Il consumo di cacao è in crescita... ma "si tratta di una crescita che implica un enorme costo ambientale. Ogni anno, infatti, migliaia di ettari di foreste, in parte protette, vengono dati alle fiamme o rasi al suolo per lasciare spazio alle fave di cacao".
https://valori.it/deforestazione-e-lavoro-minorile-il-volto-oscuro-del-cioccolato/

«Quello che mi fa capire se uno è passato attraverso il fuoco dell'amore divino non è il suo modo di parlare di Dio; è il suo modo di parlare delle cose terrene».
Simone Weil


«Il cristianesimo storico è gravato dalla volontà di potere, dal desiderio di convincere per mezzo della forza, alleandosi con lo Stato. Allora si pone la domanda: che ruolo sono chiamati a svolgere i cristiani nella società secolarizzata?
La Chiesa deve rinunciare al potere, senza tuttavia rinunciare ad essere lievito, un lievito che opera in tutti i settori della vita. Restando al di fuori di qualsiasi potere essa può vivere della luce, una luce a volte impercettibile, a volte più visibile a seconda dei tempi, dei paesi, delle possibilità offerte dalla storia.
Bisogna altresì rinunciare all’idea che possiamo agire sulla società dal di fuori: non ci resta che la possibilità di agire dall’interno, attraverso menti e cuori investiti dai raggi di questa luce, attraverso le nostre diverse iniziative. Il ruolo del cristiano non è quello di lottare contro la secolarizzazione, che di fatto si è già imposta, ma di renderla positiva, ossia di fare in modo che la Chiesa sia lievito e non forma di potere; come pure ha il ruolo di tener deste le domande ultime dell’essere, cui il secolarismo non dà alcuna risposta. Forse Dio si attende dai cristiani una spiritualità creativa, che diventi l’ossigeno dell’epoca, e cambi impercettibilmente la società.
Tutto questo è molto importante, perché oggi siamo stanchi di un cristianesimo che sia l’ideologia di un gruppo, una nazione, uno Stato. Siamo stanchi dell’inquisizione, di dover pensare alla nostra influenza o alla nostra importanza: infatti possiamo essere poveri e liberi! Oggi, forse per la prima volta nella storia, i cristiani tornano ad essere poveri e liberi. Ci si apre al piccolo, alla semplicità, all’ampiezza degli sguardi, si ritorna al fondamento. Questa letizia di scoprire l’essenziale, di vivere dell’essenziale nella Chiesa, nella libertà di una scelta personale, è la grande opportunità del nostro tempo».
Olivier Clément, Taizé, un senso alla vita (1997)


27 gennaio 2019 - Festa della Santa Famiglia - Giorno della Memoria

1. Dopo il canto di ingresso, prima del segno della croce iniziale
Se conoscessimo che dono grande è avere delle persone che ti riconoscono, sanno il tuo nome, ti vogliono bene, ti aspettano.
Se conoscessimo che dono grande è avere un tetto, un luogo in cui trovare protezione e calore.

2. Prima della lettura
Se conoscessimo che dono grande è avere delle persone che ci ascoltano e sapere che c’è qualcuno che dice a noi delle parole affettuose e importanti per noi.
Se conoscessimo che dono grande è avere la possibilità di esprimere il proprio parere, il proprio dolore, la propria cultura, la propria lingua.

3. Prima dello scambio della pace
Se conoscessimo che dono grande è avere attorno a noi delle persone che ci perdonano e avere un cuore capace di perdonare.
Se conoscessimo che dono grande è avere una società in pace e avere accanto degli operatori di pace.

4. Prima della presentazione dei doni
Se conoscessimo che dono grande è avere dei doni da condividere e avere la volontà di condividere.
Se conoscessimo i doni immensi delle persone che vivono vicino a noi e di coloro che vengono da ogni parte del mondo.

