In occasione della festa di Sant'Ignazio di Loyola, fondatore della Compagnia di Gesù, il Papa ha celebrato questa mattina la Santa Messa con i gesuiti nella Chiesa del Gesù di Roma. Si tratta di una Messa in forma privata, come quelle nella cappella di Casa Santa Marta.

Durante la conversazione in aereo con i giornalisti, rientrando a Roma da Rio de Janeiro, Papa Francesco aveva risposto anche alla domanda se si sentisse ancora gesuita. Questo è quanto ha detto:

“E' una domanda teologica, perché i gesuiti fanno voto di obbedire al Papa. Ma se il Papa è gesuita, forse deve far voto di obbedire al generale dei gesuiti



Prendi, o Signore, e accetta

tutta la mia libertà, la mia memoria,

la mia intelligenza, la mia volontà,

tutto quello che ho e possiedo.

Tu me lo hai dato;

a te, Signore, lo ridono.

Tutto è tuo:

di tutto disponi,

secondo la tua piena volontà.

Dammi solo il tuo amore e la tua grazia,

e questo solo mi basta!

s. Ignazio di Loyola

«Nella mia cerchia di conoscenze vi sono coppie omosessuali, persone stimate e altruiste. Non mi è mai stato chiesto, né mai mi sarebbe venuto in mente, di giudicarle.

La questione è come possiamo affrontare questo argomento.

Mi riesce più facile trovare un modo quando conosco qualcuno di persona e non devo difendere tesi generali».

C. M. Martini - G. Sporschill, Conversazioni notturne a Gerusalemme. Sul rischio della fede, 98 (anno 2008)

 





Questioni spinose affrontate con semplicità evangelica.

L'evento si trasforma in esempio

di Enzo Bianchi



Che le Gmg abbiano una rilevanza ecclesiale e mediatica eccezionale e capace di andare ben al di là dei loro destinatari primi, i giovani, è un dato ormai assodato. Così come è scontato che le personalità dei papi che le celebrano

Un'altra via consigliata per la purificazione dei sensi è la preghiera. La preghiera intesa come un umile, semplice racconto al Signore di ciò che i sensi provano. Si tratta di un accompagnamento del messaggio dal senso corporale al senso che si affaccia sullo Spirito. E' come il maestro che prende il discepolo e lo prende per mano attraverso una galleria spiegandogli il percorso.

Così la preghiera diventa la maestra dell'esperienza dei sensi. In questo accompagnamento si percorre la strada dal fenomeno percepito fino alla soglia di quel mondo nello Spirito che è molto più reale e che include non solo il fondamento e la sorgente, ma anche il compimento della realtà fenomenica. (...)

Si tratta di una compenetrazione organica, sempre più integra, in modo tale che anche quest'uomo corporeo che con il peccato è stato esiliato dal mondo dello Spirito riconosca come sua percezione ciò che l'uomo spirituale assapora e gusta.

Ecco, in quel momento possiamo parlare di integrazione spirituale, perché il nostro corpo mortale, esposto a tutte le offese del mondo, alla corruttibilità del male, delle malattie, della morte, può giungere all'infallibile certezza di gustare le realtà che lo uniscono con il Signore, lo orientano a Lui e lo rendono addirittura simile a Lui, cristoforme. E questo, detto per inciso, diventa il modo migliore di discernimento, il 'gusto esatto con cui si discernono le cose', come lo chiama Diadoco.

Marko Ivan Rupnik, L'arte della vita. Il quotidiano nella bellezza, 112-113

Il grande mistico persiano Rûzbehân Baglî di Shîrâz, nel suo libro Il gelsomino dei fedeli d'amore, vede nell'amore umano vissuto l'iniziazione all'amore divino.

Non si tratta di conversione monastica dell'eros, ma della sua trasfigurazione. Nell'amato si incontra l'unico Amato...

La Bellezza è percepita come una ierofania (manifestazione del sacro), solo a condizione che l'amore divino sia vissuto in un amore umano, vero elemento di trasfigurazione e di sopraelevazione.

L'amore umano si rivela una vera propedeutica all'amore divino. Ciò che Platone e, e con lui tutte le correnti romantiche o ascetiche, dissocia, il Cantico l'unisce.

