Ogni guerra è guerra contro il proprio fratello
Si può dire basta, senza se e senza ma, alla guerra, a tutte le guerre e non passare per “anime belle”? Come facciamo a sopportare questo dolore dell’umano? Puoi immaginare di sederti, a cena, davanti la tv e mangiare e bere vino davanti a questo spettacolo di distruzione? Tu mangi, loro patiscono la fame, tu bevi vino, loro non hanno acqua. E i cani, i gatti, perfino gli uccellini chiusi nella loro gabbia che fine faranno?
Corpi distesi nella strada come un mucchio di cenci, cadaveri sotto le macerie, bambini che urlano a ogni scoppio di bombe. E i Grandi della Terra, con le loro cravatte e i colletti inamidati, che dissertano su come stanno andando le cose. Quali cose? Le morti; dovrebbero parlare dei morti; perché sono morti? Di quali colpe si sono macchiati per meritare questa sorte? Hanno combattuto contro fratelli e hanno ucciso i fratelli, le loro mogli e i loro bambini. Non avrebbero voluto farlo; ce li hanno costretti i loro mandanti assassini, chiusi nelle loro case dorate, al caldo; vanno a dormire con pigiami di seta. Magari hanno paura di prendere il raffreddore; la mattina si alzano e chiedono quanti sono stati i morti nella notte e fanno macabri bilanci: quanti armi servono ancora? Quanti altri morti ci vorranno per finire questa disgraziata guerra? Profitti che, a ogni morto, salgono per i distruttori di pace.
Alla fine qualcuno griderà: Abbiamo vinto! Vinto che cosa? Lo diciamo ai morti che sono rimasti sul campo? Quale vittoria e contro chi? E coloro che perderanno avranno per anni da pensare ai loro morti, morti per niente, per i capricci dei loro governanti e dei fabbricanti di armi.
Si chiama guerra, oppure mantenimento dell’ordine liberale mondiale; nessuno vince e tutti perdono. No, mi sbaglio, qualcuno vince, magari fa soldi con i cadaveri dei morti, con la vendita di armi; i nostri costruttori di armi e i loro complici governanti.
Muovono le persone come fossero birilli pronti a cadere: Andate e combattete per la Patria, è il grido. La Patria di chi? La loro Patria non la nostra, quella dei poveri, dei miserabili, di coloro che erano già stati scartati dal mondo. Bisognerebbe disubbidire agli ordini dei nostri governanti, non prendere il fucile davanti il proprio fratello; semmai guardarlo negli occhi e scorgervi la nostra paura. Paura giusta, questa sì, perché la guerra è solo distruzione, sovvertimento del senso comune, libertà di uccidere il fratello senza provare senso di colpa alcuno.
E dei morti che ne facciamo? Cosa diciamo loro? Possiamo solo ringraziarli per essere a loro sopravvissuti, noi al loro posto. Non potremo neppure piangere sulle loro tombe, forse non ne avranno, sono solo dispersi in qualche pozzanghera, sotto qualche carro, in terre non loro, come è sempre successo ai soldati. Faremo manifestazioni per la pace, diranno che siamo anime belle, che non capiamo, che non abbiamo mai capito niente; noi, il popolo, carne da macello, inviato al fronte per difendere i nostri governanti e per ingrassare i venditori di armi.
Basta con le guerre, almeno digiuniamo per un giorno come ha chiesto il papa, appendiamo le nostre bandiere arcobaleno ai balconi di casa, per sentirci più vicini a loro che patiscono la fame e altri tormenti, dimostriamo noi di essere i più forti, senza armi, indifesi ma convinti che ogni guerra è guerra civile, guerra contro il proprio fratello.
di Enzo Scandurra
in “L’Osservatore Romano” del 2 marzo 2022