Prendi, Signore,

e accetta tutta la mia libertà,

la mia memoria, il mio intelletto,

e tutta la mia volontà,

tutto ciò che ho e possiedo;

tu mi hai dato tutte queste cose,

a te, Signore, le restituisco;

sono tutte tue,

disponine secondo la tua volontà.

Dammi il tuo amore e la tua grazia,

queste sole, mi bastano.


s. Ignazio di Loyola

Al di là dei toni un po' troppo entusiastici,


credo che l'argomento meriti attenzione.


Specialmente per chi rischia di perdere sul serio la capacità di comunicare con l'oggi.

 





Più che un sistema di comunicazione, rivela spazi collettivi in una società che li ha ridotti

Un po' circolo, un po' palcoscenico, un po' piazza, un po' sezione di partito

Villaggio blog, vista sul mondo: le nuove forme di dialogo

di Marino Niola

Villaggio blog, vista sul mondo le nuove forme di dialogo


"Dovessi spiegarti che cos'è il mio blog ti direi che è un luogo, riscaldato d'inverno ed areato d'estate, con un indirizzo e una buca delle lettere, finestre per guardarci dentro se passi nei pressi ed una porta aperta per entrare se ti andrà. L'insieme dei blog che leggiamo e di quelli che ci leggono è un villaggio particolarmente salubre fatto di abitanti che si siano scelti fra loro e non paracadutati lì dal caso". Parola di blogger.

È evidente che il blog è molto più di un sistema di comunicazione. È un angolo di mondo, avrebbe detto Herder. O una forma di vita, per dirla con Wittgenstein. In entrambi i casi uno spazio di condivisione simbolica caratterizzato dai suoi usi, costumi, sensibilità, abitudini, codici sedimentati - ma prima ancora creati - e da un linguaggio comune. I blog sono a tutti gli effetti le nuove forme di vita prodotte dalla rete, degli autentici angoli di mondo virtuale.

Certo che il blog è un luogo di confronto e di scambio di idee, informazioni, pareri, servizi, ma è anche di più, molto di più. Questa forma di diario in rete - il termine è la contrazione di web e di log che significa appunto diario ma anche traccia - sta dando vita a una nuova cartografia sociale. Fatta di punti di aggregazione fondati sulla circolazione delle opinioni.

Qualcuno li considera un po' come la versione immateriale dello Speaker's Corner, letteralmente angolo dell'oratore, di Hyde Park a Londra, dove chiunque può montare su una cassetta di legno a mo' di palco e predicare sul mondo in assoluta libertà. Occupando un angolo di spazio pubblico per dire la sua. Quella minuscola cassetta garantisce una sorta di extraterritorialità che consente a ciascuno di dire fino in fondo tutto ciò che pensa. A ben vedere il blog è proprio una occupazione di immaginario pubblico, una sorta di tribuna virtuale. E contribuisce a rivelare la forma dei nuovi spazi collettivi di una società che ha profondamente mutato le sue categorie spaziali e sta passando dalle divisioni alle condivisioni, dai luoghi tradizionali - territori fisici delimitati, confinati, sul modello delle nazioni - agli iperluoghi immateriali che ridisegnano le mappe del presente.

Nuovo luogo della condivisione pubblica in un tempo caratterizzato dalla scomparsa progressiva dello spazio pubblico tradizionale: un po' circolo, un po' palcoscenico, un po' salotto, un po' sezione di partito, un po' piazza, un po' caffè. I diari in rete rappresentano modi diversi di sentirsi comunità. Non più comunità locali, e localistiche, basate sulla prossimità geografica, residenziale, cittadina, ma su forme inedite di appartenenza.

Ecco perché il blog non è solo uno strumento del comunicare, ma è una potente metafora del nostro presente in rapida trasformazione e un simbolo anticipatore del nostro futuro. A farne un mito d'oggi è proprio la sua capacità di dirci qualcosa di profondo su noi stessi, di mostrarci con estrema lungimiranza ciò che stiamo per diventare anche se ancora non lo sappiamo con precisione. Nei grandi cambiamenti epocali il mito, la metafora, il simbolo si assumono proprio il compito di lanciare dei ponti verso quelle sponde del reale che ancora non vediamo ma, appunto, intravediamo. Anche se abbiamo già cominciato a viverci dentro istintivamente. In questo senso i comportamenti del popolo dei blog ci aiutano a cogliere quanto stiano di fatto mutando le stesse categorie di identità e di appartenenza: sempre meno materiali, sostanziali, fisse e sempre più fluttuanti, mobili, convenzionali.

E come sia cambiata la stessa nozione di luogo di cui viene oggi revocato in questione il fondamento primo, ovvero l'idea di confine naturale, in favore di quella di confine digitale. Il blog anticipa una realtà che non è più quella del paese, della città, del quartiere, della classe d'età, della famiglia, della parrocchia, del circolo. I bloggers si rappresentano come una comunità di persone che si scelgono liberamente e su scala planetaria. E in questa dimensione extraterritoriale intessono un nuovo legame sociale.

Comunità senza luogo? Niente affatto. È la vecchia nozione di luogo ad essere inadeguata. E assieme a lei quella apparentemente nuova di non-luogo che della prima non è che la figlia degenere. Perché è fondata su una idea pesante, solida, ottocentesca del luogo e della persona. Un'idea che ha l'immobile solidità del ferro e non la mutevole fluidità dei cristalli liquidi. In realtà a costituire il tessuto spaziale, ieri come oggi, sono sempre le relazioni, mai semplicemente le persone fisiche. E oggi le relazioni sono sempre meno incarnate, sempre meno materializzate, ma non per questo scompaiono.

La liquidità della rete è la vera materia sottile della trama sociale contemporanea, e perfino di quella spaziale se è vero che oggi l'iperconnessione è il principio vitale che circola come sangue nel corpo del villaggio globale. I cosiddetti non-luoghi sono in realtà più-che-luoghi, super-luoghi, sono luoghi all'ennesima potenza, acceleratori di contatti, incroci ad alta densità, moltiplicatori di collegamenti tra bande larghe di umanità. È questa la cartografia wi-fi della nuova territorialità, la cosmografia del presente di cui Internet è il dio e Google è il primo motore immobile. Una rivoluzione recente ma che sta già cambiando il vocabolario dell'essere: dal to be al to google e, sopratutto, al to blog.

Non a caso bloggare è diventato un verbo. Il terzo ausiliare per chi è in cerca di casa, di lavoro, di visibilità, di posizione insomma. È la terra promessa degli homeless digitali, la nuova frontiera dei migranti interinali in cerca di hot spots, di porte wireless, di ambienti interconnessi. Un nuovo paesaggio fatto di camere con vista sul web. Proprio così una blogger definisce il suo miniappartamento virtuale. O un villaggio di villette monofamiliari dove si lascia sempre aperta la porta di casa perché chi ne ha voglia possa entrare a prendere un caffè. Altro che fine del legame sociale. La blogosfera è la traduzione della mitologia comunitaria nella lingua del web, la declinazione immateriale della società faccia a faccia: la nostalgia del paese a misura d'uomo in un download.

Frequentare i blog serve, fra l'altro, a smontare molti dei luoghi comuni sugli effetti nefasti della digitalizzazione della realtà e sull'apocalisse culturale che essa comporterebbe. Fine della lettura, tramonto dell'italiano, declino dello spirito collettivo. In realtà questo sguardo luttuoso sul cambiamento lamenta sempre la scomparsa delle vecchie forme e proprio per questo fa fatica a riconoscere l'intelligenza del presente.

A parte quelli specializzati, espressamente attrezzati a luoghi di cultura, palestre di discussione critica, gabinetti di lettura, atelier di scrittura, i blog sono in generale delle officine stilistiche e retoriche in continua attività, dove la capacità di persuasione e l'estetizzazione della comunicazione hanno spesso un ruolo fondamentale. "Qui sul blog è tutta un'altra cosa. Scrivo in modo molto diverso da come scriverei su un diario. Le persone che mi conoscono commentano e dicono la loro, e i pensieri pubblicati sono molto più profondi".

Per quanto diversi fra loro, i blogger nascono dal linguaggio e vivono di linguaggio. Un regime democratico, dove ciascuno è opinionista nel libero mercato delle opinioni, senza gerarchie di posizione, senza ruoli, senza il peso dell'autorità. Dove ognuno è quel che scrive, dove tutti hanno pari facoltà d'interlocuzione. È la nuova utopia della libertà e dell'eguaglianza. Compensazione simbolica al malessere attuale della democrazia in carne e ossa.


