"Diceva padre Nazareno Fabbretti, cresciuto alla scuola fondamentale del giornalismo: «La prima cosa da capire è che bisogna farsi capire». E il grande esegeta - nonché sensibilissimo poeta - Luis Alonso Schokel, scomparso nel 1999, ribatteva nella testa dei suoi studenti dell'Istituto Biblico di Roma questo chiodo: «Ricordate che chiarità è carità».
Sì, la chiarezza dice rispetto delle persone. Mentre l'oscurità, specie se voluta, magari camuffata da scientificità, denota un evidente disprezzo degli altri. Dobbiamo osare la chiarezza. E dobbiamo esigerla anche dagli altri. Chi sembra divertirsi a non farsi capire, in realtà, è uno che sta architettando una frode nei confronti del prossimo. Urge, perciò, smascherare questi imbroglioni. C'è da stare alla larga da chi non ha le carte in regola con la chiarezza. Bisogna diffidare di chi non va d'accordo con la semplicità.
Quanto più le cose sono difficili, tanto più occorre spiegarle in maniera facile. E se certe faccende appaiono complesse e ingarbugliate, uno ha diritto di... vederci chiaro.
Il guaio è che la chiarezza non la si apprende all'università, né penso ci siano insegnanti preparati sull'argomento. Però basterebbe (...) frequentare la scuola d'obbligo della vita comune. E il titolo di iscrizione è quello rappresentato dalla virtù dell'umiltà. Il prete dovrebbe rendersi conto che il problema non è quello di apparire dotto, ma di farsi capire da tutti. Se il prete rinuncia alla pretesa di apparire più intelligente della sua gente, e si mette su un piano di chiarezza e semplicità, la cosa torna a vantaggio di tutti".
Alessandro Pronzato, La predica prova della fede?, 90-91

Maria: beata te che hai creduto!
Carlo Carretto, Beata te che hai creduto, San Paolo, 1986, 7-16.
«Debbo dire che i miei rapporti con Maria, la madre di Gesù, erano guastati dal romanticismo di quella devozione mariana che imperversava prima del Concilio e che a poco a poco si svuotava di contenuto. Che Maria fosse regina e che regina! che fosse una creatura che non sbagliava mai, che camminava sulle strade della sua Nazaret con la visione tutta chiara delle cose, incapace di peccare e di dubitare, ha poco da dire a chi è angosciato e si trascina nel deserto della fede con tanta fatica.
L’esaltazione fatta di questa creatura dal fanatismo di allucinati, così numerosi nel mondo cattolico, finisce per svuotare di autentico contenuto teologico la devozione per colei che è nientemeno che la Madre di Dio e che non ha bisogno di raccomandazioni per essere considerata. Basta non tradire il Vangelo.
Non mi sono mai stupito quindi nel vedere in questi decenni inaridirsi nelle giovani generazioni la fonte dell’amore per Maria di Nazaret ed i venditori di rosari chiudere bottega. Era necessario che così avvenisse. Come per tante altre cose, bisognava ricominciare da capo.
Non abbiamo cominciato da capo con la Bibbia considerata ai tempi della mia giovinezza un libro proibito?!
Non abbiamo cominciato da capo con la liturgia espressa prima del Concilio nell’immobilismo di gesti abbastanza freddi, in una lingua incomprensibile alle folle com’è il latino?!
Non abbiamo incominciato da capo con la Chiesa considerata nel passato come una piramide clericale, mentre il Concilio ce l’ha delineata come « Popolo di Dio» in marcia verso la Terra Promessa?!
Ebbene anche per la Madonna incominciamo da capo anche se questo «incominciare da capo» è solo un’impressione perché, in realtà, le cose continuano, perché nella Chiesa, che è un corpo vivo, una realtà viva, tutto continua.
Per me il ricominciare da capo ha avuto un momento importante. È stato durante il mio lungo soggiorno nel deserto. Vivevo... ».
 