5. Dopo il canto del Santo
Se conoscessimo che dono grande è


«Quando questo orrore finirà (perché finirà) si faranno musei e nelle teche ci saranno scarpe, lettere, piccole foto tessera, ciocche di capelli, mucchi di vestiti lacerati.
E ci saranno classi di scuola (perché ci saranno) che si chiederanno come è stato possibile. 
E ci saranno superstiti che racconteranno se questo è un uomo. 
E ci saranno quelli che volteranno lo sguardo per la vergogna. 
E taceranno.
E diranno che avevano ubbidito agli ordini. 
E ci saranno coloro che hanno avuto il coraggio di disubbidire che torneranno ad alzare gli occhi. 
E ci saranno nipoti che chiederanno ai nonni da che parte stavano. 
E ci saranno nonni, pochi, che risponderanno con verità: "Stavo dalla parte dell'umanità". 
E ce ne saranno altri che abbasseranno gli occhi e non risponderanno».
Ilda Curti, 2019

«Arrivammo su uno proprio così. Saltai giù dal vagone senza guardare. Un salto alto, troppo alto per una bambina di quattro anni... Ogni tanto chiudo gli occhi e sono qui. Mi restano immagini 'spezzate'. La gente si cercava, si chiamava. Lo faceva a voce alta, quasi strillando. C’erano i cani che abbaiavano e i tedeschi con le divise di pelle...». Era il 4-4-44, il quattro aprile del 1944. Con Andra c’era la mamma e Tatiana, la sorellina due anni più grande. Laggiù nascosto dalla nebbia c’è un caseggiato di mattoncini. «Ci fecero spogliare. Ci tagliarono i capelli. Ci diedero tre vestitini. Poi ci scoprirono il braccio destro e ci tatuarono un numero. 76483... Quel giorno ci separarono dalla mamma. Quando la rividi, qualche settimana dopo, aveva già cambiato aspetto. Rapata. La faccia scavata. Mi faceva quasi paura». Andra torna alle 'sue' cinque cifre. Le ripete quasi meccanicamente: 76483. «Non ho mai pensato di toglierle. Di cancellarle. Di nasconderle. Quel numero fa parte di me. È mio. Ogni tanto lo tocco. È il segno che ce l’ho fatta...». 232mila bambini sono entrati ad Auschwitz Birkenau, ma solo cinquanta sono sopravvissuti.
https://www.avvenire.it/attualita/pagine/la-lezione-di-auschwitz-oggi

Dal Rapporto Oxfam emerge che l’1% più ricco possiede metà della ricchezza aggregata netta totale del pianeta (il 47,2%), mentre 3,8 miliardi di persone, che corrispondono alla metà più povera degli abitanti del mondo, possono contare sullo 0,4 per cento. Un divario che si riflette su tutti gli ambiti della vita - istruzione, salute - e può innescare una devastante spirale della violenza.
leggi: http://www.vita.it/it/article/2019/01/21/ricchi-sempre-piu-ricchi-poveri-sempre-piu-poveri/150396/

“Nell’occasione in cui celebriamo il dono dell’unità e della fraternità fra i cristiani, desideriamo spiegare a tutti che per noi aiutare chi ha bisogno non è un gesto buonista, di ingenuo altruismo o, peggio ancora, di convenienza: è l’essenza stessa della nostra fede. Ci addolora e ci sconcerta la superficiale e ripetitiva retorica con la quale ormai da mesi si affronta il tema delle migrazioni globali, perdendo di vista che dietro i flussi, gli sbarchi e le statistiche ci sono uomini, donne e bambini ai quali sono negati fondamentali diritti umani: nei paesi da cui scappano, così come nei Paesi in cui transitano, come in Libia, finiscono nei campi di detenzione dove si fatica a sopravvivere. Additarli come una minaccia al nostro benessere, definirli come potenziali criminali o approfittatori della nostra accoglienza tradisce la storia degli immigrati – anche italiani – che invece hanno contribuito alla crescita economica, sociale e culturale di tanti paesi. Da qui il nostro appello perché – nello scontro politico - non si perda il senso del rispetto che si deve alle persone e alle loro storie di sofferenza”.
http://www.vita.it/it/article/2019/01/22/restiamoumani-lappello-di-cattolici-ed-evangelici/150414/


 