(29 luglio 2008) vai all'articolo

«"Chinare il capo". L'immagine fa riferimento al momento della nascita, nel quale il bambino viene al mondo proprio attraverso questo movimento. Nel momento del parto si prepara, si mette in posizione, con la testa in giù, "china il capo", lo flette per incanalarsi e solo così nasce, facendo ad un tempo esperienza di resistenza, sforzo, abbandono... Questa immagine che caratterizza la nascita si ripresenta poi sotto differenti aspetti nell'arco di tutta la vita in cui molte situazioni ci fanno sperimentare la durezza della realtà, la sua "resistenza" che segnala il nostro limite e ci sollecita a prendere posizione, a riconoscere la nostra misura in relazione ad esso. Impariamo a vivere affrontando la realtà alternando "resistenza e resa" fino all'ultimo atto, quello del morire, che più di ogni altro ha la sembianza del "chinare il capo"».


A. Gaino, Chinare il capo, in Esperienza e Teologia, 17 (2003), p. 5
"La domanda (di Gesù risorto ai suoi discepoli in Gv 21,5): «Non avete nulla da mangiare?» è un capolavoro di finezza. Gesù non li rimprovera. Avrebbe potuto umiliarli, prenderli in giro, oppure sgridarli perché si erano sbagliati sulla vocazione. Invece non fa niente di tutto questo e pone la domanda come un bisogno: «Avrei bisogno di qualche cosa per me». Gesù, con estrema delicatezza, fa emergere la nullità del loro lavoro, mettendosi però un po' dalla loro parte.

È così che Gesù fa con i nostri desideri, non con quelli che sono già di per sé condannabili, evidentemente negativi, ma con tutta quella massa di desideri, in parte buoni e in parte ambigui, che ci muovono, che riguardano la vita, il lavoro, la sistemazione, lo studio, il successo, le relazioni, le amicizie, il trovarsi bene nella comunità, nel gruppo, il fare un certo cammino nella vita.

Gesù non ci prende a pugni nello stomaco, ma ci prende per la mano: «Forse potresti aiutare anche me, con questa tua massa di desideri, potremo lavorare insieme». Gesù ci dà coraggio, stimola, provoca la tensione verso il bene.

«Gettate e troverete». È una parola sicura: fa capire che se accettiamo che entri anche lui nella nostra ottica e ce la trasformi, ci andrà bene anche umanamente. Gesù vuole che facciamo una pesca fruttuosa, ma vuole che la facciamo la­sciando che lui entri nella nostra ottica e la rettifichi.

Domandiamoci un po' cosa avrebbe fatto invece il diavolo se fosse apparso nella stessa mattina, nella penombra sulla spiaggia? Cosa avrebbe detto? Certamente li avrebbe rimproverati e derisi, perché l'azione del nemico di Dio è di spe­gnere i desideri, di accusarci, di smorzare tutto ciò che di buono c'è in noi. E ciò avviene quando lasciamo che questa voce negativa operi in noi. Abbiamo dentro di noi quello che la Bibbia chiama l'"accusatore" (Satana è il termine ebraico che traduciamo accusatore). E dobbiamo saperlo riconosce­re, perché è accanito contro di noi. Sempre ci fa vedere i no­stri lati negativi, i nostri sbagli e le nostre incapacità.

La parola di incoraggiamento di Gesù è invece piena di significato perché ripete il tono di altre parole del Vangelo: voi ricordate il «bussate e vi sarà aperto», «cercate e troverete», «chiedete e otterrete», «a chi bussa è aperto», «chi cerca trova». È la pazienza, la perseveranza che Gesù raccomanda: di non dare fiato né in noi, né nelle nostre comunità, né nel gruppo alle voci di disfattismo e di pessimismo, che sono voci del nemico".


Carlo Maria Martini, "E' il Signore!"

Fronde di Polizia

di Massimo Gramellini


Cosa pensereste se vi dicessero che la Polizia ha rinnovato il guardaroba dei suoi ragazzi, dotandoli di nuove camicie e nuovi cinturoni? Forse che con quei soldi avrebbe fatto meglio a innaffiare le loro buste-paga. Ma se in sovrappiù vi svelassero che quelle camicie e quei cinturoni giacciono inservibili dentro i cassetti delle questure perché nel frattempo, all'insaputa del sarto, la Polizia ha deciso di cambiare il proprio stemma? Quello antico, ancora presente nelle divise appena sfornate, era contornato da due fronde di quercia e alloro che nel nuovo sono state tagliate.

Ammettiamolo. Non è semplice fabbricare uno spreco così. Occorrono talenti organizzativi particolari. Un labirinto di riunioni schizofreniche e universi paralleli, dove tutti si parlano addosso e nessuno ascolta. Di qua un ufficio che ordina il disegno del nuovo stemma. Di là un altro che ordina le divise con il vecchio stemma. Senza che, né di qua né di là, ma neanche di sopra o di sotto, ci sia qualcuno che si prenda la briga di segnalare l'incongruenza. Magari un funzionario solerte ci avrà anche provato. Ma sarà stato caldamente invitato a farsi gli stemmi suoi, secondo la regola aurea della burocrazia italiana, che all'articolo 1 recita: «Non è di mia competenza». L'augurio è che qualche persona ancora provvista di senso del ridicolo decida di sottrarre alle tarme le camicie e i cinturoni, restaurando d'imperio il vecchio stemma. A proposito, era proprio indispensabile cambiarlo? Ci avevano detto che il problema dell'ordine pubblico erano le bande e le ronde, non le fronde.

leggi l'articolo

Avanti un altro santo!

 




Mila Damianov, 53 anni racconta i mesi col Dr. Babic: "Non sono la sua fidanzata"

E descrive così l'uomo arrestato come criminale di guerra: "Per me è una specie di santo"

"Macché boia, era un santo": parla l'amica di Karadzic

Belgrado - E' furente e non certo per le bugie raccontatele dal sedicente dottor Dabic. "No, non ce l'ho con lui. Per me era e rimane una persona eccezionale, ma per l'uso improprio che la stampa ha fatto del mio nome e della mia faccia. Non ero l'amante di Dragan - continua a chiamarlo così, ndr - ero una sua collaboratrice. O meglio una sua allieva". "L'allieva - prosegue - di un uomo a cui devo molto e da cui ho molto imparato. Le bugie dei giornali, quelle sì, mi hanno sconvolto la vita e mi hanno messo in grave imbarazzo con la mia famiglia".

Mila Damianov, belgradese, 53 anni, (...) "Mai, nemmeno per un momento, ho dubitato di lui. Lo vedevo come una specie di santo, un apostolo. Uno che aveva a cuore i problemi di coloro che soffrono". (...) "Non mi piace giudicare gli altri. E poi ciascuno è responsabile della propria vita. Io al dottor Dabic gli ho solo visto fare del bene". (...)

qui trovi l'articolo completo




Il massacro di Srebrenica - Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.

Il massacro di Srebrenica fu un genocidio e crimine di guerra, consistito nel massacro di migliaia di musulmani bosniaci nel luglio 1995 da parte delle truppe serbo-bosniache guidate dal generale Ratko Mladic nella zona protetta di Srebrenica che si trovava al momento sotto la tutela delle Nazioni Unite.


È considerato uno dei più sanguinosi stermini di massa avvenuti in Europa dai tempi della seconda guerra mondiale: secondo fonti ufficiali le vittime del massacro furono circa 7.800, sebbene alcune associazioni per gli scomparsi e le famiglie delle vittime affermino che furono oltre 10.000.

I terribili fatti avvenuti a Srebrenica in quei giorni sono considerati tra i più orribili e controversi della storia europea recente e diedero una svolta decisiva al successivo andamento della guerra in Jugoslavia. Il Tribunale penale internazionale per l'ex-Jugoslavia (ICTY) istituito presso le Nazioni Unite ha accusato, alla luce dei fatti di Srebrenica, Mladic e altri ufficiali serbi di diversi crimini di guerra tra cui il genocidio, la persecuzione e la deportazione. Gran parte di coloro cui è stata attribuita la principale responsabilità della strage, siano essi militari o uomini politici, è tuttora latitante. (...)

Il 6 maggio 1993 il consiglio di sicurezza dell'ONU, con la risoluzione 824, istituì come zone protette le città di Sarajevo, Tuzla, Zepa, Gora


Ricordando il pellegrinaggio 2007 a Santiago de Compostela

Alcune foto del viaggio nella sezione Immagini



Webcam dal Santuario


Rendo il dovuto onore e la mia gratitudine a un software semplice e divertente per imparare a dattilografare. In tanti usiamo una tastiera per comunicare, eppure pochi sappiamo usarla bene. Su questo sito potete trovare e scaricare gratuitamente un software per esercitarvi in un corretto uso della tastiera. Buoni esercizi e a presto per una gara di velocità e precisione!



Sembra ieri quando abbiamo festeggiato il primo anno insieme:

era il 25 gennaio 2008.


Guarda il post dedicato.



Da allora sono passati altri sei mesi. 13.000 km insieme.

Era un sogno quando l'ho presa, è ancora più desiderabile ora che l'ho lasciata.



Non è stata una separazione consensuale: lei non mi avrebbe mai lasciato!