«Nella luce della risurrezione di Gesù possiamo intuire qualcosa di ciò che sarà la risurrezione della carne. In essa l'essere con Cristo si estenderà ad abbracciare la pienezza della persona e la globalità dell'esperienza umana anche nella sua dimensione corporea, così come la risurrezione del Crocifisso nella carne ha portato nella vita eterna la carne del nostro tempo mortale, fatta propria dal Figlio di Dio.
L'anticipazione vigilante della risurrezione finale è in ogni bellezza, in ogni letizia, in ogni profondità della gioia che raggiunge anche il corpo e le cose, condotte alla loro destinazione propria, che è quella delle opere dell'amore.
Non dobbiamo dimenticare che il cristianesimo, con alterne vicende, ha condotto una dura battaglia per respingere l'impulso al disprezzo del corpo e della materia in favore di una malintesa esaltazione dell'anima e dello spirito. L'esaltazione dello spirito nel disprezzo del corpo, come l'esaltazione del corpo nel disprezzo dello spirito, sono di fatto il seme maligno di una divisione dell'uomo che la grazia incoraggia a combattere e a sconfiggere.
La vigilanza consiste nell'esercizio quotidiano dei sensi spirituali, ossia degli stessi sentimenti che furono di Gesù, nella coltivazione della sapienza evangelica che unifica l'esperienza e ci consente di apprezzare i legami fini e profondi del corpo con lo spirito. In tal modo possiamo custodire fin d'ora, in attesa che si compia la promessa della risurrezione della carne, il piacere della libertà del corpo da tutto ciò che è falso e ottuso, laido e volgare, avido e violento.
La fede nella risurrezione finale ci aiuta quindi a valorizzare e amare il tempo presente e la terra. La vigilanza cristiana, illuminata dall'orizzonte ultimo, non è fuga dal mondo, bensì capacità di vivere la fedeltà alla terra e al tempo presente nella fedeltà al cielo e al mondo che deve venire. Nella luce della Pasqua, i novissimi - morte, giudizio, inferno, purgatorio, paradiso e risurrezione finale della carne - sono tutte forme dell'essere con Cristo, che è promesso e donato all'abitatore del tempo e si configura a seconda del rapporto che, nella vigilanza o nel rifiuto, si stabilisce tra ogni persona umana e il Signore Gesù».
C. M. Martini, Dalla croce alla gloria, 98-99

 

 

 
Teniamo uniti,
gettiamo ponti,
superiamo i muri.

Il pavimento è di vero legno;
le impronte sono state lasciate dal monaco buddista Hua Chi,
che da vent'anni prega tutti i giorni nello stesso punto.
 
