“Dotti” che nascondono e “piccoli” che rivelano
di Umberto Rosario Del Giudice, 9 luglio 2023
Assimilare i “dotti” a chi si dedica al lavoro intellettuale e i “semplici” a coloro che non hanno “istruzione” è davvero un artificio per confermarsi chiusi nelle proprie “idee” e quindi per svelarsi “dotti”.
(…) Mt 11, 25: “Ti benedico, o Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai tenuto nascoste queste cose ai sapienti e agli intelligenti e le hai rivelate ai piccoli”. (…) “Dotti” e “piccoli” sono messi in relazione al “Figlio” che nella dinamica appare come il vero “piccolo”.
(…) Basterà evidenziare l’opposizione che c’è tra i “dotti” e i “piccoli” ovvero i “semplici” (come qualcuno traduce): i primi “dicono”, “osservano e dettano leggi”, “si conformano alle idee”, seguono “desideri”, acconsentono “ai voleri di qualcuno”…, i secondi sono coloro che “fanno”, che “ascoltano”, che “sono mansueti”, in qualche modo “infantili”, che sono “giovani” perché posti sotto la tutela di qualcuno. (…)
Allora qual è l’opposizione fondamentale tra i dotti e i semplici? È l’origine della propria identità: il “Padre”. Egli è quella fonte di identità altra rispetto ai soggetti; una fonte che chiede relazione e che va scoperta nella vita, nei vissuti.
Tra i “semplici” va annoverato Gesù stesso: lui è il “piccolo”, il “semplice” del Padre, che costruisce la propria identità seguendo ciò che “ascolta” dal Padre: per questo diventerà colui che ha “ogni potere” (…) contrariamente ai “dotti” che hanno il “potere” delle “idee” e non dei “fatti”. I “piccoli” sono quelli che “ascoltano” non quelli che “dettano”. (…)
Alla luce di quanto detto assimilare semplicisticamente i “dotti” a chi si dedica al lavoro intellettuale e i “semplici” a coloro che non hanno “istruzione” è davvero un artificio per confermarsi chiusi nelle proprie “idee” e quindi per rivelarsi tragicamente “dotti”. Quest’ultimi continueranno con le loro “idee autodeterminate” e non riusciranno a “conoscere” e a “rivelare” il volto del Padre perché non potranno viverne la vicinanza, la “fonte”, la “paternità” di tutto nel loro vissuto. Non si mettono mai in discussione; vivono di certezze; “vedono idee” ma non “ascoltano parole”.
Gesù a più riprese fa uso di “sapienza”, cita le Scritture, dà prova di “fine intelligenza” (come nel caso delle varie dispute), mantenendo sempre piena empatia e linearità trasparente con gli interlocutori che si avvicinano a lui nella propria verità. Dire che Gesù amava i “piccoli” perché disprezzava la “sapienza” è tradire il messaggio evangelico.
(…) Accade però che chi ha forti insicurezze debba proteggersi dietro strutture forti: così l’ignoranza non diventa l’ambito di chi sa poco ma di chi pretende di “sapere tutto per puro fideismo” ingabbiando anche le immagini del “Padre”. Proprio per questo accade nella fede che alcuni “intellettuali” sono “semplici” e molti “fideisti” fanno i “piccoli” ma si rivelano dei veri e propri inabili all’ascolto: e diventano i “dotti”, i “sapienti”.
La differenza non sta nelle competenze intellettuali o nelle capacità cognitive, ma nella “capacità di ascolto”: solo l’ascolto radicale rende “semplici”. E nel rimandare al Padre la propria identità, l’identità delle cose, il sapere, ci si ritrova (…)