So che è in buone mani: beato chi se l'è sposata!!

Buona strada, Lady!



"Ed eccomi al crepuscolo di una esistenza che ho condotto il meglio possibile, ma che rimane incompiuta. Il Tesoro che vi lascio, è il bene che io non ho fatto, che avrei voluto fare e che voi farete dopo di me. Possa solo questa testimonianza aiutarvi ad amare. Questa è l'ultima ambizione della mia vita, e l'oggetto di questo “testamento”.

Proclamo erede universale tutta la gioventù del mondo. Tutta la gioventù del mondo: di destra, di sinistra, di centro, estremista: che mi importa! Tutta la gioventù: quella che ha ricevuto il dono della fede, quella che si comporta come se credesse, quella che pensa di non credere. C'è un solo cielo per tutto il mondo.

Più sento avvicinarsi la fine della mia vita, più sento la necessità di ripetervi: è amando che noi salveremo l'umanità. E di ripetervi: la più grande disgrazia che vi possa capitare è quella di non essere utili a nessuno, e che la vostra vita non serva a niente.

Amarsi o scomparire".


dal Testamento di Raoul Follerau (lo trovi completo tra i nostri Testi)


Mi domando come avrebbe reagito la gente

e come si sarebbero comportati i becchini

se si fosse trattato di due "bravi ragazzi" di Napoli,

magari affiliati a qualche cosca.




Bimbe rom annegate, il cardinale Sepe condanna l'indifferenza dei bagnanti

Torregaveta, due ragazzine di 11 e 12 anni uccise dal mare mosso. Una coppia di cuginette salvata dai bagnini, mentre in spiaggia c´è chi continua a prendere il sole a pochi metri di distanza


"Girarsi dall'altra parte o, farsi gli affari propri può essere a volte più devastante degli stessi eventi che accadono". Lo afferma l'arcivescovo di Napoli, cardinale Crescenzo Sepe, in una nota in cui commenta le foto della spiaggia di Torregaveta, in provincia di Napoli, che mostravano persone sdraiate al sole nonostante ci fossero i due cadaveri delle ragazzine rom annegate ieri. "Violetta e Cristina, due cuginette rom di 12 e 13 anni giravano per le spiagge libere del nostro litorale offrendo, a poco prezzo, calamite colorate o altri oggettini, utili o inutili, che le consentissero di racimolare qualche soldo. Con il mare a due passi hanno lasciato per un momento da parte la loro mercanzia e hanno fatto ciò che tutte le bambine o ragazze della loro età avrebbero fatto: hanno cercato refrigerio nell'acqua. Hanno trovato invece la morte. La più piccola si è trovata subito in difficoltà; l'altra si è lanciata nel tentativo di salvarla. Tutto inutile", scrive il cardinale. "Un'altra tragedia è venuta così, a ferire il cuore di Napoli. E' una tragedia grave, di fronte alla quale la Chiesa avverte tutto il dolore e l'afflizione per due vite preziose, la cui perdita va a impoverire e rendere in qualche modo più fragile e vulnerabile i due mondi che la comunità cristiana, non solo quella di Napoli, sente più vicini e considera parte privilegiata di se stessa: il mondo dei giovani, e quello degli ultimi della fila, degli emarginati. Di Violetta e Cristina i giornali hanno mostrato le foto quando già tutto era compiuto; e di due bambine abbiamo potuto scorgere appena i piedi che sporgevano da un telo da spiaggia, con il quale qualcuno pietosamente ha provveduto a coprire i corpi senza vita. In quelle tristi e orribili foto si è visto , per la verità, anche altro: gente sullo sfondo, bagnanti che hanno continuato a restare in spiaggia forse perfino infastiditi dalla visione di quei due teli che ingombravano l'arenile. Sono queste le immagini che della nostra città non vorremmo mai vedere, perfino più di quelle che hanno mostrato per il mondo una Napoli sommersa dai rifiuti. La tristezza veniva non solo da quei due copri sotto i teli, segno di una tragedia ancora più penosa di quelle catalogate come "morti sul lavoro", ma proprio dalla gente sullo sfondo o - peggio - dalla gente che faceva da sfondo, che non prendeva parte e non si sentiva per niente coinvolta. Girarsi dall'altra parte o, farsi gli affari propri può essere a volte più devastante degli stessi eventi che accadono". "L'indifferenza - prosegue il cardinale - non è un sentimento per gli essere umani; e meno che mai poteva (e doveva) essere per Violetta e Cristina già segnata da una vita di stenti e forse debilitate esse stesse dal peso di pregiudizi difficili da sopportare per la loro età. E' tempo di parole chiare per Napoli e non vorremmo che proprio l'indifferenza, in una comunità così generosa e ricca di umanità, possa profilarsi come una nuova - e più grave - emergenza. (...) Ma la Chiesa ha il compito di guardare fin dentro l'animo dei suoi figli. E se il velo dell'indifferenza si ispessisce, tutto diventa opaco e tutto può diventare irrimediabilmente sporco. (...)


vai all'articolo



"Il vento scuote le fronde allo stesso modo in cui la parola d'amore tocca il viso dell'amata, provocando la stessa grazia d'abbandono, un'uguale febbre leggera e radiosa. Il vento e la parola d'amore dicono la stessa cosa".



Christian Bobin, Il distacco dal mondo, 13

La società e la Chiesa scomoda

di Franco Garelli


Sono bastate alcune prese di posizione riflessive sui temi oggi caldi dell'agenda politica (come le questioni dei rom, degli immigrati clandestini, della moschea di Milano) per dare l'allarme che la Chiesa milanese si è ormai spostata a sinistra, sia l'avanguardia di un mondo cattolico ostile ad un governo che sta realizzando il programma per cui ha avuto un largo consenso alle ultime elezioni politiche. (...) Così ritornano fantasmi del passato, schemi vetusti di lettura della realtà, che poco hanno a che fare col nuovo che avanza. La Milano cattolica sarebbe il nuovo baricentro del cattocomunismo, dei reduci cioè di un'epoca ormai lontana che mal digeriscono la svolta di destra in atto nel Paese. (...) Gli spunti recenti per queste interpretazioni spinte sono noti. In varie occasioni il cardinal Tettamanzi ha di questi tempi parlato di una situazione che si sta aggravando, in un mondo globale che dovrebbe favorire una fraternità universale. Invece, ha rilevato il pastore, nelle nostre città crescono i sentimenti di diffidenza e di sospetto, di insicurezza e di paura. È poi di una settimana fa la ferma posizione del responsabile del dialogo ecumenico della diocesi di Milano contro la chiusura (ipotizzata da ministri e autorità locali) della più frequentata moschea della città, con l'invito a trovare soluzioni rispettose non solo dell'ordine pubblico ma anche della libertà religiosa di tutti. Infine, anche Famiglia cristiana (altra grande realtà cattolica «milanese») sarebbe al centro del ciclone, per una serie di articoli non teneri col governo in carica, che hanno riguardato le impronte ai bimbi rom, le accuse alla Lega di alimentare le paure degli italiani, l'infinita querelle tra governi Berlusconi e magistratura. (...) Certamente anche gli uomini di Chiesa e dei gruppi religiosi hanno le loro preferenze politiche. Ma leggere i loro atti o le loro prese di posizione perlopiù in termini politici significa sminuire il senso della loro presenza nella società, non cogliere prospettive più ampie, considerare la politica come l'unica cifra di analisi della realtà. Il cardinale Tettamanzi è indubbiamente un vescovo aperto, soprattutto allo spirito del Concilio e al suo richiamo a leggere i segni dei tempi, a coltivare le ragioni della speranza, a farsi carico dei più deboli. (...) Sui temi sociali emergenti la Chiesa non ha il monopolio della verità, ma la sua attenzione al bene comune, anche se talvolta scomoda e controcorrente, contribuisce di certo alla crescita della comunità.


vai all'articolo su La Stampa del 17.07.08





Tanto per ribadire quanto dicevo nel precedente post!

Qualche tempo fa mi chiesero

come mai prendevo spesso spunto da interventi apparsi sulla stampa laica...

Risposi che - oltre a selezionare il materiale prima di "proporlo" -

mi era di conforto sapere che certe stupidate

provenivano appunto da mezzi di comunicazione che si definivano "laici".

Quando mi aggiro tra la produzione "d.o.c.", di ispirazione cristiana,

mi ritrovo spesso a "non ritrovarmi" circa il taglio privilegiato...

e fino a qui potrei dire che si tratta di differenti sensibilità;

ben peggio è quando trovo ignoranza nei contenuti,

malafede e tornaconto personale nelle intenzioni, violenza nei modi
.

Il tutto sotto la bandiera sventolante dell'"essere cristiani e fedeli alla tradizione".

Riporto un esempio di questo disgustoso modo di fare,

con la speranza di suscitare forme di reazione allergica di fronte alla falsità.