 
A Dio piacciono le storie
di Gianfranco Ravasi
«Dio ha creato gli uomini perché Egli - benedetto sia - ama i racconti». Questo curioso aforisma giudaico spiega il fatto che la Bibbia sia una costante sequenza narrativa, anche perché alla base ha una storia della salvezza. (...). Non per nulla il Dio biblico ha un orecchio attento a raccogliere racconti umani tristi e gioiosi e persino le provocazioni di chi non crede in lui.
Quando Baal Shem Tov, il fondatore della tradizione ebraica mistica mitteleuropea detta dei Chassidim (i «pii»), doveva affrontare una missione difficile, si ritirava nei boschi e celebrava un rito di invocazione ed era esaudito. Quando, una generazione dopo, il suo successore si trovava nella stessa situazione, si recava in quel luogo nel bosco ma, essendo proibiti i riti ebraici, pregava in silenzio e veniva esaudito. Dopo un’altra generazione, quando incombeva la persecuzione, un altro maestro stava seduto nella sua residenza e diceva: «Non possiamo più celebrare il nostro rito, non possiamo recarci nel bosco a pregare, ma di tutto questo possiamo raccontare la storia». E il puro e semplice racconto aveva la stessa efficacia per vincere ogni paura. (...)
I Vangeli stessi appartengono al genere dei racconti (diéghesis), come esplicitamente afferma Luca nel suo prologo; in essi l’evento storico (history) diventa storia vivente attraverso la narrazione (story) e, così, genera fede: «Queste cose sono state scritte perché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio e perché, credendo, abbiate la vita nel suo nome», afferma programmaticamente l’evangelista Giovanni (20,31). Come ha sottolineato il filosofo Paul Ricoeur, nei Vangeli non c’è solo la rappresentazione degli eventi "configurati" in trama, ma c’è anche la loro "rifigurazione", cioè la loro torsione verso lo svelamento di un senso trascendente, generatore di fede. Gesù stesso, grande maestro dell’annunzio cristiano narrativo attraverso le sue parabole, è per eccellenza il Narratore di Dio, ossia il rivelatore del mistero divino del quale non si può parlare, ma che si può narrare...
in “Corriere della Sera” del 18 maggio 2014
«Per me se n'è innamorata»
di Gilberto Borghi
«In genere chi conosce già il brano, ne vede immediatamente il significato in termini di idee. Idee anche perfettamente corrette: "Dio non vuole la morte del peccatore, ma che si converta e viva". Ma idee che sorvolano velocemente sulla corposità dei fatti narrati, impedendoci di fermarci a ciò che invece per i miei studenti è "evidente", perché sorge dal testo se lo guardiamo con occhi diversi.
Ecco cosa significa "riverginati": puliti dalle "sovrastrutture" scontate che di solito guidano a priori la lettura dei brani biblici, impedendoci di essere concreti nella percezione dei fatti narrati.
I miei studenti si concentrano su cose che, per noi, sarebbero forse un po' marginali. La dinamica relazionale di Gesù e la sua astuzia. L'emozione provata dall'adultera. Una ipotetica bellezza fisica di Gesù. E poi, non da ultimo, il sentimento che l'adultera prova per Lui alla fine. Insomma più che le idee e i significati, la realtà, i corpi, le emozioni.
Ma, ad esempio Ilaria, coglie ugualmente il senso del brano. Solo che ci arriva per un'altra via, rispetto a quella che pratichiamo spesso noi, già apparenti conoscitori del testo. Ci arriva col cuore e l'immaginazione, senza "dogmi" razionali eccessivi, lasciando che la corposità plastica del racconto le consenta di immedesimarsi quel tanto che basta per "sentire", più che per capire, quello che il testo dice.
E mi chiedo: ascoltato così il vangelo parla di più o di meno? Credo che così colpisca la persona in più "cervelli", non solo e non tanto in quello razionale, ma soprattutto in quello emozionale».

«Dissi al mandorlo: parlami di Dio.
Ed il mandorlo fiorì.
Dissi al povero: parlami di Dio.
Ed il povero mi offrì la sua casa.
Dissi al sogno: parlami di Dio.
Ed il sogno si fece realtà.
Dissi all'usignolo: parlami di Dio.
E l'usignolo si mise a cantare.
Dissi ad un soldato: parlami di Dio.
Ed il soldato lasciò le sue armi.
Dissi alla natura: parlami di Dio.
E la natura si coprì di bellezza.
Dissi al bambino: parlami di Dio.
Ed il bambino lo chiese a me.
Dissi all'amico: parlami di Dio.

