«Signore Gesù, Signore del cielo e della terra, ti raccomandiamo le nostre comunità parrocchiali, religiose, diocesane. È anche per loro che ci intratteniamo con te nella preghiera in questi giorni di silenzio e di raccoglimento, è anche per quanti amiamo e che tu ci hai affidati. Li riaffidiamo a te. Donaci un cuore puro per parlare con libertà e serenità dei difetti della Chiesa, per comprenderli come li comprendeva Paolo e per crescere nella carità e nella verità. Veglia sul nostro cammino tu che vivi e regni con il Padre nell’unità dello Spirito santo per tutti i secoli dei secoli. Amen».
Carlo Maria Martini, L'utopia alla prova di una comunità, 59
Ho bisogno di tante persone così!
E' un bell'augurio per l'inizio del nuovo anno comunitario!
La geniale pubblicità Ikea che prende in giro Instagram
Quando si parla di marketing, Ikea è sempre un passo davanti agli altri. Anche questa volta. Il colosso svedese dell’arredamento ha centrato perfettamente l’obiettivo anche con la sua ultima pubblicità su Youtube, dove prende scherzosamente in giro Instagram e i suoi utenti, più impegnati a fotografare piatti da portata che a trascorrere il proprio tempo in compagnia degli amici o della famiglia.
La nuova pubblicità, Let’s relax, è ambientata nella Francia del Settecento, alla tavola di un nobile che – all’ora di cena – ferma le sue bambine che stanno per addentare una mela. Questa tavolata bisogna davvero immortalarla! Ecco quindi arrivare il pittore che, finito il suo lavoro, fa il giro di tutti i notabili per ricevere consensi. Al suo ritorno si può finalmente iniziare a mangiare. Vi ricorda nulla?
La scena passa poi ai giorni nostri dove, un altro padre di famiglia sta fotografando i piatti sotto lo sguardo spazientito del resto della famiglia che aspetta di poter mangiare.
Il messaggio dell’azienda svedese è chiaro: durante i momenti che possiamo finalmente passare con i nostri cari (ovviamente in una cucina Ikea!), rilassiamoci, senza passare il tempo ad aggiornare i profili social. Non c’è dubbio: il reparto marketing sa proprio fare il suo lavoro!

The show must go... no
Ci sono momenti in cui le cose non possono "andare avanti" solo perché devono "secondo lo show".
Ci sono momenti in cui ci si può fermare, cambiare programma, invertire da "on" a "no".
Le parole su Dio (anche quelle più belle e autorevoli) possono fermarsi, sentirsi fuori luogo, lasciare spazio alle parole a Dio e alla Parola di Dio.
don Chisciotte Mc
 
papa Francesco: «Avevo preparato la catechesi di oggi, come per tutti i mercoledì di questo Anno della Misericordia, sull’argomento della vicinanza di Gesù, ma dinanzi alla notizia del terremoto (...) Lasciamoci commuovere con Gesù. Dunque rimandiamo alla prossima settimana la catechesi di questo mercoledì. E vi invito a recitare con me una parte del Santo Rosario: “Misteri dolorosi”».

