendola con indifferenza e leggerezza. Per vivere tranquilli non sono sufficienti gli ameni sedativi che in abbondanza e al prezzo di un rotocalco vengono spesso somministrati. La condizione di tranquillità esige un’equilibrata disciplina delle passioni (Democrito) e il coinvolgimento di tutta la persona, chiamata a pensare in grande e a coltivare sogni. Tutto in un quadro di realismo e di disponibilità a investire interiormente e mentalmente molto e sul lungo termine. (...) La tranquillità è uno stato d’animo duraturo: non è di per sé una meta, è piuttosto un modo di camminare verso una meta. Questo fa sì che la persona tranquilla non si senta mai arrivata, senza essere però sopraffatta dall’ansia. È consapevole che «la felicità è come una farfalla: se l’insegui non riesci mai a prenderla, ma se ti metti tranquillo può anche posarsi su di te» (N. Hawthorne). (...)
in “Il sole 24 Ore” del 26 maggio 2019 

http://www.vita.it/it/article/2019/05/30/non-sono-problemi-nostri-il-video-virale-che-smonta-la-retorica-dei-po/151744/

“Non sono problemi nostri”: il video virale che smonta la retorica dei porti chiusi
di Lorenzo Maria Alvaro  30 maggio 2019
La clip è realizzata dal duo palermitano de I Sansoni e in pochi secondi, usando la metafora del condominio, riesce a chiarire il valore dell'accoglienza
Spesso in questi mesi di criminalizzazione nei confronti delle ong e del loro impegno nel salvare vite in mare si è fatto riferimento ad un problema di comunicazione.
Al fatto cioè che le organizzazioni non riescano ad uscire dalla contrapposizione imposta dalla retorica leghista e facciano fatica a trovare un linguaggio efficace da contrapporre a quello dello slogan, che ha coniato veri e propri tormentoni come “porti chiusi” o “prima gli italiani”.
Qualcuno però ha provato a cambiare le cose. I fratelli Fabrizio e Federico Sansone, in arte I Sansoni, sono videomaker e hanno in questi giorni lanciato in rete “Non sono problemi nostri”.
Una breve clip che con ironia e paradossi prova a ribaltare l'immaginario e far ragionare sul tema dei migranti.
Una signora scivola e cade a terra nel cortile interno di un palazzo. Due inquilini dello stesso appartamento si confrontano: uno vuole intervenire e aiutare la donna, l'altro vorrebbe che ci pensassero gli altri abitanti del condominio.
Fino al colpo di scena finale: la signora-migranti, si rivela anche ricca di talento e utile per l'economia dell'appartamento-Paese.
I due erano diventati celebri grazie ad un altro video, dedicato invece al razzismo.
A quanto pare una strada per immaginare una narrazione diversa della solidarietà è possibile.