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san Carlo Borromeo - L'avarizia dei preti
san Carlo Borromeo - Esame di coscienza
«Splendido, anche dal punto di vista letterario, l'esame di coscienza della seconda omelia [di san Carlo Borromeo], dove il santo arcivescovo immagina che Cristo giudice sottoponga i pastori d'anime ad uno stringente interrogatorio, che non lascia scampo: «Se dovevate essere voi le sentinelle (= speculatores!), perché siete diventati ciechi? Se eravate pastori, perché avete permesso che il gregge a voi affidato andasse sbandando? Se dovevate essere il sale della terra, perché avete perso il sapore? Se eravate luce, perché non avete illuminato quelli che giacciono nelle tenebre e nell'ombra della morte? Se eravate apostoli, perché avete fatto ogni cosa davanti agli occhi degli uomini senza virtù apostolica? Se dovevate essere la bocca di Dio, perché siete rimasti muti? Se non vi sentivate all'altezza di un tale onere, perché lo avete cercato con ambizione? E se invece ne eravate all'altezza, perché siete rimasti così pigri e negligenti? Non vi hanno scosso la voce dei profeti, la legge evangelica, gli esempi degli apostoli, la condizione fatiscente della Chiesa?».
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Per i ministri della Chiesa
Inizio dell'assemblea liturgica
O Padre, che insegni ai ministri della Chiesa non a farsi servire, ma a servire i fratelli, concedi a tutti la grazia inestimabile di essere generosi nell'impegno pastorale, fedeli e vigilanti nella preghiera, lieti e premurosi nel servizio della comunità cristiana. Per Gesù Cristo, tuo Figlio, nostro Signore nostro Dio, che vive e regna con te, nell'unità dello Spirito santo, per tutti i secoli dei secoli.
Conclusione della liturgia della Parola
Dio onnipotente ed eterno, che nel tuo Spirito guidi e santifichi la Chiesa, accogli la preghiera che ti innalziamo, perché secondo il dono della tua grazia, tutti i membri della comunità, nel loro ordine e grado, ti possano fedelmente servire. Per Cristo nostro Signore.
Sui doni
Accogli, Padre santo, i nostri doni in questo memoriale di Cristo, tuo Figlio, che per ammaestrarci con l'esempio volle lavare i piedi ai discepoli; concedi che, offrendoci in servizio spirituale, veniamo anche noi animati dallo spirito di umiltà e di amore e resi conformi a lui, che vive e regna nei secoli dei secoli.
Dopo la comunione
Signore Dio nostro, che ci nutri con il corpo e il sangue del tuo Figlio, concedi ai tuoi ministri di essere fedeli e umili dispensatori della parola e dei sacramenti, a servizio del tuo popolo e a gloria del tuo nome. Per Cristo nostro Signore.
Per i sacerdoti
Inizio dell'assemblea liturgica
Padre santo, che hai costituito pontefice sommo ed eterno Gesù Cristo, Figlio tuo Unigenito, concedi ai sacerdoti che egli ha scelto come dispensatori dei sacri misteri la grazia di essere fedeli e diligenti nel loro servizio fino al giorno della sua venuta. Per lui, nostro Signore e nostro Dio, che vive e regna con te, nell'unità dello Spirito Santo, per tutti i secoli dei secoli.
Conclusione della liturgia della Parola
Signore Dio nostro, che guidi e governi il popolo cristiano mediante il ministero dei sacerdoti, fa' che i tuoi eletti, con un servizio fedele alla divina parola, nella vita nella missione pastorale cerchino unicamente la tua gloria. Per Cristo nostro Signore.
Per le vocazioni sacerdotali
Inizio dell'assemblea liturgica
Dio Padre onnipotente, che provvedi i pastori per guidare la Chiesa, effondi lo spirito di pietà e di fortezza e suscita nel tuo popolo degni ministri dell'altare: uomini umili e miti, apostoli liberi e forti del Vangelo. Per Gesù Cristo, tuo Figlio, nostro Signore nostro Dio, che viene regna con te, nell'unità dello Spirito Santo, per tutti i secoli dei secoli.
