2017_11_novembre
- Dettagli
"Ci sono due tipi di persone al mondo:
i realisti e i sognatori.
I realisti sanno dove stanno andando.
I sognatori sono già lì".
Robert Orben
- Dettagli
« (...) Oggi (che è già profondamente diverso da 15 anni fa) manca un modello di prete ed è assai difficile capire cosa voglia dire “fare e vivere da prete”. L’unico modello ben chiaro che abbiamo è ancora quello di fine ottocento (quello di don Bosco per intenderci) e quindi non si fa altro che rubare da quel riferimento. Ci sono preti che rubano da quel modello ciò che pensano sia opportuno per l’aspetto educativo, altri per l’aspetto liturgico, altri ancora per l’aspetto sociale o amministrativo. Fare e vivere da prete oggi è una babele di mille cose e spesso in contrasto tra di loro.
Il problema serio è legato alla terza domanda: No, non sono capace di essere un buon testimone della vita sacerdotale. Con la mia vita non incoraggio nessuno (anzi a volte rischio di raffreddare anche quei pochi bollori che possono nascere). Mi domando spesso se stia facendo il prete, se stia vivendo da prete: la risposta è quotidianamente davanti agli occhi per il fatto che spesso non ne sono per nulla contento.
Sono un sacerdote che vive di corsa i momenti di preghiera della comunità e spesso anche senza averli preparati con le dovute attenzioni. Sono spesso triste e un po’ arrabbiato, scontroso e facile a risposte “di pancia”. Sono preoccupato per la gestione amministrativa della parrocchia che mi prende molti pensieri. Sono un manager per i dipendenti e un incapace gestore del personale.
Sono un orso nelle relazioni e profondamente disattento nei confronti della mia famiglia. Non so pregare, o meglio quando poi dovrei cercare di pregare sono stanco e anche se cerco di vincere questa conseguenza, non riesco a rimanervi fedele e attento.
Quindi se un giovane mi guarda, ovviamente gli passa la voglia di fare il prete. Lo capisco bene e condivido pienamente con lui questa conclusione.
Fare il prete è spesso un inventarsi giorno per giorno rispondendo alle innumerevoli
Leggi tutto: Per riflettere (anche senza concordare con tutto il testo!)
- Dettagli
«Oggi una persona su due non riesce a uscire dalla povertà e quindi è costretta a chiedere un aiuto ai Centri di ascolto per più anni di seguito, mentre prima della crisi nel 2008 era uno su tre. Costoro chiedono integrazione al reddito e aiuti alimentari. È una situazione sempre più grave, che ha colpito in modo particolare molti italiani, pensionati e anche giovani. Pare che i più fragili siano proprio i nostri connazionali».
Articolo completo:
http://www.chiesadimilano.it/news/chiesa-diocesi/poverta-in-diocesi-sotto-le-macerie-della-crisi-schiacciato-un-povero-su-due-191012.html
- Dettagli
«Il nuovo dell'Evangelii Gaudium tarda a spuntare perché quella italiana è una Chiesa abbastanza clericale. (...) Si viene da una mentalità pregressa in cui la Chiesa era il parroco o il vescovo. Anche le persone formate come collaboratori erano figli di questa mentalità. Se era clericale il parroco lo erano anche i suoi collaboratori. Ciascuno era terribilmente attaccato al proprio ruolo e al proprio ministero. Quando in passato cambiavo un parroco mi veniva detto: 'Può cambiare anche il parroco ma qui si è sempre fatto così'. E proprio il conservatorismo è una nota tipica di noi italiani. In questo modo si fa più fatica a far emergere il nuovo. Le giovani generazioni hanno delle grandi difficoltà. Nel volontariato, infatti, ci sono tanti anziani ma pochi giovani».
«La parola sinodalità - ha ricordato il card. Bassetti - in greco significa 'andare sulla stessa strada' ed è il contrario del clericalismo. La mentalità clericale è 'io ho il compito di parroco, vescovo, catechista, animatore e questo è il mio campo'. Sinodalità vuol dire condividere insieme i doni, carismi, ministeri. Le membra della Chiesa devono essere infatti in armonia tra di loro. Spesso è più facile racchiudersi nelle proprie idee. La sinodalità richiede dunque il superamento del clericalismo. In Italia serve una Chiesa non dove alcuni hanno molti ministeri, e purtroppo siamo ancora a questo livello, ma dove molti hanno pochi ministeri in modo da poterli fare bene e in armonia tra loro».
- Dettagli
«Tutto quanto volete che gli uomini facciano a voi, anche voi fatelo a loro: questa infatti è la Legge ed i Profeti» (Mt 7,12).
- Dettagli
- Dettagli
- Dettagli
Brusco - Sei come sei
Sei bella così come sei (ahi che tipa!!!).
Sei bella ma non lo sai.
Ok va bene: non sarai una velina, ma così sei carina, non c’è niente che non va.
Sei cretina se non vuoi più specchiarti, perché se ti guardi non c’è niente che non va.
Una ceretta e sei perfetta; il mondo ti aspetta, non c’è niente che non va.