Sono 500 i migranti ospitati da Caritas lombarda nei suoi centri che probabilmente perderanno il diritto all’accoglienza per effetto del Decreto Sicurezza, ma che continueranno a essere accolti nelle strutture a spese della Chiesa. «Abbiamo deciso che anche chi non ha il diritto di rimanere verrà comunque accolto dalla Caritas a proprie spese – ha detto Luciano Gualzetti, direttore di Caritas Ambrosiana, nel corso di un convegno sul tema dei migranti organizzato in collaborazione con Città dell’Uomo -. È un modo per dichiarare la nostra contrarietà agli effetti del decreto Salvini». Questa linea, come ha spiegato il direttore, sarà tenuta da tutte le Caritas lombarde. «I migranti rimarranno nei centri a nostre spese», ha ribadito Gualzetti, che ha sottolineato come «il tema delle migrazioni è strutturale e non può essere fermato da un porto chiuso o da filo spinato. Ci stanno dicendo che l’immigrazione è difficile da gestire, quindi impossibile e bisogna chiudere – ha concluso -. Una soluzione che qualcuno sta proponendo anche in modo muscolare, e così arriviamo ad alcuni provvedimenti che creano discriminazioni».
https://www.chiesadimilano.it/news/attualita/gualzetti-rimarranno-nei-centri-a-nostre-spese-i-migranti-che-non-ne-avrebbero-piu-diritto-secondo-il-decreto-salvini-252753.html?fbclid=IwAR0nzFUQsoy-XCzVgf3Xi52R1N9idz7XMIHo9Z2JyqrC5K9IzsqR973vEQg


È ancora la casa il luogo della vita «vera» 
di Nunzio Galantino 
(...) A volte la realtà ci sembra troppo piccola e banale, altre volte troppo insignificante la vita di tutti i giorni: solite persone, soliti problemi, solite difficoltà. Eppure è proprio questo il «piccolo mondo che ci è affidato» del quale dobbiamo aver cura, in cui dobbiamo accendere un brivido di vita vera. 
Inutile e fuorviante cercare altrove: quella è la porta attraverso la quale dobbiamo far passare l’infinito con i suoi sogni e le sue speranze. Anche se a volte ci sembra difficile. 
Rendere sacri i piccoli luoghi che abitiamo non significa costruirci intorno altarini o cappelle votive. Renderli sacri vuol dire semplicemente scaldarli con una scintilla di amore e di passione vera. Questo ci è sempre possibile. Sempre e con chiunque. Soprattutto con chi ha pochi o nessun motivo per amare la vita. 
La casa è il luogo della vita “vera”. È il luogo del disordine o dell’ordine maniacale, il luogo dove si mettono a nudo i nostri bisogni: lì arrivano i giorni delle lacrime e tornano i figli prodighi, lì si racchiudono l’ansia e il desiderio delle nostre speranze. 
La nostra banale e monotona vita quotidiana, tormentata dalle preoccupazioni e inaridita dalla percezione dei nostri limiti, è alla continua e strenua ricerca di senso: eppure nel piccolo cerchio di mura della nostra casa, nei mille frammenti delle nostre giornate, nel groviglio delle nostre relazioni, è lì che si nasconde il senso pieno della nostra esistenza. 
Nel cuore della vita di tutti i giorni, proprio là dove l’uomo vive e spera e dove scorre il suo tempo, proprio là possiamo intuire una presenza di luce, e là ci sentiamo mendicanti. 
Ciò che cerchiamo non è distante come un paradiso vago e lontano, ma ci è accanto, abita in noi, è parte del nostro quotidiano (...). A volte la verità delle cose essenziali ci è tanto vicina da diventare per noi quasi invisibile, e ci sfugge. 
Un tempo Rilke scrisse: «Se la tua giornata ti sembra povera, non la accusare; accusa te stesso, che non sei abbastanza poeta da evocarne le ricchezze» (...). 
La tenerezza di Dio si intreccia nei fili della nostra trama quotidiana: il suo Regno si nasconde nel granello di senape, nel pizzico di lievito, nel minuscolo seme. Roba, insomma, di tutti i giorni. (...)
in “Il Sole 24 Ore” del 23 giugno 2018