La dinamica del dono che genera doni 
di Enzo Bianchi 
Dire dono significa dare gratuitamente: senza scambio, senza contro-dono, senza creazione del debito, senza reciprocità: non c’è dono autentico senza gratuità. L’essenza del cristianesimo sta nell’annuncio non solo dell’amore che vince la morte, ma di un amore gratuito, chiamato 'grazia' nella millenaria tradizione cristiana. La grazia (chen in ebraico, cháris in greco, gratia in latino) è favore, benevolenza, amore che non deve essere meritato: è amore preveniente, gratuitamente riversato da Dio, impensabile come evento umano. Sicché, quando si fa evento, fa sì che «dove abbondò il peccato, sovrabbondò la grazia» (Rm 5,20), l’amore gratuito, libero, incondizionato, fedele per l’eternità. Questa è buona notizia, vangelo: l’amore di Dio non va meritato, ci precede, ci raggiunge prima che noi possiamo fare qualcosa per meritarlo! Addirittura, Dio ci ama mentre siamo peccatori, simultaneamente al nostro essere suoi nemici, suoi negatori (cf. Rm 5,6-10). 
L’amore di Dio per l’umanità tutta è amore che non può essere ripagato. Come recita un’antica anafora che in un solo versetto ci dà tutto il movimento originato dalla gratuità: «Ti rendiamo grazie, Signore, noi tuoi servi peccatori ai quali hai concesso la tua grazia che non può essere ripagata» (Anafora di Addai e Mari). L’uomo rende grazie, accoglie la grazia e la riconosce, ma questa gratitudine non precede né determina il dono di Dio che è gratuito, appunto, motivato solo dal suo amore per noi esseri umani. C’è un’altra parola di Gesù in proposito: «Come il Padre ha amato me, così io ho amato voi … Come io ho amato voi, così voi dovete amarvi gli uni gli altri» (Gv 15,9.12).
Nessuna reciprocità, nessuna simmetria: io dono a te non perché tu ridoni a me, ma affinché tu doni agli altri! È una

Qui sotto trovate i "materiali" presentati durante la serata di lunedì scorso, dal titolo:
LA PROCREAZIONE MEDICALMENTE ASSISTITA:
TECNICHE E VALUTAZIONE ETICA.

- Il senso del procreare (presentazione Power Point)

- Alcune questioni legate all'intervento medico (file Word)

- Le tecniche e la valutazione etica (presentazione Power Point)

- L'attuale legislazione (presentazione Open Office)

 

... per andare alla lezione di yoga!

 
LA PROCREAZIONE MEDICALMENTE ASSISTITA:
TECNICHE E VALUTAZIONE ETICA
Una serata  sul tema, con il dott. Fabio Magatti (ginecolgo dell'Ospedale Valduce di Como)
don Marco Paleari (consulente etico del Centro Baìt).
Lunedi 19 maggio ore 21:00
presso il salone dell'oratorio di Lurago Marinone
via Risorgimento 2.

qui trovi la locandina

 



pubblicato Domenica 18.05.2014 alle 6:19


«Mi preme qui ricordare piuttosto i tradimenti di un prete che si esprimono anche senza gesti clamorosi, quando ci si mantiene formalmente sul cavallo buono e però si delude una comunità, lasciandola denutrita e triste».
C.M. Martini, Le tenebre e la luce, 119-121
 
LA PROCREAZIONE MEDICALMENTE ASSISTITA:
TECNICHE E VALUTAZIONE ETICA
Una serata  sul tema, con il dott. Fabio Magatti (ginecolgo dell'Ospedale Valduce di Como)
e don Marco Paleari (consulente etico del Centro Baìt).
Lunedi 19 maggio ore 21:00
presso il salone dell'oratorio di Lurago Marinone
via Risorgimento 2.

qui trovi la locandina
 

C'è chi insegna
guidando gli altri come cavalli
passo per passo:
forse c'è chi si sente soddisfatto
così guidato.
 
C'è chi insegna lodando
quanto trova di buono e divertendo:
c'è pure chi si sente soddisfatto
essendo incoraggiato.
 
C'è pure chi educa,
senza nascondere l'assurdo ch'è nel mondo,
aperto ad ogni sviluppo,
ma cercando d'essere franco all'altro come a sé,
sognando gli altri come ora non sono:
ciascuno cresce solo se sognato.
 
Danilo Dolci
 
«Ma se i peggiori sono questi inutili che vivono nel mezzo, che definizione dare degli arroganti, caldi o freddi che siano, che si arroccano nelle loro posizioni per sentirsi migliori degli altri? 
Io vivo nel mezzo, continuamente, e sono sicuramente inutile. Non sono però cosi certo di essere peggiore di tanti altri, molto impegnati e ricchi di certezze, beati loro, ma anche molto interessati  a prevalere e a sminuire gli altri...»
grazie a C.P. per questo commento, che condivido
 
 

«Conosco le tue opere: tu non sei né freddo né caldo. Magari tu fossi freddo o caldo! Ma poiché sei tiepido, non sei cioè né freddo né caldo, sto per vomitarti dalla mia bocca» (Ap 3,15-16).

