Aprimi, o Signore, il sentiero della vita e guidami sulle strade dei tuoi desideri;
insegnami i luoghi della tua dimora e fa' risplendere ai miei occhi la mèta delle mie fatiche.
Dammi di capire questa inquietudine che mi fa uomo della strada, questa curiosità che mi fa investigatore di bellezza,
questa gioia che mi dà il gusto della vita e la volontà di fare del bene sulla terra.
Dammi di capire la bellezza delle cose e la parola che Tu esprimi a mio insegnamento dalle loro profondità.
Donami di comprendere la bontà delle cose e di saperne rettamente usare per la tua gloria e per la mia felicità.
La mia preghiera, il mio canto, il mio lavoro, tutta la mia vita siano espressioni di riconoscenza verso di Te.
Concedimi di capire gli uomini che incontro sul mio cammino, e il dolore che nascondono,
e quelli che dividono con me la fatica della strada, l'amore dell'avventura, la soddisfazione della scoperta;
dammi il dono della vera amicizia e della vera allegria;
fammi cordiale, attento, magnanimo, puro, misericordioso.
Fammi sentire la voce della strada: quella che mi invita sulle vie del mondo a conoscere sempre più i segni del tuo amore:
quella che batte il cammino dei cuori, quella che conosce il sentiero delle altezze dove Tu abiti nello splendore della verità.
Lontano da Te e dalle tue vie, fammi sentire il desiderio della Casa.
A questa Casa dammi di poter giungere dove Tu per tutti i Santi sei Bellezza vera, Luce increata, Amore pieno, Riposo perfetto.
Amen.

Che fatica star dietro a quel prete
di Raffaele Alessandrini - (©L'Osservatore Romano 8 aprile 2009)
"Si avvicina l'ora in cui ci sarà ancora gusto a fare il prete (...) il Signore saldi sulla Croce il tuo slancio". Nel dire queste parole a un giovane avviato al sacerdozio don Mazzolari parlava con piena cognizione di causa. Fin da ragazzo aveva coltivato la virtù della vigilanza e quindi la consapevolezza che il tempo propizio, il kàiros - e l'opportunità di poterlo afferrare - è "adesso". Nel flusso volubile delle vicende umane, animato dalle attese del futuro o involuto e ripiegato nostalgicamente sul passato, l'attimo prezioso da cogliere al volo, e perfino con evangelica violenza - poiché "dei violenti è il Regno dei Cieli" - è proprio ora. In tal senso anche il credente può e deve dire:  carpe diem. Il presente riflette il tempo eterno di Dio e quindi valorizza la quotidianità dell'uomo; e ciò è vero soprattutto per chi sceglie di consacrare la propria vita al servizio della Sposa di Cristo. (...)
L'autorità ecclesiastica, soprattutto per i suoi molti scritti giudicati a volte troppo arditi e provocatori a un certo punto lo colpì con diversi interdetti. (...)
Nonostante la perdurante diffidenza e gli interdetti delle autorità ecclesiastiche - sopportate silenziosamente in sostanziale e rispettosa obbedienza, aliena da clamori e da atteggiamenti vittimistici - le visioni di don Primo Mazzolari così legate al Vangelo e all'etica delle Beatitudini avrebbero anticipato diverse prospettive pastorali e dottrinarie del concilio Vaticano II.
E proprio negli ultimi mesi di vita il parroco di Bozzolo ricevette le prime e più alte attestazioni di stima da parte delle alte gerarchie. È noto come Papa Giovanni XXIII ricevendolo in udienza il 5 febbraio del 1959 lo salutasse con un appellativo gioioso rimasto celebre:  "La Tromba dello Spirito Santo" dopo che nel novembre del 1957 l'arcivescovo di Milano Giovanni Battista Montini lo aveva chiamato a predicare agli universitari. In seguito proprio Paolo VI avrebbe detto ricordando don Primo:  "Lui aveva il passo troppo lungo e noi si stentava a tenergli dietro. Così ha sofferto lui e abbiamo sofferto anche noi. Questo è il destino dei profeti".
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Dice il centurione: «Anch’io infatti sono nella condizione di subalterno e ho dei soldati sotto di me e dico a uno: “Va’!”, ed egli va; e a un altro: “Vieni!”, ed egli viene; e al mio servo: “Fa’ questo!”, ed egli lo fa».
(dal vangelo della messa di oggi: Lc 7, 1-10)
Ecco, questa è la condizione di chi comanda e di chi è subalterno... ma nell'esercito!
Solo nell'esercito, io spero.
don Chisciotte Mc

