Proprio Domenica scorsa, come detto nella mia omelia.
(...) "Padre Ihor Boyko, rettore seminario di Lviv la mattina dopo, domenica 15 ottobre deve commentare il brano che la liturgia Greco Cattolica gli propone, Vangelo di San Luca al capitolo 6, 27-36. Il brano che domenica 15 ha risuonato in ogni chiesa ucraina, quello dell’«Amate i vostri nemici». «Parole difficili oggi per il nostro popolo, parole dure», dice padre Ihor.
Ecco il passo del Vangelo d Luca: «A voi che ascoltate, io dico: amate i vostri nemici, fate del bene a quelli che vi odiano, benedite coloro che vi maledicono, pregate per coloro che vi trattano male. A chi ti percuote sulla guancia, offri anche l’altra; a chi ti strappa il mantello, non rifiutare neanche la tunica. Da’ a chiunque ti chiede, e a chi prende le cose tue, non chiederle indietro. E come volete che gli uomini facciano a voi, così anche voi fate a loro. Se amate quelli che vi amano, quale gratitudine vi è dovuta? Anche i peccatori amano quelli che li amano. E se fate del bene a coloro che fanno del bene a voi, quale gratitudine vi è dovuta? Anche i peccatori fanno lo stesso. (…) Siate misericordiosi, come il Padre vostro è misericordioso».
Padre Ihor ricorda come tante volte le parole di Gesù abbiamo allontanato la gente che le sentivano dure, radicali, spesso incomprensibili, tanto è vero che un giorno Gesù chiede ai discepoli, ai suoi amici: “Volete andarvene anche voi?”. Per tutti risponde Pietro: “Signore dove andremo, tu solo hai parole che danno la vita”. Ovvero, commenta padre Ihor, che non ci fanno morire, che non ci fanno rinchiudere in noi stessi.
Questo Vangelo ha parole dure per me e il nostro popolo, ma come è possibile amare chi ci bombarda, chi stupra le nostre donne, chi rapina le nostre case e ci ruba i figli? Chi ci sottrae la terra e uccide i padri? Si domanda padre Ihor. Lo soccorre la prima lettura, un brano della Seconda lettera ai Corinzi 12, 9-10 in cui San Paolo scrive: “Ed egli mi ha detto: «Ti basta la mia grazia; la mia potenza infatti si manifesta pienamente nella debolezza». Mi vanterò quindi ben volentieri delle mie debolezze, perché dimori in me la potenza di Cristo. Perciò mi compiaccio nelle mie infermità, negli oltraggi, nelle necessità, nelle persecuzioni, nelle angosce sofferte per Cristo: quando sono debole, è allora che sono forte”.
Mi compiaccio della mia debolezza, ripete il rettore, “da soli non ce la facciamo a perdonare il nostro nemico, è un invito troppo difficile, quasi irreale. Cosa possiamo fare allora noi nella nostra debolezza? Risponde alla domanda così padre Ihor, bisogna guardare a Gesù in croce che ha chiesto al Padre di perdonare dicendo quella frase potentissima “Padre perdona loro perché non sanno quello che fanno”. Ecco anche noi, deboli e incapaci di perdonare possiamo, guardare a quella croce e dire le parole che lui ha detto, possiamo unire la nostra voce alla sua “Padre perdona loro perché non sanno quello che fanno”.
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