Invito tutti a leggere per intero il numero di "Aggiornamenti Sociali" citato,

nonché a passare a trovare di persona gli autori che sono così stupidamente infangati.

Propongo di praticare la carità (l'amore persino dei "nemici", secondo quanto detto da Gesù),

e non soltanto di riempire le righe con la citazione del catechismo.

"Non chi dice Signore, Signore,... ma chi fa la volontà del Padre mio".

Un saluto affettuoso e carico di tristezza a coloro che - miei amici! -

pensano di dover acquistare e leggere quotidianamente

quello pseudo-giornale che riporta tali interventi.

don Chisciotte

 


E i gesuiti sdoganano l'omosessualità

Nel numero di giugno della gloriosa e prestigiosa rivista dei gesuiti milanesi, Aggiornamenti Sociali, si trova un lungo ‘contributo alla discussione' sul riconoscimento delle unioni omosessuali. Il lavoro sarebbe stato elaborato da un fantomatico ‘gruppo di studio sulla bioetica', il comitato di "studio" è costituito tutto da "autorevoli" cattolici, anche docenti del seminario diocesano di Milano. Gli autori del saggio, sono il miglior segno della Chiesa milanese, quella delle ‘leggi fasciste', che trova modo di illuminare i lontani proprio perché “profetica e progressista”, diversa e a volte opposta da quella verticistica, magisteriale, ingessata e romana. Tuttavia in Vaticano molti sono gli uomini recentemente nominati dal ‘club dei profeti milanesi'. Sarà la propensione drammaticamente sinistrorsa del ‘mitico' Bartolomeo Sorge, tirato a Milano negli ultimi anni del Cardinal Martini, sarà per il sentiero ‘border-line'intrapreso dal Cardinal Tettamanzi o per l'affidamento totale della Curia milanese (nomine, esternazioni, suggerimenti per incarichi Cei e Vaticani) all'ala ‘aperturista vetero sessantottina', quel saggio lascia esterefatti. Naturalmente, duole constatare che il catechismo della Chiesa Cattolica sia assolutamente ignorato, semplicemente non risulta sia una fonte di riflessione sull'argomento, così come gli estensori ignorano la realtà che appare dalla stragrande maggioranza delle reazioni omosessuali (promiscuità,attività compulsiva e anonima). Gli atti sessuali non procreativi degli omosessuali vengono messi sullo stesso piano di quelli tra eterosessuali sterili e così si valuta ‘indifferente' il punto di partenza. Ma il caso di un uomo e di una donna affetti da patologia della fertilità è completamente diverso da comportamenti sessuali tra persone dello stesso sesso, basterebbe usare il buon senso o la semplice osservazione della natura per rendersene conto. L'indifferenza su questo punto, porta dritti e sparati alla “gender theology”. Nessun turbamento negli autori, anzi, il ‘politically correct' impone di derubricare i molti casi di persone felicemente uscite da pulsioni omosessuali, con due righette. Confesso che lo sgomento provato, dopo l'operazione di normalizzazione nelle scuole pubbliche operata grazie al Governo Prodi, mancava solo la benedizione di tanti ‘buoni cattolici'. Colpisce la sostanziale assenza del principio di ‘realtà' dello scritto, forse i signorini estensori vivono sommersi da tante pile di libri da no riuscire a guardar fuori dalle finestre, sconforta per di più il tentativo di camuffare tutto con la ‘carità', il ‘dialogo', l'accoglienza, la necessaria ‘sintesi' per sottolineare il “valore delle relazioni omosessuali stabili”. Ogni persona è dono,ricchezza e mistero, ma non così la pulsione omosessuale, che è sempre, sempre una profonda ferita dell'identità, comunque la si valuti. Questi testi rappresentano un vero e proprio tradimento rispetto al richiamo di papa Benedetto XVI a restare uniti, nella accoglienza della persona ferita ma anche nella verità, sui principi non negoziabili. Se sono taluni "pastori" e pseudo esperti diocesani ad andare clamorosamente così fuori strada, come pensare che non si crei confusione nelle ‘pecorelle'? L'insegnamento di Giovanni Paolo II sulla sessualità è stato ascoltato e recepito dal clero? Questi esperti hanno mai visto un corpo femminile e maschile "sganciato" dalla psiche o dallo spirito? Bisogna essere stralunati quando si esalta il primato della "relazione" intesa in senso teorico, a prescindere dalla fisicità biologica, quando la persona è sessuata. Nella fisicità una "relazione omosessuale", dove vedono questi signori il rispetto del disegno divino sulla corporeità, differenza chiamata alla relazione, addirittura "trasparenza" della relazione trinitaria, come ci ha insegnato Giovanni Paolo II? Sussurro un'altra ipotesi, spero solo di scuola, ed è che il tentativo di ‘normalizzazione' del ‘club dei profeti milanesi', perché qualcuno è interessato. Si costruirebbero così le premesse per una ‘autoassoluzione' pseudo teologica o filosofica alle personali e altrui problematicità, paradossalmente anche questo maldestro tentativo dimostra quel disagio e quella ferita che si vorrebbe negare. Le ricadute negative culturali sociali tuttavia non sono evitabili e di questo si deve tenere conto. L'omosessualità è una ferita e la sua normalizzazione sociale della ‘gender theory' non è un bene né per la persona, né per la società. Con buona pace di ogni gruppo di studio gesuitico e del bel ‘club di potere milanese'. Dopo le donne vescovo anglicane, c'è chi vorrebbe introdurre la ‘gender theology' nella Cattolica?


Luca Volonté

Ricerca su Nature: pedinate per sei mesi 100mila persone per studiarne gli spostamenti

Risultato? Pochissime deviazioni nei tragitti: lo rivelano le tracce dei telefoni cellulari. Siamo animali abitudinari e ce lo dicono i telefonini

Siamo abitudinari, percorriamo più o meno sempre gli stessi tragitti senza guizzi, deviazioni improvvise o colpi di testa. C'è voluto un "pedinamento" continuo di 100mila persone per rivelare il modo in cui ci muoviamo: privo a quanto pare di grosse sorprese (...) sono stati seguiti in tutti i loro spostamenti per ben sei mesi tramite le tracce lasciate dai segnali dei loro telefoni cellulari. Lo studio mostra che le traiettorie seguite dagli individui pedinati, scrupolosamente resi anonimi, sono sempre le stesse con qualche sporadica lunga deviazione. (...) Ora il nuovo studio svela che gli spostamenti umani sono molto meno emozionanti del previsto e ripercorrono più o meno sempre gli stessi luoghi. (...) L'idea di sfruttare le tracce disseminate dai nostri cellulari per seguire i nostri spostamenti - dicono gli scienziati - potrebbe permettere di fare previsioni sulla diffusione di epidemie e quindi ideare precise strategie di prevenzione e limitazione dei contagi, o anche solo di progettare rimedi adeguati al traffico cittadino e per la pianificazione urbanistica.

http://www.repubblica.it/2007/11/sezioni/scienza_e_tecnologia/psicologia/abitudinari-studiati/abitudinari-studiati.html

"La vicenda di Eluana Englaro, la giovane in “stato vegetativo” da quattordici anni, mi colpisce come credente e cittadino, ma soprattutto mi interpella come Vescovo della terra in cui Eluana abita. In questi giorni sono stati davvero numerosi i sentimenti, le riflessioni e gli interrogativi che sono cresciuti nel mio cuore. Desidero ora confidarne alcuni a quanti il Signore ha affidato alle mie cure pastorali. Vorrei essere discreto, entrando in punta di piedi in una storia umana quanto mai delicata, nella quale il mistero della vita si fa più denso, quasi inaccessibile alla luce della sola ragione, e lancia una sfida formidabile per la libertà di ciascuno di noi". (continua)


Il testo completo


card. Dionigi Tettamanzi


Quel che temevo si è avverato:

la "beatificazione" in diretta tv del caro Gianfranco

da parte del classico monsignore

(che rispetta lo standard anche nella fisiognomica!).

Guarda il video dell'intervista.

I discepoli (di Gesù) erano stati chiamati perché stessero con lui (cf Mc 3,13), invece di fatto si trovano a fuggire da lui (al momento del suo arresto). “L'abbandono degli amici è una ferita più amara dell'ostilità dei nemici” (M.G. Lepori, Simone chiamato Pietro, 102). La fuga permette ai discepoli di salvarsi, ma essi non comprendono che è Gesù stesso che si preoccupa di salvarli (cfr Gv 18,8); ciò dice molto sulla linea tenuta da Gesù nell'accompagnare i suoi discepoli e nel guidarli in quei pochi anni: senza prepotenza, senza retorica. “Dal tradimento di Giuda, dal rinnegamento di Pietro e dall'abbandono degli altri nelle ultime ore di Gesù emerge un dato: Cristo non ha né plagiato, né reso fanatici i suoi seguaci; li ha conquistati, ma lasciando intatta la loro libertà (G. Ravasi, I vangeli della passione, 48). Gesù non abbandona nessuno di coloro che gli sono stati affidati. “Gli Apostoli sono diventati degli amici del Signore, buoni o no, generosi o no; fedeli o no rimangono sempre degli amici” (P. Mazzolari, Discorsi, 166). Si può dunque tradire il Signore, ma lui non tradisce mai i suoi amici, neanche quando è rinnegato o venduto. “Non si può tradire che un amico, e in fondo solo uno che amava come Gesù li amava poteva veramente essere tradito. E solo uno dei suoi amici poteva veramente tradirlo (M.G. Lepori, Simone chiamato Pietro, 94). Come Giuda si è potuto fregiare del titolo di amico nel momento più tetro e vergognoso della sua vita di discepolo, così ogni uomo resta amico del Signore sempre, in ogni momento della sua vita, anche in quello in cui è più lontano da lui.