Il fascino perduto del corpo nudo ai tempi del porno 
di Massimo Recalcati 
Se il tabù definisce una zona proibita, inaccessibile, impossibile da violare è perché solamente dove esiste senso della Legge può esistere senso del tabù. Il corpo animale è privo di tabù. Innanzitutto di quello che ha per secoli dominato la vita individuale e collettiva dell’Occidente, quello della nudità.
Il corpo animale è sempre nudo; non ha senso del pudore, né della vergogna. La nudità è per lui una condizione naturale e l’istinto la bussola che orienta senza incertezze la sua vita. Diversamente da quello dell’uomo il suo corpo non deve rispondere all’esigenza, socialmente condivisa, di ricoprire la nudità. È il corpo umano, che è assoggettato all’imperativo di ricoprirsi, abbigliarsi, vestirsi. È una delle condizioni basiche che definiscono il processo di umanizzazione della vita: non si può andare nudi per strada. L’”annientamento dell’animale”, il suo “sacrificio” – come direbbe Kojève lettore di Hegel – , traccia il cammino della vita che diviene umana. Sono i corpi di Adamo ed Eva che il Dio biblico ricopre di pelli con un gesto di tenerezza estrema dopo averli scacciati dal giardino terrestre. Al tempo stesso però, rovesciando i termini della questione, il corpo dell’animale essendo sempre nudo non è mai veramente nudo.
Se la nudità è qualcosa a cui si può giungere solo dopo una svestizione, se la sua manifestazione implica la caduta dei veli, allora il corpo animale non può incontrare mai il senso più profondo della nudità. Per questo nel mondo animale esiste una vita sessuale, ma non può esistere alcuna forma di erotismo. L’erotizzazione del corpo necessita la sua velatura. Il desiderio per accendersi esige una distanza, una lontananza dal suo oggetto. È quello che distingue l’immagine erotica – che è sempre almeno un po’ vestita – da quella brutalmente pornografica – che riproduce in primo piano la meccanica degli organi genitali. Il desiderio erotico non si mobilita dalla vista della nudità, ma solo dalla nudità intravista. È necessario che il corpo sia un po’ coperto per poter apparire davvero nudo.
Un dettaglio scoperto del corpo è più attraente che la vista di un corpo nudo nella sua interezza. Il nudismo è totalmente privo di erotismo. Persegue illusoriamente un naturalismo che vorrebbe poter animalizzare l’uomo dimenticando che l’abito del linguaggio non è un abito che l’essere umano può togliere o mettere a suo piacimento. Il senso dell’osceno non scaturisce dall’erotismo – non c’è alcuna oscenità nella vita erotica –, ma nel corpo che vorrebbe 

... ci sta!


«Nel modo in cui muoiono Guevara e Allende ci sono un'implacabile determinazione, una deliberata inesorabilità, una folle dignità. In quelle ultime ore, tutto ciò che potrebbe favorire la salvezza, come i negoziati, i maneggi, i compromessi, la resa o la fuga, viene respinto. Il loro cammino, rettilineo e inequivocabile, porta dritto alla morte.
Sia una morte che l'altra sono una dichiarazione, una sfida. Esprimono il desiderio di testimoniare pubblicamente la giustezza delle proprie convinzioni e la disponibilità, al di là di ogni esitazione, a pagare per essa il prezzo più alto. Sono costretto ad andarmene, ma non me ne vado del tutto, non interamente, non per sempre. Entrambi consapevoli di doversene andare, vi si preparano per tempo. Guevara si accomiata da Fidel, dai genitori e dai figli in lettere scritte molti mesi prima della fine. Allende inizia il suo ultimo, tragico giorno separandosi prima dalle figlie, e poi - in un discorso alla radio - dal popolo. A partire da quel momento, resteranno soli con il destino, attorniati da un pugno di uomini che li seguiranno fino in fondo. Andare fino in fondo: è questa l'idea che li accompagnerà nelle ultime ore rimaste. Agiscono fino all'ultimo, non hanno tempo, sono presi dai loro compiti.
Cadono entrambi strada facendo.
Due morti così simili e due vite così diverse. Due personalità antitetiche, due temperamenti opposti».
Ryszard Kapuscinski, Cristo con il fucile in spalla, 164

