Chiunque voglia mostrare il proprio appoggio nei confronti dei migranti e comprensione per le loro difficoltà può ripetere il "reach out", il gesto con le braccia aperte simbolo della campagna e postare la foto sui propri account social con l'hashtag #sharejourney.

Informazioni sulla campagna http://journey.caritas.org/ 

http://sconfinati.caritasambrosiana.it/share_the_journey.html


«Più importante che cercare il Signore,

è accorgersi che Lui mi cerca».

papa Francesco, 25.09.2017


«Non vediamo le cose come sono,
ma vediamo le cose come siamo».
Anais Nin


«Sforzarsi senza tregua di pensare a chi ti sta davanti, prestargli un’attenzione reale, costante, non dimenticarsi un secondo che colui o colei con cui tu parli viene da un altro luogo, che i suoi gusti, le sue idee e i suoi gesti sono stati plasmati da una lunga storia, popolata di molte cose e di altre persone che tu non conoscerai mai. Ricordarsi in continuazione che colui o colei che guardi non ti deve nulla, non è una parte del tuo mondo, non c’è nessuno nel tuo mondo, neppure tu. Questo esercizio mentale – che mobilita il pensiero e anche l’immaginazione – è un po’ duro, ma ti conduce al più grande godimento che ci sia: amare colui o colei che ti sta davanti, amarlo per quello che è, un enigma – e non per quello che credi, per quello che temi, per quello che speri, per quello che ti aspetti, per quello che cerchi, per quello che vuoi».
Christian Bobin, Autoritratto al radiatore


Certezza. Lo scegliere consapevoli 
di Nunzio Galantino 
«Lasciate perdere la certezza. Il contrario non è l’incertezza. È l’apertura, la curiosità e la volontà di abbracciare il paradosso, invece di scegliere l’ovvio». Non deve scandalizzare il sorprendente invito diTony Schwartz ad andare oltre la certezza per vivere di apertura, curiosità e volontà di abbracciare il paradosso. Al giornalista e scrittore statunitense sembra dare ragione l’etimo della parola certezza. Da certus, participio passato del verbo latino cèrnere (vagliare, separare, scegliere, discernere), certezza è lo stato mentale di ferma adesione a una proposizione o a una realtà conosciuta conseguente all’atto del cèrnere. Senza questo esercizio piuttosto che “adesione” ferma e consapevole, si finisce per avere “aderenza” e appiattimento su una proposizione o su una realtà proveniente dall’esterno. Solo un serio percorso di conoscenza e di evidenza permette alla persona di aderire con tutta se stessa (pensiero, sentimento e volontà) e con ragionevole sicurezza a un oggetto di conoscenza (proposizione, idea, persona. ecc.). (...) 
Siamo costantemente attraversati da gratificanti certezze e da infinite incertezze. Il nostro lavoro gratificante, le nostre belle relazioni e la tranquillità di una casa si mescolano, senza il nostro esplicito consenso, a congiunture economiche, crisi nelle relazioni ed eventi distruttivi. Tutto ciò ci fa dire che, sul piano materiale, non vi sono certezze assolute e intoccabili. Possono essercene invece, e ve ne sono, sul piano dell’adesione a una proposta di fede o a un progetto di vita. Per l’una e per l’altro chiunque è disposto a mettersi seriamente in gioco. Ma questa non è la “certezza” cui fa riferimento N. Hawthorne quando afferma che «Dai principi si deduce una probabilità, ma il vero o una certezza si ottengono solo dai fatti». La certezza che sostiene e fa vivere è quella che si costruisce a poco a poco, grazie a dei fatti ma anche al di là di essi; si solidifica giorno dopo giorno con azioni oculate, responsabili e difficili; si nutre di gioie e di sconfitte; sa ricavare nutrimento da inevitabili dubbi. E, proprio per questo, è una certezza che non chiude mai la porta al dialogo, anzi lo cerca perché la certezza è impasto di sentimenti e principi su cui si fonda la nostra vita, in cui si incrociano volti, cuori ed emozioni delle persone che incontriamo e delle realtà che viviamo.
in “Il Sole 24 Ore” del 10 settembre 2017


"La pulce d'acqua", versione jazz-lounge. Quanto mi piacciono le versioni nuove delle cose!!


Bassetti:attenzione al rischio clericalismo 
di Caterina Dall'Olio 
(...) Il cardinale Gualtiero Bassetti presidente della Cei ha proposto una riflessione sul ruolo e la missione dei sacerdoti:  «Come dice papa Francesco quando un prete è clericale, clericalizza anche i laici e tende a farli a sua immagine e somiglianza. E quindi anche il laico, alla fine, vuole rientrare in quello schema di Chiesa perché difende i suoi piccoli privilegi e ha tutto l’interesse a essere clericalizzato». Poi una considerazione generale: «Nella Chiesa italiana si registrano ancora troppe chiusure alle indicazioni di papa Francesco. Per ben due volte, quando sono andato a trovarlo per vari motivi, il Papa mi ha sempre posto questa domanda: ma la Evangelii gaudium sta entrando nella Chiesa italiana? Una 
domanda imbarazzante – ha ammesso Bassetti –. Una volta gli ho risposto: un pochino... E lui: Anche io ho questa impressione. Io non ho chiesto qualche rinnovamento della pastorale, io ho chiesto una conversione pastorale». E la conversione, sottolinea il presidente Cei, «è una cosa di testa e di cuore». Nel suo intervento, Bassetti ha letto lunghi stralci di uno scritto di don Giulio Cirignano, nel quale il biblista sostiene come «soprattutto nella Chiesa italiana si registri una certa lentezza nel recepire il progetto di Papa Francesco», si osservano «tante chiusure. E io condivido questo pensiero», mette in chiaro il presidente della Cei, che ha aggiunto: «Il peccato originale è stata la poca ricezione del ConcilioVaticano II che c’è stata in Italia». (...)
in “Avvenire” del 13 settembre 2017