Per l'antropologia biblica l'amore tra uomo e donna si origina nell'amore divino e si apre verso Dio. Non c'è che un unico Amore e tutti gli altri non ne sono che folgoranti partecipazioni.


P. Evdokimov, La donna e la salvezza del mondo, 29.


 



Angelo Branduardi - Il viaggiatore


Album: Si può fare (1992)



Questa è la tua ora, parti, viaggiatore

che ancora molto per te deve accadere.

Per anni sui mari ti sei avventurato,

seguendo cauto le vie delle tue carte.

Quale desiderio rende inquieto il tuo cuore,

quale marea ti sta rubando il sonno.

Tu che nella tempesta sicuro hai navigato,

è questa l'ora, parti, viaggiatore.

Apri le vele ad accogliere il vento

che ancora molto per te deve accadere.

Cerca la rotta seguendo la corrente

verse un'oscura, remota stella.

Quale desiderio rende inquieto il tuo cuore,

quale marea ti sta rubando il sonno.

Senza esitare abbandona il tuo porto,

è questa l'ora, parti, viaggiatore.





 




Tonino Bello, Maria, donna in cammino, "Nigrizia", novembre 1990, p. 53



 


     Se i personaggi del vangelo avessero avuto una specie di contachilometri incorporato, penso che la classifica dei più infaticabili camminatori l'avrebbe vinta Maria. Gesù a parte, naturalmente. (...) Siccome allora Gesù è fuori concorso, a capeggiare la graduatoria delle peregrinazioni evangeliche è lei: Maria. La troviamo sempre in cammino, da un punto all'altro della Palestina, con uno sconfinamento anche all'estero. Viaggio di andata e ritorno da Nazaret verso i monti di Giuda, per trovare la cugina. Viaggio fino a Betlem. Di qui a Gerusalemme, per la presentazione al tempio.


     Espatrio clandestino in Egitto. Ritorno guardingo in Giudea e poi di nuovo a Nazaret. Finalmente, sui sentieri del Calvario, ai piedi della Croce, dove la meraviglia espressa da Giovanni con la parola stabat, più che la pietrificazione del dolore per una corsa fallita, esprime l'immobilità statuaria di chi attende sul podio il premio della vittoria.


 


     Icona del camminare, la troviamo seduta solo al banchetto del primo miracolo. Seduta, ma non ferma. Non sa rimanersene quieta. Non corre col corpo, ma precorre con l'anima. E se non va lei verso l'ora di Gesù, fa venire quell'ora verso di lei, spostandone indietro le lancette, finché la gioia pasquale non irrompe sulla mensa degli uomini.


 


     Sempre in cammino. E per giunta in salita. Da quando si mise in viaggio verso la montagna, fino al giorno del Golgota, anzi fino al crepuscolo dell'Ascensione, quando salì anche lei con gli apostoli «al piano superiore» in attesa dello Spirito, i suoi passi sono sempre scanditi dall'affanno delle alture.


     (...) L'insistenza con cui il Vangelo accompagna con il verbo "salire" i suoi viaggi a Gerusalemme, più che alludere all'ansimare del petto o al gonfiore dei piedi, sta a dire che la peregrinazione terrena di Maria simbolizza tutta la fatica di un esigente itinerario spirituale.


 


     Santa Maria, donna della strada, come vorremmo somigliarti nelle nostre corse trafelate, ma non abbiamo traguardi. Siamo pellegrini come te, ma senza santuari verso cui andare. Camminiamo sull'asfalto, e il bitume cancella le nostre orme. Forzati del camminare, ci manca nella bisaccia di viandanti la cartina stradale che dia senso alle nostre itinerante.


     E con tutti i raccordi anulari che abbiamo a disposizione, la nostra vita non si raccorda con nessun svincolo costruttivo, le ruote girano a vuoto sugli anelli dell'assurdo, e ci ritroviamo inesorabilmente a contemplare gli stessi panorami.


