Mario Calabresi, "Solo la fatica ci salverà"
"Vi racconto come è nata l'idea di questo libro (...) Parla di una parola che non ci piace ma che contiene tantissimi significati, continua ad accompagnare le nostre vite ed è un motore incredibile: la fatica".
"Venerdì 8 gennaio 2016, una settimana prima di diventare direttore di Repubblica, feci una nota sul telefono, una delle migliaia che ho scritto in questi anni, che aveva questo titolo: “*Alzarsi all’alba*”. Poi c’era un sottotitolo che recitava: “Perché solo la fatica ci salverà”. Non ho idea cosa mi spinse quel giorno a cominciare a raccogliere idee e esempi di storie di dedizione, di lavoro, di pazienza, di tenacia, di sacrificio, in una parola di fatica. Ricordo però che già allora pensavo fosse necessario provare a ridare un significato più pieno e completo a una parola che oggi ha soltanto un’accezione negativa. Ma non solo, anche a *sfatare l’illusione che la fatica potesse scomparire dalle nostre vite*. Nel tempo ho raccolto idee e storie e adesso questo viaggio è finito ed è diventato il mio nuovo libro che uscirà martedì 16 settembre.
Si intitola esattamente come avevo immaginato più di nove anni fa. Già allora mi affascinava l’alba, anche se la mia vita e i miei ritmi erano spostati sulla sera e sulla notte, quando si doveva chiudere il giornale. *Sentivo che il sorgere del sole, identificato con la fatica di alzarsi presto, conteneva però tante promesse e le possibilità di ogni nuovo giorno*.
*In questi anni ho visto la fatica passare di moda*, i genitori augurarsi che i figli ne fossero liberati o vaccinati, come qualcosa da evitare, da rifuggire ogni volta che fosse possibile.
*Si è fatta strada l’idea che sia possibile raggiungere risultati, conquistare traguardi, compiere imprese senza fare fatica. Non è mai stato chiaro come possa essere possibile, ma l’illusione ha preso piede ed è stata abbondantemente coltivata*.
Intorno a questa utopia molta gente, che non può permettersi di affrancarsi continua a farla, la fatica. Ad alzarsi all’alba, a fare lavori ripetitivi e sfinenti, a non avere orari, a prendersi cura di famiglie, figli, malati, senza sosta.
Silenziosamente, pensando di stare dalla parte sbagliata della storia. Non solo affaticati ma anche incompresi.
Ho visto la parola “fatica” diventare solo negativa e scomparire dal vocabolario quotidiano. Tanto da chiedermi se ci fosse mai stato davvero un tempo in cui era pronunciata in modo positivo.
Ma ho aspettato molto a scrivere, perché sentivo *il rischio di fare un libro nostalgico, con la testa rivolta all’indietro*, che finisse per avere come modello il mondo dei miei nonni. A me piace indagare il passato, ma non amo l’idealizzazione dei “bei tempi andati”, così cercavo una chiave di racconto che fosse più convincente.
Finché una mattina, di fronte alle onde di un mare primaverile molto agitato, ho sentito per la prima volta, dopo tanto tempo, delle parole incredibili e fuori moda. Le ha pronunciate una ragazza speciale.
Avevamo appena finito una lunga chiacchierata e lei doveva allenarsi. Ha indossato la muta, ha raccolto i lunghi capelli sotto la cuffia e prima di cominciare a camminare faticosamente sulla spiaggia, verso l’acqua gelata, mi ha raccontato un’ultima cosa. Quella che ha messo in moto questo libro. *Veronica ha entrambi i piedi amputati a metà, la sabbia è un ostacolo, ma lei sorridendo si è messa in cammino*.
L’ho seguita con lo sguardo finché non l’ho vista tuffarsi e nuotare verso il largo. L’ho invidiata, ho invidiato quella forza appassionata e trovato straordinariamente audace l’ultima frase: «La fatica la devi adorare»".