Preghiera a Maria per i sacerdoti
Vergine Madre, figlia del tuo Figlio,
donna dell’Ascolto e del Servizio,
a te ci rivolgiamo per preparare con la nostra preghiera
l’anno dedicato alla santificazione dei sacerdoti.
Ti affidiamo ciascuno di loro.
Ti chiediamo di accompagnarli con la tua bontà materna,
perché ogni giorno ripetano il loro “sì” a Dio,
come tu stessa hai fatto a Nazaret e in tutta la tua vita, fin sotto la croce e oltre.
Tu eri presente con gli apostoli nel cenacolo
e con loro hai invocato e poi accolto il dono dello Spirito,
che li ha resi coraggiosi testimoni del tuo Figlio, crocifisso e risorto,
e li ha sostenuti nell’annunciare il Vangelo ad ogni creatura.
Tu stessa li hai accompagnati con la tua preghiera, e la tenerezza di madre.
Accompagna anche i nostri sacerdoti,
soprattutto quando intraprendono strade nuove e non facili
per annunciare anche nel nostro tempo la bellezza dell’amore del Padre.
Aiutali ad essere autentici e fedeli, generosi e misericordiosi,
puri di cuore e solleciti verso ogni persona.
Sostienili nelle giornate difficili,
e aiutali a rialzarsi quando sperimentano la debolezza della loro risposta.
Fa’ che siano attenti ascoltatori della Parola del tuo Figlio
e annunciatori instancabili di questo tesoro che il Cristo ha affidato alla Chiesa
perché sia seme gettato nei solchi dell’umanità.
Sostieni chi fatica ad essere fedele,
e dona la consolazione che aiuta a superare i momenti difficili.
Invoca con loro e per loro lo Spirito
perché siano servitori della comunità sull’esempio e con la forza del Figlio tuo,
che si è fatto servo per amore
e ha indicato nel servizio uno dei modi per renderlo presente e vivo in mezzo ai suoi.
Aiutali a spezzare per tutti il Pane della Parola e dell’Eucaristia
e ad essere compagni di viaggio
per tutti coloro che cercano nel Vangelo la risposta alle tante domande della vita,
il sollievo alle tante sofferenze che spesso ci rendono tristi.
Accompagnali tutti con il tuo amore di madre, o clemente, o pia, o dolce Vergine Maria!
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Il prete
Un prete deve essere contemporaneamente piccolo e grande,
nobile di spirito come di sangue reale,
semplice e naturale come ceppo di contadino,
una sorgente di santificazione,
un peccatore che Dio ha perdonato,
un servitore per i timidi e i deboli,
che non s'abbassa davanti ai potenti, ma si curva davanti ai poveri,
discepolo del suo Signore,
capo del suo gregge,
un mendicante dalle mani largamente aperte,
una madre per confortare i malati,
con la saggezza dell'età e la fiducia d'un bambino,
teso verso l'alto, i piedi a terra,
fatto per la gioia, esperto del soffrire,
lontano da ogni invidia,
lungimirante,
che parla con franchezza,
un amico della pace, un nemico dell'inerzia,
fedele per sempre.
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Parlando di don Mazzolari
Chi l'ha conosciuto, chi l'ha sentito predicare non può dimenticare il modo della sua vibrazione, l'intensità dello sguardo, quello straordinario impasto fra sguardo e parola con cui vi raggiungeva di sorpresa e vi toccava. Era un modo di predicare che tendeva a fondersi nell'essenza stessa della vita: non c'era male che avesse la forza di resistere alla sua forza, meglio direi alla sua pietà. Questo grande scaricatore di parole, che girava il mondo, che correva, che era pronto a prendere tutte le responsabilità, derivava la sua forza dalla presenza del Vangelo e, per illustrare la differenza che egli sapeva fare fra le parole di comodo e quelle che scottano, aveva definito il Vangelo "La parola che non passa" e sotto questo titolo aveva scritto uno dei più bei commenti del Vangelo (La Locusta, Vicenza).