La tua è paura é quella, non se ne va via con la chirurgia; non c’è niente che non va.
Cerchi difetti: mentre ti specchi ti flesci gli occhi piccoli e stretti,
guardi giù i cuscinetti e non ti piace niente di ciò che metti.
Basta, la smetti, calma, rifletti, scommetti che se sorridi ti accetti?
Anzi più ridi e più sembri sexy e senti: “Posso offrirti una Pepsi?”.
Sei bella così come sei senza difetti non ti amerei.
Sei bella, ma non lo sai, quindi ti prego: non cambiare mai.
Sei bella così come sei, esattamente come vorrei.
Sei bella ma non lo sai.
Resta come
- Dettagli
La Tempesta
Angelo Branduardi
Non c’è più vento per noi,
tempo non ci sarà
per noi che allora cantavamo
con voci così chiare.
Non c’è più tempo per noi,
vento non ci sarà
per noi che abbiamo navigato
quel mare così nero,
ma se la vita è tempesta,
tempesta allora sarà.
Non c’è più vento per noi,
tempo non ci sarà
per noi che
- Dettagli
- Dettagli
- Dettagli
La casa della vecchia zia
«Come immaginiamo, come presentiamo la Casa del Padre?
Il modello, sovente, è dato da certe case antiche, aristocratiche. Dentro, tutta roba di classe. Mobilio artistico. Tappeti persiani. Vasellame cinese. Quadri d’autore. Ritratti (tanti, troppi), cimeli, medaglie di antenati. Museo. Archivio. Vi si conservano, gelosamente, le glorie del passato.
In certe stanze è vietato rigorosamente l’ingresso. Da un’altra parte non si può andare perché è stata data la cera sul pavimento. Finestre chiuse. Imposte chiuse. Perché il sole potrebbe rovinare i delicati tendaggi. Aria che sa di muffa, di chiuso, di antichità. Non si respira. Pare di soffocare. Cartelli da tutte le parti: non toccare, non entrare, proibito far questo, vietato far quell’altro, attenti alle scarpe sporche... Guai ad alzare la voce, a cantare. C’è la vecchia zia, acida, bisbetica, che soffre di nervi... E detesta la musica moderna. Adora Bach. I discorsi, noiosissimi. Sempre le stesse cose. La stessa solfa. Ripetizione delle glorie del passato e recriminazioni sul presente: “Dove andiamo a finire?»; «Ai miei tempi...”.
Soprattutto: atteggiamento di superiorità e di disprezzo per quelli che sono fuori, che non godono dei nostri privilegi, che non hanno il nostro sangue nelle vene, che non possono vantare il nostro blasone, una razza inferiore... Guai se i figli del vicino mettono i piedi in questa casa. Potrebbero sporcare, potrebbero turbarne l’ordine rigorosamente stabilito.
Non abbiamo un po’ la tentazione a ridurla così la Casa del Padre? Una Casa di privilegiati, una specie di Museo, di archivio. Tutto in ordine. Tutto già predisposto. Soprattutto, nessuna novità. Si è sempre fatto così. Milioni di proibizioni. Un cerimoniale esatto da osservare. Tutto rigidamente stabilito. Manca l’atmosfera che dia la gioia di viverci.
Invece dovrebbe essere una Casa dalle finestre e dalle porte spalancate. Senza visi arcigni a custodirla. Una Casa in cui tutti
- Dettagli
Un gesto di ribellione chiamato «pazienza»
di Nunzio Galantino
Giornate “piene”! Piene di incontri, di parole dette e/o ascoltate. Piene di relazioni intrecciate, rinsaldate. Ma giornate piene anche di relazioni isterilite dalla consuetudine o sfilacciate a causa di incomprensioni. È l’esperienza che tutti facciamo. La frenesia caratterizza sempre più spesso le nostre giornate rischiando di farci attraversare in maniera superficiale alcuni tornanti della nostra vita e momenti potenzialmente decisivi per essa. Tornanti e momenti della vita che meritano altra attenzione e altra cura per accorgerci che esiste un tempo, in quelle che chiamiamo “stagioni morte”, in cui tutto sembra tacito e quieto, tanto quieto da farci pensare al nulla e alla morte.
Guardate ad esempio gli alberi d’inverno, nudi e scheletrici o il seme che abbiamo appena piantato, ingoiato dalla terra. Tutto appare silenzioso e finito. Eppure, in qualche parte invisibile e nascosta, qualcosa freme e nell’intima profondità della terra la vita si prepara. Che torto alla vita farebbe il contadino se, visto il suo albero senza più foglie, lo tagliasse inesorabilmente o se, impaziente, vangasse la terra con il suo seme. Probabilmente licenzieremmo il nostro contadino accusandolo di essere incapace e incompetente. E certamente non avremmo tutti i torti. Eppure troppo spesso nelle nostre relazioni noi facciamo come quel contadino dilettante. Appena avvertiamo silenzio e aridità decretiamo, implacabili, la fine di una relazione o la chiusura di un processo di vita. Ci comportiamo cioè come chi non sa nulla dell’attesa e della promessa di vita che porta con sé questo tempo.
