«Non illuderti che sia sufficiente prendere una posizione, denunciare pubblicamente un tiranno totalitario. Questo potrebbe al più irritare il tiranno, ma certo rovinare il senso di benessere del tiranno non è l’obiettivo principale. Non è questa la preoccupazione principale degli individui che stanno per morire, o i cui figli moriranno presto tra le loro braccia. I Giusti tra le Nazioni non scrivevano lettere di protesta contro Hitler. Non focalizzarti a combattere la causa alla radice. Sii minimalista. Aiuta una persona. Solo una. Puoi sempre farlo. Fallo adesso».
Piotr M. A. Cywinski, Non c’è una fine. Trasmettere la memoria di Auschwitz, p. 126. E' direttore del Memoriale e Museo di Auschwitz Birkenau dal 2006


«Ho amato un pettirosso. Mi scrutava, con le zampine saldamente piantate sul ramo di un albero. Un Dio burlone gli brillava negli occhi, come se dicesse: "Perché cerchi di fare qualcosa nella tua vita? È così bella quando si limita ad andare, noncurante delle ragioni, dei progetti e delle idee". Non ho saputo rispondergli».
Christian Bobin, Resuscitare 


«Le più belle pagine della chiesa furono scritte dalle anime inquiete.
Coloro che trovano tutto a posto, che non avvertono nessuna stonatura, che placidamente si svegliano, mangiano, ruminano, s'addormentano, saranno degli ottimi funzionari e dei subordinati esemplari, mai degli apostoli».
don Primo Mazzolari, La più bella avventura. Sulla traccia del "Prodigo" (1934), 209-210.


"Il chinarsi è un gesto materno. Si chinano tanto le mamme che le loro spalle ben presto ne portano il segno, l'inconfondibile segno della maternità che discende e accondiscende. Nella religione è tutto un chinarsi. "Si chinano i cieli... si chinò sulla bara... chinatosi, si mise a scrivere col dito in terra... E chinato il capo, spirò!”. Così risponde il Figlio di Dio alle ipocrite rigidezze dei figli degli uomini».
don Primo Mazzolari, Il solco

«Ho sempre la speranza delle grandi cose. Ignoro in che cosa consistano e le attendo senza impazienza. Può anche darsi che siano già venute senza che me ne sia accorto. La mia anima è come un cane all'erta davanti a un cespuglio, in agguato, in attesa di una preda vicina e invisibile. Naturalmente non prendo mai nulla, nessuna preda, soltanto, ed è sufficiente, l'abbagliante certezza di avere intravisto una cosa più grande della mia vita e tuttavia consona ad essa, una luce così pura da essere quasi crudele».
Christian Bobin, Resuscitare 


«La malinconia si alza ogni mattino un minuto prima di me. E` come qualcuno che mi fa ombra, in piedi fra il giorno e me. Per svegliarmi devo respingerla senza riguardo. La malinconia ama la morte, d’amore profondo. Sono anni che lotto con queste profondità, che mi sforzo di limitare la loro influenza, senza riuscirvi sempre. Solo la leggerezza della vita può cacciare l’insondabile malinconia. La leggerezza mi è sempre arrivata dalla parte dell’amore. Non dal sentimento: dall’amore. Ho impiegato tanto per vedere cosa separasse l’amore dal sentimento: quasi nulla, un abisso».
Christian Bobin, Mozart e la pioggia


"L’uomo è uno specialista in casseforti; blindature,chiusure a doppia mandata. Queste specialità egli le mette in atto non appena possibile solo che esca dall’infanzia così quando tu provi bisogno di tenerezza, subito t’irrigidisci quasi fosse un esigenza che ti diminuisca agli occhi tuoi e degli altri. Eppure quante volte provi queste necessità e in un modo tanto prepotente. Hai bisogno di piangere dopo una sconfitta e vorresti una carezza che ti sollevi. Provi il morso della solitudine, un senso d’angoscia e desidereresti il calore di un sorriso uno sguardo caldo che ti avvolga. Perchè negarlo? Capita all’uomo maturo e alla persona anziana. Commuoversi, prendere una mano nella tua, scioglierti in un sorriso luminoso,spalancare le braccia,lo ritieni cose da bambini. I gesti istintivi del cuore non osiamo più farli. Le braccia, le labbra, la mano che possono esprimere in mille modi la tenerezza li abbiamo legati».
don Primo Mazzolari, Perdersi il solo guadagno