Naturalmente non tutto si salverà dei suoi interventi; purtroppo gran parte del suo lavoro è un seme che è caduto ma non ha preso e nessuno più di lui ne era cosciente. Quando decise di dar vita a un foglio di battaglia, "Adesso", obbediva proprio a questo sentimento di tristezza, a una forma umana di scoraggiamento, ma subito dopo era di nuovo pronto per credere che battaglie di questo genere si vincono subito, nel momento, adesso. Soltanto lui poteva alzare questa bandiera e restare fedele a lungo, imperterrito nel dolore che era molto e nella gioia che era rara e fragile. Da don Mazzolari sono venuti, volta per volta, gli ammonimenti, i gridi d'allarme, l'invocazione alla realtà della vita religiosa.
Nato e cresciuto in campagna aveva registrato nella carne lo scandalo più desolante per un vero cristiano, l'allontanamento dei contadini e degli operai dalla lezione di Cristo: lo aveva registrato, riportando su di sé le colpe e le responsabilità. Aveva capito che ogni forma superstite di dialogo fra Cristo e l'uomo quasi sempre avveniva fuori delle regole, delle dimostrazioni episodiche, soprattutto della condizione politica e che avveniva al contrario nel segno del dolore, della miseria e della pena. In questo modo egli si adoperava per condurre la battaglia su due piani: da una parte l'obbedienza alla verità e, dall'altra, la protesta contro i soprusi, lo spirito di abbandono e di corruzione.
Questo è stato anche il suo testamento spirituale: in parole povere, don Mazzolari ha detto agli uomini di buona volontà che per riportare il figliuol prodigo alla casa del padre non basta ammonirlo ma aspettarlo con amore, rendendogli più facile, meno crudele e disperato il tempo dell'esilio.
Naturalmente don Mazzolari non poteva aspettarsi, in vita, consensi: di solito lo accompagnava il sospetto. Mazzolari dava noia, come tutte le persone che mettono il dito sulla piaga e non accettano il compromesso. Ora che è morto, cerchiamo di ricordarlo com'era, nel sangue stesso della sua parola, senza il facile scambio dell'immagine sacra ma inerte. Spero che quelli che l'hanno conosciuto, soprattutto la parte più nuova e coraggiosa della vita spirituale italiana, resteranno fedeli alla sua memoria.
Ai suoi amici il Signore dà il pane nel sonno
La gratitudine dei ministri della Chiesa alla fine dell’anno
Eccoci, Signore, davanti a te. Col fiato grosso, dopo aver tanto camminato.
Ma se ci sentiamo sfiniti, non è perché abbiamo percorso un lungo tragitto, o abbiamo coperto chi sa quali interminabili rettilinei. E' perché, purtroppo, molti passi li abbiamo consumati sulle viottole nostre, e non sulle tue; seguendo i tracciati involuti della nostra caparbietà faccendiera, e non le indicazioni della tua Parola; confidando sulla riuscita delle nostre estenuanti manovre, e non sui moduli semplici dell'abbandono fiducioso in te.
Forse mai, come in questo crepuscolo dell'anno, sentiamo nostre le parole di Pietro: "Abbiamo faticato tutta la notte, e non abbiamo preso nulla".
Ad ogni modo, vogliamo ringraziarti ugualmente. Perché, facendoci contemplare la povertà del raccolto, ci aiuti a capire che senza di te non possiamo far nulla. Ci agitiamo soltanto.