Straordinario che sia stato fatto un video per presentare una enciclica.
Straordinario che sia un video guardabile.
Straordinario che non vi siano discorsi.
Straordinario che vi siano poche scritte, chiare e in più lingue.
Straordinario che le immagini dell'autore siano solo alla fine, pochi secondi!
Straordinario che in quei pochi secondi l'autore lavori, insieme con altri e non parli.

Quando si dice che il mezzo espressivo veicola il contenuto!

don Chisciotte Mc

... ma oggi voglio parlare!
don Chisciotte Mc


«Gesù disse ai suoi discepoli una parabola: "Può forse un cieco guidare un altro cieco? Non cadranno tutti e due in un fosso? (...)
Perché guardi la pagliuzza che è nell’occhio del tuo fratello e non ti accorgi della trave che è nel tuo occhio? Come puoi dire al tuo fratello: “Fratello, lascia che tolga la pagliuzza che è nel tuo occhio”, mentre tu stesso non vedi la trave che è nel tuo occhio? Ipocrita! Togli prima la trave dal tuo occhio e allora ci vedrai bene per togliere la pagliuzza dall’occhio del tuo fratello.
(...) Non si raccolgono fichi dagli spini, né si vendemmia uva da un rovo. L’uomo buono dal buon tesoro del suo cuore trae fuori il bene; l’uomo cattivo dal suo cattivo tesoro trae fuori il male: la sua bocca infatti esprime ciò che dal cuore sovrabbonda».   
(dal vangelo della messa di oggi - Luca 6, 39-45)

Spirito di Dio, vieni ad aprire sull'infinito le porte del nostro spirito e del nostro cuore. Aprile definitivamente e non permettere che noi tentiamo di richiuderle. Aprile al mistero di Dio e all'immensità dell'universo. 
Apri il nostro intelletto agli stupendi orizzonti della Divina Sapienza. 
Apri il nostro modo di pensare perché sia pronto ad accogliere i molteplici punti di vista diversi dai nostri. 
Apri la nostra simpatia alla diversità dei temperamenti e delle personalità che ci circondano. 
Apri il nostro affetto a tutti quelli che sono privi di amore, a quanti chiedono conforto. 
Apri la nostra carità ai problemi del mondo, a tutti i bisogni della umanità. 
Apri la nostra mente alla collaborazione con tutti coloro che si adoperano per un medesimo fine.
Jean Galot

Gesù, alzàti gli occhi verso i suoi discepoli, diceva: «A voi che ascoltate, io dico: amate i vostri nemici, fate del bene a quelli che vi odiano, benedite coloro che vi maledicono, pregate per coloro che vi trattano male. A chi ti percuote sulla guancia, offri anche l’altra; a chi ti strappa il mantello, non rifiutare neanche la tunica. Da’ a chiunque ti chiede, e a chi prende le cose tue, non chiederle indietro.
E come volete che gli uomini facciano a voi, così anche voi fate a loro. Se amate quelli che vi amano, quale gratitudine vi è dovuta? Anche i peccatori amano quelli che li amano. E se fate del bene a coloro che fanno del bene a voi, quale gratitudine vi è dovuta? Anche i peccatori fanno lo stesso. E se prestate a coloro da cui sperate ricevere, quale gratitudine vi è dovuta? Anche i peccatori concedono prestiti ai peccatori per riceverne altrettanto. Amate invece i vostri nemici, fate del bene e prestate senza sperarne nulla, e la vostra ricompensa sarà grande e sarete figli dell’Altissimo, perché egli è benevolo verso gli ingrati e i malvagi».
(il vangelo della messa di oggi: Luca 6, 20a.27-35)
 