 


     Santa Maria, donna della strada, fa' che i nostri sentieri siano, come lo furono i tuoi, strumenti di comunicazione con la gente e non nastri isolanti entro cui assicuriamo la nostra aristocratica solitudine. Liberaci dall'ansia della metropoli e donaci l'impazienza di Dio.   L'impazienza di Dio ci fa allungare il passo per raggiungere i compagni di strada. L'ansia della metropoli, invece, ci rende specialisti del sorpasso. Ci fa guadagnare tempo, ma ci fa perdere il fratello che cammina accanto a noi. (...)


            Verso questi santuari dirigi i nostri passi. Per scorgere sulle sabbie dell'effimero le orme dell'eterno. Restituisci sapori di ricerca interiore alla nostra inquietudine di turisti senza meta.


 



Abbiamo parole per vendere,

parole per comprare,

parole per fare parole,

ma ci servono parole per pensare.



Abbiamo parole per uccidere,

parole per dormire,

parole per fare il solletico,

ma ci servono parole per amare.



Abbiamo macchine per scrivere parole,

dittafoni, magnetofoni, microfoni, telefoni.



Abbiamo parole per far rumore,

parole per parlare non ne abbiamo più.

Gianni Rodari

In base all'evento della consegna dello Spirito al Padre da parte di Gesù in Croce, lo Spirito di unità e di pace viene effuso su ogni carne. E' lo Spirito che grida in noi: "Abbà, Padre!" (Gal 4,6 e Rm 8,15), facendoci figli nel Figlio, riconciliati, nel suo amore crocefisso, con Dio e tra noi. E' lo Spirito del battesimo e della confermazione, quello che fa il pane e il vino Corpo e Sangue di Cristo, quello che ci fa Chiesa. Lo Spirito fa sì che ognuno che lo accoglie possa dire come Paolo: "Non sono più io che vivo, è Cristo che vive in me" (Gal 2,20). La Chiesa è il Corpo di Cristo perché è tempio dello Spirito, la comunità dell'alleanza eterna che è in persona il Signore Gesù reso vivo e vivificante nello Spirito.

Ecco perché, accanto alla tradizione soprattutto occidentale che vede nello Spirito il vincolo della carità che unifica, si è potuta sviluppare un'altra tradizione, particolarmente in Oriente, che vede lo Spirito come l'"estasi di Dio", colui che rende possibile l'"uscita" di Dio da sé, la Sua apertura all'altro. Questa tradizione trova conferma nel fatto che tutte le volte che l'Eterno si esprime "ad extra" nella storia della salvezza lo fa nello Spirito, che aleggia sulle acque della prima creazione, scende sui profeti, copre la Vergine Maria, unge il Verbo incarnato e scende a Pentecoste a costituire la Chiesa dei discepoli, unificata nell'amore.

Si potrebbe dire, allora, che lo Spirito è sia colui che unifica i diversi, stabilisce ponti di riconciliazione e di pace, sia colui che apre e diversifica, suscitando la varietà dei doni e dei carismi, spingendo continuamente i discepoli a uscire da se stessi per andare verso l'altro e accoglierlo.

L'azione dello Spirito santo sull'uomo e sulla Chiesa può allora caratterizzarsi in due direzioni. Da una parte, il Consolatore è principio invisibile dell'unità, che supera le divisioni e le frammentazioni, dà pace ai cuori, li salda nella gioia della comunione col Padre e col Figlio in lui, è l'anima dell'unità della Chiesa e fa di questa unità segno, strumento e profezia dell'unità del mondo. Dall'altra parte, lo Spirito suscita la ricchezza dei doni e dei ministeri i più diversi e spinge a vivere la vita nuova dei risorti come servizio e missione: "Vi sono poi diversità di carismi, ma uno solo è lo Spirito; vi sono diversità di ministeri, ma uno solo è il Signore; vi sono diversità di operazioni, ma uno solo è Dio, che opera tutto in tutti. E a ciascuno è data una manifestazione particolare dello Spirito per l'utilità comune" (1Cor 12,4-7). Spirito di unità, il Consolatore è non di meno sorgente di varietà carismatica e ministeriale, fonte di doni e servizi differenti chiamati tutti a contribuire alla crescita comune nell'unico Corpo di Cristo, che è la Chiesa.