"Dimmi con chi vai e ti dirò chi sei".
I veri grandi si accompagnano ai grandi,
anche qualora questi "grandi" fossero dei poveri e deboli (dal punto di vista sociale).
I falsi grandi si circondano di piccoli,
anche qualora questi "piccoli" fossero dei ricchi e potenti.
don Chisciotte Mc
Dario Fo: sono un ateo di Dio 
di Paolo Foschini 
Diciamolo subito. Se avete in mente il Bonifacio VIII del Mistero buffo , che diceva «attento te...» e mimava di inchiodare per la lingua chi gli pestava il mantello; o il famoso remagio «negro, ma così negro come non s’era mai visto un negro», che per tutto il viaggio verso la grotta cantava «Occhebèl ch’è andare sul camèl» mentre «el remagio vecio ghe urlava basta, bastaaa!» ; o il gramelot sulle piume dell’arcangelo Gabriello, o l’ironia su Caino e Abele che in realtà il cattivo era buono eccetera: ecco, allora sappiate che questo libro su Dario e Dio scritto a quattro mani da Dario Fo con la giornalista Giuseppina Manin (Guanda) non potrà mai eguagliare il riso profondo che il premio Nobel ha saputo regalarci da mezzo secolo in qua recitando quei testi in teatro. Ma se siete curiosi di scoprire qualcosa sull’anima intima, le certezze ma anche i dubbi, le paure ma anche l’incantamento di fronte all’universo, di un «ateo convinto» che compirà 90 anni tra 12 giorni, allora leggetelo. Forse resterete sorpresi come lui quando a volte — dice — cammina in un bosco o guarda la meraviglia del cielo: «No che non esiste. Non ci credo. Però...».
Perché l’altra cosa che si può subito dire è che Dario Fo ci avrà anche scherzato tanto ma, forse proprio per questo, di cose su Dio un po’ ne sa. Le prime delle quali imparate quando suo papà Felice, il ferroviere, e sua mamma Pina, la contadina, per quanto «atei e laici fino al midollo», lo avevano spedito a catechismo dal parroco di Sangiano, Varese, dove lui era nato e cresciuto: battesimo, comunione, cresima. Un tipo di prete che era meglio perderlo che trovarlo, ricorda Dario. Ma una esperienza che, specie riletta tanti anni più tardi, un segno deve averlo lasciato. E specialmente quando poi di preti, racconta ancora lui, ne ha conosciuti altri e ben diversi: come «don Andrea Gallo, il prete dei tossici e dei poveri, con cui eravamo amici veri». O David Maria Turoldo e padre Camillo De Piaz, con quello «spazio sulfureo che avevano creato a Milano in Corsia dei Servi e dove tutti, credenti e non, si riunivano a discutere». Fino a papa Francesco: «Un rivoluzionario» come «non s’era mai visto» e che «sta davvero cambiando il volto della Chiesa».
Gli dedica diverse pagine, il premio Nobel, al Papa argentino. Quello che «nega di essere comunista e dice che l’amore per i poveri è una bandiera del Vangelo prima che del marxismo, e sarà anche vero, però chi se lo ricordava più?». Ma soprattutto il Papa dell’enciclica Laudato si’ in difesa della Natura: un «prodigio che 

...  guardando il nostro sito e la nostra pagina FB!


«Rivolgendosi ai dottori della Legge e ai farisei, Gesù disse: «È lecito o no guarire di sabato?». Ma essi tacquero. Egli lo prese per mano, lo guarì e lo congedò» (Lc 14,3-4 - dal vangelo della messa di oggi).
Gesù "risponde" col suo gesto salvifico; invocando ancora una risposta dai suoi interlocutori, avrebbe potuto dire: «Sia invece il vostro parlare sì, sì; no, no; il di più viene dal maligno» (Mt 5,37).
Invece, lo stile diffuso di "pseudo-risposta" è:
1. «No, no, no... cioè, volevo dire sì»;
2. «Sì, sì, sì... ma tanto è no»;
3. «Ti dico di sì, ma potrebbe anche essere un no»;
4. «Va bene un Ni?!»;
5. «Comincia a considerarlo un Sì, poi ti faccio sapere»;
6. «Oggi che numero del mese è? Dispari? Allora propendo per il no... Domani vedremo»;
7. «Sì, sì, sì. No, no, no. Sì, sì, sì. No, no, no» (sulle note della Nona di Beethoven).
Se aspettiamo dai dottori della Legge e dai farisei...
don Chisciotte Mc


«Dico ancora le preghiere. Dentro il ripostiglio dove dormo non c'è finestra e mentre mi dico l'Angelo Custode mi pare di stare sui lavatoi con tanto di cielo aperto al posto del soffitto. Non credo che questa è una fede, lo faccio per abitudine, per non togliere le ultime parole della sera.
Rafaniello dice che a forza di insistere Dio è costretto a esistere, a forza di preghiere si forma il suo orecchio, a forza di lacrime nostre i suoi occhi vedono, a forza di allegria spunta il suo sorriso.
Come il bumeràn, penso: a forza di esercizio si prepara il lancio, ma la fede può uscire da un allenamento?
Ripeto le sue parole per iscritto, più avanti forse le capirò. Lui dice pure di cantare per dare aria ai pensieri, se no chiusi in bocca fanno la muffa».
Erri De Luca, Montedidio, 57

Massimiliano Maria Kolbe nacque in Polonia l’8 gennaio 1894; entrò ancora giovane tra i Minori Conventuali e fu ordinato sacerdote a Roma nel 1918. Ardente di singolare devozione verso la Vergine Madre, fondò la Milizia di Maria Immacolata, che diffuse in patria e in varie regioni del mondo. Missionario in Giappone, si prodigò a propagare con la parola e con la stampa la fede cristiana. Rientrato dopo diversi anni in patria, continuò la sua attività apostolica e mariana. Durante il secondo conflitto mondiale, fu deportato nel campo di concentramento di Auschwitz dove offrì la vita in cambio di quella di un compagno di prigionia. Morì nel Bunker della fame il 14 agosto 1941. Fu beatificato da Paolo VI nel 1971 e canonizzato con il titolo di martire, il 10 ottobre 1982, da Giovanni Paolo II.


