Se le suore si arrabbiano
di Massimo Faggioli
È da alcuni anni che la conferenza episcopale americana ha una donna come portavoce: ma quello che è successo domenica scorsa in Italia, col messaggio letto da suor Eugenia Bonetti alla manifestazione in difesa della dignità delle donne, scavalca qualsiasi organigramma istituzionale e rappresenta un precedente per il rapporto tra chiesa italiana, questione femminile e mondo della politica. In quegli undici minuti, il messaggio letto da suor Eugenia di fronte alla piazza contiene molti altri messaggi. La chiesa italiana è fatta non solo di monsignori ma anche (e soprattutto, quando si parla di trasmissione della fede cristiana) di donne, ed è una chiesa che conosce le “donne di strada” e i loro destini meglio degli impresari del mercimonio dei corpi e delle anime. I veri benefattori di quei corpi e di quelle anime sono altri (si pensi a don Benzi, scomparso nel 2007), come tutti sanno ma molti fanno finta di non sapere. Il dibattito degli ultimi giorni sul “vado/non vado alla manifestazione” è stato spazzato via in un attimo dalle parole di suor Eugenia, in uno dei rari momenti di evangelismo politico nella storia dell'Italia contemporanea: “Sono qui per dare voce a chi non ha voce, alle nuove schiave, vittime della tratta di esseri umani per sfruttamento lavorativo e sessuale, per lanciare un forte appello affinché sia riconosciuta la loro dignità e ripristinata la loro vera immagine di donne, artefici della propria vita e del proprio futuro. A nome loro e nostro, che ci sentiamo sorelle e madri di queste vittime”. In secondo luogo, il patrimonio sociale del cattolicesimo, quando liberato dagli slogan prefabbricati e dalle etichette ideologiche, ha una capacità salutarmente “eversiva” che non ha bisogno di cosmesi pubblicitarie né di quella ostentazione di vittimismo che pervade il discorso pubblico del cattolicesimo contemporaneo in Occidente. L'antropologia cristiana è sottoposta sì ad un assedio culturale, ma l'assedio è mosso dagli alleati politici del cattolicesimo istituzionale (come Berlusconi) non meno che dal cosiddetto “relativismo”. Infine, risulta evidente che la componente femminile nella chiesa è più capace di reagire alla sclerotizzazione politico-carrieristica della chiesa cattolica, per il semplice motivo che nella chiesa le donne non devono e non possono fare carriera: il fatto di essere donne le ha private (finora) del sacerdozio, e senza sacerdozio svanisce qualsiasi meccanismo di carriera ecclesiastica. Per questo motivo le donne nella chiesa possono permettersi di essere meno attente alle ricadute del loro dire e agire pubblico sulla loro carriera all'interno della chiesa, diversamente dai sacerdoti e dai teologi (anche quelli laici) che in qualche modo dipendono funzionalmente dalla gerarchia ecclesiastica. Questo della libertà data alla componente femminile della chiesa dal fatto di non essere ordinate è un argomento liberal contro una delle battaglie del cattolicesimo liberal post-conciliare, quello del sacerdozio femminile. Ma questa è una questione che va al di là dei confini interni della chiesa e ha conseguenze sull'essere della chiesa nel mondo. (...)
di Massimo Faggioli
È da alcuni anni che la conferenza episcopale americana ha una donna come portavoce: ma quello che è successo domenica scorsa in Italia, col messaggio letto da suor Eugenia Bonetti alla manifestazione in difesa della dignità delle donne, scavalca qualsiasi organigramma istituzionale e rappresenta un precedente per il rapporto tra chiesa italiana, questione femminile e mondo della politica. In quegli undici minuti, il messaggio letto da suor Eugenia di fronte alla piazza contiene molti altri messaggi. La chiesa italiana è fatta non solo di monsignori ma anche (e soprattutto, quando si parla di trasmissione della fede cristiana) di donne, ed è una chiesa che conosce le “donne di strada” e i loro destini meglio degli impresari del mercimonio dei corpi e delle anime. I veri benefattori di quei corpi e di quelle anime sono altri (si pensi a don Benzi, scomparso nel 2007), come tutti sanno ma molti fanno finta di non sapere. Il dibattito degli ultimi giorni sul “vado/non vado alla manifestazione” è stato spazzato via in un attimo dalle parole di suor Eugenia, in uno dei rari momenti di evangelismo politico nella storia dell'Italia contemporanea: “Sono qui per dare voce a chi non ha voce, alle nuove schiave, vittime della tratta di esseri umani per sfruttamento lavorativo e sessuale, per lanciare un forte appello affinché sia riconosciuta la loro dignità e ripristinata la loro vera immagine di donne, artefici della propria vita e del proprio futuro. A nome loro e nostro, che ci sentiamo sorelle e madri di queste vittime”. In secondo luogo, il patrimonio sociale del cattolicesimo, quando liberato dagli slogan prefabbricati e dalle etichette ideologiche, ha una capacità salutarmente “eversiva” che non ha bisogno di cosmesi pubblicitarie né di quella ostentazione di vittimismo che pervade il discorso pubblico del cattolicesimo contemporaneo in Occidente. L'antropologia cristiana è sottoposta sì ad un assedio culturale, ma l'assedio è mosso dagli alleati politici del cattolicesimo istituzionale (come Berlusconi) non meno che dal cosiddetto “relativismo”. Infine, risulta evidente che la componente femminile nella chiesa è più capace di reagire alla sclerotizzazione politico-carrieristica della chiesa cattolica, per il semplice motivo che nella chiesa le donne non devono e non possono fare carriera: il fatto di essere donne le ha private (finora) del sacerdozio, e senza sacerdozio svanisce qualsiasi meccanismo di carriera ecclesiastica. Per questo motivo le donne nella chiesa possono permettersi di essere meno attente alle ricadute del loro dire e agire pubblico sulla loro carriera all'interno della chiesa, diversamente dai sacerdoti e dai teologi (anche quelli laici) che in qualche modo dipendono funzionalmente dalla gerarchia ecclesiastica. Questo della libertà data alla componente femminile della chiesa dal fatto di non essere ordinate è un argomento liberal contro una delle battaglie del cattolicesimo liberal post-conciliare, quello del sacerdozio femminile. Ma questa è una questione che va al di là dei confini interni della chiesa e ha conseguenze sull'essere della chiesa nel mondo. (...)
in “Europa” del 15 febbraio 2011