La comunione ecclesiale, vivificata dallo Spirito, si presenta pertanto come un insieme di diversità riconciliate, una varietà unificata nella carità e nella reciprocità, a immagine di quel "reciproco abitare l'uno nell'altro e compenetrarsi l'uno nell'altro" (pericoresi), per cui ciascuna delle tre Persone nella Trinità è se stessa eppure totalmente inabita nelle altre e accoglie le altre in sé, nella perfetta unità del Dio unico. Gesù ci fa percepire qualcosa di questo abisso di differenze in comunione quando - soprattutto nel vangelo secondo Giovanni - rapporta la comunione dei discepoli alla sua comunione col Padre: è il "come" giovanneo che illumina il rapporto tra la Trinità e la Chiesa, consentendoci di riconoscere nella vita trinitaria l'origine, il modello e la meta della comunione ecclesiale.

"Amatevi gli uni gli altri, come io ho amato voi" (Gv 15,12; cf. 13,34).

"Come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch'essi in noi una cosa sola... siano come noi una cosa sola" (Gv 17,21.22).

Sotto l'azione dello Spirito la Chiesa vive di un'unità profondissima, frutto della partecipazione alla vita eterna di Dio, senza però che l'unità significhi massificazione, esprimendosi anzi in una varietà di volti, di carismi e di servizi che ha qualcosa di analogo alla varietà esistente fra le stesse Persone divine. Lo Spirito dunque unifica il diverso e diversifica l'unito, riconcilia il distinto e distingue nella comunione dei riconciliati.

Vivere secondo lo Spirito richiede perciò la piena accoglienza della sua duplice azione: rifiuta lo Spirito tanto chi opera divisione, quanto chi volesse massificare e appiattire le diversità. Accoglie invece lo Spirito chi promuove e rispetta valorizzandola la diversità da lui suscitata, ma si adopera perché tutto concorra all'utilità comune e serva per l'edificazione dell'unico Corpo del Signore Gesù, che è la Chiesa della Trinità.



CMM, Tre racconti dello Spirito, 27-30



«Non bisogna cercare la comunità ideale. Si tratta di amare quelli che Dio ci ha messo accanto oggi. Essi sono segno della presenza di Dio per noi. Avremmo forse voluto delle persone diverse, più allegre e più intelligenti. Ma sono loro che Dio ci ha dato, che ha scelto per noi. È con loro che dobbiamo creare l'unità e vivere l'alleanza.

Sono sempre più colpito dalle persone insoddisfatte in comunità. Quando sono in piccole comunità ne vorrebbero di più grandi, dove si è sostenuti meglio, dove ci sono più attività comunitarie, dove si celebrano liturgie più belle e meglio preparate. E quando sono in grandi comunità, sognano quelle piccole comunità ideali. Quelli che hanno molto da fare sognano di avere dei lunghi momenti di preghiera; quelli che hanno molto tempo a disposizione sembrano annoiarsi e cercano perdutamente un'attività qualsiasi che dia un senso alla loro vita. Non sognamo forse tutti quella comunità perfetta, ideale, dove si sarebbe pienamente in pace, perfettamente in armonia, avendo trovato l'equilibrio tra esteriorità e interiorità, in cui tutto sarebbe nella gioia?

È difficile far capire alle persone che l'ideale non esiste, che l'equilibrio personale e quell'armonia sognata non vengono che dopo anni e anni di lotta e di sofferenze, e che anche allora non vengono che come tocchi di grazia e di pace. Se si cerca sempre il proprio equilibrio, dirò anche se si cerca troppo la propria pace, non ci si arriverà mai perché la pace è un frutto dell'amore e dunque del servizio degli altri. A molti che vivono in comunità e cercano quest'ideale inaccessibile, vorrei dire: "Non cercar più la pace, ma datti lì dove sei; smetti di guardarti ma guarda i tuoi fratelli e sorelle che sono nel bisogno. Sii vicino a coloro che Dio ti ha dato oggi. Chiediti piuttosto come puoi oggi amare di più i tuoi fratelli e sorelle. Allora troverai la pace: troverai il riposo e quel famoso equilibrio che cerchi fra interiorità ed esteriorità, tra la preghiera e l'attività, tra il tempo per te e il tempo per gli altri. Tutto si risolverà nell'amore. Non devi più perdere tempo a correre in cerca della comunità perfetta. Vivi pienamente nella tua comunità oggi. Smetti di vedere i difetti che ha (e fortuna che ne ha); guarda piuttosto i tuoi propri difetti e sappi che sei perdonato, che puoi a tua volta perdonare agli altri ed entrare oggi in questa conversione dell'amore". (...)