Sergio Stevan, Giuda, 50


Per molti popoli esiste un Dio diverso dal tuo.



Prima di partire informati sulla spiritualità del luogo che andrai a visitare.

Questa è la prima forma di rispetto.
Ho cercato invano una rilettura seria, critica, veritiera,

dei grandi demeriti di un personaggio come Gianfranco Funari.

Tutti non tessono che elogi.

I blogger invocano il "santo subito"

(forse sono gli stessi che lo gridavano di Giovanni Paolo II).


"Avvenire" scrive una mini-biografia, carica di dati e banalità.

Non credo si tratti solo di una inevitabile "beatificazione" di chi muore.

C'è una superficialità diffusa in questa pseuodocultura dolcificata;

ma soprattutto c'è la casta del mondo della tv (produttori e giornalisti)

che si autocelebra, si autoassolve, si autodifende.

Fino all'indifendibile.





don Chisciotte
"Mio padre aveva fatto servizio nelle ambulanze, come giovane medico, negli anni '80. Quattrocento morti l'anno. In zone dove si ammazzavano anche cinque persone al giorno. Arrivava con l'autoambulanza, quando però il ferito era per terra e la polizia non ancora arrivata non si poteva caricarlo. Perché se la voce si spargeva, i killer tornavano indietro, inseguivano l'autoambulanza, la bloccavano, entravano nel veicolo e finivano di portare a termine il lavoro. Era capitato decine di volte, e sia i medici che gli infermieri sapevano di dover star fermi dinanzi a un ferito e attendere che i killer tornassero per finire l'operazione. Una volta mio padre però arrivò a Giugliano, un paesone tra il napoletano e il casertano, feudo dei Mallardo. Il ragazzo aveva diciotto anni, o forse meno. Gli avevano sparato al torace, ma una costola aveva deviato il colpo. L'autoambulanza arrivò subito. Era in zona. Il ragazzo rantolava, urlava, perdeva sangue. Mio padre lo caricò. Gli infermieri erano terrorizzati. Tentarono di dissuaderlo, era evidente che i killer avevano sparato senza mirare e erano stati messi in fuga da qualche pattuglia, ma sicuramente sarebbero ritornati. Gli infermieri provarono a rassicurare mio padre: «Aspettiamo. Vengono, finiscono il servizio e ce lo portiamo». Mio padre non ce la faceva. Insomma, anche la morte ha i suoi tempi. E diciotto anni non gli sembrava il tempo per morire, neanche per un soldato di camorra. Lo caricò, lo portò all'ospedale e fu salvato. La notte, andarono a casa sua i killer che non avevano centrato il bersaglio come si doveva. A casa di mio padre. Io non c'ero, abitavo con mia madre. Ma mi fu raccontata talmente tante volte questa storia, troncata sempre nel medesimo punto, che io la ricordo come se a casa ci fossi stato anche io e avessi assistito a tutto. Mio padre, credo, fu picchiato a sangue, per almeno due mesi non si fece vedere in giro. Per i successivi quattro non riuscì a guardare in faccia nessuno. Scegliere di salvare chi deve morire significa voler condividerne la sorte, perché qui con la volontà non si muta nulla. Non è una decisione che riesce a portarti via da un problema, non è una presa di coscienza, un pensiero, una scelta, che davvero riescono a darti la sensazione di star agendo nel migliore dei modi. Qualunque sia la cosa da fare, sarà quella sbagliata per qualche motivo. Questa è la vera solitudine".

Roberto Saviano, Gomorra, 189-190




"Da solo lungo l'autostrada alle prime luci del mattino. A volte spengo anche la radio e lascio il mio cuore incollato al finestrino. Lo so del mondo e anche del resto lo so che tutto va in rovina ma di mattina quando la gente dorme col suo normale malumore mi può bastare un niente forse un piccolo bagliore un'aria già vissuta un paesaggio o che ne so. E sto bene Io sto bene come uno quando sogna non lo so se mi conviene ma sto bene, che vergogna. Io sto bene proprio ora, proprio qui non è mica colpa mia se mi capita così. È come un'illogica allegria di cui non so il motivo non so che cosa sia. È come se improvvisamente mi fossi preso il diritto di vivere il presente. Io sto bene... Questa illogica allegria proprio ora, proprio qui. Da solo lungo l'autostrada alle prime luci del mattino".


Non sopporto le pazzie collettive, specie quelle indotte!



 





Il Theremin è stato inventato intorno al 1919 dal russo Leon Theremin e può essere considerato a tutti gli effetti uno dei primi strumenti musicali completamente elettronici.

L'aspetto che rende veramente singolare questo strumento è il suo funzionamento: si suona senza toccarlo!

E' composto fondamentalmente da due antenne, avvicinando e allontanando la mano da un'antenna, disposta verticalmente, si controlla l'intonazione mentre tramite l'altra, disposta orizzontalmente, si controlla il volume. Le due antenne sono montate su un châssis che contiene la circuitazione elettronica

COME SI SUONA:.

Innanzi tutto va chiarito che esistono essenzialmente due modi di impiego del theremin: come strumento per produrre effetti speciali o, per dirla come Clara Rockmore, come vero strumento musicale per suonare vera musica.

Nel primo caso, essendo totalmente liberi dalle convenzioni musicali, l'uso è indicato per creare atmosfere particolari. Usato in questo modo il Theremin ben si sposa con tutto quello che l'elettronica offre alla musica, ad esempio è molto indicato l'uso di processori di segnali quali riverbero, echo, chorus, flanger ecc. E' chiaro che non avendo costrizioni con le regole musicali questo approccio esecutivo è molto più semplice e permette di dare libero sfogo alla fantasia.

Nel secondo caso, trovandoci di fronte di fatto ad uno strumento musicale, il Theremin può essere utilizzato come qualsiasi altro strumento per eseguire qualsivoglia melodia. Il vantaggio di usare un Theremin è che abbiamo a che fare con un strumento dalle potenzialità espressive enormi, che possiede sonorità molto particolari in grado di dare colorazioni originali alla musica che si sta eseguendo ecc. Il rovescio della medaglia è che è uno strumento difficile da suonare, occorre molta costanza ed esercizio per diventare buoni strumentisti.

E'presente un pulsante che permette le regolazioni di variazione della sensibilità delle antenne in modo da permettere di ottenere una dinamica più o meno estesa nonché di variare l'estensione dello strumento. Sono inoltre presenti delle regolazioni che variano le forme delle onde generatrici consentendo quindi di variare anche notevolmente il timbro dello strumento.

"Il fatto è che noi preti non siamo stati educati a porre delle domande vere, scomode, o si è provveduto a disabituarci. La discussione franca è ritenuta un esercizio ad alto rischio. Il prete viene visto da molti come un fornitore di risposte, non certo come un suscitatore di interrogativi. Lui stesso si arroga questa parte, anzi si assegna, disinvoltamente, per una specie di deformazione professionale, un duplice ruolo: quello del maestro sapiente che interroga e quello del discepolo che risponde con sicurezza, da primo della classe. Quando butta lì una domanda, si può essere certi che quella domanda contiene già la risposta incorporata. Per lo più si tratta di domande artificiose, fasulle, cui corri­spondono risposte scontate, largamente prevedibili. Falsi problemi con annessa la soluzione prefabbricata che non serve a nessuno".

Alessandro Pronzato, La predica, 46
"Dire che la Chiesa è segno e strumento della piena comunione dell'uomo con Dio e dell'unità di tutto il genere umano significa affermare che essa è segno profetico e strumento di una salvezza cui sono destinati tutti gli uomini. Essa è anticipo sacramentale di una salvezza cui sono chiamati tutti. Ciò significa, allora, che la Chiesa si sa costitutivamente aperta a tutti gli uomini e avverte la responsabilità della salvezza di tutti; e che essa è Chiesa solo nella misura in cui porta, responsabilmente, il destino di tutti e si sente intimamente relata a quei tutti che, attraverso la sua mediazione, sono chiamati alla salvezza.

