Il papa ai preti: non scapoloni ma pastori con lo stile di Gesù

di Mimmo Muolo

Sacerdoti. Non scapoloni. Pastori «con lo stile di Gesù», non «chierici di stato» o «professionisti del sacro». Estranei alla «perversione» del clericalismo», capaci di stare con gli altri, immuni all’invidia, che spesso sfocia nel «chiacchiericcio» e men che mai affetti da quello che Francesco ha definito una forma di «bullismo» nei confronti degli stessi confratelli. Ma soprattutto i sacerdoti sono uomini di quattro relazioni: con Dio, con il vescovo, con gli altri presbiteri e con il popolo.

Sono gli spunti che il Papa ha offerto ieri ai partecipanti al simposio “Per una teologia fondamentale del sacerdozio”, promosso dalla Congregazione per i vescovi, nell’Aula Paolo VI, in Vaticano. Quelle quattro vicinanze, ha spiegato, riproducono « lo stile di Dio, che fondamentalmente è uno stile di vicinanza».

Papa Bergoglio ha premesso di non voler fare «teoria», ma di voler parlare della testimonianza ricevuta «da tanti sacerdoti nel corso degli anni», contemplando «quali erano le caratteristiche che li distinguevano e davano ad essi una forza, una gioia e una speranza singolari nella loro missione pastorale». E di questa testimonianza concreta appaiono infatti intessute le sue parole di ieri. La logica delle vicinanze, ha ricordato innanzitutto, consente al sacerdote «di rompere ogni tentazione di chiusura, di autogiustificazione e di fare una vita “da scapolo”, o da scapolone», perché invita a fare appello agli altri «per trovare la via che conduce alla verità e alla vita». In altri termini si tratta di quattro dimensioni che permettono «di gestire le tensioni e gli squilibri» di ogni giorno, una «buona scuola per giocare in campo aperto».

Francesco ha anche invitato a non restare ancorati alle consuetudini di ieri e a non lasciarsi attrarre troppo dalle fughe in avanti. «Sento che Gesù – ha detto –, in questo momento storico, ci invita ancora una volta a “prendere il largo” con la fiducia che, guidati da Lui, potremo discernere l’orizzonte da percorrere». In sostanza, citando la Pastores dabo vobis, di san Giovanni Paolo II, secondo cui «il sacerdote, come la Chiesa, deve crescere nella coscienza del suo permanente bisogno di essere evangelizzato », ha aggiunto a braccio: «Vai a dire tu a qualche vescovo, a qualche sacerdote che deve essere evangelizzato… non capiscono. È il dramma di oggi». Il Papa ha quindi analizzato le quattro vicinanze. Che cosa significa dunque vicinanza a Dio? Senza «una relazione significativa con il Signore – ha sottolineato – il nostro ministero è destinato a diventare sterile». Invece la vicinanza con Gesù, il con- tatto con la sua Parola, ci permette di confrontare la nostra vita con la sua e imparare a non scandalizzarci di niente di quanto ci accade, a difenderci dagli “scandali”». Dunque è una vicinanza che si nutre di ascolto della Parola, celebrazione eucaristica, silenzio dell’adorazione, affidamento a Maria, accompagnamento saggio di una guida, sacramento della Riconciliazione». Senza questo, e soprattutto senza la preghiera, un sacerdote è «solo un operaio stanco», ha ammonito il Pontefice. Per questo è bene riuscire a «rinunciare all’attivismo », per fare posto proprio nella preghiera «a tutta la miseria e al dolore» che il presbitero «incontrerà quotidianamente nel suo ministero, fino al punto di diventare egli stesso come il cuore di Cristo».

Quanto alla vicinanza al vescovo, il Papa ha corretto l’interpretazione secondo cui «per molto tempo» essa è stata di fatto identificata con l’obbedienza a senso unico. «Un’interpretazione lontana dal sentire del Vangelo». Ma il vescovo «non è un vigilatore, è un padre». E dunque l’obbedienza «può essere anche confronto, ascolto e, in alcuni casi, tensione». In sostanza, mentre è necessario «che i sacerdoti preghino per i vescovi e sappiano esprimere il proprio parere con rispetto e sincerità», anche ai vescovi è richiesta «umiltà, capacità di ascolto, di autocritica e di lasciarsi aiutare».

in “Avvenire” del 18 febbraio 2022