Non esiste la comunità ideale. La comunità è fatta di persone con le loro ricchezze, ma anche con le loro debolezze e povertà, che si accettano a vicenda e si perdonano. Più della perfezione e dell'abnegazione, l'umiltà e la fiducia sono fondamento della vita comunitaria».

Jean Vanier, La comunità luogo della festa e del perdono, 30-31

«Nelle condizioni attuali - e l'osservazione è ancora di P. Evdokimov -, in un ritmo di vita che diventa sempre più vertiginoso, stritolante e che provoca una paurosa usura nervosa, la mortificazione cristiana deve acquistare necessariamente una nuova sensibilità e adottare forme nuove.

L'ascesi è soltanto un metodo al servizio della vita, e deve accordarsi ai bisogni nuovi.

La Tebaide eroica imponeva digiuni estremi. Oggi il combattimento si sposta. L'uomo non ha bisogno di un dolorismo supplementare; cilicio, flagelli rischerebbero di spezzarlo inutilmente. La mortificazione consisterà piuttosto in una liberazione da ogni bisogno di velocità, rumore, eccitanti, alcool.

L'ascesi consisterà nel sapersi concedere il dovuto riposo, nel sapersi fermare e ritrovare, nella calma e nel silenzio, a periodi regolari, la preghiera e la contemplazione, anche in mezzo al frastuono del mondo; soprattutto nell'avvertire la presenza degli altri.

Il digiuno, invece delle antiche macerazioni, consisterà nella rinuncia al superfluo, nella capacità di dividere il pane con i poveri, nell'equilibrio sorridente».

Alessandro Pronzato, Vangeli scomodi, 341



L'eternità come infinita ripetizione può perfino fare paura, ma se essa mi appare non come durata ma come intensità, allora mi può ancora saziare di sorprese.

Noi tutti conosciamo il miracolo della prima volta, la prima volta che hai conosciuto un amico vero, il primo bacio, il primo amore, l'incanto di un luogo... poi ci si abitua, le cose perdono pàthos.

L'eternità è il non abituarsi, è il fascino della prima volta che si ripete sempre.

Tutti facciamo esperienza di eternità, di una bellezza saputa come «non di questo mondo»: ci sono nella vita di ciascuno attimi preziosi, perfetti; attimi di preghiera silenziosa, di preghiera al di là della preghiera, quando il cuore s'infiamma; attimi di tensione creatrice o di fiducia rappacificante, quando la luce spunta attraverso un'intuizione di verità, di bellezza; quando senti battere il cuore degli eventi; quando in un autentico incontro scopri l'oceano interiore di uno sguardo e l'altro come un miracolo; quando senti le vene gonfie di vita.

Attimi in cui ci si unisce, come in primavera, alla dossologia del primo mandorlo in fiore.

In tutti questi momenti, e ciascuno ne conosce numerosi altri, l'eternità affiora misteriosamente, come profezia di una vita in pienezza (O. Clément).

Ermes Ronchi, Tu sei bellezza, 37-39

O Dio carità,

che nel cuore dei tuoi

accendi la fiamma del tuo amore,

donaci di tendere a quella passione d'amore

che arriva a sacrificare generosamente anche la vita.

Amen.


(dalla prima orazione della messa di oggi, santi Gervaso e Protaso)



Preghiera per gli "amici" di Facebook


In questo angolo del mondo digitale, Signore,

ci sono centinaia di nomi,

appiccicati alle pareti di una casa

che esiste solo sullo schermo e nella mia fantasia.

Li chiamo “amici”,

ma molti di loro li conosco poco,

altri solo di vista,

altri ancora sono poco più che volti

(a volte nemmeno quelli!).

Qualcuno non l'ho incontrato,

qualcun altro vive dall'altra parte del mondo;

con qualcuno condivido molto,

con altri poco o nulla.

Alcuni li ho scelti.

