Oggi piove. Stavo attraversando piazza Cavour quando una persona mi ferma e mi dice: “È tutta colpa di voi vescovi se la Chiesa va male!”. Poi, con una certa rabbia, elenca una serie di colpe. Avrei voluto fermarmi a parlare, provare a capire, ma ero in ritardo per un impegno. Così saluto, mi scuso per la fretta e proseguo sotto la pioggia. All’improvviso quella pioggia pareva esprimere le lacrime che sentivo nell’anima. Non per le parole ascoltate, ma per la Chiesa. Lo so che stiamo faticando. Siamo di meno, proviamo molta difficoltà a passare la fede ai giovani, abbiamo una forte carenza nel dialogo culturale, il peso delle strutture ci rallenta, come comunità stiamo invecchiando… Lo so. Ci penso tutti i giorni. Sento sulla pelle e nel cuore il travaglio di quest’epoca di cambiamento. Il mondo sta cambiando.
E noi arranchiamo. Ci mettiamo mente e cuore per scovare i sentieri giusti verso il futuro. In tanti siamo ingaggiati con passione in questa affascinante e difficile ricerca. Anche se i risultati sono pochi. Forse stanno germogliando, ma stentiamo a vederli. Per fortuna sono un credente. Per questo ogni giorno posso dire: “Io so che Dio continua a lavorare”. Quindi resto serenamente fiducioso. Consapevole delle mie responsabilità, ma certo di essere in buone mani. Le mani di Dio e le mani di tanti credenti che, tutti i giorni, con tenace e fiduciosa pazienza, costruiscono. Tornando a casa, verso sera, incontro una nonna che tiene per mano, sotto l’ombrello, il nipotino. Un vispo bimbetto di sei-sette anni. La nonna mi dice che non è battezzato, per scelta dei genitori. Mi confida: “Tutti i giorni prego per lui e per loro”. Ecco una donna che, nel cambiamento epocale, continua a costruire con fiducia il futuro. Non mi ha elencato le eventuali colpe dei “genitori moderni”. Lei si prende cura del bimbo e prega. Cioè cerca di fare qualcosa. Ora, nel mio studio, ripenso ai due incontri: all’uomo che elenca le colpe e alla nonna che prega. Sto iniziando a stancarmi delle persone che sono bravissime a elencare le colpe degli altri: degli amministratori, dottori, insegnanti, genitori, vescovi… Sicuramente tutti hanno colpe, fanno sbagli. Ma l’importante non è fotografare gli sbagli altrui e raccontare all’infinito le scelte sbagliate. La questione seria è mantenere in cuore una sete di cambiamento, una tenace voglia di contribuire al miglioramento. Di fronte ai problemi abbiamo bisogno di avere sempre in cuore questa domanda: “Io che posso fare?”. Sapendo un’illuminante verità: “La domanda non dà risposte, ma ti sposta”. Bellissimo. Mantenere la domanda “Che posso fare?” non offre magicamente risposte, ma ci sposta. Ci fa passare da spettatori a protagonisti. Da giudici a camminatori. Ci sposta nella mischia, capaci di collaborare, di cercare aiuto e offrire aiuto. Ci sposta in campo, con la squadra dei costruttori. Lasciando gli spettatori sugli spalti. A urlare. Noi preferiamo giocare. Perché chi sta sugli spalti ha già perso. Chi entra in campo, comunque vada la partita, ha fatto sicuramente la cosa giusta. Che non andrà persa. Buona partita!
Derio, vescovo di Pinerolo
L'Eco del Chisone, 11 settembre 2024