«Dio è non solo un padre», ma anche «una madre che non smette mai di amare la sua creatura» anche se dentro ha «tante cose brutte» o è un «delinquente». Papa Francesco nella terza udienza generale del nuovo anno prosegue il ciclo di catechesi sul Padre Nostro e si sofferma sulla parola “Abbà, Padre”, «un’invocazione», ricorda il Pontefice, «nella quale si condensa tutta la novità del Vangelo» predicata da Gesù. Per questo, «il cristiano non considera più Dio come un tiranno da temere, non ne ha più paura ma sente fiorire nel suo cuore la fiducia in Lui: può parlare con il Creatore chiamandolo “Padre”. L’espressione è talmente importante per i cristiani che spesso si è conservata intatta nella sua forma originaria: “Abbà”».

Su questa parola Francesco ricorda come... (continua a leggere)

http://www.famigliacristiana.it/articolo/il-papa-dio-e-padre-e-madre-di-tutti-anche-dei-delinquenti.aspx?fbclid=IwAR0rr2oGTD89L99AQAvDVu4cIOg8IGftYW13ZBXVSx87NUw-qnAnI1vfiAY

Quanto siamo piccoli - coi nostri minuscoli dettagli - rispetto alla Grandezza di cui beneficiamo!



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«Potete odiare solo a distanza; potete amare e capire solo nella vicinanza e nell’intimità. Per trovare la compassione nel bel mezzo del dolore dovete avere familiarità col dolore. I veterani del Vietnam, come i soldati di tutte le guerre di ogni tempo, parlano del senso di distanza e indifferenza che coltivavano per riuscire a combattere. La psicologia dell’odio conta sulla trasformazione del nemico in qualcosa di subumano per sentirsi autorizzati e dIsposti a fargli del male. Non sempre vi accorgete di come, così facendo, rendete voi stessi subumani, del danno che fate al vostro stesso cuore. La psicologia della compassione conta sul fatto che vediate – partendo da voi stessi – ciò che è umano in tutti i vostri nemici. La persona che odiate o che vi ispira più risentimento è, dal principio alla fine, qualcuno che si sveglia al mattino col desiderio di essere al sicuro e libero dal dolore, qualcuno che trova beneficio in un contatto pieno d’amore, che ha gran voglia di tenerezza e comprensione. Solo quando vi vedete riflessi negli occhi e nel cuore dell’altro riuscite a capire che fare del male all’altro è farlo a se stessi. Come ha detto una volta Gandhi: “Dove ci sono odio e paura, noi smarriamo la via del nostro spirito"».
Christina Feldman, "Compassione. Ascoltare le grida del mondo"

«In tutte le cose, azioni e conversazioni, egli [Ignazio di Loyola] sperimentava e contemplava la presenza di Dio, e aveva una sensibilità raffinata per le realtà spirituali, essendo contemplativo nella sua stessa azione [simul in actione contemplativus]. Il suo modo preferito di esprimere questo era: bisogna trovare Dio in tutte le sue cose» (p. Gerolamo Nadal, uno dei primi compagni del Santo).

"Sono passati quasi sei anni da quando il vescovo di Bolzano-Bressanone, Ivo Muser, aveva indicato la possibilità che un giorno fossero anche laici, opportunamente preparati, a celebrare i funerali, in vista dell’insufficiente numero di sacerdoti disponibili. Dopo un attento percorso di discernimento - stimolato anche dal richiamo del Sinodo diocesano a curare le celebrazioni liturgiche col coinvolgimento dei laici - è partita a ottobre una formazione intensiva che porterà a maggio ad avere i primi funerali - senza Eucaristia, naturalmente - con celebrazioni della Parola guidate da laici" - prosegui la lettura:
https://www.avvenire.it/chiesa/pagine/il-funerale-lo-celebra-un-laico?fbclid=IwAR0E_2nuw39VG7ewXDhUzM_-fMLyNlnbRmTddpTy7gLoQXi61WLHVClHZVg