Proclamato l'anno giubilare per Romero
Inizierà il 15 agosto e terminerà nel 2017, in coincidenza con il centenario della nascita del Beato salvadoregno
di Alver Metalli
L’anno giubilare per monsignor Romero inizierà lunedì 15 agosto con una messa solenne nella cattedrale metropolitana di San Salvador e terminerà lo stesso giorno del prossimo anno, il 2017, in occasione dei cento anni della nascita del beato Óscar Romero. L’annuncio l’ha dato l’arcivescovo José Luis Escobar y Alas davanti a migliaia di salvadoregni riuniti di fronte alla cattedrale dove si trovano i resti e il mausoleo del Vescovo assassinato nel 1980. Con un auspicio: «Speriamo che quando si concluda l’anno giubilare monsignor Romero sia già stato dichiarato santo». Come si sa la causa di canonizzazione è a Roma, in attesa di un miracolo che possa essere comprovato e spinga il martire nuovamente sugli altari dopo la beatificazione avvenuta in El Salvador il 23 maggio 2015.
Interrogato sullo stato del processo monsignor Vincenzo Paglia, presidente del Pontificio Consiglio per la Famiglia, postulatore nella causa del beato Romero, a metà luglio aveva dichiarato a Terre d’America: «Già il processo per la beatificazione è stato un miracolo. È stato molto arduo superare le obiezioni, le più diversificate e tutte convergenti nell’impedire il processo. Papa Francesco è giunto a dire che Romero è stato martirizzato anche dopo morto. Ha vinto la verità dell’amore, ha vinto la testimonianza di un uomo che non si è risparmiato in nulla per il bene del suo popolo e che con semplicità, certo non scontatezza, ha mostrato cosa vuole dire essere vescovo, discepolo di Gesù e uomo fino in fondo. In questo senso è una figura universale, ancor più “scomoda”. Guai a mettere Romero sull’altare che separa, staccandolo dalla normalità della sequela del Vangelo. Romero deve continuare a camminare per le vie di San Salvador». (...)


Mio figlio fico che non porta frutti.
Mi fanno un po' sorridere le varie interpretazioni della parabola del vangelo di oggi (Lc 13,6-9).
A me sembra l'atteggiamento comune di una madre, di un padre, di un educatore, di un allenatore... quando si rendono conto che il loro amato figlio non produce frutti. A chiunque consigli: «Raddrizzalo, spostalo, taglialo, ecc.», loro risponderanno sempre: «Dagli ancora un po' di tempo, una chance! Io cerco di dargli ancora un po' di cure specifiche... e poi vedremo».
Lassismo? Se anche ci fosse una punta di buonismo, Dio Padre ci sorprenderebbe con un atteggiamento ancora più benevolo verso i suoi figli che non fanno frutti.
Meno male: io sono uno di quelli!
don Chisciotte Mc
 
«Gesù diceva anche questa parabola: "Un tale aveva piantato un albero di fichi nella sua vigna e venne a cercarvi frutti, ma non ne trovò. Allora disse al vignaiolo: 'Ecco, sono tre anni che vengo a cercare frutti su quest’albero, ma non ne trovo. Taglialo dunque! Perché deve sfruttare il terreno?'. Ma quello gli rispose: 'Padrone, lascialo ancora quest’anno, finché gli avrò zappato attorno e avrò messo il concime. Vedremo se porterà frutti per l’avvenire; se no, lo taglierai'"» (Lc 13,6-9).