Non è inopportuno osservare, però, che alla radice dei diversi servizi che la Chiesa sa di dover rendere a tutti gli uomini sta proprio la coscienza di una responsabilità nei confronti di tutti. Non si potrebbe infatti comprendere il motivo dei molti servizi da rendere a tutta l'umanità se non si avvertisse di essere Chiesa "per" e "a favore di" tutti e se non ci si sentisse responsabilmente relati a tutta l'umanità cui è diretto il servizio. Alla radice della stessa missione della Chiesa, a ben vedere, sta dunque questa relazione di responsabilità, questo suo esistere per altri e a servizio di tutti. Infatti, che cosa può motivare in profondità la missione della Chiesa, se non la coscienza di essere responsabile dell'umanità intera e la consapevolezza che la sua identità non è data al margine di coloro a cui si annuncia il Vangelo? L'identità, per la Chiesa, non significa separazione dal mondo e dall'umanità, ma essere introdotti in una relazione di responsabilità, di mediazione, di esistenza in loro favore.

Al tempo stesso, il fatto che la Chiesa esprima se stessa come sacramento universale di salvezza dice la relazione della Chiesa a Cristo, unico autore della salvezza di tutti.

Essa perderebbe la sua identità, cesserebbe di essere Chiesa, se si incrinasse quella sua esistenza in favore del mondo che la lega al resto dell'umanità. Ma anche in questo è inscritta la sua umiltà: la Chiesa è qualcosa di unico e particolare in questo mondo, solo nella misura in cui essa esiste a vantaggio del mondo, solo in quanto è relata a questo mondo; e, d'altro canto, sono proprio questo mondo e questa umanità ciò che Dio desidera salvare. Non solo. L'umiltà è inscritta nelle conseguenze estreme cui può portare questa relazione di responsabilità e questo esistere per altri: fino alla sofferenza per l'altro, fino a patire la libertà dell'altro, anche quando si esprime nel rifiuto o nell'indifferenza. Anche allora non è mai lecito alla Chiesa, se vuole essere fedele a se stessa, interrompere la relazione con il mondo e l'umanità.

Essa non può pensare, vivere, agire senza portare sempre con sé e in sé tutto il mondo e tutta l'umanità a favore di cui essa esiste: anche nell'ora del rifiuto e nel momento umiliante dell'indifferenza".


Roberto Repole, Il pensiero umile, 167-171 passim

Energy drink: l'illusione del «su di giri»

Anche la Francia autorizza le bibite con caffeina e taurina.

Ma tra gli esperti europei è polemica


L'energy drink Red Bull sarà venduto anche in Francia, dopo un divieto durato oltre 10 anni. L'etichetta, però, sconsiglierà il consumo a bambini e donne incinte. La bibita, presente in 150 Paesi, contiene caffeina (quella di un caffè) e taurina, aminoacido di trascurabile importanza se assunto in quantità adeguate. I ragazzi, però, scelgono la bevanda per "mettere le ali", come suggerisce la pubblicità: è ormai abitudine nelle discoteche consumare cocktail di bibita e superalcolici. Secondo una recente indagine negli Usa, per esempio, il 25% dei giovani che beve alcol lo associa a energy drink: la caffeina della bibita tiene svegli e contrasta l'effetto sedativo dell'alcol, mantenendo inalterata l'euforia. Il sapore dolciastro del cocktail inoltre facilita l'assunzione di alcol e non ne fa percepire le reali quantità. Nonostante le apparenze, tuttavia, i riflessi sono rallentati e la coordinazione motoria è ridotta.

Il risultato quindi è un'illusione, tanto falsa quanto pericolosa, di lucidità. «Contrastare la cultura degli energy drink è difficile
"Ciò che viene detto non è mai udito come è detto: una volta persuasi di questo, si può andare in pace sulla parola, senza più alcuna preoccupazione d'essere bene o male intesi, senza nessun'altra preoccupaziole se non quella di mantenere la propria parola più vicina possibile alla vita".

Christian Bobin, Il distacco dal mondo, 37




"Sulla grande piazza era arrivato un famoso profeta. Pare dicesse cose assai interessanti. Un'occasione da non lasciarsi sfuggire. Di fatto, tutti, dopo essersi passata la voce, accorrevano ad ascoltare. Applaudivano, in preda a un entusiasmo incontenibile e contagioso. Un grosso successo. Era il profeta che ci voleva. Diverso dai soliti predicatori barbogi. Col trascorrere del tempo, però, l'uditorio cominciò a sfoltirsi. Sulla piazza, dove prima tutti sgomitavano per accaparrarsi i primi posti, cominciarono a crearsi dei vuoti abbastanza vistosi e preoccupanti. Qualcuno si stancava, altri si infastidivano. Infatti il profeta diceva verità scomode, che disturbavano. Cose che la gente non amava sentirsi dire. Ci fu chi lo insultò, altri lo derisero. Qualcuno addirittura suggerì di chiamare la polizia. I più, però, se ne andarono in silenzio, delusi. Non era quello il messaggio rassicurante che aspettavano. Logica, quindi, la diserzione. Rimasero in pochi. Ma lui, in mezzo a quella dozzina di ascoltatori distratti, che stavano lì più che altro per convenienza, per abitudine, continuava a gridare, anche se mancavano gli applausi (che lui, del resto, come ogni profeta che si rispetti, non aveva mai cercato né gradito), e ogni tanto, invece, si levavano fischi e voci rabbiose di contestazione. Andò a finire che il profeta rimase solo. Un bottegaio, lì vicino, che tra l'altro aveva visto calare la cifra di affari, uscì fuori e lo interpellò: «Perché ti sgoli inutilmente? Non ti accorgi che tutto è inutile, ormai, la tua missione è fallita, la gente si è stufata di te, non vuole più saperne? A chi parli, povero illuso?». Il profeta rispose, con la massima calma: «Vedi, da principio nutrivo la speranza di poterli cambiare, almeno un po'. Per questo dovevo gridare. Adesso, però, mi sono convinto che devo gridare per impedire che siano loro a cambiare me».



Fin qui la parabola. Giovanni Battista, nel buio della prigione di Macheronte, continuò a urlare anche se non serviva a nulla. Anche se fuori, probabilmente, nessuno sapeva nulla. Lui, certo, non aveva paura che Erode lo cambiasse. Temeva, piuttosto, di cedere alla stanchezza, e quindi lasciar mancare una parola "inutile", ma necessaria. Il pericolo più grave che corre il profeta non è quello di venire "convertito" lui dai suoi ascoltatori (specialmente da quelli assenti), ma di dichiarare, rassegnato: «Non serve a nulla. Cosa ci sto a fare?». Il vero profeta non si preoccupa quando mancano gli ascoltatori. E importante che lui non manchi alla parola".


Alessandro Pronzato, La predica, 63-64
Da Milano arriva la nuova tendenza.

E' il cohousing: trovare persone affini, per acquistare l'appartamento e creare una comunità.

Grazie al web, al marketing

I vicini di casa ora si scelgono, così la comune torna di moda

di Maurizio Bono

Da settimane ne chattano in internet, su un blog dove ciascuno ha messo la sua foto da solo, in coppia o in tre come Daniela, Eleonora e Francesca, universitarie fuorisede. Clicchi e parte il filmato, stile YouTube. Storie di chi dalla vita quotidiana in città vorrebbe un po' di più, e non si rassegna.

Le studentesse dividono già casa, e si trovano bene, ma fuori la città è difficile, tenere le distanze è un abito, sarebbe bello stare vicino a gente disponibile, come loro, a dare un aiuto agli altri e chiedere aiuto quando serve. Ruggiero invece vive coi suoi e vorrebbe indipendenza, ma anche una specie di famiglia allargata perché fa più allegria. Enrico, film maker, trova che la metropoli frantuma le esperienze, ci vorrebbe più socialità.

La designer la butta un po' sul tecnico e parla degli spazi condivisi come in Olanda, l'insegnante riflette su quanto si spreca se non si mette in comune almeno l'auto, la spesa, anche il bucato, perché no, con quello che inquinano i detersivi.

Si sono ascoltati l'un l'altro in rete, si sono scritti e-mail, poi il gran passo: mercoledì tutti insieme, in un bar accogliente per l'aperitivo e per capire faccia a faccia, Chiara dice "a pelle", se vivere insieme potrà funzionare. Arrivano in 50 e si parla di sala da pranzo collettiva, e biblioteca. Nicoletta, che è col marito Gaetano, esita un po' - è pieno di single - ma quando entra una coppia trentenne che ha un'etichetta discografica di musica elettronica e un bambino nel passeggino, butta lì: che ne dite di un nido? Tutti d'accordo, come sulla spesa grossa da fare in gruppo e forse anche su un orto, ma di questo si riparlerà.