Il paradosso dell'arciere e il bersaglio della vita
di Mauro Berruto
« (...) La freccia, appena scoccata, inizia a dimenarsi come se fosse animata. La forza, applicata sulla sua parte posteriore (la cocca), fa letteralmente incurvare la freccia. La punta, appena effettuato il rilascio, si allontanerà dal bersaglio, andrà verso sinistra, ma ritornerà verso destra dopo pochi istanti, curvando ulteriormente e permettendo alla parte terminale, dove c'è l'impennatura, di aggirare la struttura dell'arco. Da lì in poi la freccia continuerà a puntare a sinistra, tornare a destra e così via, fino a quando si conficcherà sul bersaglio. Si chiama paradosso dell'arciere, un nome bellissimo. La freccia ci ricorda che al bersaglio ci si avvicina per scatti, momenti in cui apparentemente ci allontaniamo dall'obiettivo, altri in cui ci riallineiamo con ciò che desideriamo. Se non ci fosse la possibilità di andare fuori dalla traiettoria ideale, non ci sarebbero le condizioni per ritornarci, arrivando alla fine a colpire il centro del bersaglio. (...) 
Non è forse, il nostro, un adattamento continuo, un ricercare correzioni in una danza che ci fa allontanare, avvicinare, riallontanare, riavvicinare a quello che cerchiamo?» - continua a leggere: https://www.avvenire.it/rubriche/pagine/il-paradosso-dell-arcieree-il-bersaglio-della-vita


«Quando ti viene data la possibilità di scegliere se avere ragione o essere gentile, scegli di essere gentile».
Wayne W. Dyer


Persona. Il fascino di un termine ambiguo 
di Nunzio Galantino 
«Ho sempre bisogno/ di una nuova definizione/ e gli altri fanno lo stesso/ è una tacita convenzione./ Non ne posso più di recitare/ di fingere per darmi un tono/ io mi mostro senza pudore/ pur di essere quel che sono./ E se mi viene bene, se la parte mi funziona/ allora mi sembra di essere una persona./ Se un giorno noi cercassimo chi siamo veramente/ ho il sospetto che non troveremmo niente». 
Scorgo nei versi del cantautore Giorgio Gaber (Il comportamento) tutto il ricco dinamismo che accompagna la parola persona e la consapevolezza che di essa siamo chiamati ad avere. Ma in quelle stesse parole trovo anche tutto il deludente vuoto che si sperimenta quando la parola persona viene pronunziata o vissuta con superficialità. È così quando lasciamo ad altri decidere di noi, del nostro destino, dei nostri sentimenti, delle nostre emozioni, dei nostri progetti. E quando, con troppa disinvoltura, indossiamo una maschera. 
Persona è senza dubbio uno dei termini più pronunziati, forse senza rendersi conto di quanto sia ambiguo, nel senso etimologico della parola. Quanto alla sua genesi, il termine persona non può contare su un unico e certo riferimento etimologico (...) e ambigua è anche la vasta gamma di significati legati al termine persona. (...) Penso che tutta questa ambiguità si spieghi per l’impossibilità di far coincidere tout court la persona con le sue manifestazioni particolari. La persona è mistero: «sta sul limite tra ciò che nell’uomo è manifestazione e insieme sottrazione di sé […]. Essa è costantemente in bilico tra il mettere in conto il suo carattere simbolico e la dimenticanza e l’occultamento di esso» (F. Chiereghin). (...)
in “Il Sole 24 Ore” del 14 ottobre 2018