Il potere di una nuvola di profumo 
di Enzo Bianchi 
Nella nostra vita monastica, così contrassegnata dal tentativo di spoliazione, di semplificazione di molte cose e così segnata dai lunghi silenzi della sera, della notte e dell'alba, a poco a poco, con il passare degli anni si sviluppa un'amplificazione dell'esperienza sensoriale: i sensi inscritti nel nostro corpo paiono più allenati all'esercizio, più consapevoli, ma anche più dilatati. Quando, nel silenzio di un tramonto estivo o nella calma postmeridiana della stagione invernale, faccio una passeggiata nel bosco attorno al mio eremo, il toccare la corteccia rugosa della quercia o quella liscia della betulla suscita in me una forte emozione; il guardare l'emergere trionfante di un fiore tra le pietre e gli sterpi di un fosso mi sorprende fino alle lacrime; l'ascoltare nella notte il grido della volpe o il verso ammonitore della civetta mi provoca un risveglio religioso; l'odorare il profumo dei tigli che ho piantato o quello dei castagni resistenti alla malattia o, d'inverno, l'imperdibile aroma del calicanto tra la neve mi fa trasalire… Sì, è un'amplificazione dei sensi provocata dal dare tempo alla consapevolezza, dal nutrire la capacità di attenzione, dal combattere le distrazioni e i pensieri che mi assalgono.
Ma, ormai anziano, confesso che è l'olfatto il senso che più mi intriga. Per Aristotele era il più mediocre di tutti i sensi e anche Darwin lo giudicava un organo più animale che umano. Per fortuna mia e di molti, Proust ha scritto pagine intere sul fascino e il potere degli odori, ben prima che Süskind facesse del profumo non solo il titolo di un romanzo ma la chiave di volta di un'affascinante avventura umana. In verità l'olfatto meriterebbe molta più attenzione da parte nostra: noi, infatti, non solo fuggiamo da odori cattivi e siamo attratti dai profumi, ma in base ad essi ci avviciniamo o ci distanziamo dalle persone, istintivamente, ancor prima che la nostra mente si eserciti a decidere di comunicare o meno.
In ebraico il termine profumo – reach – richiama lo spirito, il soffio, il vento – ruach – anche perché il profumo si espande portato dal soffio, dal vento. Ora, tra questi effluvi ci sono innanzitutto i profumi che abbiamo conosciuto nell'infanzia e che



Rucola addio, ora non si vive senza zenzero
di Luca Mastrantoruo
C'è stata l'epoca della rucoia, che veniva messa ovunque. E finiva sempre tra i denti. Era il giaciglio fatale per ogni pietanza: tutto poteva venire presentato su un «letto di rucola». Un letto acuminato. dal retrogusto amaro. Era come il prezzemolo, ma in versione insalata, in quantità infinita. Con nostalgico umorismo Enrico Vaime intitolò un suo libro Quando la rucola non c'era (Aliberti, 2007). Poi, la stella della rucola ha iniziato a declinare; ci sono stati periodi di transizione, come la parentesi tofu. un derivato della soia fermentata: una delizia, per gli amanti, polistirolo insapore, per chi lo odia. Ma né la rucola né il tofu hanno la versatilità della spezia del momento: lo zenzero. Ci sono donne che non vivono senza zenzero. «Voglio... non so cosa voglio, ma dentro ci deve essere lo zenzero, tanto zenzero!». Frasi che si sentono "da 0tto", locale milanese alla moda, dove alcune ragazze zenzero-di-pendenti sono state ribattezzate zenzerine. In un mondo pieno di incertezze, lo zenzero sembra avere tutte le risposte. Indecise sull'aperitivo? Ecco il Moscow mule, che ha fatto le scarpe al Mojto. Un analcolico? Una centrifuga, a base di... lo sapete. Non potete uscire per un forte mal di gola? Ma c e l'infuso di zenzero! Non vi piace la minestra? Due fette di zenzero e via... La vita sessuale ha bisogno di pepe? Provate con il metodo usato dai mercanti di cavalli per far sembrare più giovani gli animali. Insomma, lo zenzero è piccante, eccitante, zen, rizomatico e eupeptico, cioè stimolante-di-gestivo, come cantava Elio e le storie tese nella canzone Natale allo zenzero (2005), che aveva previsto la zenzerizzazione. A partire dai biscotti nordici, tutto diventava zenzero: «Presepe allo zenzero/tanti auguroni allo zenzero/ stappare lo zenzero/ brindare allo zenzero/ gridare fortissimo zenzero». Persino le zanzare, per assonanza, sono allo zenzero! Chissà se verrà un giorno in cui qualcuno potrà raccontare quando lo zenzero non c'era.
Corriere della Sera, 20 luglio 2016
 
