Sguardo. Occhi che diventano nutrimento

“La parola sguardo, per il suo significato e per quanto la differenzia, per esempio, dal semplice vedere, ha attraversato l’intero arco del pensiero. Da quello filosofico a quello artistico e letterario. Probabilmente perché, come scrive J.-L. Nancy, «guardare significa anzitutto badare [garder], warden o warten, sorvegliare, custodire [prendre en garde] e fare attenzione [prendre garde]. Avere cura e preoccuparsi. Guardando veglio e (mi) sorveglio: sono in rapporto con il mondo, non con l’oggetto…; nello sguardo sono messo in gioco. Non posso guardare senza che ciò mi riguardi [ça me regarde]» (Il ritratto e il suo sguardo). (…)

Lo sguardo quindi che, mentre mi apre al mondo, mi coinvolge e mi interpella. Fino a farmi stabilire con l’oggetto dello sguardo una relazione, che passa – come conferma il significato del germanico wardōn, etimo della parola sguardo – dall’osservare con gli occhi al vigilare, all’aver cura e custodire. (…)

La sana cultura dell’incontro. Quella che vede nello sguardo l’atto gratuito che nutre la bellezza delle cose che esistono e sostiene la fragilità di quelle imperfette perché continuino a esistere.

Questo sguardo assume una valenza quasi religiosa. È lo sguardo amorevole e intimo, capace di caricare di senso nuovo tutto ciò che alla semplice vista sembra avere poco o nessun valore. E che, nello stesso tempo, può trasformare tutto ciò che guarda in nutrimento per la propria crescita. Fino a poter dire con Ferdinando Pessoa: «Ciò che vediamo non è ciò che vediamo, ma ciò che siamo». (…)

di Nunzio Galantino, in “Il Sole 24 Ore” del 28 aprile 2024