Simone Weil la “rossa”: la difesa dei poveri, la vocazione mistica
di Eva Cantarella
«La vergine rossa» la chiamavano ai tempi in cui (una delle prime donne a esservi ammesse) studiava a Parigi, alla École Normale Supérieure. Una definizione che aveva qualche ragione, ma non era certo sufficiente a descriverla. Definita abitualmente filosofa, era certamente tale, professionalmente. Ma considerarla solo sotto questo profilo vorrebbe dire dimenticare gli aspetti del suo carattere e del suo pensiero che, dopo la morte, hanno fatto di lei un'icona. Nata a Parigi nel 1909 da una famiglia ebraica di intellettuali, Simone, ottenuta nel 1931 l'agrégation in filosofia, inizia a insegnare in diversi licei di provincia, dove la sua personalità e il suo comportamento fanno subito di lei un personaggio singolare, non di rado guardato con sospetto. Incapace di accettare ogni forma di discriminazione, Simone organizza corsi per i lavoratori, appoggia le rivendicazioni operaie, partecipa agli scioperi dei minatori disoccupati, alla testa dei cui cortei sfila portando la bandiera rossa. Ma la sua vita non era solo militanza politica. Era, in modo non meno appassionato, insegnamento e ricerca. Tra gli autori prediletti, Platone: i greci, a suo giudizio, avevano elaborato un modello di vita superiore, anche se con un limite: non avevano riconosciuto il lavoro come valore umano. L'influenza di Marx nella sua formazione è evidente. Ma neppure lui era perfetto: non aveva dato indicazioni compiute nella direzione di una filosofia del lavoro. Il marxismo, dunque, non era in grado di rispondere alla «necessità interiore» che, come scrive, guidava la sua vita: la ricerca della verità, che per lei si poteva raggiungere solo nel contatto con la realtà. Per questo, nel 1931, parte per la Germania. In quel Paese i problemi sociali non erano solo dibattito intellettuale, come in Francia, erano una realtà. Ma la sinistra la delude: nessuno dei partiti rivoluzionari, incluso quello comunista, ha la capacità di instaurare un vero regime socialista, in cui l'essere umano si riappropri del dominio sulla natura, gli strumenti e la società. Nel 1934 chiede un anno di congedo dall'insegnamento, e va a lavorare in fabbrica, alla Renault di Parigi. Un'esperienza durissima, che matura in lei la convinzione che le condizioni stesse del lavoro devono cambiare, che bisogna pensare a un «regime nuovo» dell'impresa. Terminata l'esperienza per ragioni di salute, nel 1936 partecipa come volontaria alla guerra di Spagna. Infine, la svolta religiosa e l'esperienza mistica, la «vocazione particolare» che le dà delle «ragioni legittime» per chiedersi se «in un'epoca in cui gran parte dell'umanità è sommersa dal materialismo, Dio non voglia che ci siano uomini e donne che si sono donati a lui, e che tuttavia restano fuori dalla Chiesa» (Attesa di Dio, Adelphi). Interessante, nella sua riflessione sulla religione, il collegamento tra la visione greca dell'uomo e quella dei Vangeli, accomunate, per lei, dal senso della miseria umana, alla quale i greci avrebbero opposto la virtù, i Vangeli la Grazia. Quando viene allontanata dall'insegnamento per motivi razziali, dopo un breve soggiorno negli Stati Uniti, torna in Europa, per aiutare le Forze francesi libere in Inghilterra. Ma la sua resistenza fisica è ormai al limite e nel 1943 muore, sola, in un sanatorio inglese, a soli 34 anni. Superfluo, a questo punto, dire che le interpretazioni del personaggio sono state molte e diverse. In vita fu vittima di tutti i luoghi comuni ai quali si faceva (e si fa) ricorso per ridicolizzare le donne trasgressive: l'aspetto fisico, l'abbigliamento, persino i grandi occhiali da vista che le coprivano il volto. Per alcuni era un'anoressica, una fanatica, una pazza... Ci volle tempo perché le fosse resa giustizia (in Italia, e se ne possono ben comprendere le ragioni, le sue opere vennero tradotte e pubblicate grazie ad Adriano Olivetti). Ovviamente il giudizio sul contenuto e il valore del suo pensiero filosofico spetta agli esperti. Ma non è necessario essere tali per capire l'eccezionalità del suo carattere indomito e del suo spirito critico e libero, capace di non delegare mai ad altri, per nessuna ragione, le proprie scelte: né in campo politico, né in campo religioso.