Ispirandosi a Tommaso d'Aquino si potrebbe dire che la libertà interagisce con le altre dimensioni costitutive dell'uomo «non "mediante un dominio dispotico", qual è quello del padrone sullo schiavo; ma "mediante un dominio politico o regale", qual è quello su uomini liberi, che non sottostanno pienamente al comando».
Tommaso d'Aquino, Summa Theologiae, I-II, q. 17, a, 7, c.

Aristide Fumagalli, "La questione gender. Una sfida antropologica", Queriniana 2015
 

 
«C'é chi nasce come Paperino: 
sfortunato e sempre pieno di guai;
e c'é chi invece é come Topolino: 
carino, intelligente e simpatico alla gente.
C'é chi é come Paperon de Paperoni,
pieno di fantastiliardi di milioni,
ma poi sta sveglio tutte le notti
per paura che arrivi la Banda Bassotti 
 
Ma io mi sento come Willy il Coyote,
che cade, ma non molla mai;
che fa progetti strampalati e troppo complicati,
e quel Beep Beep lui non lo prenderà mai.
Ma siamo tutti come Willy il Coyote,
che ci ficchiamo

«Il presbitero sperimenta la cosiddetta prova istituzionale.
Sperimenta il non senso, la pesantezza, la viscosità, le contraddizioni dell'istituzione-Chiesa, dei superiori,
le difficoltà non soltanto nella o per la Chiesa, ma a motivo della Chiesa».
Carlo Maria Martini, Nel dramma dell'incredulità, 91-110.
«La vera povertà [di Gesù] è l'insicurezza, la situazione precaria in cui si trova, privo di alleanze e di protezioni.
Il discepolo che si mette al suo seguito deve sapere che condividerà questo destino in cui non è possibile avere una stabilità o un insediamento protettivo nelle strutture mondane».
Rinaldo Fabris, in I Vangeli, 1093
 

«Cambiare il pensiero è un martirio».
Rutilio Sanchez, collaboratore di mons. Romero a El Salvador


Le cose in Italia non funzionano. Ma di chi è la colpa? I Jackal hanno una risposta surreale eppure molto condivisa…
Guarda il video.


