*Poche Messe e sacerdote “condiviso”: le piccole parrocchie animate dai laici*
di Lorenzo Maffei
*Le esperienze di frontiera e le sfide nelle località di periferia al centro della Settimana di aggiornamento pastorale a Lucca*.
Non è solo la garanzia di avere la Messa domenicale. Il punto è capire come, nei piccoli paesi dell’Italia, spesso spopolati e lontani dai servizi, la Chiesa possa davvero essere comunità cristiana viva, che evangelizza: anche se non c’è l’Eucaristia tutte le domeniche, anche se non c’è un parroco residente. Lungo tutto lo Stivale le realtà sono le più varie. Alla Settimana di aggiornamento pastorale promossa dal Centro di orientamento pastorale (Cop) che si è svolta a Lucca dal 26 al 28 giugno scorsi, dedicata proprio alle “aree interne”, quasi il 60% del territorio nazionale, si sono susseguite tante riflessioni e qualche esperienza, non per dare dei modelli, ma per portare alla luce qualche cammino intrapreso. Non a caso, il presidente del Cop, il vescovo Domenico Sigalini, a conclusione delle tre giornate lucchese ha rilanciato un’idea proprio pensando ai piccoli centri e alle unità pastorali: «Potrebbe esser molto utile, in questi anni di ricerca e riforma, un osservatoriolaboratorio, che faccia monitoraggio delle tante esperienze in atto, le valuti e ne selezioni le migliori, standardizzandole affinché siano replicabili, e magari che accompagni chi desidera attivarle».
Durante il convegno le riflessioni principali sono state quelle di Giorgio De Rita, segretario generale del Censis, e di Paolo Giulietti, arcivescovo di Lucca. Il primo ha invitato tutti i soggetti, civili e religiosi, ad «andare oltre l’idea di territorio locale come “isola”, ma a studiarne le connessioni con il territorio che lo ingloba e l’esterno». Per Giulietti, alla comunità cristiana nelle “aree interne” serve «il primato della concentrazione, individuando spazi e tempi “intensivi” in cui assicurare proposte di qualità» e per far questo è «necessario predisporre una nuova relazione tra Chiesa e territorio, che superi la centralità della parrocchia come intesa finora. Ciò non significa abbandonare l’opportuna cura per la prossimità. A tale scopo, occorrerà istituire nuove forme e figure ministeriali dedicate proprio alla prossimità».
Tra le testimonianze di cammini intrapresi, presentati come nuove frontiere di vita pastorale, c’è stata quella del gruppo oratoriale di Caino nella diocesi di Brescia, una realtà vivace, che vive quasi in un «sinodo permanente» e che oltre all’ordinarietà ha intuito come necessaria anche l’apertura di “Casa Emmaus”, un’esperienza di vita comune tra giovani, che «vuole essere una proposta e una risposta come antidoto all’individualismo, un laboratorio di fraternità – ha raccontato Vittorio De Giacomi –. Si esprime dunque un’immagine della Chiesa quale casa che accoglie, accompagna e innesta nel mondo con una carica positiva di fraternità». Poi la testimonianza di don Alberto Brignoli, parroco di Selvino-Aviatico, nella diocesi di Bergamo, che ha descritto un’unità pastorale composta da cinque comunità nella quale è stato creato un Consiglio pastorale unitario che si riunisce ogni due mesi. «Ogni rappresentate (32, di cui la metà sotto i 50 anni, ndr) porta le varie esigenze della propria comunità all’interno del Consiglio con il quale abbiamo deciso sin dall’inizio che non fosse un organo di tipo consultivo, ma deliberativo. Io non cerco l’approvazione del programma come proposto da me e con pochi altri collaboratori. Se ne discute se ne parla. A volte il programma e le tematiche vanno bene così come presentate, altre volte vengono presentate altre urgenze e tematiche per cui viene accantonata ogni scelta da me fatta e si dà voce alla richiesta delle comunità. Spesso ci troviamo d’accordo sulle scelte, a volte facciamo delle votazioni. Non me la sento di essere quello che decide per gli altri ma ascolto». Don Brignoli, con alle spalle un’esperienza missionaria in Bolivia, si trova suo agio in queste dinamiche e dice che «in linea di massima i laici dell’unità pastorale apprezzano: così si sa delle altre comunità, si sa che cosa fanno, ci sentiamo responsabili, sentiamo di essere valorizzati. Qualcuno a volte poi mi dice: “Ma decidi tu, fai tu”. Si tratta di una cosa naturale per un retaggio di clericalismo abbastanza forte».
in “Avvenire” del 30 giugno 2023
Parrocchie animate da laici
- Dettagli