di Eva Cantarella
«La vergine rossa» la chiamavano ai tempi in cui (una delle prime donne a esservi ammesse) studiava a Parigi, alla École Normale Supérieure. Una definizione che aveva qualche ragione, ma non era certo sufficiente a descriverla. Definita abitualmente filosofa, era certamente tale, professionalmente. Ma considerarla solo sotto questo profilo vorrebbe dire dimenticare gli aspetti del suo carattere e del suo pensiero che, dopo la morte, hanno fatto di lei un'icona. Nata a Parigi nel 1909 da una famiglia ebraica di intellettuali, Simone, ottenuta nel 1931 l'agrégation in filosofia, inizia a insegnare in diversi licei di provincia, dove la sua personalità e il suo comportamento fanno subito di lei un personaggio singolare, non di rado guardato con sospetto. Incapace di accettare ogni forma di discriminazione, Simone organizza corsi per i lavoratori, appoggia le rivendicazioni operaie, partecipa agli scioperi dei minatori disoccupati, alla testa dei cui cortei sfila portando la bandiera rossa. Ma la sua vita non era solo militanza politica. Era, in modo non meno appassionato, insegnamento e ricerca. Tra gli autori prediletti, Platone: i greci, a suo giudizio, avevano elaborato un modello di vita superiore, anche se con un limite: non avevano riconosciuto il lavoro come valore umano. L'influenza di Marx nella sua formazione è evidente. Ma neppure lui era perfetto: non aveva dato indicazioni compiute nella direzione di una filosofia del lavoro. Il marxismo, dunque, non era in grado di rispondere alla «necessità interiore» che, come scrive, guidava la sua vita: la ricerca della verità, che per lei si poteva raggiungere solo nel contatto con la realtà. Per questo, nel 1931, parte per la Germania. In quel Paese i problemi sociali non erano solo dibattito intellettuale, come in Francia, erano una realtà. Ma la sinistra la delude: nessuno dei partiti rivoluzionari, incluso quello comunista, ha la capacità di instaurare un vero regime socialista, in cui l'essere umano si riappropri del dominio sulla natura, gli strumenti e la società. Nel 1934 chiede un anno di congedo dall'insegnamento, e va a lavorare in fabbrica, alla Renault di Parigi. Un'esperienza durissima, che matura in lei la convinzione che le condizioni stesse del lavoro devono cambiare, che bisogna pensare a un «regime nuovo» dell'impresa. Terminata l'esperienza per ragioni di salute, nel 1936 partecipa come volontaria alla guerra di Spagna. Infine, la svolta religiosa e l'esperienza mistica, la «vocazione particolare» che le dà delle «ragioni legittime» per chiedersi se «in un'epoca in cui gran parte dell'umanità è sommersa dal materialismo, Dio non voglia che ci siano uomini e donne che si sono donati a lui, e che tuttavia restano fuori dalla Chiesa» (Attesa di Dio, Adelphi). Interessante, nella sua riflessione sulla religione, il collegamento tra la visione greca dell'uomo e quella dei Vangeli, accomunate, per lei, dal senso della miseria umana, alla quale i greci avrebbero opposto la virtù, i Vangeli la Grazia. Quando viene allontanata dall'insegnamento per motivi razziali, dopo un breve soggiorno negli Stati Uniti, torna in Europa, per aiutare le Forze francesi libere in Inghilterra. Ma la sua resistenza fisica è ormai al limite e nel 1943 muore, sola, in un sanatorio inglese, a soli 34 anni. Superfluo, a questo punto, dire che le interpretazioni del personaggio sono state molte e diverse. In vita fu vittima di tutti i luoghi comuni ai quali si faceva (e si fa) ricorso per ridicolizzare le donne trasgressive: l'aspetto fisico, l'abbigliamento, persino i grandi occhiali da vista che le coprivano il volto. Per alcuni era un'anoressica, una fanatica, una pazza... Ci volle tempo perché le fosse resa giustizia (in Italia, e se ne possono ben comprendere le ragioni, le sue opere vennero tradotte e pubblicate grazie ad Adriano Olivetti). Ovviamente il giudizio sul contenuto e il valore del suo pensiero filosofico spetta agli esperti. Ma non è necessario essere tali per capire l'eccezionalità del suo carattere indomito e del suo spirito critico e libero, capace di non delegare mai ad altri, per nessuna ragione, le proprie scelte: né in campo politico, né in campo religioso.
in “Corriere della Sera” del 2 febbraio 2011