Altri hanno scelto me.

E ora sono qui,

sulla mia home come sorelle e fratelli,

posti sulla mia rotta virtuale.

Te li affido, Signore, uno per uno.

Ti affido le loro speranze,

le loro paure,

i loro progetti di felicità.

Rendimi, per loro, immagine

«"Non solleverai il nome di Iod tuo Elohìm per falsità".

Niente a che vedere con la versione che legge: non nominare invano. Chi può stabilire quando è invano quel nome sulle labbra? Se affiora in un affanno oppure in un pericolo: è invano? Con l'acqua o con il fuoco alla gola, davanti alla perdita di un affetto, un amore? Se in cima all'allegria, per entusiasmo: è invano? La divinità non intende soffocare il suo nome che risale dal petto in una voce scossa, commossa.

Il suo rigo era più solenne e riguardava l'uso del suo nome in atto pubblico. "Non solleverai il nome": tutt'altro da pronunciarlo per impulso, si tratta di chiamare la divinità a garante di una testimonianza, di affermazioni. "Giuro su D. che", di questa formula si tratta. Non oserai sollevare quel nome a tutela di una falsità.

Chi osa, sia dannato. Infatti solo qui, in tutti e dieci punti battuti sul Sinai, si legge di seguito: "Perché non assolverà Iod chi solleverà il suo nome per falsità". Di tutte le dieci frasi che si stavano scrivendo innanzi a loro, solo qui si dichiara torto irreparabile, senza remissione da parte della divinità. Profanata per sostenere il falso, questa è la bestemmia priva di riscatto.

Come in tutte le guerre fatte in nome di quella divinità. "Non assolverà": perfino l'omicidio non ha questa clausola aggiunta. Qui si alza una siepe e uno sbarramento intorno all'uso pubblico e ufficiale di quel nome».

Erri De Luca, E disse, 53-54

«Questo denota quanto è diffuso nella società, nella Chiesa, ma anche tra noi cristiani il vizio della vanità. Il vizio è per così dire onnicomprensivo.

Dobbiamo difenderci da esso e l'unica difesa è riconoscere davanti a Dio che siamo così: che aspiriamo al successo, che ci piace di più l'applauso del fischio, che ci interessa di più l'accoglienza della resistenza e, quando ci accade di raccogliere consensi, li attribuiamo alle nostre capacità e non siamo capaci di goderne perché il Signore è glorificato e lodato in queste cose.

Qui potrei aggiungere, allargando il discorso, che grande è la vanità nella Chiesa. Grande vanità che si mostra negli abiti. Un tempo, i cardinali avevano sei metri di coda di seta che veniva trascinata da due o quattro ragazzini.

La Chiesa ha questa tendenza allo sfarzo, che in parte può anche essere giustificato dal voler richiamare la bellezza di Dio, ma poi facilmente diventa una stortura e un peccato terribile».

Carlo Maria Martini, Le ali della libertà (2009), 57



Il vangelo della messa ambrosiana di oggi è questo: "Nacque una discussione tra i discepoli, chi di loro fosse più grande. Allora Gesù, conoscendo il pensiero del loro cuore, prese un bambino, se lo mise vicino e disse loro: «Chi accoglierà questo bambino nel mio nome, accoglie me; e chi accoglie me, accoglie colui che mi ha mandato. Chi infatti è il più piccolo fra tutti voi, questi è grande» (Lc 9,46-48).

Mi domando se abbiamo perso qualcosa ad aver tolto (finalmente!) gli ori, gli incensi, le personalità, gli inchini, i fronzoli... dalle liturgie papali, dai suoi discorsi, dal suo modo di presentarsi.

Secondo me non abbiamo perso nulla.

E abbiamo ripreso la lettera del Vangelo.

Papa Francesco è davvero "grande" perché si fa "piccolo".

Come Gesù, Figlio di Dio e figlio dell'uomo.

don Chisciotte

«La sua voce attraversò le età. Iniziò infantile e finì adulta. Quando arrivò al tu, mi toccò il braccio. Seguii la sua mano che me lo sollevava fino alla sua spalla. L'altro braccio andò da solo al giro del suo fianco: la figura d'inizio di un ballo.