 

 

«Godremo dunque di una visione mai contemplata dagli occhi, mai udita dalle orecchie, mai immaginata dalla fantasia:
una visione che supererà tutte le bellezze terrene, le bellezze dell’oro, dell’argento, dei boschi, dei campi, del mare, del cielo, del sole, della luna, delle stelle e degli angeli.
Perché è a causa di questa bellezza che tutte le altre cose sono belle».
sant'Agostino, Commento alla prima Lettera di Giovanni, 4,5
 

Ieri mia sorella ha conseguito il Master in Economia
presso l'Università di Indianapolis:
BRAVA, STEFY!

 

L’economia di Gesù e l’idolo del mercato
di Loretta Napoleoni
Non si possono servire due padroni, ci insegna il Vangelo, o si serve Dio o il denaro (Mammona dall’aramaico mamon, ricchezza). Una lettura laica ci porta a interpretare questa frase come un’esortazione a dedicarsi al bene della collettività, della società piuttosto che all’accumulazione del denaro. (...)
Colpisce il ruolo rivoluzionario svolto da Gesù di Nazareth in una società profondamente iniqua, dove una microscopica percentuale della popolazione godeva di tutta la ricchezza a discapito delle masse. Ricorda qualcosa? Non siamo troppo lontani dal nostro presente. Povertà e ricchezza non sono condizioni legate ai voleri di Dio, predica Gesù in Galilea, ma sono frutto del cattivo funzionamento della società. Un concetto che scardina l’ideologia economica ebraica; si tratta infatti di un’interpretazione profondamente moderna perché restituisce all’uomo la responsabilità della vita societaria e separa le cose di Dio da quelle terrene. Oggi ci troviamo di fronte ad una crescente sperequazione dei redditi che ricrea il divario tra le élite del denaro e le masse che ne sono prive. Il motivo è ancora una volta il cattivo funzionamento delle società. (...)
L’economia dei Vangeli è un’economia collettiva, che ruota intorno al concetto di beni comuni: tutti devono poter mangiare, vestirsi, avere un lavoro ed un tetto sulla testa, è quanto predica Gesù. Concetti che oggi, specialmente nel ricco Occidente, sembrano superati, ma che sono tuttora profondamente validi. Oggi come duemila anni fa la società è fragile perché tra i due padroni predilige il denaro, oggi come duemila anni fa abbiamo bisogno di ritrovare lo spirito societario per ricominciare a crescere non da soli ma tutti insieme.
in “Avvenire” del 7 maggio 2014
 