Grazie, perché obbligandoci a prendere atto dei nostri bilanci deficitari, ci fai comprendere che, se non sei tu che costruisci la casa, invano vi faticano i costruttori. E che, se tu non custodisci la città, invano veglia il custode. E che alzarsi di buon mattino, come facciamo noi, o andare tardi a riposare per assolvere ai mille impegni giornalieri, o mangiare pane di sudore, come ci succede ormai spesso, non è un investimento redditizio se ci manchi tu. Il Salmo 127, avvertendoci che, il pane, tu ai tuoi amici lo dai nel sonno, ci rivela la più incredibile legge economica, che lega il minimo sforzo al massimo rendimento.
Ma bisogna esserti amici. Bisogna godere della tua comunione. Bisogna vivere una vita interiore profonda. Se no, il nostro è solo un tragico sussulto di smanie operative, forse anche intelligenti, ma assolutamente sterili sul piano spirituale.
Grazie, Signore, perché, se ci fai sperimentare la povertà della mietitura e ci fai vivere con dolore il tempo delle vacche magre, tu dimostri di volerci veramente bene, poiché ci distogli dalle nostre presunzioni corrose dal tarlo dell'efficientismo, raffreni i nostri desideri di onnipotenza, e non ci esponi al ridicolo di fronte alla storia: anzi, di fronte alla cronaca.
Ma ci sono altri motivi, Signore, che, al termine dell'anno, esigono il nostro rendimento di grazie.
Grazie, perché ci conservi nel tuo amore. Perché ancora non ti è venuto il voltastomaco per i nostri peccati. Perché continui ad aver fiducia in noi, pur vedendo che tantissime altre persone ti darebbero forse ben diverse soddisfazioni.
Grazie, perché non solo ci sopporti, ma ci dai ad intendere che non sai fare a meno di noi.
Perché ci infondi il coraggio di celebrare i santi misteri, anche quando la coscienza della nostra miseria ci fa sentire delle nullità e ci fa sprofondare nella vergogna.
Grazie, perché ci sai mettere sulla bocca le parole giuste, anche quando il nostro cuore è lontano da te. Perché adoperi infinite tenerezze, preservandoci da impietosi rossori, e non facendoci mancare il rispetto dei fedeli, la comprensione dei collaboratori, la fiducia dei poveri.
Grazie, perché continui a custodirci gelosamente, anzi, a nasconderci, come fa la madre con i figli più discoli. Perché sei un amico veramente unico, e ti sei lasciato così sedurre dall'amore che ci porti, che non ti regge l'animo di smascherarci dinanzi alla gente, e non fai venir meno agli occhi degli uomini i motivi per i quali, nonostante tutto, continuiamo a essere reverendi.
Grazie, Signore, perché non finisci di scommettere su di noi. Perché non ci avvilisci per le nostre inettitudini. Perché, al tuo sguardo, non c'è bancarotta che tenga. Perché, a dispetto delle letture deficitarie delle nostre contabilità, non ci fai disperare. Anzi, ci metti nell'anima un così vivo desiderio di ricupero, che già vediamo il nuovo anno come spazio della Speranza e tempo propizio per sanare i nostri dissesti.
Spogliaci, Signore, d'ogni ombra di arroganza. Rivestici dei panni della misericordia e della dolcezza. Donaci un futuro gravido di grazia e di luce e di incontenibile amore per la vita. Aiutaci a spendere per te Tutto quello che abbiamo e che siamo.
E la Vergine tua madre ci intenerisca il cuore. Fino alle lacrime.
Coralità della vita
Da due anni sono Cappellano militare; ma d'onde viene alla mia vita spirituale questo senso tutto nuovo e originale di pienezza, di dilatazione e di gioia, ordinata e virile che erompe dalle mie profondità, anche nelle inevitabili angustie dell'ora e tra gli spettacoli più angosciosi della guerra? Perché altri Cappellani hanno confessato, come me, che la vita militare ha segnato una generosa rinnovazione del loro sacerdozio?