"Ecco, così me l'ero immaginato. Tu scalavi il balcone per guardarmi, io scendevo le scale per venirti incontro. Tu avevi una segreta in una torre dove avremmo ballato. I desideri dei bambini danno ordini al futuro.

Il futuro è un domestico lento, ma fedele"».

Erri De Luca, Il giorno prima della felicità, 62

"La completa e definitiva creazione dell'«uomo» si esprime nel dar vita a quella «communio personarum» che l'uomo e la donna formano. (...)

L'uomo è divenuto «immagine e somiglianza» di Dio non soltanto attraverso la propria umanità, ma anche attraverso la comunione delle persone, che l'uomo e la donna formano sin dall'inizio.

La funzione dell'immagine è quella di rispecchiare colui che è il modello, riprodurre il proprio prototipo.

L'uomo diventa immagine di Dio non tanto nel momento della solitudine quanto nel momento della comunione. Egli, infatti, è, fin «da principio» non soltanto immagine in cui si rispecchia la solitudine di una Persona che regge il mondo, ma anche, ed essenzialmente, immagine di una imperscrutabile divina comunione di Persone. (...) ciò, ovviamente, non è senza significato anche per la teologia del corpo, anzi forse costituisce perfino l'aspetto teologico più profondo di tutto ciò che si può dire circa l'uomo".

Giovanni Paolo II, Uomo e donna li creò, 59.



Signore, concedimi di accogliere con serenità

tutto ciò che questo giorno porterà con sé.

Insegnami ad abbandonarmi pienamente alla tua volontà.

In ogni momento ed in ogni cosa,

istruiscimi e sorreggimi.

Signore, fammi conoscere la tua volontà

per me e per quelli che mi circondano.

Qualunque siano le novità di questo giorno,

donami di riceverle nella pace

con la ferma convinzione

che la tua santa volontà è sopra ogni cosa.

Signore, grande, misericordioso,

in tutte le mie azioni e le mie parole

guida i miei pensieri e i miei sentimenti,

e non farmi dimenticare che tutto viene da te.

Signore, insegnami ad essere giusto di fronte al mio prossimo,

a non rattristare né inquietare alcuno.

Signore, accordami di sopportare la fatica di questo giorno

e di ogni cosa che succederà.

Guida la mia volontà, insegnami a pregare e ad amare tutti sinceramente.

Amen.

"La memoria ci ricorda proprio che la nostra vita è frantumata e che la morte e il tempo regnano su di noi, perché ciò che è passato non c'è oggi e non risuscita semplicemente perché lo ricordiamo. Perciò il nostro ricordo è accompagnato dalla tristezza, dalla nostalgia. Ma, proprio perché il dono della memoria umana è così ambigua, ha dentro un significato che è dischiuso solo da Cristo e dalla vita nuova che ci è donata in lui. Dio ha una memoria reale e creativa: quanto l'amore di Dio ricorda, esiste realmente ed è custodito nella sua eterna memoria come pegno dell'esistere di tutto ciò che lui ama".

Marko Ivan Rupnik, L'arte della vita, 31

 

"Quanto è importante il valore di un'amicizia che ci capisca e aiuti a sbloccarci, che ci permetta di mettere fuori ciò che abbiamo dentro, di bello o forse di brutto. Purché sia espresso, purché sia detto!".

Carlo Maria Martini, Itinerario di preghiera con l'evangelista Luca, 41

"Natasa aveva guardato la mano e il volto del monaco Boguljub. Qualcosa di una profonda maturità spirituale si rifletteva si rifletteva nel suo aspetto e nei suoi gesti. Le mani e gli occhi infatti sono il luogo in cui si rivela di più la maturità di una persona. Nei suoi occhi la luce penetrava senza resistenza e li rendeva umili. Tutto diventava aperto a quanto c'è di più lontano e la luce, dal di dentro, illuminava e rendeva la persona tutto sguardo, anticipando la fine dei tempi, quando la gloria dello Spirito verrà dall'interno, ornando e ricoprendo i corpi dei santi, una gloria che essi possiedono già, ma ancora nascosta in loro".

Marko Ivan Rupnik, L'arte della vita. Il quotidiano nella bellezza, 23-24