Una volta si chiamava comune, ed era un terno al lotto (chi si ricorda il film olandese Together?). Ora si dice cohousing ed è quasi una scienza: scegliersi "prima" i vicini di casa affini, per mettere su insieme una comunità affiatata, con valori condivisi e comodità che non si possono comprare coi soldi. Come farsi prestare lo zucchero, darsi una mano a tenere a turno bambini la sera, mettere a disposizione l'un l'altro le capacità ("Scusate, ma non ci sarebbe un idraulico?"). O anche solo salutarsi in ascensore.

I ragazzi di "Residance" - si chiama così il cohousing in affitto che se tutto va bene costruiranno in un paio d'anni alla Bovisa, periferia innovativa di Milano - sono la punta d'un iceberg. Di progetti con lo stesso spirito ce ne sono in piedi 7 e il primo sarà finito a marzo (una palazzina in condominio in via Ripamonti, "Cosicoh"). I cohousers variano per età, dai ventenni ai formidabili sessantenni che stanno scegliendosi per andare ad abitare in una villa nel verde vicino a Biella (progetto "Acquarius", hanno l'età per ricordarsi il musical): loro condivideranno un campo di golf lì a due passi, tanti salottini per stare in compagnia, miniappartamenti per stare in libertà e un centro medico perché non si sa mai.

Poi ci sono le famiglie sui 40 e i single per vocazione o di ritorno, che ristrutturano una cascina con filanda nel parco del Ticino (hinterland miracolosamente ancora verde) per usare la corte come ludoteca all'aperto e le cantine per gli acquisti solidali di gruppo. Infine gli ecologisti spinti che sognano (molto concretamente) di abitare un palazzo di cinque piani che ha accanto una gigantesca clessidra di tubi d'acciaio e plastica trasparente, collegata con passerelle coperte a ogni piano. Dentro, coltivazioni idoponiche e in terra di alberi da frutto, verdura e fiori da consumare fresca in piena metropoli. Si chiamerà "Urban farm", il progetto c'è già e l'ha fatto l'architetto Bruno Viganò studiando l'arca che alla Columbia University stanno usando per testare un habitat autosufficiente adatto a Marte.

Milano non è proprio Marte ma può dare gli stessi sintomi: aria poco respirabile e vita sociale a tolleranza zero. Così se chiedi come mai il rinascimento del cohousing oggi sia così massicciamente milanese, ti dicono che qui ce n'è più bisogno, e infatti una ricerca del Politecnico che ha dato inizio a tutto, nel 2005, su 3000 intervistati selezionati per età (media) e cultura (alta) aveva identificato una disponibilità all'impresa di quasi il 50%.

L'altra ragione però è che dietro al movimento delle nuove comuni c'è anche un nuovo stile, che porta l'impronta di una "agenzia per l'innovazione sociale" (Innosence, nata come gestore di fondi etici) e del dipartimento Indaco del Politecnico di Milano (Innovazione per la sostenibilità). Sono loro a fiancheggiare discretamente gli autorganizzati del cohousing fornendo un protocollo apparentemente complicato (dal primo incontro alla carta delle regole di ogni comunità) che finora ha sempre evitato equivoci e liti da comuni d'antan.

Qualcosa, almeno nel caso degli affitti calmierati per Residance, ce lo mette perfino il Comune, anche se quasi nessuno lo sa, la giunta preferisce propagandare la sua faccia feroce dei blitz contro gli immigrati. Ma così piano piano un pezzetto speciale di città si trova, si sceglie e va a vivere insieme. E chissà, anche per la manciata di comuni pioniere sopravvissute e per una dozzina di cohousing solitari potrebbe essere la svolta.


http://www.repubblica.it/2008/07/sezioni/cronaca/vicini-di-casa/vicini-di-casa/vicini-di-casa.html




Il modello di uomo!

«Beati gli operatori di pace », dice l'evangelista, o carissimi, «perché saranno chiamati figli di Dio» (Mt 5,9). A ragione fioriscono le virtù cristiane in colui che è concorde con gli altri nella pace cristiana, né si giunge a essere chiamati figli di Dio se non attraverso il nome di operatori di pace.


E' la pace, carissimi, che fa uscire l'uomo dalla schiavitù e gli dà un titolo nobiliare, cambia agli occhi di Dio la condizione di una persona facendo del servo un figlio, dello schiavo un uomo libero. La pace tra i fratelli è volontà di Dio e gioia di Cristo. E' perfezione della santità, regola della giustizia, maestra di dottrina, salvaguardia dei costumi, disciplina lodevole in tutte le cose. La pace è per le preghiere un'intercessione, per le suppliche una via facile ed efficace, è l'appagamento pieno di tutti i desideri. La pace è madre dell'amore, vincolo di concordia, segno manifesto di un animo puro, che può chiedere per sé a Dio ciò che vuole. Domanda tutto ciò che vuole e ottiene tutto ciò che domanda.

La pace si deve conservare per comando sovrano, perché lo stesso Cristo Signore dice: «Vi lascio la pace, vi do la mia pace» (Gv 14,27), che è come dire: Vi ho lasciato nella pace, voglio trovarvi nella pace. Partendosene volle dare quello che desiderava di ritrovare in tutti al suo ritorno. E' di Dio piantare la pace fin dalle radici; del nemico strapparla dalle radici. Infatti come l'amore fraterno è da Dio, così l'odio è dal diavolo; per questo l'odio è da condannare sotto tutte le sue forme, poiché sta scritto: «Chiunque odia il proprio fratello è un omicida» (1 Gv 3,15).

Vedete dunque, fratelli carissimi, perché si deve amare la pace e apprezzare la concordia; sono queste infatti che generano e nutrono l'amore. Sapete poi che, secondo l'Apostolo, «l'amore è da Dio». (1 Gv 4,7); perciò è senza Dio chi non ha l'amore.

E allora, o fratelli, osserviamo i comandamenti che ci danno la vita; la fraternità sia tenuta ben unita con i legami di una pace profonda; sia tenuta ben stretta con il vincolo salutare dell'amore che copre un gran numero di peccati. Noi dobbiamo abbracciare con tutti i nostri desideri l'amore che ha un premio speciale per ognuno dei suoi aspetti buoni. La pace si deve custodire più di tutte le altre virtù, perché Dio è sempre nella pace. Amate la pace e tutto sarà tranquillo. La vostra pace per noi sarà un premio, per voi una gioia e la Chiesa di Dio, fondata nell'unità della pace, potrà godere di una coesione perfetta in Cristo.


san Pietro Crisologo

La "pillola del lunedì": ora è boom tra le teenager

I ginecologi "le figlie più informate delle madri"

di Laura Pertici


È la pillola del lunedì. È la pillola delle ragazzine. Ogni ventiquattr'ore cinquecento giovanissime mandano giù una pasticca per paura di rimanere incinta. Ma è soprattutto dopo il fine settimana che la cercano, quella pillola. Le richieste schizzano ogni lunedì. In Italia è boom della contraccezione d'emergenza, si sta diffondendo soprattutto tra quante hanno tra i 14 e i 20 anni. Sono le adolescenti le più informate, coloro che consumano la metà delle confezioni vendute (...)

L'Aied, l'Associazione italiana per l'educazione demografica, ha messo a confronto la conoscenza di donne di tutte le età per capire il fenomeno (...) Quindi le figlie sono molto più informate delle madri sui luoghi deputati all'assistenza, in caso di rapporto a rischio. Sanno benissimo che la pillola del giorno dopo va presa entro 72 ore e preferibilmente nelle prime dodici. I genitori sono quasi sempre all'oscuro dell'attività sessuale che le riguarda. Mamma e papà neanche immaginano del ricorso al Norlevo. (...)

Eppure la Sigo all'inizio di giugno denunciava: la pillola del giorno dopo sta diventando l'unica forma di contraccezione usata dalle giovani. Come dire niente condom, niente spirale, niente pillola contraccettiva, niente cerotto, ormai le ragazze trasformano in emergenza anche la routine. (...)


http://www.repubblica.it/2008/07/sezioni/cronaca/boom-pillola-lunedi/boom-pillola-lunedi/boom-pillola-lunedi.html

Servizio TV su Repubblica:

http://tv.repubblica.it/copertina/quello-che-le-ragazze-non-dicono/21808?video

"Un giorno il sultano volle decorare in modo specialmente bello la sala del suo palazzo. Perciò fece venire due squadre di pittori da luoghi molto distanti tra loro come Bisanzio e la Cina. Ciascuna avrebbe affrescato una delle lunghe pareti parallele della sala. Ma l'una non doveva sapere che cosa dipingesse l'altra. Assegnò dunque una parete a ciascuna squadra, senza permettere loro di comunicare: in mezzo alla sala una tenda appositamente collocata impediva ogni comunicazione tra i pittori dei due lati.