 
Come prima, più di prima
di Gian Antonio Stella
Per piacere: evitateci lo stupore scandalizzato, «chi se lo immaginava?», «non l’avrei mai detto...». Tutto sono, gli arresti di ieri per l’Expo 2015, tranne che una clamorosa sorpresa. Perché, ferma restando l’innocenza di tutti fino alle sentenze, le cose stavano procedendo esattamente come era andata troppe altre volte.
Il solito copione. Recitato per i Mondiali di nuoto, le Universiadi, la World Cup di calcio, l’Anno Santo... Anni perduti nei preliminari, discussioni infinite sui progetti, liti e ripicche sulla gestione e poi, di colpo, l’allarme: oddio, non ce la faremo mai! Ed ecco l’affannosa accelerazione, le deroghe, il commissariamento, le scorciatoie per aggirare lacci e lacciuoli, le commesse strapagate, i costosissimi cantieri notturni non stop.
Sono sei anni, dal 31 marzo 2008, che sappiamo di dovere organizzare l’Expo 2015. E anni che sappiamo, dopo i trionfi di Shanghai 2010 dove il nostro padiglione fece un figurone, che l’impresa è difficile se non temeraria. Eppure solo Napolitano, all’ultimo istante, si precipitò alla grandiosa esposizione cinese per ricevere il passaggio del testimone e mettere una toppa sulle vistose assenze del nostro governo. Dopo di allora, tanti proclami, annunci, rassicurazioni... Mentre cresceva, nonostante l’impegno generoso di tanti, la paura di non farcela.
(...) C’è anche chi scommette sui ritardi e sulla accelerazione febbrile col cuore in gola. Quando il rischio che salti tutto fa saltare le regole che erano state fissate e i prezzi schizzano sempre più su, più su, più su. Proprio come previde nel 2010 la presidente degli architetti milanesi denunciando «perplessità in merito al rispetto delle scadenze per il completamento dei lavori, alla trasparenza delle procedure e alle modalità che saranno utilizzate per affidare gli appalti». Già la prima di quelle gare, del resto, fu un’avvisaglia: vinse un’impresa con un ribasso enorme da 90 a 58 milioni ma l’anno dopo già batteva cassa per averne 88. Per non dire delle infiltrazioni nei subappalti di imprese in odore di mafia: il capo della polizia Pansa...
Il praticante non credente
di Roberto Beretta
Ebbene sì, lo confesso: vado a messa tutte le domeniche, senza sgarrare, ma faccio sempre più fatica a fidarmi di trovarmi in una comunità vera. E come potrei, del resto? Ormai metto automaticamente a confronto le parole che sento dall'altare o dal pulpito con la gommosa ipocrisia degli ambienti cattolici con cui mi confronto da anni, con le bugie e i silenzi che ho constatato troppe volte con mano, e non posso fare a meno di chiedermi: ma se questi sono due volti della stessa Chiesa, come faccio a credere a quello «buono» dimenticandomi quell'altro, colpevole e senza nessuna voglia di pentirsi? Sarebbe come autorizzarlo a continuare così, perché resterà sempre impunito... Anzi, giungo a pensare che non affidarsi alla cieca sia addirittura un dovere, un merito: io a «quelli lì» non mi consegno!
E' la mia rivincita ai calci buscati in ambiente clericale per voler essere coerente con ciò che i preti stessi mi hanno insegnato? Può darsi. Di fatto vivo questa contraddizione, che 


«Ti lodiamo e ti benediciamo, Dio nostro Padre, che nel tuo Figlio hai chiamato Pietro a seguirti rivelandogli progressivamente il mistero della sua chiamata, il significato della sua vita, il termine del suo cammino.
Tu l'hai scelto perché lo amavi; l'hai custodito dai pericoli, gli sei stato vicino nelle prove, lo hai salvato dalle unghie dell'avversario, lo hai fatto passare per l'acqua e per il fuoco e poi gli hai dato riposo e pace.
Noi ti chiediamo, Padre, nel e per il tuo Figlio Gesù, di farci conoscere il mistero della nostra vocazione cristiana, il senso del nostro cammino, il termine della nostra ricerca.
Donaci di sentirci amati da te e, per questo, interpellati per nome e invitati. Purifica il nostro sguardo e il nostro cuore affinché possiamo guardare con occhi nuovi le vicende liete o tristi, banali o eccezionali, che ritmano il nostro pellegrinaggio.
Concedici di comprendere come tutta la nostra vicenda ha la sua radice, la sua sorgente nel cuore di Cristo, nella sua contemplazione, nella sua adorazione, nella sua preghiera sulle montagne della Galilea.
E tu Maria guidaci nella scoperta della parola di Dio per noi».
Carlo Maria Martini, Le confessioni di Pietro, 16
 

Purtroppo l'atteggiamento remissivo di fronte ai poteri forti
lo si ritrova in tanti ambienti,
anche quelli ecclesiali:
non riusciamo a dire di no alle prepotenze;
ci pieghiamo ai ricatti;
non teniamo il timone sulla coerenza;
ci nascondiamo dentro la massa;
seguiamo il nostro piccolo interesse di parte.
don Chisciotte
 
 

 

Diffondiamo la cultura della comunità.