Non subito, ma beato: il miracolo di Romero 
di Nuccio Ciconte 
“Il cattolico, o per meglio dire il cristiano, quando si creano le condizioni giuste per un’insurrezione popolare, deve partecipare come tutti gli altri cittadini”. Era il 25 ottobre 1979. A dirmi queste parole in un’intervista per l’Unità non era un “prete rivoluzionario” o un esponente della “teologia della liberazione”. Era un ex parroco di campagna, un conservatore e proprio per questo da quasi due anni, scelto come arcivescovo di San Salvador. Non era la prima volta che andavo a trovare monsignor Óscar Arnulfo Romero nella sua residenza privata, in una bella zona collinare della capitale.
Pochi giorni prima, come ogni domenica da quando mi trovavo in quel disgraziato Paese del Centro America, ero nella basilica del Sacro Cuore. Sull’altare, a celebrare messa, c’era monsignor Romero. Le sue omelie erano un appuntamento imperdibile. Lo erano per noi pochi giornalisti internazionali che di tanto in tanto andavamo per raccontare le atrocità di uno tra i più duri regimi militari delle “Repubbliche delle banane”, ma soprattutto per una fetta sempre più crescente di popolo salvadoregno. In migliaia riempivano la basilica o si assiepavano davanti alla chiesa dove la parole di monsignor Romero venivano diffuse dagli altoparlanti; tanti, tantissimi altri si sintonizzavano sulla radio dell’arcivescovado. Quelle omelie erano un pugno nello stomaco ai vertici militari e a quel gruppo di grandi famiglie di oligarchi che tentavano di schiacciare ogni forma di protesta sindacale o politica, esercitando un ferreo controllo sui giornali, le radio, le televisioni. L’unica voce fuori dal coro – in un paese senza informazione – era quella alta e forte di monsignor Romero: dall’altare faceva un minuzioso resoconto della settimana passata. Citava il numero dei morti uccisi dalla repressione, ricordando il nome e il cognome delle vittime e accusava gli apparati di sicurezza dello Stato. Denunciava naturalmente anche episodi di violenza gratuita della guerriglia di sinistra.
Partecipare alla messa domenicale era una sfida aperta al regime. I salvadoregni che salivano i gradini del Sacro Cuore sapevano di rischiare la vita, ma andavano per farsi coraggio e non lasciare solo l’ex parroco di campagna.
Perché, seppur circondato dall’affetto dei più poveri, dai ceti popolari, monsignor Romero era davvero solo. Era odiato dai detentori del potere che lo consideravano un traditore (l’arcivescovo aveva incominciato a denunciare le atrocità del regime quando un anno prima gli squadroni della morte avevano ucciso Rutilio Grande, un tranquillo sacerdote, suo grande amico). Non era d’altra parte molto amato dagli ambienti di sinistra, dai seguaci della “teologia della liberazione”.
Ricordo i commenti liquidatori che avevo raccolto, nei miei primi viaggi, all’Università cattolica di El Salvador. Solo un anno dopo quei gesuiti che disquisivano sui massimi sistemi cominciarono a guardarlo con meno ostilità. La stessa cosa era successa con i gruppi guerriglieri (i cubani bollavano l’arcivescovo come un “pattinatore”, uno che va da una parte all’altra). Sì, era solo monsignor Romero e guardato con fastidio anche in Vaticano, tanto che all’indomani del 24 marzo 1980, quando fu assassinato mentre celebrava la messa in una piccola cappella della capitale, Giovanni Paolo II si limitò a inviare ai vescovi salvadoregni soltanto un generico, quanto freddissimo, messaggio di cordoglio. Poi nulla più. Oggi, dopo

Nel 1937, al culmine della Grande Depressione seguita alla crisi del '29, il fiume Ohio straripò, provocando la peggiore alluvione nella storia degli Stati Uniti. Nell’occasione la rivista Life dedicò la cover story al reportage di Margaret Bourke-White da Louisville, Kentucky, dove l’acqua aveva provocato la morte o il ferimento di novecento persone.
Nella fotografia, una coda di uomini e donne di colore, con borse, ceste, secchi, è in fila per entrare in un centro di assistenza... davanti a un cartellone pubblicitario del New Deal in cui si vede una felice famigliola di bianchi sorridenti, sulla propria auto, fra dolci colline. Lo slogan proclama: "Il più alto tenore di vita del mondo". E sotto: "There’s no way like the American Way", ossia: "Non c’è niente come il sistema americano".
Non si vede l’alluvione: il soggetto della fotografia è il contrasto tra l’American Dream e una condizione di estrema indigenza. Un contrasto visto però senza drammaticità ma in chiave di temperata ironia.
Margaret Bourke-White - The Louisville Flood (ufficialmente tradotto in italiano con "La fiumana di Louisville"), Louisville, 15 febbraio 1937
 


«Qualche parola ora sulla vanità, la vanagloria, cioè la voglia di piacere agli altri o la paura di dispiacere, il desiderio di essere approvati, sostenuti, lodati (cfr Gv 5,41-44; 12,42-43).
La vanità è qualcosa di insito anche in ciascuno di noi.
Il desiderio del riconoscimento altrui non è del resto solo negativo: abbiamo bisogno, per vivere, dell'apprezzamento degli altri e di sostenerci reciprocamente in questo modo; il bambino non cresce senza la lode e l'incoraggiamento dei genitori.
La trappola scatta quando la ricerca dell'apprezzamento giunge al punto da farci calpestare la verità. E certamente non è lontano da noi questo pericolo, soprattutto quando si ha responsabilità di altri ed è facile lasciarsi vincere dagli idola theatri».
Carlo Maria Martini, Le tenebre e la luce, 88-90.