Quando l'opera fu terminata, il sultano si diresse prima a ispezionare l'affresco dipinto dai cinesi. Era invero di una bellezza meravigliosa. «Niente può esser più bello di questo!», disse il sultano, che con tale convincimento nell'animo fece scorrere la tenda perché apparisse la parete dipinta dai greci di Bisanzio. Ma su quella parete i greci non avevano dipinto nulla, l'avevano solo lustrata, pulita e ripulita fino a trasformarla in uno specchio di un biancore misterioso che rifletteva, come in un elemento più puro, le forme della parete cinese; le forme e i colori acquistavano una bellezza inimmaginabile che non sembrava di questo mondo: una nuova dimensione, diremmo, per gli occhi e lo sguardo umani".





Considerando il rischio assunto dalla scelta un po' estrema dei pittori bizantini, la filosofa Maria Zambrano si chiede: che mai sarebbe successo qualora gli artisti cinesi (magari memori dell'amor vacui caro alla loro tradizione taoista) avessero optato per una soluzione pittorica altrettanto radicale dei bizantini, dipingendo a loro volta una parete perfettamente non figurativa e acromatica, in qualche modo non meno «vuota». Nessun imbarazzo - risponde la filosofa - anzi, ne sarebbe scaturito infine un tripudio della luce, perché «in quel caso la sala sarebbe risultata un luogo privilegiato perché la luce viaggiasse da una parete all'altra, perché la luce mostrasse quel che ha di creatura alata: quella colomba che sorge dalla luce quando le si offre l'occasione». Insomma, un ping-pong vertiginoso e incessante, un lumen de lumine. E se invece - piuttosto che splendido - l'affresco cinese fosse invece risultato mediocre? Beh, anche in tal caso l'esito sarebbe risultato nient'affatto irreparabile, poiché l'effetto specchio del «biancore incandescente ne avrebbe riscattata l'opacità come capita alle immagini riflesse nell'acqua».

Morale della favola di questa felice congiunzione tra esuberanza ed estasi, tra know-how cinese e apofasi bizantina: «Niente è brutto, se Io si guarda in un altro elemento più puro, più intelligente. E, portando all'estremo la situazione, si potrebbe presentire» - addirittura - «che lo sguardo sia capace di riscattare ogni bruttura, ogni mediocrità, lo sguardo di chi, guardando, sappia creare un elemento purificato, lavato, come la parete bizantina».

E, più radicalmente ancora, «pensare che prima di fare qualsiasi cosa, prima non solo di imprimere un'immagine, ma di riceverla, prima di pensare qualsiasi cosa, occorra pulirsi e ripulirsi lo sguardo, l'anima, la mente, affinché si assimili, per quanto umanamente possibile, al biancore che è pura vibrazione, vibrazione velocissima che riunisce tutte le vibrazioni che generano il colore, mostrandosi in apparenza come quiete e passività. E ogni lettore può seguitare per proprio conto le serie delle interpretazioni».


cfr M. Zambrano, Le parole del ritorno, 76-78.
Stringhe addio: nelle scarpe un'ideologia libertaria.

di Marco Belpoliti

Un'estate senza lacci.

Quattro o cinque anni fa la Converse All Star, la famosa ditta americana di scarpe da basket, ha messo in commercio un paio di scarpe da ginnastica prive di lacci che un sistema di elastici sotto la linguetta permette di indossare senza perderle per strada camminando. Il tratto decisivo delle scarpe è che possiedono ancora gli anelli per infilare i lacci, ma nella scatola con cui si vendono non ci sono proprio.

Una delle persone che lavorano per l'azienda americana le ha probabilmente viste ad Harlem o a Los Angeles, oppure a Vancouver, indossate da una qualche banda di adolescenti, come un altro paio di scarpe, sandali da doccia, calzati da un gruppo di ragazzini bianchi che si travestono da gangster americani, con un look da loro stessi definito «di quello che picchia la moglie». Su indicazione della loro scout, DeeDee Gordon, la Converse ha tagliato la parte posteriore di una scarpa sportiva, le ha applicato la suola di un sandalo, e ne ha venduto mezzo milione di paia. (...)

Ci sono gli innovatori, dotati di spirito d'iniziativa; poi degli opinion-makers che trasmettono alla maggioranza, i consumatori, la scelta del piccolo gruppo. Così è accaduto per le Crocks. (...)

La produzione non dura molto, al massimo due o tre anni. L'oggetto compare sul mercato e poi scompare lasciando a bocca asciutta i consumatori più abitudinari, quelli che avevano fatto fatica ad accettare il prodotto, per poi innamorarsene perdutamente. (...)

Lacci sì o lacci no è una disputa interessante anche dal punto di vista antropologico. Uno dei passaggi decisivi nella vita è la capacità di fare i nodi alle scarpe. (...)

Lacci sì o lacci no ha anche un altro risvolto, che potremmo definire psicologico. I lacci annodati sono una prova, un piccolo rito di passaggio, dall'adolescenza vero l'età matura. Oggi che di lacci ce ne sono sempre meno - le scarpe maschili ma anche femminili evolvono verso la forma a «ciabatta» -, si può supporre che l'intera società manifesti, attraverso le calzature, una qualche forma di immaturità? Probabile. (...)

I lacci presuppongono una società più formale, indirizzata verso forme più costrittive - una sorta di «sorvegliare e punire» della scarpa. Forse per questo i ragazzi che hanno inventato - o reinventato - la scarpa senza lacci volevano indicare una forma di liberazione, oltre che di necessaria infantilizzazione della nostra società. Crescere è una questione di nodi. Comporta fatica e costrizione. (...)




http://www.lastampa.it/_web/cmstp/tmplrubriche/blog/hrubrica.asp?ID_blog=230

La carica di stimoli ha prodotto un cortocircuito nella libido. Le unioni si scoprono caste

Quaranta coppie su cento rinunciano ad ogni rapporto fisico. E lo fanno con orgoglio.


Circondati da troppo sesso è boom di chi si astiene

Nell'era di YouTube l'uomo ripiega sulla "web trasgressione":

mettere in vetrina la propria donna nuda su internet

di Alessandra Retico

Molta noia e tanto sonno, ce ne sono di ragioni forti per girarsi dall'altra parte del letto. Buonanotte, tesoro: desiderio sottozero, appetiti assopiti. Di sesso se ne vede così tanto e se ne parla così a lungo che poi, nel corpo a corpo, tutto svanisce. (...) Per disaffezione, per tedio, perché pensano ad altro. Perché dopo la sbornia post rivoluzionaria della liberazione nei Settanta e dopo una giornata qualunque carica di allusioni, stimoli, strizzatine d'occhio, non se ne può più. La pubblicità, la tv, i reality e i talk show, internet e tutto l'osceno chiacchiericcio post pornografico sembrano aver provocato l'addio ai piaceri carnali: astinenza e inappetenza.

Matrimoni bianchi, unioni fraterne, relazioni incorporee. Mentre il paesaggio culturale si riempie di messaggi erotici, la libido si svuota. Asessuali, antisessuali, i nomi dell'amore di oggi sono privativi e ostili. Ormai nascono anche club, circoli, gruppi e ghetti di quelli che il desiderio non lo vogliono proprio, dentro l'istinto non ce l'hanno, l'hanno perso, non lo vogliono più. (...) Da noi la performance esistenziale mantiene uno stile più classico, e allora ci si gira dall'altra parte. Sempre di più, sempre più lui. Dall'ultimo congresso della Federazione europea di Sessuologia cifre e temi non esattamente consolatori: il vecchio nostalgico calo di desiderio è triplicato in dieci anni. Poca fame d'amore. Rapporti anoressici. Quaranta coppie su cento ripudiano il sesso. Spesso è lui a dire ho mal di testa: teme il giudizio della compagna. Che prima si sente in colpa e poi dice sai cos'è, ti tradisco. Categoria in aumento, in vertiginoso progresso. Un disinteresse che inizia subito, presto, da giovani: "Nei ragazzi italiani siamo quasi all'anoressia sessuale" ha spiegato Giorgio Franco, andrologo della Sapienza di Roma. "A partire dall'adolescenza sono informatissimi ed emancipati, ma tra i 25 e i 35 non sanno gestire la sessualità giorno dopo giorno".

Molte parole, molte visioni, poche o nulle emozioni. Oppure troppe, esagerate: c'è la tipologia di coppia "bulimica" (...). Le metafore dei disturbi alimentari vanno molto tra gli esperti per descrivere la fuga dagli abbracci, dai letti, da se stessi: l'abbondanza che genera penuria, l'eccesso assenza. D'altra parte se pure con lo yogurt dovremmo farlo, allora capisci l'amore che fine ha fatto. Fluisce così cremoso che alla fine viene nausea. L'incontro vero è rimandato (sine die), il sesso finto, invece, hai voglia: emerge la sindrome di Amsterdam, dicono i sessuologi, techno trasgressione molto maschile che consiste nel mettere in vetrina la propria donna nuda su internet. Vedere e non toccare, bit al posto dei sensi. Crollati tutti i tabù, c'è sempre YouTube.


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