La risurrezione di Cristo fondamento di ogni altra risurrezione
di Giuseppe Barbaglio
(...) È la fede in Cristo che propriamente fonda una solida e motivata speranza nel futuro di risurrezione dei credenti. (...)
Gesù non è solo il primo risorto, ma anche il prototipo dei risorti, il primo di una serie. Lui è risorto come primizia, dice Paolo usando un motivo cultuale dell'AT, l'offerta al tempio del primo covone di grano che usciva dal campo; altri seguiranno. In breve, Cristo è il risorto e il risuscitatore: con lui e in forza di lui ha avuto inizio la nuova umanità destinata alla vita eterna passando attraverso la risurrezione. (...)
I risorti saranno persone animate totalmente dallo Spirito di Cristo, trasformate dalla sua potenza vivificante a immagine del Risorto. (...)
Cristo risorto è per Paolo lo specchio in cui si riflettono l'uomo e il mondo. Dalla fede nella sua somaticità o corporeità pienamente riscattata il giorno di pasqua, dalla morte e da ogni compressione mortifera, per cui egli è ora capace di entrare in profonda comunicazione con tutti gli uomini, partecipando loro il suo Spirito vivificante, e di sostenere il processo travagliato della nuova nascita di un mondo a immagine dei risorti, prende senso, legittimandosi, la speranza cristiana nella risurrezione dei corpi e nel riscatto di questo mondo. In una parola, è credendo in lui che possiamo sperare nella prodigiosa vittoria sulla morte e sulle forze mortificatrici della violenza, forze esistenziali e forze storiche.
in “Credere oggi” n. 45 del maggio-giugno 1988
leggi qui l'articolo completo
 

 

Purtroppo ieri mi sono riscoperto razzista,
o - più precisamente - "discriminatore territoriale".
don Chisciotte


Cristo principe della pace
di Giuseppe Barbaglio
La liturgia ha attribuito a Gesù questo titolo, interpretando in chiave cristologica un famoso passo del profeta Isaia. Su questa linea ermeneutica intendo presentare, dapprima, una lettura dell'espressione isaiana, inquadrandola nel suo contesto letterario e storico, quindi vorrei tentare una sua rilettura alla luce di un testo della lettera agli efesini di straordinaria densità teologica.
in “Servitium” n. 81 del maggio-giugno 1992
qui il testo
 

«Ioséf  è falegname, un mastro di alberi e di tagli, un fornitore di arnesi per la comunità. Gesù nasce in una stalla, ma cresce in una bottega di artigiano. Le sue mani diventano larghe a forza di stringere manici, sono ammaccate a forza di martello, hanno unghie spezzate, sono dure di schegge incarnite, di calli lubrificati con lo sputo. La sua saliva prodigiosa prima di sanare lesioni, si seccava sul palmo migliorando la presa delle dita. L'interno delle sue mani ha il colore cupo del tannino che penetra nei pori mischiandosi al sudore. La sua faccia ha occhi abituati a stare stretti contro i frantumi di lavorazione che schizzano anche al volto. Il suo naso fiuta le resine, le colle, il grasso e il bitume e la canapa e il sudore di ascelle.
Cresce di peso e forza, ha di certo appetito, ha gusto per il pesce; meno per la carne. E' di Nazareth in Galilea, ma è nato a Betlemme, a sud, in terra di grano e perciò ama il pane. (...)
Fatto è che Ieshu ha svolto da fondo a cima il lungo apprendistato da garzone a mastro durante gli anni eterni d'infanzia e adolescenza. Il suo corpo è cresciuto sotto la disciplina del lavoro manuale. E se è vero che in fatto di scrittura sacra era «nato imparato» come si dice a sud, che sapeva discutere alla pari con dottori e studiosi, questa dote non gli era stata data pure in falegnameria. Nella bottega di Ioséf non gli fu risparmiato nessun grado dell'addestramento, compreso le martellate sulle dita. E di chiodi ne piantò a carriole fino a saperli conficcare in tre colpi senza neanche guardare la testa da battere, rinomato esercizio di destrezza in carpenteria.
E sapeva che il manico di frassino è il più adatto, e sapeva (continua - clicca qui per scaricare tutto il testo)
Erri De Luca, Penultime notizie circa Ieshu/Gesù, 20-25