«L’ambizione è il gusto del potere, di qualsiasi tipo - intellettuale, politico, economico, militare -, che si mira a raggiungere a qualunque costo. Ma forse l'ambizione più tremenda, più forte, più ipocrita perché ammantata di religiosità è quella che pretende di dominare le anime, l'ambizione del potere spirituale.
Il desiderio di comandare brucia pure i sommi sacerdoti, gli scribi, i farisei: proprio perché Gesù minaccia di privarli del loro potere spirituale, diviene per loro una spina nella carne (cfr Mc 3,1-6).
E’ il timore di vedersi sottrarre una supremazia religiosa, intellettuale: abbiamo il potere di far osservare il sabato alla gente, che lo osserva esattamente come diciamo noi, e lui ce lo toglie.
Ricordiamo inoltre che Gesù frequentava i peccatori, annunciava il perdono di Dio, rimetteva i peccati, mettendo in questo modo a repentaglio il privilegio di offrire sacrifici per le colpe nel tempio; si creavano, di conseguenza, anche problemi economici gravissimi. La stessa purificazione del tempio (cfr Gv 2,14-16 e i paralleli sinottici) probabilmente non era stata compiuta da Gesù soltanto per togliere un po' di disordine, bensì per mostrare che l'economia del perdono attraverso i sacrifici stava per essere superata. Coloro che vivevano di tale economia vengono perciò messi in allarme.
Abbiamo molto da riflettere. Perché in ogni forma di vita associata emerge il gusto di comandare, di primeggiare comunque, una tendenza in cui anche il denaro ha il suo ruolo. E quando non si riesce più a essere i primi, subentra l'amarezza, la depressione, la perdita di senso; l'entusiasmo iniziale per una causa si trasforma in critica accanita nei confronti della causa stessa.
Non dimentichiamo, infine, che l'ambizione si riveste spesso, quasi per autogiustificarsi, di buone intenzioni: si vuole il potere per fare il bene, perché ci si ritiene capaci di dirigere gli altri verso lo scopo giusto. E addirittura si traveste facilmente, come abbiamo visto per l'invidia, di santità, di devozione, di rigore morale».
Carlo Maria Martini, Le tenebre e la luce, 86-88.
«L'invidia dei sommi sacerdoti è gravissima, devastante (cfr Mc 15,9-10). Storicamente si può capire da dove nasca: Gesù si presenta con l'autorità di un maestro, mettendosi un po' al di sopra di coloro che si limitavano al ruolo di trasmettitori e commentatori della Legge. (…)
Dobbiamo anzitutto rilevare che l'invidia, la sofferenza per il bene altrui, è un sentimento assai diffuso. Ogni volta che qualcuno possiede qualcosa che io non ho, scatta in me il desiderio cattivo di privarlo o che comunque sia io e non lui a possedere. (…)
L'invidia è tipica degli ambienti organizzati gerarchicamente - si parla di invidia clericalis -, serpeggia nelle "corti" di ogni tipo, e un po' anche in noi.
E, in ambiti religiosi, ha una caratteristica che la rende ancora più insidiosa e subdola: si manifesta con una forma apparente di zelo, ammantata di osservanza e di rigore, di purezza. L'esperienza mi ha insegnato a diffidare delle persone troppo severe ed esigenti, perché sembra che, dietro alla loro corazza di intransigenza, nascondano qualche debolezza, invidia o fragilità.
Come superare l'invidia, la cui radice è nel cuore di ognuno? Il rimedio, semplicissimo, sta nel godere sinceramente del bene altrui, nel lodare e ringraziare per il bene dell'altro. Allora il nostro cuore si apre e l'invidia che è sempre in agguato si ritira in buon ordine - almeno fino alla prossima occasione, perché è una talpa che vien fuori dalla tana quando trova via libera!».
Carlo Maria Martini, Le tenebre e la luce, 84-86.
 