La pace è fragile ed è nelle nostre mani 
di Ernesto Olivero 
In questi ultimi giorni ho riflettuto molto sul tempo che stiamo vivendo. Siamo circondati da incertezza, toni sopra le righe, slogan urlati. Al di là delle idee di ognuno, il momento politico attuale è delicatissimo, ma è il cuore delle persone il vero campo di battaglia. Alcuni amici mi hanno raccontato di essere stati testimoni di episodi di intolleranza, di chiusura, in luoghi normali: un autobus, la strada, un incontro di giovani. C’è tanta rabbia in giro, non siamo capaci di cogliere le sfumature della realtà, puntiamo il dito, cerchiamo un nemico facile. In fondo tutto questo ci rassicura, ci fa stare tranquilli nelle nostre certezze, ma alla fine ci blocca. 
Mai come oggi, ho capito che il male che vive dentro e fuori di noi può vincere. Il male che passa per bene, che può andare in prima pagina e affascinare. Il male che ti fa credere che ci siano condottieri capaci di risolvere ogni problema. (...)
Noi abbiamo scelto, anche tra le lacrime, di essere una porta aperta, per poter fasciare le mille situazioni di fatica, di disagio, di solitudine che ci hanno interpellato. Quante difficoltà, quanta frustrazione, ma anche quanto dolore alleviato. Non ho mai pensato che accogliere lo straniero, dare da mangiare all’affamato, essere vicino a un carcerato fossero cose semplici da fare. Ho toccato con mano l’inadeguatezza, la paura, ma anche l’istinto della natura umana che giudica a prescindere, rincorre il proprio io, non vuole scocciature. No, non è mai stato facile, ma su questo terreno ci giochiamo la vita. Non lo dico io, lo dice Gesù quando con parole semplici e meravigliose ci fa capire che cos’è per lui l’amore. Non un sorriso, non una pacca sulle spalle, ma un fatto concreto. «Ero straniero..., avevo fame..., ero carcerato...». 
Dovremmo ricordarcelo sempre quando anche ragioni valide ci portano a pensare il contrario, a chiuderci, a dire basta. (...) È un modo per educarci e ricordare che la storia può ripetersi e che la pace è fragile, ma è nelle nostre mani.
in “Avvenire” del 15 novembre 2018 


Uğur Gallenkuş è un fotografo turco, che intende attirare l'attenzione sulle varie ingiustizie ancora presenti nel mondo. Crea drammatici collages, combinando fotogrammi di diverse situazioni, allo scopo di mostrare l'estremo contrasto tra loro. Con l'intenzione di aprire gli occhi a coloro che non vogliono vedere, Uğur Gallenkuş sa che una immagine può sortire maggiore effetto di mille parole. 
A questi link trovi alcune delle sue impressionanti composizioni: https://www.demilked.com/contrast-between-worlds-ugurgallen/

https://www.demilked.com/contrast-between-worlds-ugur-gallen/?utm_source=facebook&utm_medium=link&utm_campaign=DemilkedFB&fbclid=IwAR2ACjQk0XezLk9KyNqhLJSczyCCaxzbRW3i-7WqBIDDTmqJnIf-iz3i1A4

«La tenerezza trova misteri
dove gli altri vedono problemi».
Chandra Livia Candiani


«Nel bel mezzo dell'inverno, ho infine imparato che vi era in me un'invincibile estate».
Albert Camus


«Non ho mai insegnato ai miei allievi; ho solo cercato di fornire loro le condizioni in cui possano imparare».
Albert Einstein

"Conflitti dimenticati o nascosti. Le vergogne nascoste: scopriamo che 5 dei 6 Paesi massimi esportatori di armi sono membri permanenti del Consiglio di sicurezza Onu che dovrebbe prevenire le crisi e tutelare i diritti umani nel mondo. E allora, a questo punto, cosa possiamo sperare? La domanda disperata. E non può dunque stupire il che nel 2017 siano stati ben 378 i conflitti, tra cui 186 crisi violente e 20 guerre ad alta intensità. Sono diminuiti i conflitti non violenti, di tipo politico-territoriale, mas sono aumentate le crisi violente, dove ci si spara: dalle 148 del 2011 alle 186 del 2017 (più 25,7%).
La disponibilità di strumenti bellici è una delle cause della profonda instabilità politica che colpisce in Africa, Asia, Medioriente"... (continua)
https://www.remocontro.it/2018/12/13/conflitti-tra-dimenticati-e-nascosti-20-guerre-e-186-crisi-violente/?fbclid=IwAR0bkUf8zKUD4eVTbXGhk_d0RWxUBesQq72NzfZ77RgfwZqMhyC6dM2v2fY