Condivisione e solidarietà 
di Enzo Bianchi 
(...) Questa rete di «mutuo soccorso» - pubblico o privato, regolamentato o spontaneo, ereditato o reinventato - non è un dato naturale e incontrovertibile, ma nasce e si alimenta in una cultura della condivisione cui il messaggio evangelico è storicamente tutt'altro che estraneo. Condivisione, infatti, è uno dei più antichi nomi cristiani della povertà come beatitudine, della povertà scelta per servire Dio e non la ricchezza: mettere in comune i propri beni affinché nessuno sia bisognoso è la norma che già la comunità apostolica a Gerusalemme metteva in pratica nel quotidiano. Non dimentichiamo che il termine koinonia, che normalmente traduciamo con comunità, negli Atti degli apostoli indica anche la comunione di ciò che si possiede. Così i credenti «erano perseveranti nella comunione... avevano ogni cosa in comune... ogni cosa era tra loro comune» (At 2,42; 2,44; 4,32). (...) Una prassi che anche a livello sociale trova modo di dispiegarsi nella misura in cui si è consapevoli dell'uguaglianza di ogni essere umano, della necessità di un'equa distribuzione delle risorse naturali, del legame intrinseco tra bene comune e benessere personale.
Certo, condivisione e solidarietà faticano a trovare spazio quando si idolatra il libero mercato - che così libero non è mai - o si assolutizza il diritto alla proprietà privata. In questo senso i cristiani, soprattutto nei luoghi e nei periodi di difficoltà economiche, hanno la responsabilità di testimoniare la logica feconda della koinonia, contestando nella pratica quotidiana l'accumulo dei beni: questi dovrebbero sempre avere come destino ultimo la condivisione. Il rapporto con la ricchezza è uno dei «luoghi» in cui lo stile di vita è esso stesso contenuto del messaggio evangelico. Esistono infatti una semplicità di vita, un'essenzialità e una bellezza legate alla sobrietà garantite e rinnovate ogni giorno dalla condivisione con i più poveri. E qui si colloca la caratteristica peculiare della condivisione cristiana che nasce dalla consapevolezza di formare un solo corpo ed è destinata a non esaurirsi all'interno della più o meno ristretta comunità di vita: come l'amore che deve animarla, si dilata a partire da un centro, un cuore - la comunità - e raggiunge via via cerchie più ampie di persone. La solidarietà con i poveri significa avere l'occhio per il povero, saperne discernere la presenza e i bisogni, considerare i poveri come sacramento di Cristo ma anche come epifania del peccato nel mondo, vittime nella storia dei potenti e dei dominatori di turno. La comunità cristiana è chiamata in ogni stagione della sua storia a esercitare il discernimento non solo e non tanto per individuare chi sono i poveri, ma soprattutto per farsi prossima a loro, chiunque essi siano e ovunque si trovino. (...)
in “Rocca” n. 7 del 1 aprile 2012

«Voglio però ricordarti com' eri, 
pensare che ancora vivi
voglio pensare che ancora mi ascolti
e come allora sorridi».
Francesco Guccini - I Nomadi 

"Credente non è chi ha creduto una volta per tutte,
ma chi, in obbedienza al participio presente del verbo,
rinnova il suo credo continuamente".
Erri De Luca
"Il bambino che gioca impegna nel suo gioco
molta più luce dei santi nelle loro preghiere
o degli angeli nei loro canti.
Il bambino che gioca è la consolazione di Dio".
Christian Bobin, Il distacco dal mondo, 17

«Quando si agisce è segno che ci si aveva pensato prima: l'azione è come il verde di certe piante che spunta appena sopra la terra, ma provate a tirare e vedrete che radici profonde!». 
Alberto Moravia, Racconti romani


"Sì muore un po' per poter vivere".
P. Conte - V. Pallavicini 


"Intendo parlare di onorificenze, distinzioni, insegne, e simili. (...) Chiaramente preoccupante sarebbe il fatto che tali distinzioni vengano desiderate e domandate; qualora ciò accadesse,  potrebbe infatti rivelare una inconsistenza sacerdotale. Nel senso che la mancanza di stima per il proprio servizio ministeriale, il non-senso avvertito di fronte al proprio esere prete, rischiano di essere illusoriamente colmati dal prestigio acquisito in forme esteriori e secondo una logica non evangelica".
Carlo Maria Martini, Cammino di povertà, (8.04.1982)

"Camminare è il coraggio di perdere l'equilibrio perché si conosce, nel proprio corpo, il potere di staccarsi da terra e ritoccarla... un poco più in là"
.
M. Bellet, La lunga veglia, 46