Alzati e cammina per scoprire di essere vivo come non mai,
Lazzaro, stamattina,
e resuscita un pezzo alla volta la volontà.
Ora che sei un’emozione scaduta;
ora che sei una certezza tradita;
ora che sei un’ambizione svenduta;
chiuso nel tuo sepolcro
quello che avevi, oggi non vale più.
Hai studiato, creduto, lottato e sofferto;
c’era un sorriso negli occhi che non c’è più;
col futuro qualcuno ha giocato d’azzardo.
Alzati e cammina per scoprire di essere vivo come non mai,
Lazzaro, stamattina,
e resuscita un pezzo alla volta la volontà.
Ora che sei una protesta ammaestrata;
ora che sei una carezza svogliata;
ora che sei una speranza piegata;
chiuso nel tuo sepolcro.
Alzati e cammina
per scoprire di essere vivo come non mai,
Lazzaro, stamattina,
e resuscita un pezzo alla volta la volontà,
un pezzo alla volta, un pezzo alla volta.
Se ci hai creduto, oggi non c’è più;
hai discusso, sprecato, amato ed offerto;
c'è un’ipoteca anche sulla tua dignità,
nel crudele silenzio delle notti insonni.
Alzati e cammina
per scoprire di essere vivo come non mai,
Lazzaro, stamattina,
e resuscita un pezzo alla volta la volontà
un pezzo alla volta, un pezzo alla volta.
C’era un volta, ora non c’è più,
mentre l’unica che resta davvero sei tu.
Subsonica - "Lazzaro" - 2015

«Il successo che Gesù riscuote tra le persone è dovuto, per i capi, solo all'ignoranza di queste. Non si pensa minimamente che egli è la Verità e la vera Legge di vita. A guardar bene le cose, sono i responsabili dei giudei che non conoscono la legge, tanto che uno di loro, Nicodemo, dimostra con coraggio l'illegalità del loro comportamento: "La nostra legge condanna forse un uomo prima di averlo ascoltato e di sapere che cosa ha fatto?" (Gv 7, 51). Essi, cioè, avendo già deciso l'uccisione di Gesù e cercando ogni occasione per eseguire il loro progetto, hanno condannato il Nazareno contro la legge di Mosè, che richiede prima di tutto un regolare processo (cf. Lv 19, 15; Dt 1, 16-17; 19, 15-20). Nicodemo, che era stato da Gesù di notte (Gv 3, 2) e si era aperto alla sua parola, è il solo che chiede di procedere secondo giustizia. La legge vuole che si ascolti Gesù e si valuti la sua missione. Ma i capi, forti della Scrittura, che non pone l'origine del Messia in Galilea, passano oltre la protesta di un loro collega e gli replicano: "Sei forse anche tu galileo? Studia e vedrai che dalla Galilea non sorge profeta" (Gv 7, 52). L'oscurità dell'origine di Gesù, la semplicità della sua vita di Nazareth, è uno dei motivi per cui non si dà credito a Gesù».
Giorgio Zevini, Vangelo secondo Giovanni, 247

 
Tra coloro che "non cambiano", "non vogliono cambiare", non ci sono solo i mafiosi.
E' vero, ci siamo un po' tutti, ma soprattutto coloro che non intendono mettere in discussione il loro atteggiamento, il loro status;
non fanno esplodere bombe, ma qualche vittima comunque la fanno.
don Chisciotte Mc
scritto il 2 giugno 2015
 