Sta bene: le Messe al Campo nude e solenni, le Comunioni folte e devote dei soldati, sotto la volta chiara dei cieli mattutini, la predicazione alla truppa - e i soldati ti succhian le parole dalle labbra, come i bimbi al seno della mamma -l'accostamento vasto e avventuroso dei lontani; ma siamo sempre nella zona esterna e sentimentale del fenomeno, perché queste forme, se togli la cornice drammatica, della guerra e delle armi, sono più o meno comuni anche al ministero sacerdotale del tempo di pace. E infine riguardano sempre l'apostolato, cioè gli altri.
Qui invece si tratta di un fatto strettamente personale, di una realtà interiore mai prima d'ora sperimentata, di una nuova e felice dimensione dello spirito che riguarda la mia personalità e quella soltanto.
Qualche cosa che nasce dalla immissione profonda dell'individuo nella massa, dalla consustanzialità dell'uomo con la tragedia del suo tempo e della stretta consanguineità con quelli che ne sono i protagonisti più diretti: i combattenti.
È il sentirsi efficacemente e sperimentalmente irradiati nella storia, fatti carne e sangue con la propria gente, attori di primo piano in questo dramma immane che dà allo spirito questa pienezza vitale, questa socialità gioiosa e questa coralità immensa.
La vita ordinaria del Sacerdote può nascondere l'ambigua e difficile tentazione di segregarsi dalla massa, nell'intento di elevarsi, può creare lentamente diaframmi opachi tra lui e il popolo, e stabilire alla fine, negli spiriti meno vigili e meno vasti, uno stato di "splendido isolamento". Ma questo vivere sotto una stessa divisa che tutti accomuna nella stessa dura sorte, questo mangiare lo stesso pane (come è bello, in linea, quando arriva la spesa, mettersi in fila con gli altri per ricevere la razione!), questo dormire uno accanto agli altri, distesi per terra, nell'uguaglianza macerante della stanchezza e del sonno, questo marciare incorporati nel Battaglione, polverosi come gli altri, col sacco in spalla come tutti, cantando a piena voce le canzoni alpine, dà il senso vivo di una comunione così intima e così eroica, che ogni cosa, anche la più umile e ordinaria, si trasfigura nello spirito all'altezza e alla solennità di un rito e di un sacerdozio nuovo.
Due volte questa sensazione corale mi balenò con un'evidenza così luminosa e così prepotente da sobbalzarne come per un'improvvisa folgorazione interiore. La notte che mi svegliai di soprassalto ai bordi della strada sassosa (erano i giorni dell'avanzata in Grecia e all'alt eravamo piombati a terra come sacchi vuoti) e vidi dilungarsi nella luce fredda e lattiginosa dell'alba la fila dei corpi abbattuti pesantemente nel sonno, come una lunga catena di cui mi sentivo vivo e piccolo anello, e provai accanto a me il tepore umano e il respiro grave dei compagni che mi pressavano da ogni parte. E l'altra volta quando mi trovai copiosamente invaso da quei parassiti che i combattenti di tutte le guerre conoscono e che gli alpini chiamano "carri armati". Ne rimasi dapprima sorpreso e quasi avvilito; ma poi sentii scaturire dal profondo un impetuoso sentimento di allegrezza, di vitalità e di fierezza. Per la prima volta, mi parve comprendere - se è permesso - la sublime e oscura follia di san Benedetto Labre che andava levando ai suoi poveri questi ospiti indesiderati, per potersene riempire.
Se non temessi di forzare il significato delle cose, direi che, in questo sentimento, vi è un po' di quella compiacenza e intenzione per la quale il Cristo amava insistentemente chiamarsi "Figliuol dell'Uomo" o almeno l'eco della fierezza paolina per la quale poteva dire ai suoi connazionali: se voi siete ebrei, anch'io lo sono.