Il tempo della cura. Un tempo fatto soprattutto di silenzio, riempito di gesti umili, come quelli della terra che culla il suo seme, scaldandolo e dandogli nutrimento, riparandolo dal gelo e dal becco avido degli uccelli. Un tempo fatto di minuzie che sembrano banali, ma che proteggono la vita; un tempo silenzioso, paziente, discreto come quello della linfa che lentamente sale verso i rami.
Agli occhi di chi ha fretta e di chi non conosce la scarna sapienza del travaglio, questo può sembrare un tempo senza senso, inutile come uno sterile accanirsi. Eppure proprio allora e grazie a questa cura aiutiamo la vita – la nostra vita - a crescere. E la vita – sia quella fisica sia la vita(lità) che accompagna i passaggi dell’esistenza di ognuno di noi - nasce sempre da un gesto d’amore e da una
- Dettagli
- Dettagli
Speranza. Aperti al bene futuro
di Nunzio Galantino
Derivata dal latino spes - e, a sua volta, dalla radice sanscrita "spa" che significa «tendere verso una meta» - Speranza è l’atteggiamento interiore di attesa/aspettativa di un bene futuro, di un cambiamento positivo, di apertura di nuovi orizzonti. La speranza è fiducioso e fondato ottimismo riguardo al proprio destino o a quello di ciò che mi circonda. La speranza non è solo il contrario della disperazione. Essa è altro anche rispetto al fatalismo rinunciatario: è sempre una possibilità sempre aperta nella nostra vita. (...)
La speranza cresce con tutto ciò che sta nel mondo. È parte di esso, come è parte della vita di ogni uomo. Bisogna avere il coraggio di riaprire il vaso della vita. Bisogna continuamente rimetterci mano. «La speranza infatti – scrive G. Bernanos - è un rischio da correre. È addirittura il rischio dei rischi». Bisogna liberarla perché possa, come nel mito, ridare vita a un luogo desolato e inospitale, quale può essere anche la nostra stessa vita. Certo, non è facile, se Italo Calvino ha potuto scrivere: «Che pena. Sperare, intendo. È la pena di chi non sa rinunciare». (...)
in “Il Sole 24 Ore” del 29 ottobre 2017
- Dettagli
#Computer
di Gianfranco Ravasi
«I computer sono inutili. Ti sanno dare solo risposte».
È fulminante questa battuta di Picasso, pronunciata in un tempo in cui i computer erano ancora nel paleolitico informatico. La verità della sua affermazione si è irrobustita oggi quando le “meraviglie” della virtualità sembrano non conoscere confini. I nativi digitali senza sorpresa e noi, che siamo solo migranti digitali, con qualche imbarazzo ci troviamo di fronte a panieri immensi di dati nei quali ci si può solo tuffare, spesso col rischio di annegare. Sì, abbiamo innumerevoli risposte ma tra loro contraddittorie e le nostre domande rimangono inevase, così che progressivamente ci si rassegna a spegnerle e a raccattare qua e là nella marea delle risposte quelle più “colorate” e attraenti. Oppure può accadere quello che registrava uno che di questo orizzonte s’intendeva molto, Umberto Eco: «Una volta chi doveva fare una ricerca andava in biblioteca, trovava dieci titoli sull’argomento e li leggeva. Oggi schiaccia un tasto del suo computer, riceve una bibliografia di diecimila titoli, e rinuncia».
in “Il sole 24 Ore” del 3 settembre 2017
- Dettagli
- Dettagli
- Dettagli
- Dettagli
«Chisciotte è scheletrico, denutrito, ardente. La sua febbre visionaria gli fa vedere occasioni per l’impresa dove invece si trascina la vita quotidiana di contrade assolate e polverose.
Ma lui è partito per riparare torti, assistere bisognosi, liberare gli oppressi e allora riesce a scorgere i maligni anche sotto le banali apparenze.
Per lui la realtà è travestimento. E ci si slancia contro per colpire le soverchianti forze della prepotenza. E finisce atterrato, battuto, a rotoloni ma si rialza, si riassesta dalle ammaccature ed è pronto per l’avventura nuova.
Non si lascia abbattere da nessuna sconfitta. È perciò invincibile, titolo che spetta non a chi vince sempre, ma a chi mai si dichiara arreso e dopo ogni batosta si batte di nuovo, ancora e a oltranza».
Erri De Luca, “Chisciottimista”
- Dettagli
«Ecco il problema -unico- di oggi: unificare il mondo, facendo ovunque ponti ed abbattendo ovunque muri».
Giorgio La Pira - lettera del 1970
- Dettagli
«La vita spirituale non è forse null'altro che la vita materiale compiuta con cura, calma e pienezza: quando il panettiere svolge alla perfezione il suo lavoro di panettiere, Dio è nella panetteria».
Christian Bobin
- Dettagli
- Dettagli
Beatitudini quotidiane, santità quotidiana. "Oggi devo fermarmi sulla tua strada".