La tenerezza è forte
di Pierangelo Sequeri
«L’idea che una 'rivoluzione della tenerezza' possa cambiare il verso del tempo e lo sguardo sul mondo non è così intuitiva. Per come ci sentiamo, nel momento presente, ce l’aspettiamo come una trovata della pubblicità di cioccolatini e pannolini, più che come parola d’ordine per la ricostruzione del legame sociale. Non che ci dispiaccia l’idea di trovare più tenerezza, nella nostra vita, naturalmente. Nella nostra immaginazione, però, la tenerezza è soprattutto una virtù privata, adatta per i rapporti brevi delle nostre confidenze occasionali, dei nostri amori intimi, delle nostre piccole prossimità. È importante, certo, ma è pur sempre una qualità di complemento dei momenti di distensione, un’aura sentimentale dei tempi liberi. (...)
Nelle cose serie della vita, insomma, per la tenerezza non c’è campo. (...)
In realtà, la tenerezza autentica è immedesimazione profonda con la vulnerabilità della vita e condivisione pensosa della finitezza che nutre e sorregge i suoi amori. Qui la tenerezza è forza suprema, che invita ad abbandonare ogni delirio di onnipotenza, come anche ogni resa del desiderio: la tenerezza cerca la salvezza di ciò che è umano in ogni umano».
in “Avvenire” del 9 marzo 2017
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(...) «In quali aspetti della società contemporanea il cristianesimo può recuperare vitalità? Pensiamo al Duc in Altum di Giovanni Paolo II. Purtroppo lo si era interpretato con l’idea: 'Siamo forti, andiamo avanti'. E invece l’invito di papa Wojtyla costituiva l’eco dell’indicazione di Gesù a Pietro: prendere il largo verso nuove rotte, smuovere l’intonaco della Chiesa senza perdere la struttura. In sintesi, il recupero della libertà dentro i confini stessi del cristianesimo.
Luca Diotallevi, "Avvenire", 7.03.2017
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(...) Di fronte al new age oppure alla low intensity religion (quella che predilige recarsi nei santuari mariani piuttosto che vivere l’esperienza cristiana comunitaria) facciamo fatica ad avere una proposta cristiana che non sia liofilizzata. Il compito vero è quello di allargare il campo della fede in maniera tale che la fede non si riduca a devozione, ma che comprenda tutte le sfere della vita personale e sociale, rifuggendo la pratica integrista, ma vivendo nella libertà. Questo è un evento che segna un grande passaggio: in questi anni si chiude una lunga parentesi che ha ridotto le potenzialità del cristianesimo.
Luca Diotallevi, "Avvenire", 7.03.2017
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(...) Significa che i ministri ordinati servono e non possiedono la Chiesa. E che il ministero ordinato è a servizio della fede. Questa è semplice dottrina cattolica del Vaticano II. Invece resiste ancora l’idea che fare spazio ai laici significa cedere loro un milligrammo del potere clericale. Mentre invece l’apostolato dei laici è altro: è matrimonio, politica, economia, cucina, sport, non collaborare alla pastorale. C’è ancora molta strada da fare per una vera apertura al laicato».
Luca Diotallevi, "Avvenire", 7.03.2017
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«LA SAPIENZA è la dote che unisce una vasta e assimilata conoscenza delle cose con la capacità e l’equilibrio nel giudicarle. (...) Una conoscenza che ha sapore e che dà sapore. La “conoscenza saporita”, come il sale, è capace di sciogliere, di conservare e di rendere piacevole. Come il sale – nella giusta ed equilibrata quantità – trasforma una pietanza esaltandone il gusto, la sapienza rende sciolti e flessibili, ancorati alla tradizione ma aperti ad esplorare nuovi orizzonti che portano gusto e gioia, scoprendo ed esaltando – seguendo Eraclito – «l’intima natura delle cose». Per questo la sapienza è, insieme, ricerca di verità e consapevolezza del possesso della verità; è inquietudine e sicurezza; è senso di abbandono e coraggio. Attinge dal passato ma guarda al futuro. «Pur rimanendo in se stessa, tutto rinnova», si legge nella Sacra Scrittura (Sapienza 7,27). Vuole tempo per maturare ma è pronta ad agire. La Sapienza è libertà ma «tutto controlla» (Sapienza 7,23)».
Nunzio Galantino, "Il Sole 24 Ore", 11.09.2016
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«La famosa filosofa americana Martha Nussbaum dedica il suo ultimo libro, Anger and Forgiveness: Resentment, Generosity, Justice (“Rabbia e Perdono: Risentimento, Generosità, Giustizia”, Oxford University Press) a questo nuovo fenomeno.
Come scrive l’autrice, la rabbia è «velenosa e popolare», ma anche quanti ne riconoscono il pericolo distruttivo per la convivenza civile non ci rinunciano perché spesso questa forte emozione si lega all’affermazione del rispetto personale e alla virilità, e nelle donne alla rivendicazione dell’uguaglianza. E poi con la rabbia ci si può illudere di strappare un indennizzo da parte di coloro che si sono comportati male, anche se non si riuscirà mai a recuperare ciò che si è perso. Chi ha subito un torto ed è veramente arrabbiato vuole ottenere una riparazione. E tre strade diverse si aprono. In primo luogo ci si sente umiliati e si vuole risalire la china sociale, presi solo dal bisogno personale di ottenere un indennizzo. Oppure ci si può focalizzare sull’offesa ricevuta sperando che con la vendetta il reo possa patire anche lui le stesse sofferenze. È evidente che queste strade non costituiscono una soluzione anche perché si entra in una sindrome rivendicativa da cui è difficile staccarsi e che rischia di aggravare ulteriormente la situazione. Ma esiste un’ulteriore strada, indicata dalla Nussbaum: guardare piuttosto al futuro e non rimanere ancorati al passato e a quello che si è subito, per scoraggiare quanti vorranno ancora comportarsi nello stesso modo. Anche in termini di efficacia quest’ultima strada è la migliore».qui trovi tutto l'articolo