E il soldato domanda, esige dal Cappellano questa compartecipazione di vita. Quando, una volta, cedendo alla stanchezza, salii per una tappa sull'autocarretta - e nessuno dei competenti mi invidierà certamente questo mezzo di trasporto - i miei alpini non me lo perdonarono tanto presto. Ci volle un congruo periodo di "buona condotta" perché mi fosse dimenticato l'appellativo di... "Cappellano autocarrato".
Quando invece riesco a dividere pienamente la mia vita con gli alpini, allora, uscendo dai ranghi per la Messa al Campo, mi pare di gustare e attuare come non mai la pienezza e la verità saporosa della definizione paolina: «Il Sacerdote è scelto di mezzo agli uomini e per gli uomini è posto a trattare le cose di Dio». E se non m'illudo, mi pare di cogliere sul volto maschio della mia gente un tenue sorriso di soddisfazione e di fierezza.
Come se uno di loro fosse scelto, per tutti, a salire l'altare e offrire il sacrificio di tutti al Dio onnipotente.
La Messa parrocchiale
di don Primo Mazzolari
Non una Messa pontificale, non una Messa in una basilica o in una abbazia benedettina, ma la più povera delle Messe, celebrata dal più povero dei sacerdoti.
La nostra chiesa è la più povera delle chiese.
Il vescovo non s'illuda se in visita pastorale la trova quasi bella. Siamo anche noi dei poveri uomini che, quando viene il superiore, danno un colore di festa anche agli stracci.
Ma non vergognamoci della povertà della nostra chiesa, che s'intona assai bene con la Messa e fa meno paurosa la nostra povertà.
Quale preparazione possiamo fare noi poveri parroci, alla nostra Messa parrocchiale della domenica?
La liturgia è un momento composto, dicono alcuni. Vorrei che qualche mio confratello di città venisse a celebrare da me la domenica. Dopo, potrebbe parlare con più competenza di «momento composto».
Dov'è il popolo? La chiesa è ancora vuota. O perché piove, o perché fa caldo, o perché gela: bisogna attendere, i nostri clienti non hanno fretta.
Andiamo in sacrestia. Il sacrista è sbadato: i chierichetti litigano per il primo posto, come gli apostoli...
Finalmente, ci si avvia all'altare. Il momento richiederebbe il massimo raccoglimento: ma come si fa a non dare uno sguardo alla navata per vedere se c'è gente e come sta?
Adesso salgo l'altare. Incomincia la Messa parrocchiale... (continua - fai il download dell'intera meditazione tra i nostri Testi)
Si cerca un uomo
Si cerca per la Chiesa un uomo
senza paura del domani,
senza paura dell'oggi,
senza complessi del passato.
Si cerca per la Chiesa un uomo,
che non abbia paura di cambiare,
che non cambi per cambiare,
che non parli per parlare.
Si cerca per la Chiesa un uomo
capace di vivere insieme agli altri,
di lavorare insieme,
di piangere insieme,
di ridere insieme,
di amare insieme,
di sognare insieme.
Si cerca per la Chiesa un uomo
capace di perdere senza sentirsi distrutto,
di mettersi in dubbio senza perdere la fede,
di portare la pace dove c'è inquietudine
e l'inquietudine dove c'è pace.
Si cerca per la Chiesa un uomo
che abbia nostalgia di Dio,
che abbia nostalgia della Chiesa,
nostalgia della gente,
nostalgia della povertà di Gesù,
nostalgia dell'obbedienza di Gesù.
Si cerca per la Chiesa un uomo
che non confonda la preghiera
con le parole dette d'abitudine,
la spiritualità col sentimentalismo,
la chiamata con l'interesse,
il servizio con la sistemazione.
Si cerca per la Chiesa un uomo
capace di morire per lei,
ma ancora di più
capace di vivere per la Chiesa,
un uomo capace di diventare ministro di Cristo,
profeta di Dio,
un uomo che parli con la sua vita.
Si cerca per la Chiesa un uomo.