Rosaria Costa, vedova ventiduenne di Vito Schifani (27 anni), agente della scorta di Giovanni Falcone, ucciso con lui a Capaci il 23 maggio 1992, intervenne alla fine dei funerali del marito, nel duomo di Palermo.
«Io, Rosaria Costa, vedova dell’agente Vito Schifani – Vito mio – battezzata nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, a nome di tutti coloro che hanno dato la vita per lo Stato – lo Stato… – chiedo innanzitutto che venga fatta giustizia, adesso. Rivolgendomi agli uomini della mafia, perché ci sono qua dentro (e non), ma certamente non cristiani, sappiate che anche per voi c’è possibilità di perdono: io vi perdono, però vi dovete mettere in ginocchio, però, se avete il coraggio… di cambiare… loro non cambiano [pausa, il cugino sacerdote al fianco di Rosaria Schifani suggerisce: «se avete il coraggio…»] di cambiare, di cambiare, loro non vogliono cambiare loro [applauso]. Loro non cambiano, loro non cambiano… No. Aspetta, aspetta, no [Rosaria Schifani si rivolge a suo cugino che la invita a seguire il testo scritto]. Di cambiare radicalmente i vostri progetti, progetti mortali che avete. Tornate a essere cristiani. Per questo preghiamo nel nome del Signore che ha detto sulla croce: “Padre perdona loro perché loro non lo sanno quello che fanno”. Pertanto vi chiediamo per la nostra città di Palermo [pianto] che avete reso questa città sangue, città di sangue [Rosaria Schifani parla con suo cugino sacerdote]. Vi chiediamo per la città di Palermo, Signore, che avete reso città di sangue – troppo sangue – di operare anche voi per la pace, la giustizia, la speranza e l’amore per tutti. Non c’è amore, non ce n’è amore, non c’è amore per niente».

Dal vangelo della messa di oggi (rito ambrosiano).
Ancora una volta i profeti devono compiere prodigi fuori dai nostri confini,
perché quelli "di casa" non hanno occhi, orecchi, mente e cuore disposti ad accogliere le loro parole e le loro azioni.
Chi si offende di fronte a questa denuncia vorrebbe buttare giù dal colle chi ha osato pronunciarla;
qualche volta il malcapitato riesce a sgattaiolare via; altre volte soccombe. 
 
[Nella sinagoga di Nazareth, suo paese d'origine] «Gesù disse: "In verità io vi dico: c’erano molte vedove in Israele al tempo di Elia, quando il cielo fu chiuso per tre anni e sei mesi e ci fu una grande carestia in tutto il paese; ma a nessuna di esse fu mandato Elia, se non a una vedova a Sarepta di Sidone. C’erano molti lebbrosi in Israele al tempo del profeta Eliseo; ma nessuno di loro fu purificato, se non Naamàn, il Siro". All’udire queste cose, tutti nella sinagoga si riempirono di sdegno. Si alzarono e lo cacciarono fuori della città e lo condussero fin sul ciglio del monte, sul quale era costruita la loro città, per gettarlo giù. Ma egli, passando in mezzo a loro, si mise in cammino».
Vangelo secondo Luca 4, 25-30
 
don Chisciotte Mc

Gesù disse: «I re delle nazioni le governano, e coloro che hanno il potere su di esse si fanno chiamare benefattori.
Per voi però non sia così;
ma chi è il più grande tra voi diventi come il più piccolo e chi governa come colui che serve»
(Lc 22,25-26).
don Chisciotte Mc
I potenti non fanno la spesa al mercato o al centro commerciale.
I potenti non sentono cattivi odori: per loro solo profumi e panorami a fiori.
I potenti non si rifanno mai il letto.
I potenti non spolverano né lavano i pavimenti o il bagno.
I potenti hanno a disposizione creme, saponi e bagnoschiuma delicati e aromatizzati. 
I potenti non fanno la fila: hanno corsie preferenziali.
I potenti non arrivano mai in ritardo: sono gli altri che devono aspettarli.
I potenti pensano di sapere in esclusiva cose che gli altri non sanno.
I potenti hanno posti riservati, in prima fila, su poltronissime.
I potenti possono non salutare.
I potenti - in fondo in fondo - non vivono una vita reale, ma virtuale, artefatta, "fatta ad arte" per loro da cortigiani e sudditi.
E se dite loro queste cose, non ci credono: sono convinti di esserne immuni!
don Chisciotte Mc
scritto il 28 maggio 2015