In occasione del passaggio di consegne al nuovo arcivescovo, quante parole inutili, quanti adulatori, quante banalità, quanti campioni del "salto sul carro del vincitore" o del nuovo "capo"...
Una pessima figura per la Chiesa gerarchica, ma anche per i "laici" più clericali del clero.
Una occasione perduta per dire la verità, per essere franchi... o almeno per tacere.
don Chisciotte Mc

Non è un diario quello che tengo, è un fuoco che accendo nel buio.
Non è un fuoco che accendo nel buio, è un animale che nutro.
Non è un animale che nutro,
è il sangue che ascolto pulsare alle mie tempie – un’imposta che sbatte selvaggiamente contro il muro di una piccola casa.

Christian Bobin, Autoritratto al radiatore


L'ultima raccomandazione del card. Tettamanzi fu rivolta anzitutto ai preti: "Fate sí che sia facile e semplice volervi bene!".
"Del cardinal Dionigi possiamo dire questo: è stato facile volergli bene. E per voi - mi raccomando - sia lo stesso: anche se non riuscite ad essere come vorreste, cercate di fare in modo che sia facile volervi bene" (mons. Mario Delpini).


«La coscienza tranquilla è un'invenzione del diavolo».
A. Schweitzer


Dialogo. Avanzare insieme 
di Enzo Bianchi 
«Amerei scrivere una storia della nostalgia dell’altro lungo tutta la storia umana». È da queste parole di padre Ernesto Balducci che prendo le mosse per riflettere su «L’altro come dono». Nel nostro modo abituale di pensare e di parlare questa nostalgia è assente e ricorriamo troppo sbrigativamente a due categorie contrapposte «noi» e «gli altri». Ma è arduo definire i confini tra queste due entità e, ancor di più, stabilire con certezza chi appartiene all’una o all’altra, in che misura e per quanto tempo. Quando giustapponiamo i due termini, in realtà intraprendiamo un percorso suscettibile di infinite varianti: ci possiamo infatti inoltrare su un ponte gettato tra due mondi, oppure andare a sbattere contro un muro che li separa o ancora ritrovarci su una strada che li mette in comunicazione. Possiamo anche scoprire l’opportunità di un intreccio fecondo dell’insopprimibile connessione che abita noi e loro. Appare evidente allora come per l’essere umano la relazione con gli altri sia una delle modalità di relazione che – assieme a quella con se stesso, con il cosmo e, per chi crede, quella con Dio – gli permettono di costruire la propria identità e di vivere. Chi di noi non si è mai chiesto come percorrere i cammini dell’incontro, della relazione con l’altro, con ogni altro, con ogni volto umano? 
In primo luogo occorre riconoscere l’altro nella sua singolarità specifica, riconoscere la sua dignità di essere umano, il valore unico e irripetibile della sua vita, la sua libertà, la sua differenza: è uomo, donna, bambino, vecchio, credente, non credente, ecc. È un essere umano come me, eppure diverso da me, nella sua irriducibile alterità: io per lui (o lei) e lui (o lei) per me! Teoricamente questo riconoscimento è facile, ma in realtà proprio perché


Ricordo.L’impronta di noi stessi 
di Nunzio Galantino 
«Agisci in modo che ogni tuo atto sia degno di diventare un ricordo» ( I. Kant). Dal latino re (di nuovo) e cor (cuore), il ricordo è l’atto di richiamare fatti, episodi ed eventi vissuti nel passato. Il rimando al “cuore” presente nell’etimo della parola “ricordo” si deve al fatto che un tempo il cuore era considerato la sede della memoria e dell’anima. Entrambe “forma” dell’uomo. 
Come è difficile definire l’anima, così lo è per il ricordo. Come l’anima, il ricordo non si può toccare, non si può vedere e soprattutto non si può controllare. Il ricordo è talvolta un odore, altra volta una sensazione, un’atmosfera, una parola, uno sguardo, un sapore, una carezza, una lacrima, una voce, una nota musicale, un colore che improvvisamente riaffiora dal misterioso magazine della nostra mente (o del nostro cuore?), che si riempie con il trascorrere dei giorni. Per questo Kant suggerisce di riempire questo misterioso magazine di azioni belle, di relazioni ben vissute, di attimi ben goduti, in modo che il ricordo, improvviso e inaspettato, sia consolatorio e positivo per la nostra vita. 
Dei ricordi si continua a studiare l’effetto traumatico ma anche terapeutico per il prosieguo della vita. Di alcuni ricordi siamo orgogliosi, di altri faremmo volentieri a meno. Tutti i ricordi però ci definiscono, costituiscono le nostre radici, “certificano” le nostre esperienze, descrivono ciò che siamo diventati. I ricordi sono l’impronta di noi stessi. 
Certo, come afferma M. Proust, «il ricordo delle cose passate non è necessariamente il ricordo di come siano state veramente». Pur non essendo una fotografia del passato, il ricordo ci offre comunque la possibilità di


Dio mio, come è bella questa pioggia!
don Chisciotte Mc